Perchè consiglio ai
lettori di dedicare un po del loro tempo alla lettura di questo
libro?
Mi pare che il
titolo di copertina dica a sufficienza per capirlo.
Avevamo parlato di
recente di Ucraina, per ovvie ragioni.
Avevamo parlato
anche di Cina, perché è noto che per gli analisti di geopolitica
la “proxy war”, la guerra per procura, in Ucraina fra Russia e
Stati Uniti, non è che un collegamento accidentale, provocato
maldestramente da un Putin che si sta suicidando politicamente, con
lo scenario ben più importante del vero scontro fra i due colossi
,che si contendono la leadership mondiale : Stati Uniti e Cina.
In questa
prospettiva la pietra d’inciampo vera, piena di incognite e di
rischi non è l’Ucraina, ma Taiwan.
Chi ha letto i libri
di Giada Messetti sulla Cina che trovate già recensiti
(http://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2023/04/giada-messetti-la-cina-e-gia-qui-ed.html
e
https://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2021/09/giada-messetti-nella-testa-del-dragone.html)
avrà notato che la
medesima autrice cita come sinologo accademico di riferimento proprio
quel Kerry Brown del King’s College di Londra che ha scritto questo
libro.
Ma non spaventatevi
per i titoli accademici dell’autore, vi assicuro che ci sono anche
professoroni che sanno scrivere libri autorevoli senza fare
addormentare il lettore e che Kerry Brown è uno di questi.
La co-autrice ,ci
viene detto, è una esperta di finanza nativa di Taiwan.
E allora, penserà
il lettore , se leggo questo libro mi tornerà assolutamente chiaro
perché la Cina si incaponisce a dichiarare e ripetere ad ogni
occasione che Taiwan farebbe parte della “madrepatria” cinese e
che quindi a quella sarà riunita, prima o poi, con le buone o con le
cattive.
Mentre dalla parte
opposta gli americani dichiarano che nel caso in cui la Cina osasse
prendersi Taiwan con le armi ,conto il suo volere, dovrebbe vedersela
con la prima potenza militare del mondo e cioè con loro stessi,auto
nominatisi poliziotti del mondo ,da quando hanno vinto (ma non da
soli) la seconda guerra mondiale.
Tutto girerebbe
allora sul rispetto o meno del principio di autodeterminazione.
Ma non è così
semplice la questione Taiwan.
Terry Brown ha
scritto questo libro proprio per spiegarci nei dettagli l’estrema
complessità della questione Taiwan.
Perchè se ci
limitassimo a una lettura “razionale” della storia sarebbe
difficile non considerare fondato affermare, come fa la Cina, che a
ragione del fatto che l’impero cinese della dinastia Quing ha avuto
Taiwan come propria provincia per ben due secoli successivi (XVIIII e
XIX) ,Taiwan fa parte della Cina.
Tutto sarebbe
indiscutibile se il concetto di “identità” di un popolo, o di
una nazione avesse solo fondamenti razionali.
Sappiamo invece che
la “narrazione” relativa alla propria identità, che viene
metabolizzata nella storia etnico-culturale di un popolo, varia col
tempo ed è legata più a fattori emotivo-sentimentali-psicologici
che a elementi reali-fattuali.
Complica poi
enormemente le cose il fatto che la storia di Taiwan sia complessa e
tutt’altro che lineare.
Perchè alla
dominazione Quing, tra l’altro abbastanza distante, è seguita la
dominazione giapponese a fine ottocento ,durata 50 anni, cioè per
un periodo abbastanza lungo da lasciare un segno profondo.
Poi la guerra civile
: comunisti contro nazionalisti ,conclusasi con la pesante
immigrazione nell’isola, che allora contava 4 milioni di abitanti,
di ben 2 milioni di nazionalisti del generalissimo Chiang Kai Shek,
riusciti perdenti sul continente.
Finito il regime
autoritario di Chang durato quasi 30 anni ,Taiwan si avviò verso un
sistema democratico ufficializzato nel 1996.
Brown mette in
evidenza il fatto che ,forgiati da una storia così complessa ,oggi
per un Taiwanese definire la propria identità è un grosso problema.
Perchè nella sua
psiche convivono molte cose diverse.
A cominciare
dall’eredità della cultura dei nazionalisti , che si ritenevano
cinesi piu ortodossi dei cinesi continentali comunisti, tanto da
conservare la scrittura tradizionale e rifiutare le semplificazioni
introdotte da Mao.
Ma anche il sistema
della democrazia liberale e il libero mercato hanno marcato
indelebilmente il fatto di essere Taiwanese.
Il tutto finito nel
turbinio dell’ enorme sviluppo economico ,condiviso con la Cina
continentale.
Cinesi quindi sì,
ma non solo.
I Taiwanesi
potrebbero quindi essere addirittura un esempio per la Cina di nuova
declinazione del modo di essere cinesi al giorno d’oggi.
Come abbiamo detto
sopra se le cose funzionassero solo su criteri razionali, ma non è
così.
Dicono infatti gli
analisti di geopolitica che se la Cina accettasse l’autonomia di
Taiwan non sarebbe più la Cina.
Perchè ha senso
un’affermazione apparentemente così inverosimile?
Ecco, questo è il
punto, se si capisce questo ci si chiarisce qual’ è il nocciolo
del problema.
Per chiarirsi le
idee bisogna capire due cose ,ostiche per la nostra cultura, non solo
politica.
-) Prima di tutto
bisogna capire che la Cina è per sua natura un impero o non è.
Cerchiamo di
spogliarci almeno provvisoriamente dai pregiudizi e dai dogmi che
abbiamo acquisito ,che ci fanno ritenere non solo negativo ,ma
nemmeno più usabile il vocabolo impero.
Fortunatamente
l’analisi geopolitica ,che è tutta fondata non su ideologie di
sorta ma solo sui “fondamentali” : geografia, demografia,
potenza, stabilità nel tempo, usa il termine impero senza le remore
del politicamente corretto.
Per la geopolitica è
impero uno stato generalmente di grandi dimensioni (per fattori
geografici,demografici, politico-economici etc.storici) dotato
appunto degli indispensabili attributi fattuali, con una narrazione
pedagogica nazionale ,che riferendosi alla propria storia giustifichi
l’aspirazione ad esercitare una egemonia regionale o globale.
Attenzione però a
non distorcere il senso di questa definizione con giudizi di valore
ideologici od etici, perché la definizione stessa è basata solo su
elemento fattuali, concreti cioè di realtà valutabili in modo
empirico.
In questo senso e in
questo ambito la Cina è indiscutibilmente un impero semplicemente
perché ne ha gli elementi fattuali.
E ’
talmente essenziale la nozione di impero per la Cina, che contiene
questo concetto addirittura nel suo nome.
In cinese Cina si
dice e si è sempre detto nella sua storia millenaria Zhongguò
, cioè Impero di Mezzo.
Ma l’elemento
fondamentale da prendere in considerazione ora è che non potrebbe
essere che un impero per il fatto che dispone di un territorio
immenso ,abitato da etnie diverse, anche se con una relativa
prevalenza dell’etnia Han, che però a sua volta non è del tutto
omogenea.
E in queste
situazioni il tutto sta insieme solo nell’ambito di una istituzione
imperiale.
-) Poi, nel caso
specificatamente cinese, bisogna tenere in mente il principio che
regge tutta la strategia politica di Xi Ginping e dei suoi
predecessori : l’enorme sviluppo che ha avuto la Cina in questi
ultimi anni deve essere usato per superare il “secolo
dell’umiliazione” ,quando il colonialismo inglese e poi
occidentale dalle guerre dell’oppio in poi hanno umiliato la Cina
con una occupazione inqualificabile come brutalità.
Basti pensare ai
famosi cartelli apposti dagli occupanti all’ingresso dei giardini
pubblici che recitavano : “ingresso vietato ai cani e ai Cinesi”.
Ma a scuola questi
fatti purtroppo ci vengono insegnati poco o niente del tutto, come il
resto della storia dell’Asia, che ,guarda caso ,conta per quasi due
terzi dell’universo mondo.
Anche se ,senza
queste conoscenze, mi chiedo : come si fa a capire la Cina?
Nella strategia di
Xi la Cina nell’anniversario della Rivoluzione che si celebrerà
nel 2049 dovrà aver raggiunto il conseguimento di tali parametri di
progresso in tutti i campi da cancellare il ricordo del “secolo
dell’umiliazione”, recuperando per intero la dignità millenaria
dell’Impero di Mezzo, senza voler “esportare” nessun modello
,come fa invece il parallelo e concorrente Impero americano, che il
suo modello vuole esportare, se necessario anche con le armi ,come ha
già fatto in più occasioni.
In questa
prospettiva non c’è posto per l’indipendenza di Taiwan perché
rappresenterebbe una forma di Cina “non cinese”.
Questo ragionamento
è fondato su un’involuzione culturale e logica?
Si direbbe di sì
,sul piano razionale, ma non su quello emotivo, sentimentale,
psicologico, sui quali si regge la narrazione dell’”identità”
cinese.
Lasciatemi dire che
questa contraddizione va messa a fuoco e tenuta ben presente ,perché
è la medesima chiave di lettura ,che giustifica la visione imperiale
della Russia con o senza Putin, e quella americana, con o senza Biden
o Trump.