martedì 16 luglio 2024

Donatella Dipetrantonio L’età fragile. Einaudi Editore - Premio Strega 2024 -recensione


 


D’accordo che con l’andare del tempo lo Strega è diventato, almeno in parte, un evento di auto-promozione, in mano agli editori, sopratutto ai grossi editori, e un po meno una gara meritorcratica fra autori.

Ma l’arte ci gira ancora ?

Come molti, ho l’abitudine da decenni di precipitarmi in libreria, per mettere le mani sul vincitore della gara annuale.

Sono un sognatore o un illuso amante dei tempi passati?

Sinceramente non lo credo, anche perché vedo, che anche ad autori già affermati non fa affatto schifo vincere quel premio ,ammantato di tradizione.

E’ anche questione di soldi, non c’è da vergognarsene, ma non è solo questione di soldi.

La vincitrice di quest’anno, Donatella Dipietrantonio aveva già vinto un Campiello con l’Arminuta ,del quale ha poi scritto la sceneggiatura per un film ,tratto da quel romanzo di grande successo.

Quindi lei era una scrittrice già affermata anche prima di vincere questo Strega.

Elemento singolare è di professione dentista pediatrica.

Il libro a me è piaciuto e parecchio.

Non sto a dare una sinossi ,perché temo sarebbe sviante ,nel senso che ,come i libri che aspirano giustamente, ad essere accolti come opere letterarie di qualità, può essere letto e interpretato servendosi di chiavi di lettura diverse.

C’è la commedia familiare, focalizzata sopratutto nel difficile e sofferto rapporto fra i genitori e una figlia, persa a costruirsi attorno, un sé ,che nemmeno lei ancora conosce.

Il periodo forse più critico della vita umana.

La vita è relazione ,prima di tutto, dice il filosofo Vito Mancuso.

Questo è il problema, relazionarsi con un soggetto estremamente amato come è un figlio adolescente, che nemmeno lui sa ancora chi è o chi vuole essere ,richiede una fatica esistenziale formidabile e non sempre finisce bene.

In mezzo ci sono anni di estraneità, che sembrano e sono assurdi, ma così gira il mondo.

Nel romanzo, c’è quindi una sofferta relazione fra madre e figlia adolescente.

Infilata in un rapporto consunto e tendente all’evanescente fra madre e padre, separati di fatto, ma non rassegnati ,almeno per quanto riguarda la madre.

Belle poi ,le figure delle generazioni senior, i nonni, ed in particolare del nonno materno, vigoroso e piuttosto mal disposto verso il mondo moderno.

Ecco ,a questo punto, non si può non introdurre un’ altro elemento fondamentale, per delineare l’ecosistema di questo romanzo, che è quello, sia dell’ambiente, della montagna, che del piccolo borgo.

In questo ecosistema troneggia il nonno materno, che non ci pensa nemmeno lontanamente ad allontanarsi dal piccolo appezzamento, che coltiva da sempre, e poi conquista un ruolo centrale la strana sorte di un altro appezzamento, di proprietà familiare, più in quota e confinante con gli stazzi, ancora usati dai pochi, ma pure ancora esistenti pastori della zona.

Siamo nell’Appennino sopra Pescara.

Contestualizzando geograficamente la zona, personalmente sono portato ad alzarmi almeno spiritualmente in piedi per omaggiare Dannunzio, ma non pretendo che tutti la pensino come mè.

La montagna se la si ama, la si ama in modo viscerale.

Il piccolo borgo, idem.

Forse, chi è nato e vissuto in città, fatica a capirlo, o semplicemente non ne è interessato, ma il microcosmo del piccolo borgo di montagna è un unicum, naturalmente con le positività e le negatività di tutte le cose della vita.

Leggo sul suo profilo di Wikiedia, che la scrittrice è nata ad Arsita, provincia di Teramo, paese di 730 abitanti.

Ed ecco che due più due fa quattro.

Cioè con questa precisazione si capisce benissimo perché la Pierantonio in questo romanzo ha saputo rendere così bene l’ambiente e l’affetto per il piccolo borgo di montagna.

Nel romanzo poi entra ed entra in modo violento l’argomento del femminicidio.

Ma intendiamoci bene, non vedo affatto in questo libro le coordinate del triller.

Il triller come vicenda c’è ,ma è incidentale, almeno questo è la mia impressione.

Colui che irrompe a un certo momento nella trama del romanzo e che appare fin da subito come il colpevole è un “pasturel”, figura iconica dei borghi di montagna, almeno un tempo, non così lontano.

Irrompe con i connotati di attualità, perché è un immigrato, assunto da uno dei pastori rimasti.

Con una certa comprensibile furbizia, l’autrice si guarda bene dal definirne l’etnia, per evitare lo sbocciare di pulsioni, diciamo ,non politicamente corrette.

Questo ragazzo ,non parla italiano, ed è chiaramente abbrutito da uno stile di vita al limite dell’assurdo, relazionandosi più con le bestie che con i cristiani.

Ne deriva che alla vista di tre giovani fanciulle ,sperdute sulle alture si lascia trascinare dai più elementari istinti animali, compie uno stupro, che tenta di coprire con un efferato delitto nel quale due di quelle ragazze periranno e una sola riesce fortunosamente a scappare e a raccontare.

Ripeto, a mio avviso la vicenda non credo sia stata introdotta dall’autrice per rendere più accattivante il romanzo ,introducendo gli elementi del triller, ma vedo invece questa tragica vicenda, come un corollario casuale del micro- cosmo, borgo di montagna, anche lui violentato da un uso fuorviante della natura.

Perchè il delitto avviene nell’ appezzamento familiare in quota, che il nonno cede in affitto all’amico del cuore, ma questi si intestardisce a volerlo sfruttare, turisticamente, dimostrandosi pasticcione e del tutto incapace di gestire quella attività.

E sembra voler dire il prosieguo del romanzo, la sorte mette in scena quell’efferato delitto, quasi come fosse la sanzione, che la natura, infastidita dallo sfruttamento turistico-consumistico, infligge a chi lo ha messo in piedi.

C’è molta profondità e molta sensibilità umana in questo romanzo.

Alla fine rimane più che qualcosa.





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