Non mi perdo praticamente un numero di Domino da quando è nato, ma
quando ho visto l’argomento dell’ultimo sulle sorti del Vaticano
mi sono chiesto se il team di Dario Fabbri fosse in grado di
avventurarsi in quell’universo singolarissimo.
Forse perché siamo stati abituati per decenni a considerare i
“vaticanisti” dei vari quotidiani se non gli unici autorizzati a
scrivere di Vaticano, quasi.
Le abitudini mentali sono dure da superare.
Ma la ben nota verve di Fabbri, ha bucato il muro dei pregiudizi
ancora una volta, producendo un numero fra i più brillanti della
rivista da lui diretta.
E in effetti riflettendoci anche solo un momento non si può non
rilevare che l’approccio tipico della geopolitica è
particolarmente adatto ad analizzare le mosse e lo stato del
Vaticano.
La disciplina, non disciplina, direbbe Fabbri, che si occupa in
controtendenza al mainstream mediatico con particolare attitudine
allo studio degli “imperi” passati e presenti senza il minimo
scrupolo, sembra fatta apposta per occuparsi dell’ultima
istituzione che addirittura si veste con paramenti imperiali per
sottolineare la sua continuità con la prima Roma.
Il ritratto della Chiesa oggi, ma sopratutto quello del vivente
romano Pontefice è lucidissima.
D’accoro che l’analisi di Domino ci parla di un fenomeno sotto
gli occhi di tutti, ma se c’è un argomento che imbarazza la
capacità di giudicare serenamente e in modo critico, questo è
quello della “fede”, anche perché ,se un intervistatore ,dopo
aver chiesto all’interlocutore se è o no fedele di una religione,
avesse la sfrontataggine di andare un filino oltre e chiedesse in
cosa crede ,allora sono guai.
Per la semplice ragione che come ha appurato da tempo la sociologia
religiosa, per una singolare contraddizione, la religione, che come
quella cattolica, è fondata su una montagna di dogmi non generici ma
rigorosamente scritti e definiti ,dai documenti che li hanno sanciti
,ha generato una fede ,vissuta oggi, ma forse non soltanto oggi
,molto “a la carte”, nel senso che ogni fedele rimasto se li
ridefinisce e se li adatta a suo criterio.
Questa semplice constatazione da sola fa capire come siano gravosi il
compito e la pretesa di governare quasi un miliardo e mezzo di
cattolici, da parte del romano pontefice.
Ma Papa Francesco non è persona avvezza a perdersi d’animo, anzi
ha un carattere anche troppo forte, si legge nel fascicolo di Domino.
Credo che ognuno di noi sia abituato a considerare papa Woytila come
il pontefice contemporaneo dotato di più carattere, ma non risulta
che quel papa, del quale tra l’altro non ci dimenticheremo mai il
piglio, che ha tirato fuori per pronunciare quella storica invettiva
contro i mafiosi, degna di una tragedia greca, non ha mai
“destituito” un cardinale, togliendoli ogni privilegio come ha
fatto Francesco col potentissimo Cardinale statunitense Raymond Burke
.
Né ha scomunicato il Nunzio ,sempre negli Stati Uniti, come ha fatto
Francesco con l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò.
Nè ha mai dimostrato platealmente il poco peso ,da lui accordato, a
due delle più importanti diocesi del mondo come Milano e Parigi, che
tutt’oggi sono guidate da un Arcivescovo e non da un Cardinale,
perche avrebbero il solo peccato di trovarsi geograficamente in
Europa.
Francesco, se deve amministrare paternamente delle legnate ai suoi
sottoposti, non si turba più di tanto, vedesi anche l’aver spedito
il povero Arcivescovo Georg Gaenswein (ben noto segretario di papa
Ratzinger ) a fare il nunzio fra le renne della Lapponia, per pagare
la sua poca sintonia per la linea del papa attuale.
Ecco dunque, la capacità di papa Francesco di azzoppare il potere
della Curia romana è ormai comprovata da fatti perfino clamorosi e
con pochi esempi nel passato.
Un punto ,e che punto a suo favore quindi, ma l’acuta analisi di
Fabbri ,si spinge a chiedersi, se a volte il forte carattere non
spinga Francesco all’avventatezza o alla non sufficiente
ponderazione.
Nel senso che ,va bene perché coerente alla sua strategia,
imbrigliare e diminuire il potere della, una volta onnipotente,
Segreteria di Stato, ma attenzione a sottovalutare le capacità e le
competenze delle tonache colte, preparate ed esperienziate, che dei
faldoni della diplomazia vaticana sanno tutto, per sostituirle con i
servizi di “commissari ad hoc” ,che hanno nella sua fiducia
l’elemento più forte del curriculum.
Come è capitato col tentativo di proporre una mediazione con Putin,
inviando a Mosca il volenteroso Card Zuppi, che a suo tempo aveva
partecipato al migliore successo diplomatico del Sant’Egidio in
Mozambico, ma del tutto privo degli elementi tecnici necessari in un
incarico così delicato, che infatti ha praticamente fallito, anche
se qualche porta l’avrà lasciata utilmente aperta per il futuro.
Rimanendo sulla Russia, il solo fatto che tutta la narrazione
didattica e propagandistica di uno che dà grandissima importanza
alla storia, come Putin e che mira a presentare il suo paese come
vocato a rappresentare la Terza Roma, fa da solo capire che il
Vaticano ha tuttora un prestigio unico e tutt’altro che
trascurabile nella geopolitica.
Non facciamoci ingannare nel giudizio generale ,dalla valutazione che
porta a ritenere ormai”ininfluente” il cattolicesimo nei
principali paesi d’Europa,, che una volta ne erano la culla.
Il Vaticano e sopratutto il Vaticano di Papa Francesco va ben oltre
la vecchia Europa.
Sono il Papa che viene dall’altra parte del mondo aveva dichiarato
Francesco dal balcone di San Pietro ,dopo l’elezione avvenuta ormai
undici anni fa.
Allora poteva sembrare una notazione quasi di colore.
Ma si è rivelata invece una costante strategia politica, portata
avanti con tutta la cocciutaggine che incarna Papa Francesco.
Basti vedere a come ha orientato i numerosi concistori che ha fatto
per formare un Sacro Collegio a sua immagine e somiglianza.
Non guarda all’Europa scristianizzata e in crisi demografica, ma al
resto del mondo, che non scherza con l’espansione demografica,
sopratutto in Africa e qui i numeri dei nuovi fedeli e dei nuovi
preti gli danno assoluta ragione.
Francesco guarda con l’acutezza sottile dei Gesuiti a quella Cina
che corteggia da sempre anche se produce un gregge cattolico da
guardare col microscopio ma che offre un terreno di cultura
semplicemente immenso.
Guarda all’America del Sud, che prometteva bene, ma che è stata
colonizzata da un sempre più invadente protestantesimo, spinto
politicamente, culturalmente e finanziariamente dagli egemoni Stati
Uniti, che con la loro teologia dell’abbondanza e della ricchezza,
come segno visibile della benedizione divina, sono evidentemente
apparsi più attrattivi del più austero cattolicesimo.
Qual’è allora la visione strategica di Francesco ?
Lui guarda prima di tutto al “pueblo” con tutto quello che
significa.
Mentre l’Occidente guarda invece all’individuo e bolla come
populista chi guarda al pueblo.
Sono due visioni che non stanno insieme.
Francesco si ritiene un papa progressista aperto alle riforme non di
facciata (e cioè almeno diaconato femminile come passo verso
l’ordinazione estesa alle donne, eccetera eccetera) e ci ha anche
provato a portare avanti queste riforme nel Sinodo da poco concluso,
ma proprio in quel Sinodo ,l’unione delle conferenze episcopali
africane si è messa di traverso, minacciando addirittura lo scisma.
Uguale e contraria l’azione portata avanti della conferenza
episcopale tedesca, che tiene aperto “sine die” un suo sinodo al
quale ha attribuito con prerogative deliberative ,che per la sua
stessa esistenza in quella forma è prodromo di una Chiesa
autocefala, staccata da Roma, e quindi anche qui minaccia di scisma
per affermare valori filo occidentali.
In questa situazione il papa ha ovvie difficoltà di manovra.
Fabbri giustamente però, pur riconoscendo, anzi sottolineando tutto
quello sopra ricordato afferma che Francesco per andare avanti
dovrebbe indicare chiaramente delle mete da indicare a un gregge
confuso e scoraggiato e che per di più viene sfidato nelle terre
oggi ancora aperte al cattolicesimo da un proselitismo muscolare mai
visto prima da parte delle varie confessioni protestanti dotate di
mezzi sovrabbondanti.
E dovrebbe altresì chiedersi se non sia giunto il momento, dopo
avere quasi umiliato il potere della Curia dimostrando urbi et orbi
chi comanda, di discernere meglio e di avvalersi delle competenze che
in quella Curia ci sono e che potrebbero essergli molto utili.
Fabbri con la solita arguzia chiosa proprio su questo termine,
invitando il papa a non illudersi di poter capovolgere l’Urbi et
orbi in orbi et urbe.