mercoledì 31 luglio 2024

Domino Rivista sul mondo che cambia n.7/2024. La notte dell’Occidente. Fragili e anziani gli europei sono aggrappati all’unico Occidente ancora della storia. Quell’America profonda che ci odia – recensione

 





Ci vuole del coraggio e delle convinzioni granitiche per dare alle stampe un volume esplicitamente dedicato alla crisi esistenziale dell’Occidente, perché per farlo ,bisogna rifarsi alla quintessenza della geopolitica ,umana , aggiungerebbe Fabbri.

Quintessenza della geopolitica che impone l’uso di parametri, che contraddicono in modo netto quelli in uso, praticamente sulla totalità dei media.

Gli analisti di geopolitica si sono guadagnato il loro spazio, anche presso programmi televisivi, e quindi sono discretamente conosciuti, ma sono ,purtroppo, portatori di un punto di vista ancora di nicchia.

La cosa è difficile da comprendere se si pensa che Limes, la rivista di geopolitica più nota, ha compiuto la bellezza di 31 anni ed è divenuta una realtà moto solida, affiancata dalla Scuola di Limes, da eventi annuali, sempre molto seguiti, e dalla presenza sui media, ma sopratutto su Youtube, nonché con un sito ben fatto, suddiviso in rubriche.

La neonata Domino è nei suoi due anni e mezzo, che non sono affatto pochi, stante il fatto ,appena rilevato ,che suona campane dal suono sconosciuto e piuttosto non gradito dai media generalisti.

Però è un fatto che la gente compra sempre meno giornali e invece continua a comprare Limes e Domino, cioè non premia affatto il pensiero unico mainstream ,avversato e superato dalle due riviste di geopolitica.

Domino ha fatto la sua scuola e lo stesso Fabbri si divide presenziando in molteplici conferenze, poi riportate da Youtube.

Ottimo lavoro ,che dovrà pure produrre degli effetti sul mondo dei media della carta stampata, delle tv e dei media.

Purtroppo il conformismo e l’autocensura nei riguardi del potere, di qualunque colore esso sia, non è affatto un punto debole solo italiano, ma è la regola in tutto il nostro Occidente.

Occidente che è in crisi identitario-esistenziale, perché conta sempre meno nel mondo , si accorge di questo, e ne rimane sconvolto.

Ho sentito proprio Fabbri, in numerose conversazioni ,ricordare il fatto che è diventato un po iconico a questo proposito e cioè la narrazione del prode marine americano ,che si trova a combattere a Bagdad nella guerra di Bush ,contro il terrorismo” ,ed è assolutamente convinto di fare la cosa giusta ,che però per essere giusta presuppone che gli iracheni si sentano tiranneggiati dal bieco Saddam , vogliano avere l’occasione di aderire ai valori dell’Occidente, conquistando la democrazia e quindi acccolgano come liberatori i soldati americani.

Cosa che non è successa affatto, tanto che il famoso monumento al dittatore, hanno dovuto abbatterselo i marines medesimi,usando un carro armato come bulldozer, pare ,senza il minimo aiuto dei locali tutt’altro che impegnati ad applaudire.

Non è stata una buona idea quella di tentare di esportare la democrazia, perché era basata su un presupposto errato.

Che in sostanza era questo : noi rappresentiamo il punto più alto della civilizzazione e quindi siamo investiti della missione di allargare al mondo intero i nostri valori e le nostre conquiste.

L’errore, abbastanza madornale, sta nel fatto che nessuno si è preoccupato di andare a chiedere al resto del mondo ,se era vero, che morissero dalla voglia di diventare come noi.

Errore che poteva manifestarsi solo per il fatto che sempre nessuno si era preoccupato di studiare preventivamente e seriamente il modo di pensare del resto del mondo.

L’arroganza che ne è derivata, ricordava quindi un po troppo da vicino i medesimi errori commessi ai tempi degli imperi coloniali ,basati sui falsi concetti di supremazia di una civiltà sulle altre se non proprio di banale razzismo.

E questo forse era comprensibile sull’onda dell’euforia seguita alla caduta dell’Urss e del comunismo ,che portò il famoso Fukuama a straparlare di fine della storia ,ipotizzando l’avvento di un mondo globale, unipolare, sotto il solo impero degli Usa.

Ma era appunto un modo di straparlare ,che non faceva i conti con la geografia e con la storia ,in base alle quali, risulta che l’Occidente, se pure allora vincente, rappresentava una ristretta minoranza del mondo, che al massimo poteva arrivare a 1/8.

La rimanente, schiacciante maggioranza, ha sua storia, suoi valori, sua etno- cultura, macinata e costruita nei secoli, esattamente come i nostri , ma solo diversi dai nostri e spesso molto diversi.

E sopratutto il resto del mondo è assodato che non smania affatto di copiarci e di diventare come noi, che ovviamente non siamo visti come il meglio del meglio.

Anzi! Se pensavamo che avessero archiviato il colonialismo come un piccolo incidente di percorse, ci sbagliamo di grosso.

Se oggi la Cina può aspirare ad acquisire una sua egemonia ,in concorrenza con quella americana, è proprio perché, di fronte al resto del mondo ,può dire che loro non hanno mai colonizzato nessuno e che per questo, non hanno intenzione di cominciare a farlo in ritardo.

Spero di aver colto alcuno dei punti fondamentali dell’analisi di questo numero di Domino, altamente interessante, come i precedenti.



mercoledì 24 luglio 2024

Limes Rivista italiana di geopolitica n 6/2024 Germania senza qualità. Viaggio nel paese più spesato d’Europa. Il Modell Deutschland divora sé stesso. Le Germanie che non si amano restano due – recensione

 




Se c’è un paese del quale non possiamo fregarcene questo è la Germania, per ragioni storiche antiche ( il confine fra Ovest ed Est all’Elba risale a Cesare) e moderne (abbiamo perso la guerra insieme e abbiamo gareggiato nella ricostruzione).

Siamo concorrenti nel manifatturiero ,ma nello stesso tempo, a cominciare dalle nostre regioni del Nord, siamo economie talmente interconnesse, da non poter essere sciolte.

Si accenna anche in questo volume al fatto che la tanto decantata Unione Europea (alla quale gli analisti di geopolitica danno ben poco peso) per noi pare abbia una sola ragion d’essere quasi insuperabile, la Germania (che poi non è nientaltro che la ,UE in buona sostanza), garantisce per il nostro debito, che si avvicina pericolosamente a quello che gli americani, esagerati in tutto ,chiamano 3 trilioni.

Il solito Lucio Caracciolo ,Direttore di Limes e della Scuola di Limes, con il suo formidabile stile con poche pennellate, o forse meglio, incisioni da cesello, cerca di inserire nella nostra mente i tratti fondamentali di quel paese.

Spaventa il fatto che non sono le stesse cose che si ripetono vuotamente nei media, né quelle (poche) che apparivano sui nostri manuali di storia.

L’analisi comincia col caratterizzare la Germania, come stato recente (Versailles 1870 dopo la sconfitta francese di Napoleone III a Sedan e la vittoria di Bismark), paese, che non si è mai sentito veramente stato.

Perchè le etnie ,che lo compongono, sono troppo delineate e diverse (Sassoni, Prussiani,Franchi, Turingi, Renani, Bavaresi).

Per identificare i nostri vicini ,noi tendiamo a usare i parametri ai quali siamo abituati,Nord e Sud Italia.

Ma non è la stessa cosa nel caso tedesco, perché da noi l’integrazione veloce e definitiva di un numero enorme di immigrati interni meridionali al centro nord, sopratutto negli anni del boom, ha dimostrato, ammesso che ce ne fosse bisogno, che il nostro paese avrà altri problemi ,ma è un paese nazione coeso, non è diviso in etnie.

Non è così in Germania.

L’Est (brutalmente quello che è oltre la Germania romana e quindi oltre l’Elba) è una entità a sé stante.

Per capirci veramente qualcosa ,buttiamo pure alle ortiche la narrazione romantica della riunificazione ,dopo la caduta del muro, descritta al tempo, come fosse il nostro risorgimento rivisitato.

Non è andata così, è stata ,ci dice Caracciolo, una incorporazione quasi coloniale del malandato Est da parte dello sviluppato Ovest, dove quelli dell’Ovest non nascondevano affatto un atteggiamento di degnazione, condiscendenza e di superiorità, che ha prodotto pesanti conseguenze.

Nel volume si dà una cifra assolutamente illuminante : decenni dopo l’unificazione i tedeschi dell’Est che ricoprono posizioni apicali nella Bundesrepublik sono il 2%, avete letto bene, il due per cento, cioè quasi nessuno.

E beh , allora usare l’aggettivo coloniale per descrivere quella “riunificazione” ,non appare affatto scorretto o esagerato.

Sui salari poi le cose non vanno affatto meglio, c’è un divario elevato.

Di qui cattolici che hanno accettato. anche troppo di buon grado ,l‘imposizione dei vincitori americani di occuparsi solo di economia, di crogiolarsi in un sistema di welfare capace di elevate prestazioni e di lasciare difesa e politica estera agli strateghi d’oltre atlantico.

Di là protestanti, che vengono dalla tradizione prussiana, culturalmente di tutt’altro tenore e di tutt’altri riferimenti culturali ,che con la democrazia non hanno né troppa dimestichezza né particolare entusiasmo.

Passati dal nazismo, che avevano a suo tempo stravotato, a un comunismo nazionalista sui generis.

Questi non smaniano per l’economia e il benessere come stella polare, né per i così detti valori universali, che in realtà ,sono solo quelli dell’Ovest del mondo, che la geopolitica non si stanca di precisare, rappresenta una minoranza, e anche piccola ,del mondo, non l’universale, che è un equivoco, senza base nella realtà.

Ma non bastano due Germanie, che si sentono e sono diverse.

In mezzo ce n’è una terza, la più forte e prospera, ma anche la più trascurata, con la ovvia conseguenza di generare sentimenti di risentimento : la Baviera con il confinante Baden Wuertemberg-

Per diktat del vincitore americano, questa regione è stata bollata a vita dal marchio di aver tenuto a battesimo nelle sue birrerie il nascente nazismo.

Andava punita, sembra una favola demenziale, se ripetuta dopo ottant’anni ,ma è pura realtà.

Se ci chiediamo quanti bavaresi ricoprono posti apicali in Germania, rimaniamo male.

Molto male, in ogni caso nessuno di loro è mai salito al Cancellierato, e solo questo fatto vuol ben dire qualcosa.

Ecco, dette le cose essenziali , Caracciolo non si sottrae ad affrontare per le corna un problema storico, che nel caso della Germania (ma per l’Italia no ?) è il tabù del nazismo come “male assoluto”.

No, non va bene ,se si va avanti col ripeterci questo dogma non ci accorgiamo nemmeno che lo usiamo, non perché siamo buoni e diversi di nostro, ma perché ,volgarmente, ci fa un gran comodo rimuovere il problema.

In altre parole,dire che Hitler era un pazzo e che il nazismo è stato il male assoluto è un espediente per non fare i conti con la storia.

La storia siamo noi, non abbiamo la possibilità di mettere le parentesi ai fatti che non ci fanno comodo e di ignorarli.

Nazisti siamo stati noi, nel senso dei nostri familiari, che se non erano fra coloro che hanno avuto la responsabilità di essere come diceva lo storico Goldhagen : i “volonterosi carnefici di Hitler” ,sono stati almeno la massa grigia, che faceva finta di non vedere e di non sapere.

Onore ai pochi resistenti, ma senza ignorare i loro limiti in senso storico militare e politico.

La storia richiede che con lei si facciano i conti : contestualizzando, cioè mettendosi nei panni di coloro che abitavano quei periodi.

Con battuta efficace, Caraccio dice addirittura, che è necessario che ci mettiamo nei panni del diavolo, se vogliamo capire.

E’ antipatico, molto antipatico prendersi le proprie responsabilità, ma non ha senso dopo ottant’anni cavarcela ancora con i tabù.

Caracciolo impietosamente snocciola gli elementi di nazismo che sono stati molto ampiamente condivisi all’epoca.

Che dire del razzismo e degli atteggiamenti xenofobi, ampiamente diffusi, anche fuori dalla Germania?

La divisione Charlemagne, francese nella Wehrmacht ,ultima difesa del bunker di Hitler a Berlino è spiacevole,la sua memoria è stata rimossa ma c’è stata.

E gli imperialismi coloniali di Spagna,Portogallo,Belgio,Francia, Inghilterra e ultima Italia, non erano portatori di razzismo?

E il militarismo era solo nazista?

E come mai nello studio di Hitler c’era il ritratto di Henry Ford? La classe industriale non era interessata?

E i collaborazionisti del nazismo non è il caso di ricordarli anche in Italia?

Conclusione : no, purtroppo i nazisti non erano marziani, erano uomini come noi, e questo ha delle conseguenze.

Bisogna prenderne atto e ripulirci se qualcosa di quello ci è rimasto addosso, a noi personalmente non ai presunti pazzi ed ai mali assoluti.

Ci cuoledel coraggio fare di questi discorsi, ma per fortuna che c’è chi li fa sapendo cosa rischia allontanandosi dal mainstream di comodo.

E’ inutile che aggiunga che se l’editoriale è un pezzo impagabile, il fascicolo è corposo e riporta

una documentazione notevole, con analisi di studiosi di ottimo livello.















martedì 16 luglio 2024

Donatella Dipetrantonio L’età fragile. Einaudi Editore - Premio Strega 2024 -recensione


 


D’accordo che con l’andare del tempo lo Strega è diventato, almeno in parte, un evento di auto-promozione, in mano agli editori, sopratutto ai grossi editori, e un po meno una gara meritorcratica fra autori.

Ma l’arte ci gira ancora ?

Come molti, ho l’abitudine da decenni di precipitarmi in libreria, per mettere le mani sul vincitore della gara annuale.

Sono un sognatore o un illuso amante dei tempi passati?

Sinceramente non lo credo, anche perché vedo, che anche ad autori già affermati non fa affatto schifo vincere quel premio ,ammantato di tradizione.

E’ anche questione di soldi, non c’è da vergognarsene, ma non è solo questione di soldi.

La vincitrice di quest’anno, Donatella Dipietrantonio aveva già vinto un Campiello con l’Arminuta ,del quale ha poi scritto la sceneggiatura per un film ,tratto da quel romanzo di grande successo.

Quindi lei era una scrittrice già affermata anche prima di vincere questo Strega.

Elemento singolare è di professione dentista pediatrica.

Il libro a me è piaciuto e parecchio.

Non sto a dare una sinossi ,perché temo sarebbe sviante ,nel senso che ,come i libri che aspirano giustamente, ad essere accolti come opere letterarie di qualità, può essere letto e interpretato servendosi di chiavi di lettura diverse.

C’è la commedia familiare, focalizzata sopratutto nel difficile e sofferto rapporto fra i genitori e una figlia, persa a costruirsi attorno, un sé ,che nemmeno lei ancora conosce.

Il periodo forse più critico della vita umana.

La vita è relazione ,prima di tutto, dice il filosofo Vito Mancuso.

Questo è il problema, relazionarsi con un soggetto estremamente amato come è un figlio adolescente, che nemmeno lui sa ancora chi è o chi vuole essere ,richiede una fatica esistenziale formidabile e non sempre finisce bene.

In mezzo ci sono anni di estraneità, che sembrano e sono assurdi, ma così gira il mondo.

Nel romanzo, c’è quindi una sofferta relazione fra madre e figlia adolescente.

Infilata in un rapporto consunto e tendente all’evanescente fra madre e padre, separati di fatto, ma non rassegnati ,almeno per quanto riguarda la madre.

Belle poi ,le figure delle generazioni senior, i nonni, ed in particolare del nonno materno, vigoroso e piuttosto mal disposto verso il mondo moderno.

Ecco ,a questo punto, non si può non introdurre un’ altro elemento fondamentale, per delineare l’ecosistema di questo romanzo, che è quello, sia dell’ambiente, della montagna, che del piccolo borgo.

In questo ecosistema troneggia il nonno materno, che non ci pensa nemmeno lontanamente ad allontanarsi dal piccolo appezzamento, che coltiva da sempre, e poi conquista un ruolo centrale la strana sorte di un altro appezzamento, di proprietà familiare, più in quota e confinante con gli stazzi, ancora usati dai pochi, ma pure ancora esistenti pastori della zona.

Siamo nell’Appennino sopra Pescara.

Contestualizzando geograficamente la zona, personalmente sono portato ad alzarmi almeno spiritualmente in piedi per omaggiare Dannunzio, ma non pretendo che tutti la pensino come mè.

La montagna se la si ama, la si ama in modo viscerale.

Il piccolo borgo, idem.

Forse, chi è nato e vissuto in città, fatica a capirlo, o semplicemente non ne è interessato, ma il microcosmo del piccolo borgo di montagna è un unicum, naturalmente con le positività e le negatività di tutte le cose della vita.

Leggo sul suo profilo di Wikiedia, che la scrittrice è nata ad Arsita, provincia di Teramo, paese di 730 abitanti.

Ed ecco che due più due fa quattro.

Cioè con questa precisazione si capisce benissimo perché la Pierantonio in questo romanzo ha saputo rendere così bene l’ambiente e l’affetto per il piccolo borgo di montagna.

Nel romanzo poi entra ed entra in modo violento l’argomento del femminicidio.

Ma intendiamoci bene, non vedo affatto in questo libro le coordinate del triller.

Il triller come vicenda c’è ,ma è incidentale, almeno questo è la mia impressione.

Colui che irrompe a un certo momento nella trama del romanzo e che appare fin da subito come il colpevole è un “pasturel”, figura iconica dei borghi di montagna, almeno un tempo, non così lontano.

Irrompe con i connotati di attualità, perché è un immigrato, assunto da uno dei pastori rimasti.

Con una certa comprensibile furbizia, l’autrice si guarda bene dal definirne l’etnia, per evitare lo sbocciare di pulsioni, diciamo ,non politicamente corrette.

Questo ragazzo ,non parla italiano, ed è chiaramente abbrutito da uno stile di vita al limite dell’assurdo, relazionandosi più con le bestie che con i cristiani.

Ne deriva che alla vista di tre giovani fanciulle ,sperdute sulle alture si lascia trascinare dai più elementari istinti animali, compie uno stupro, che tenta di coprire con un efferato delitto nel quale due di quelle ragazze periranno e una sola riesce fortunosamente a scappare e a raccontare.

Ripeto, a mio avviso la vicenda non credo sia stata introdotta dall’autrice per rendere più accattivante il romanzo ,introducendo gli elementi del triller, ma vedo invece questa tragica vicenda, come un corollario casuale del micro- cosmo, borgo di montagna, anche lui violentato da un uso fuorviante della natura.

Perchè il delitto avviene nell’ appezzamento familiare in quota, che il nonno cede in affitto all’amico del cuore, ma questi si intestardisce a volerlo sfruttare, turisticamente, dimostrandosi pasticcione e del tutto incapace di gestire quella attività.

E sembra voler dire il prosieguo del romanzo, la sorte mette in scena quell’efferato delitto, quasi come fosse la sanzione, che la natura, infastidita dallo sfruttamento turistico-consumistico, infligge a chi lo ha messo in piedi.

C’è molta profondità e molta sensibilità umana in questo romanzo.

Alla fine rimane più che qualcosa.





mercoledì 10 luglio 2024

Limes Rivista italiana di geopolitica n.5 - 2024 Misteri persiani. Viaggio al centro dell’impero iraniano. Israele e il suo nemico perfetto nel Medio Oriente fuori controllo. – recensione

 




Come di consueto, per dare al lettore un’idea dell’interesse e del peso delle analisi contenute in questo volume di Limes, piuttosto che elencarle o commentarle, divise per autore, ritengo sia più utile limitarmi a dare una sintesi dell’editoriale di Lucio Cracciolo, che difficilmente delude le aspettative.

In questo caso il direttore di Limes e della Scuola di Limes va subito al sodo della guerra in corso fra Israele e Iran.

Guerra che, come tutti sappiamo ,l’Iran conduce attraverso i suoi proxy (Hezbollah, Huty,Hamas etc.) ma che ,nella risposta al raid israeliano su un consolato iraniano a Damasco nell’aprile scorso,è stato diretto, se pure ispirato a grande moderazione, chiaramente leggibile come volontà iraniana a non cercare lo scontro.

Caracciolo ,lo abbiamo appena detto, evita di partire nel discorso con le consuete introduzioni, per enunciare almeno due o tre punti fondamentali ,atti a diradare la disperante nube di ignoranza dei fondamentali, che sembrano continuare a pervadere i nostri media.

Ma pur con la sua consueta eleganza è costretto a richiamarli, nel corso dell’esposizione.

Tanto per cominciare ,il fatto fondamentale, che gli iraniani, o meglio i persiani ,sono e si sentono prima di tutto i discendenti del glorioso impero achemeide di gente come Ciro il Grande (550-330 a.C.) .

Secondo, i persiani non sono arabi e non amano affatto i vicini arabi.

L’Iran aspira ad affermarsi come potenza regionale, erede appunto dell’impero persiano, in quella fascia , che ha una continuità geografica evidente, che va dal mediterraneo all'Afganistan.

(Libano,Siria,Iraq,Iran,Afganistan)

Ha quindi grosse aspirazioni, ma come stato, ha una struttura complessa e non molto omogenea, dato che etnicamente, gli iranici non arrivano nemmeno alla maggioranza assoluta, seguiti da azeri, ebrei,curdi,turchi e per ultimo arabi.

Ne è una conferma il fatto che sia la guida suprema Ali Khamenei, sia, l’appena eletto Presidente Massoud Pezeshkian sono di etnia azera e non iranica.

Quindi l’ultima cosa da fare è metterli tutti in un calderone e battezzarli come arabi, solo per il fatto che la religione prevalente è l’Islam sciita.

Religione, con un prestigio in netta discesa ,sopratutto fra i giovani, che demograficamente contano non molto, ma moltissimo e che significativamente guardano con interesse ,non solo ai simboli che richiamano l’impero achemenide, ma anche alla antica e tradizionale religione di Zoroastro (simbolo del fuoco ,rinvenibile sui sepolcri achemenidi).

Gli iraniani, ben lontani da ammirare i nostri valori e i nostri modi di vita, manifestano contro l’oligarchia religiosa, che si nasconde in realtà dietro a quella che detiene il potere reale ed è di carattere militar- poliziesco (Guardini della rivoluzione ,detti Pasdaran e paramilitari Basij), ma il fatto che lo sciismo sia arabo, gioca a sfavore del suo clero, ultimamente soggetto ad ,un tempo impensabili ,canzonature ,per privare alcuni chierici malcapitati ,del turbante ,in filmati virali che girano sul web.

Ma se c’è malcontento e contestazione parziale del regime (nezam) ,non è certo per instaurare una democrazia occidentale, ispirata ad una economicismo liberista.

La sterminata massa dei giovani e giovanissimi iraniani si esaltano pensando a Ciro non a Biden od a Trump.

Vogliono la gloria per il loro popolo , non il benessere individualista.

Gli arabi li disprezzano, punto.

Gli israeliani (piccolo Satana) ,ritenuto appendice del Grande Satana, a stelle e strisce ,li odiano, d’accordo, ma capiscono benissimo, che costoro, come nemico, sono pressoché indispensabili ,per garantire coesione e identità a casa loro, probabilmente sarebbero nei guai se non ci fossero.

Il modella di deterrenza americano è in crisi, lo sanno benissimo gli Iraniani, che con la fattiva complicità, piena di inventiva, dei quasi nemici emiratini di Dubai, le hanno letteralmente inventate tutte ,per aggirare le sanzioni americane e comprarsi tutto quello ,che Washington ha loro vietato.

Gli americani ,quasi sono arrivati a temerli da quando hanno appurato che sono ormai in possesso, se non ancora dell’atomica (ma non ci sono certezze assolute) ,dei vettori per usarle le atomiche con l’ultima generazione di razzi ultrasonici capaci di superare i 1.500 Km.

E cioè che in altre parole hanno Israele sotto tiro nel giro di 12 minuti che sono veramente pochi per intercettarli.






lunedì 8 luglio 2024

Limes Rivista italiana di geopolitica n. 4- 2024 Fine della guerra. Conflitti infiniti perchè senza scopo. Sono la malattia dell’Occidente. Solo il ritorno della politica ci salverà. – recensione

 



L’editoriale di Lucio Caracciolo ,intitolato : “Il segreto di Clausewitz” ,bisogna dirlo, è un pezzo d’alta scuola, più che sufficiente per spingere a comprarsi e leggere questo numero di Limes, uscito a sostegno dell’annuale convegno che tutta l’equipe della rivista e della Scuola di Limes hanno tenuto al Palazzo Ducale di Genova a metà maggio.

E’ di tale spessore l’editoriale che sono costretto per ragioni di spazio a limitarmi a parlare di questo.

Caracciolo è riuscito con la sua prosa elegante, a volte alta, che lascia spesso campo allo spirito caustico, che caratterizza lo stile dell’autore, a sintetizzare in una trentina di pagine il meglio della geopolitica, indispensabile per interpretare la situazione attuale capendoci qualcosa.

Come vuole il titolo, si parte dalla celeberrima massima di Causewitz sulla guerra come continuazione della politica con altri mezzi.

Sono passati più di due secoli da quando questa massima ha cominciato a circolare, ma il ragionamento che vi è contenuto, rimane solido come fosse un’equazione fisica.

Se torniamo allo spirito caustico di Caracciolo eccolo che lo troviamo subito a commento proprio della medesima massima : purché la politica esista, dice infatti il direttore di Limes.

Nel senso ,che il ragionamento di Clausewitz, funziona se la guerra viene scatenata da una potenza che segue una strategia politica ben definita contro un avversario che ha pure una strategia politica ben definita.

In altre parole, non ha senso andare alla guerra pensando di evitare così altri guai.

Partiamo e poi si vede.

No. Non funziona così.

Caracciolo non risparmia la sua malcelata ironia per il mondo, del resto largamente maggioritario o mainstram ,dei media occidentali, prigionieri di narrazioni ,che ripetono a macchinetta il mantra : chi è l’aggressore e chi è l’aggredito? Chi viola i diritti umani e il diritto internazionale?

Si deve sempre partire dai nostri principi non negoziabili.

Poi se per difendere presunti “diritti umani” si va al suicidio, va bene così.

O No?

Forse è meglio uscire dalla propaganda e cercare di riferirsi alla realtà e non alle narrazioni di comodo che spesso coprono né più o meno, che volgari interessi di imprese private ,spesso collegate con la politica.

Lo “sragionamento” che può portarci al suicidio, pur con le migliori intenzioni, dice Caracciolo ,si basa storicamente sulla “occidentalizzazione” del mondo, figlio della rivoluzione francese.

A un certo momento della storia, la borghesia mercantile è partita alla conquista di sbocchi sull’intero globo ,per piazzare le sue produzioni producendo il colonialismo.

Questo impeto alla globalizzazione, fondata anche su principi al fondo razzisti e sulla pretesa di una superiorità, che sarebbe stata dimostrata dalla superiore potenza posseduta, ha portato a convincere i colonialisti della bontà di quella che Cracciolo definisce : la “bizzarra idea” dell’universalizzare l’Occidente.

Nacque così l’idea balzana di credere addirittura in una presunta missione di propagare le proprie idee valoriali per tutto il globo, nella erronea convinzione, che gli altri non aspettassero altro che l’opportunità di diventare anche loro occidentali.

Stranamente si trascurano in modo grossolano, geografia, storia ma sopratutto aritmetica e non si riflette mai su quello che invece dovrebbe essere il dato di partenza : noi occidentali siamo un miliardo di persone, mentre il resto del mondo è fatto da ben altre sette miliardi di persone e cioè noi ,che ci crediamo gli eletti, siamo una piccola minoranza, il resto del mondo è molto, ma molto più numeroso e pesante di noi.

Anche se ,sottolinea Caracciolo, la potenza non è determinata solamente dal numero, né degli uomini che degli armamenti.

Da quando mondo è mondo,invece le guerre le vincono coloro che dispongono dei soldati più determinati.

E si diventa più determinati, quando si ha dalla propria parte demografia e identità condivisa.

L’egemone dell’Occidente, cioè l’impero americano, è talmente convinto della propria presunta missione, che spesso questa missione l’ha codificata in documenti ufficiali.

Caracciolo cita “le nuove carte del Pentagono” firmate dal consigliere Thomas Barlett, redatte per conto dei “neocon” nel 2003, nelle quali le teorie della missione di costruire la biblica “Città sulla collina” e del “destino manifesto” degli americani di vegliare sul mondo viene esposta.

Oggi ,fortunatamente ,le ambizioni si sono molto ridimensionate a seguito della crisi dell’impero americano, che comincia seriamente a dubitare di avere una missione imperiale e comincia anche a riflettere sulla opportunità di dedicarsi prioritariamente ai fatti di casa.

Anche il soft power ,sul quale l’America aveva investito ,facendo annegare il mondo nei suoi prodotti di film e musica, si è inaridito quando ogni paese ha cominciato a produrre le medesime cose in proprio, per diffondere il senso di appartenenza del quale ritiene di aver bisogno.

Caracciolo ,però, è ben lontano dall’ invitare a sostituire favole, dimostratesi deboli ,con altre tipo sostituire la Nato con un esercito europeo o con un ombrello dei Briks.

Ripete invece ,che la visione realista del mondo impone di considerare tutt’ora l’ombrello americano come l’unico efficace.

L’Italia è un preda ricca e ambita da potenziali predatori e quindi bisogna programmarsi una capacità di difesa.

Ma ahimè, dice Caracciolo, non siamo fatti per la guerra, la demografia e la cultura ci remano fortemente contro, e ,quand’anche decidessimo oggi di riarmarci pesantemente, prima di diventare operativi ,abbastanza per difenderci da soli ,ci vorrebbero decenni.

Allora l’unica via percorribile ,oltre ovviamente l’uso adeguato della diplomazia, è fare la parte che riusciamo a fare in una coalizione con altri paesi coi quali condividere le forze.

Ma anche ,una buona volta, definire chiaramente quali sono i nostri interessi nazionali irrinunciabili.






mercoledì 3 luglio 2024

Paolo Franchi : L’irregolare Una vita di Gianni De Michelis – Marsilio Editore – recensione

 





Dopo aver affrontato (non senza qualche fatica) la corposa biografia di Berlusconi ,scritta da Filippo Ceccarelli, mi sono imbattuto nella altrettanto recente biografia di un altro grande outsider della politica italiana Gianni De Michelis.

Mi ha molto interessato perché, come nel caso di Berlusconi mi sembra ingiusto che il destino abbia lasciato alla (poca) memoria dei posteri più i lati singolarmente ,diciamo, folkloristici e contro-corrente della vita privata dei due personaggi, più che la loro eredità politica, che pure è stata corposa , forse ancora più nel caso di De Michelis.

L’autore ,che per essere stato testimone oculare di quello che narra,non può essere un giovinetto, ha avuto la ventura di transitare per le redazioni di alcune delle principali testate vicine al Pci, per poi approdare a una lunga permanenza in Via Solferino, e quindi, diciamolo pure, al top del giornalismo italiano.

La conoscenza personale di De Michelis, ma anche di tanti altri esponenti della vita politica di lui contemporanei, lo porta a mettere in evidenza il carattere veramente singolare del personaggio, per il quale nutre chiaramente parecchia stima.

De Michelis appartiene alla razza di chi è cresciuto a pane e politica fin dalla più tenera età.

E le contraddizioni sempre presenti nell’avventura umana della nostra specie, in De Michelis sono ancora più accentuate.

Per esempio ,il fatto che il politico più, diciamo, spregiudicato nella vita privata ,come è stato De Michelis,fosse figlio di un pastore metodista che non consentiva che si toccasse cibo ,senza premettere il dovuto ringraziamento all’Altissimo.

Sarà bene che lo dica, perché è passato un sacco di tempo da quegli anni 80 ,attraversati dal probabilmente più fidato ministro di osservanza craxiana, e quindi i più giovani non sanno che il personaggio, se pure sanguigno ed estroverso di carattere, passava abitualmente con disinvoltura da Consigli dei ministri al fianco di Andreotti, a intere nottate in discoteca, e che finì per conoscerle così bene da scriverci sopra una specie di libro-guida turistica.

Ma chi non lo conosce, non faccia l’errore di assimilare le serate in discoteca di De Michelis, alle alle “serate eleganti” con annessi e connessi di Silvio Berlusconi, sono due mondi diversissimi.

Per De Michelis erano uno svago come avrebbe potuto essere per altri un paio d’ore in palestra.

Infatti la figura di De Michelis non si può nemmeno delineare, senza dire anche, che di professione era professore universitario di chimica industriale.

Abituato a quel guardare lontano, che contraddistingue chi allo studio sistematico è abituato a dedicare parecchie ore della propria vita.

Le discoteche ci sono, ma non sono certo quelle, che hanno contraddistinto questo personaggio.

Per chi ama approfondire o semplicemente ripassare, quelli che oggi ,si direbbero, gli ultimi anni della prima repubblica, questo è uno dei libri giusti.

Abbiamo accennato prima alle contraddizioni tipiche dell’animo umano.

De Michelis ne ha collezionate e parecchio di peso.

Politicamente era nato socialista, ma ideologicamente di fede lombardiana, cioè dell’ala decisamente di sinistra del partito.

Ma forse, la sua formazione professionale, indirizzata al fare, al mondo industriale ,lo portava a privilegiare la programmazione di “riforme di struttura” ,con la mentalità del “problem solving”, più che a farsi condizionare dall’ideologia.

Sempre gli è rimasto attaccato il chiodo tipico della storia socialista italiana, di smarcarsi prioritariamente da qualsiasi forma di subordinazione rispetto agli ingombranti vicini comunisti.

Fin dagli anni formativi delle lotte per gli organismi rappresentativi universitari, il nemico da battere era ,probabilmente, prima il comunista e poi tutti gli altri, pur essendo De Michelis assolutamente e genuinamente di sinistra.

In Italia è andata così.

Oltre ad essere figlio di un pastore metodista, il cui regalo di maggior peso e significato è stata quella Bibbia, che ha tenuto sempre sul comodino, lui ateo o tutt’al più agnostico, ma non oltre, un altra singolarità non propriamente socialista che ha collezionato è stata sposare la rampolla di una delle grandi e rinomate famiglie veneziane.

Come il suo capo è stato pesantemente inquisito da tangentopoli, ma, a differenza di Craxi, ne è uscito bene, se pure provatissimo come tutti gli altri.

Il libro è interessantissimo, perché interessantissimo è il personaggio, e l’autore ha avuto la capacità di condensare tutto quanto in uno spazio più che ragionevole.