giovedì 1 novembre 2012

Signori si cambia : scendere prego!




Erano mesi che gli istituti di analisi demoscopiche registravano i segnali del “big one”, il terremoto politico del secolo, in arrivo.
Le elezioni regionali siciliane ne hanno dato la prima conferma, ridicolizzando i  partiti al governo a Roma, abbracciati in una oscena ammucchiata, perché privi di una qualsiasi visione politica.
Sembra la ripetizione dell’altro scossone epocale, che ha subito la politica italiana vent’anni fa, dopo Tangentopoli.
Allora si veniva da un lungo periodo  di immobilismo che angustiava la gente, come la angustia oggi.
Tutti si accorgevano della incapacità della classe politica di fare alcunché, ma quasi nessuno credeva che fosse possibile  veramente far cambiare o ancor peggio far cadere i due giganti che avevano tenuto in piedi il sistema per oltre quarant’anni: la DC e il PCI.
Poi improvvisamente questo è successo e il sistema è imploso di colpo, ma lo ripeto, nessuno ci avrebbe creduto prima.
Ricordo di avere avuto allora l’opportunità di colloquiare con alcune teste d’uovo di quella che era forse la più famosa impresa di consulenza aziendale del mondo, la Cooper & Lybran, (oggi Pricewaterhouse Cooper) da poco sbarcata in Italia per verificare la possibilità di mettere insieme una loro branca capace di offrire servizi per modernizzare il settore  pubblico italiano.
Per quello scopo si erano serviti anche loro dei più sofisticati strumenti di analisi demoscopiche per cercare di decifrare la nostra intricatissima situazione politica e con il solito pragmatismo americano avevano concluso in tutta tranquillità che c’era in arrivo un big one, che avrebbe spazzato via il sistema politico esistente e che le prime affermazioni della Lega erano da prendersi molto sul serio come sintomo di quel cataclisma in arrivo.
Invidio ancora oggi l’incredibile livello professionale, che aveva consentito loro di dire quelle cose alcuni mesi prima che succedessero e senza che nessuno ci credesse.
Oggi invece si è arrivati  a un tale livello di saturazione quanto a sfiducia e disgusto verso chi ha governato per gli scorsi vent’anni, che a un grande ribaltone imminente tutti non solo ci credono, ma  sono praticamente sicuri del suo prossimo arrivo.
E ne sono sicuri per una ragione molto semplice, perché sanno di avere in mano il coltello per il manico e in cuor loro hanno già deciso che voteranno diversamente da come avevano votato prima o non voteranno affatto, che è anche questo un modo di esprimere il proprio parere contrario al sistema presente.
Oggi il catalizzatore non è più la Lega, ma il Movimento 5 stelle, che ha in più il vantaggio di poter giocare a livello nazionale, mentre la Lega non è mai riuscita ad essere una forza politica nazionale.
Aumenta quindi la  forza dirompente di questo nuovo e inedito movimento.
La Lega vent’anni fa era riuscita a fare il botto con diversi 20% e oltre al Nord, che però a livello nazionale le faceva sfiorare il 10%, ma nulla di più.
Il Movimento 5 stelle è accreditato di un range che va dal 15% al 20% e quindi diventa determinante in qualsiasi gioco.
La gente dell’establishment, di questo deterioratissimo establishment, che ha schierato  personaggi ributtanti da fine dell’impero romano finge meraviglia per un comico, un teatrante come Beppe Grillo, che si appresta a gestire una leadership politica.
Ma chissà chi era Berlusconi se non il più emblematico uomo di spettacolo che sia mai comparso in politica?
Chissà chi era Ronald Reagan presidente degli Usa per ben due mandati negli anni 80 e attore di professione.
E non era stato forse soprattutto un grandissimo teatrante quel papa Woytila, che non a caso la carriera teatrale aveva praticato e con successo negli anni giovanili?
La comunicazione teatrale fa parte del bagaglio politico da sempre.
Quello che la gente rifiuta di questo aspetto è il suo uso cinico, cioè il servirsi della capacità di comunicazione per recitare contemporaneamente una parte e il suo contrario e qui veramente  Berlusconi docet.
Grillo, è inutile negarlo, come teatrante è un maestro. Con lui le piazze sono sempre piene o pienissime proprio per la sua capacità.  
Questo fatto, ancora inutile negarlo, potrebbe anche essere un pericolo se queste capacità venissero sfruttate per ottundere il senso critico della gente, che è credulona per natura (ancora Berlusconi docet).
Ma facciamoci una domanda  : qual è la differenza fra un teatrante e un politico?
Cioè cos’è che può fare di un teatrante di professione un politico anche di buona statura come è stato Ronald Reagan, o un papa carismatico come è stato Karol Woytila?
Ovvio, la visione.
Ma la visione di lungo periodo bisogna averla, se no si rimane teatranti e basta.
E Grillo passa l’esame?
Si direbbe di si, se si sa di cosa si parla, beninteso, cioè se si è seguito Grillo per i vent’anni durante i quali sul suo blog ha costruito una linea politica precisa usando le nuove tecnologie con molta intelligenza per tirarne fuori le loro enormi potenzialità, con l’indispensabile aiuto tecnico del suo così detto guru Casalegno.
Chi conosce quel blog sa per esempio che ogni articolo (e mi trattengo dal chiamarlo post come si chiama realmente) è seguito da un riferimento bibliografico per invitare il lettore a un approfondimento.
E dio sa quanto sia utile alla fine di questo ventennio berlusconiano, che ha spinto la gente a ragionare “di pancia” e non “di testa o di cuore”, come si dovrebbe, riconquistare un minimo di senso critico, di capacità di documentarsi prima di straparlare, ripetendo regolarmente la propria litania di pregiudizi, che non ci faranno fare mai un passo avanti, ma solo dei gran passi indietro.
Ci sono anche i rimandi (e mi trattengo dal chiamarli link come si chiamano per non urtare i non abbastanza informatizzati) ai filmati anche loro necessari per approfondire.
Insomma per vent’anni Grillo ha fatto tutt’altro che il teatrante perché in realtà ha esercitato quella funzione didattica che da anni i grandi partiti nazionali avevano cessato di fare.
Cosa vuol dire fare funzione didattica?
Vuol dire per esempio spiegare alla gente con mille trailer di giornalismo d’inchiesta che la “grande opera” in Val di Susa è totalmente inutile ed è traducibile solo in una ennesima mega-mangeria dei soliti noti.
Far vedere alla gente, documentandolo, che Taranto è una città avvelenata, non ora che lo sanno tutti, ma quando nessuno ne parlava.
Mostrare alla gente che gli inceneritori e le discariche sono delle fabbriche di malattie, che non risolvono il problema dello smaltimento dei rifiuti, ma non ora che quasi tutti fanno la differenziata, quando non solo non la  si faceva, ma nemmeno si sapeva cosa fosse.
Fare una campagna per dimostrare che la  cementificazione dei campi deve finire perché da anni si costruiscono case vuote che rimarranno vuote perché il mercato  è saturo e questo campagna farla vent’anni fa non oggi quando tutti l’hanno capita se pure in ritardo.
Dire che la politica di austerità dei così detti tecnici è una emerita frignaccia, che farà avvitare la crisi su sé stessa e allargherà la disoccupazione e che di conseguenza le direttive europee vanno ridiscusse e che soprattutto occorre dare la priorità assoluta all’occupazione giovanile o con un programma di servizio civile generalizzato per realizzare servizi e infrastrutture o con un salario garantito.
Qual è allora la differenza nel fare politica fra un politico e un teatrante?
La differenza è che il politico (Grillo) invita ad affrontare il problema qualunque possano essere le conseguenze, fino all’uscita dall’Euro, cominciando dal realizzare quello che si ritiene la priorità assoluta (l’occupazione giovanile).
Mentre il teatrante (Berlusconi )  comincia dalla coda invece che dalla testa per tirare nella rete i soliti creduloni con degli slogan finti rivoluzionari : “fuori dall’Euro” e “abbasso la Germania plutocratica che ci invade con l’economia invece che coi panzer” nascondendo l’unico e solo punto del suo ristretto programma politico : abbassare le tasse ai ricchi e distruggere lo stato in modo che le caste, le cosche, le logge, le corporazioni continuino a fare gli affari loro, come  hanno fanno in questi vent’anni.
Ma ora arriva il big one e per molti è finita: Signori si scende!

giovedì 25 ottobre 2012

Sembra passata un’epoca storica dai tempi di Enrico Mattei, ma sono solo cinquant’anni





Non sembra vero ma ci è possibile fare andare la nostra memoria a personaggi del livello dei padri della patria pur rimanendo nell’Italia contemporanea, senza dover andare indietro fino agli eroi del Risorgimento.
A cinquant’anni dalla scomparsa di Enrico Mattei è stata ricordata giustamente la cosiderazione nella quale Mattei era tenuto per esempio dalla stampa americana (cioè della nazione dove avevano sede le sue arcinemiche concorrenti sette sorelle dell’oro nero).
Sulzberger sul New York Times che lo definiva l’individuo più importante d’Italia, o il settimanale Times che lo qualificava come l’uomo che aveva influito più di chiunque altro sul boom che fu chiamato miracolo italiano.
Mattei incontrava i capi del mondo (ma soprattutto del terzo mondo) ricevuto con gli onori riservati ai capi di stato.
Viaggiva col jet aziendale, che aveva attrezzato come il suo ufficio mobile, assommando un kilometraggio del tutto inusuale per l’epoca e non lo usava per andre in vacanza nei Caraibi.
Dicono le cronache che quando si concedeva un breve week end a pesca di salmoni o di trote nei paesi nordici usava ancora quel jet aziendale, ma si pagava il kerosene di tasca propria.
Non veniva da una famiglia di industriali, suo padre era sottuficiale dei carabinieri.
Si era distinto nella Resistenza arrivando a capo delle brigate partigiane di ispirazione cattolica e nel dopoguerra, come   tutti sanno, era stato nominato  “commissario liquidatore” dell’Agip, fondata in epoca fascista e quindi cattiva per definizione.
Ma Mattei era persona di vivissima intelligenza e larghe vedute.
Difficile dire come, ma riuscì ad avere una visione di politica non solo industriale, tanto  formidabile da intuire che quei ferri vecchi che aveva ereditato potevano avere una potenzialità allora impensabile.
Inutile raccontare la storia dell’Eni perché la conoscono tutti almeno nelle grandi linee.
Vale la pena però  di accennare al fatto che questa storia di successo non è stata affatto una passeggiata.
Gli ostacoli che dovettero essere superati erano enormi
Prima di tutto il progetto stesso, allora, appariva inverosimile e lo stesso DeGasperi che era un vero statista, cioè aperto alle visioni ed ai progetti di lungo periodo, ci mise il suo tempo per non considerare Mattei un pazzo visionario.
Non parliamo delle forze politiche, i partiti, li ebbe quasi tutti e sempre contro.
Nella DC era con lui ovviamente la sinistra cattolica, che era il suo universo culturale e politico, ma non certo i centristi filo liberali, guidati dall’ultimo Sturzo, che come è noto, tornato dall’esilio negli Usa era diventato un liberista ideologico piuttosto estremista e cocciuto nelle sue idee, tanto che  avversò lo “statalismo” di Mattei con tutti i mezzi e con una cattiveria poco consona ad un sacerdote.
A dirlo oggi sembra impossibile ma al polo opposto si trovò quasi sempre i comunisti messi per traverso, perchè ingabbiati nel loro dogmatismo ideologico avrebbero voluto che l’Eni fosse una azienda di stato gestita come si faceva nell’URSS da una burocrazia ministeriale e non una Spa, se pure posseduta dal Tesoro.
Per di più i comunisti non avevano digerito il fatto che Mattei, su pressione di DeGasperi, che doveva pure tenere conto degli equilibri internazionali, avesse fatto in modo che le brigate partigiane cattoliche conservassero e accentuassero la loro autonomia organizzativa, rispetto a quelle controllate dal PCI.
Non dimentichiamo che eravamo in piena guerra fredda e che molti in quei governi anni 50 ritenevano fosse il caso di mettersi nelle condizioni di potere fronteggiare una eventuale insurrezzione rossa pilotata da Mosca e quindi le brigate partigiane cattoliche avrebbero potuto venire buone ancora se necessario.
Contro di lui frontalmente Mattei aveva soprattutto il gigante energetico privato italiano l’Edison di Giorgio Valerio, ben sostenuta in campo politico dai liberali di Malagodi e di Gaetano Martino e dalla grande stampa, Corrierone in testa, con l’influente editorialista economico Epicarmo Corbino.
I socialdemocratici erano troppo dipendenti, pare, dai finaziamenti americani per non sostenere apertamente le posizioni ufficiali Usa ispirate dagli interessi delle sette sorelle del petrolio (Esso,Shell,Gulf,Texaco,Chevron,Mobil,BP) e quindi furono regolarmente contro Mattei.
Perfino il piccolo Pri di La Malfa ci mise del suo per ostacolare il disegno di Mattei ancora per ragioni ideologiche, La Malfa voleva l’Eni inclusa nell’Iri e non dotata di una sua autonomia.
Oggi si parla spesso di “poteri forti” includendovi soprattutto grande industria e mondo finanziario.
Date le premesse, si sarebbe portati a credere che questo mondo, in quanto filoliberista dovesse essere allora schierato contro Mattei, ma non fu così.
Se in quegli anni ci fu il miracolo economico è evidentemente anche perché industriali, banchieri e  manager di allora erano personalità di bel altra statura rispetto a quelli attuali e giudicavano la gente dai risultati, senza paraocchi.
Fra loro in prima linea ovviamente i più influenti : Gianni Agnelli con Vittorio Valletta per la Fiat, industria ovviamente più che interessata alla politica energetica nazionale e fra i banchieri il mitico Mattioli della Banca Commerciale.
Cosa fu allora Mattei? Un industriale, che “scendeva” in politica o un politico che voleva fare l’industriale?
Né l’uno né l’altro, anche se questi sono le tipologie di personaggi che popolano il nostro mondo attuale.
Fu certo un grande industriale, un politico mai, anche se la politica energetica e quella estera italiane sono state indirizzate più da lui che dai ministri dell’industria, delle partecipazioni statali e degli esteri della sua epoca.
Andare a offrire a Nasser il 50% delle royalties (dal 20 che davano le sette sorelle) più la gestione in comune delle attrezzature di estrazione era semplicemente una mossa rivoluzionaria che ha condizionato i rapporti fra l’ occidente e i paesi del così detto terzo mondo appena decolonizzati in un modo molto rilevante.
Ripetere poi lo stesso gioco in Algeria, Marocco,Arabia Sudita,Libia, Iran ecc. in pieno regime di Patto Atlantico, che in pratica significava essere sottomessi all’imperatore americano nei rapporti internazionali, era una libertà che fu capace di prendersi solo Mattei.
Figuriamoci poi quando iniziò a tessere la tela della collaborazione energetica con la Russia sovietica e la Cina di Mao.
Per gli interessi industriali americani era considerato un individuo pericoloso.
Mattei però aveva una visione di lungo periodo come tutti i grandi, in qualsiasi campo lavorino.
Questa visione non era una cosa estemporanea sua, ma era stata elaborata e consolidata nel tempo dalla collaborazione che lo stesso Mattei aveva ricercato nel tempo con una eletta schiera di intellettuali, come in un altro settore stava facendo in quegli anni quell’altro grande industriale illuminato che fu Adriano Olivetti.
Visto da oggi viene spontaneo individuare nel modo di muoversi di Mattei e nel suo retroterra culturale quello che è stato allora il kennedismo e infatti  i due uomini erano fatti per intendersi tanto che il suo staff aveva a lungo preparato un incontro con il neoeletto presidente Kennedy, incontro che era in calendario per due giorni dopo la caduta dell’aereo dell’Eni, con Mattei a bordo nel pioppeto di Bascapè fra Pavia e Milano.
Non si sono mai incontrati ed hanno dovuto condividere lo stesso destino, che ha boccato prematuramente  lo sviluppo dei loro progetti visionari.
Che Mattei sia stato soprattutto un innovatore non c’è il minimo dubbio.
Si è inventato il metano, una fonte di energia a basso prezzo fino ad allora mai sfruttata e ha costruito quel sistema di metanodotti che da allora copre tutto il paese.
Ha messo l’Italia “in mobilità” come si dice oggi.
Un paese che da agricolo, divenne industriale in pochissimo tempo significa un mondo fermo al proprio campanile che si mette in movimento e che quinidi ha bisogno di muoversi usando la rete autostradale che allora si è realizzata per la prima volta.
Poche cose sono diventate il simbolo del miracolo economico come i così detti “autogril” le stazioni di servizio autostradali,  nate non solo come distributori di benzina ma con i servizi connessi per consentire lunghi viaggi, ristorante, spaccio, bar, motel e a volte perfino chiesa.
E’ stata una idea geniale di Mattei, che l’ha copiata dall’America, lui che non parlava una parola di americano,  avversato e pesantemente dall’America ufficiale, ma che aveva capito che da là, cioè dalla patria dei suoi arcinemici venivano le idee e i progetti che ci avrebbero cambiata la vita.
Oggi che siamo vittime del pensiero unico liberista in economia, sembra impossibile che ci sia stato, in anni non così lontani, un imprenditore pubblico della statura di Mattei.
Il termine stesso “imprenditore pubblico” è oggi perfino vietato pronuciarlo.
E se allora invece è stato possibile esserlo e con successo è probabilmente perché quello oltre ad essere un uomo che aveva una visione e il carattere per realizzarla, è stato capace di morire non povero, ma certamente non ricco.

venerdì 19 ottobre 2012

Insomma, ma questo Formigoni……




Ha abusato della nostra pazienza come cittadini da un pezzo.
Possiamo umanamente compiangere un personaggio pubblico che si riduce come tutti vediamo.
Quando un personaggio si autodistrugge in questo modo così caparbio e irritante lasciandosi divorare da un incontenibile narcisismo che si traduce in arroganza offensiva, è però doveroso riconoscere che lo stesso lascia la Regione Lombardia con  i conti in ordine e ha dimostrato per anni una capacità organizzativa e di direzione non comuni.
Chiariamoci subito le idee però, quando Formigoni dice e ripete ormai in modo meccanico che avrebbe ben governato, questa affermazione si riferisce a tutt’altra cosa dall’aver lasciato i conti in ordine e non possiamo assolutamente concedergliela, sarebbe addirittura ridicolo parlare di buon governo per un esecutivo regionale che ha più uomini in galera o indagati di quelli che rimangono fuori e  puliti.
Non ho però nessuna intenzione di tediare il lettore con le  vicende politiche della Regione Lombardia e del suo presidente.
Quello che più mi colpisce e mi irrita nella vicenda personale e politica di Formigoni non è la sua veste pubblica, ma la sua posizione nel mondo cattolico e il silenzio assordante e incomprensibile delle autorità ecclesiastiche abitualmente così ciarliere, che su questo argomento non trovano un momento per dire una parolina.
Con Berlusconi si è dovuto aspettare che i giornali e le riviste di tutto il mondo fossero piene di foto e interviste che documentavano l’impegno dell’allora premier in tutt’altre faccende che in quelle per le quali era stato eletto e questo al di là di ogni decenza, per fare uscire da chi di dovere parole di condanna dovute ma fuori tempo massimo.
Con Formigoni ci risiamo, verrebbe da dire.
Ma non è affatto la stessa cosa.
Berlusconi era un vecchio libertino impenitente che rivendicava il suo stile di vita diciamo non proprio ispirato all’imitazione di Cristo.
Con lui  l’autorità ecclesiastica era in dovere di eccepire sulla condotta indecorosa per un capo di governo ma ben poco poteva andare a dire a quella persona come cristiano se non di andare a confessarsi più spesso.
Formigoni invece è un laico cattolico che ha liberamente aderito ad un movimento ecclesiale esplicitamente votato all’imitazione di Cristo.
Se si va a leggere sul sito web ufficiale di Cl cosa sia l’associazione alla quale aderisce Formigoni, i Memores Domini, purtroppo viene da ridere e questo non è né bello né edificante né per gli aderenti di Cl, né per il ben più vasto mondo cattolico.
Memores Domini si definiscono come una associazione di persone votate alla dedizione totale a Dio, però vivendo nel mondo, non in convento.
Fattori portanti del loro impegno vocazionale sono indicati come gli elementi  indispensabili  per vivere una vita di perfezione cristiana praticando i consigli evangelici relativi all’imitazione di Cristo.
- 1) pratica della contemplazione.
Questo è un termine   di difficile comprensione per chi non abbia familiarità con il linguaggio delle tradizioni religiose e del cattolicesimo in particolare.
Per farla breve la contemplazione consiste nel modo con il quale una persona che intende mettersi in comunicazione con dio in modo sistematico, sceglie la via dell’ascesi cioè della meditazione e della privazione di quasi tutto per trovarsi solo e senza distrazioni nelle condizioni per poter dialogare con l’interlocutore che ricerca. Esempi  sono stati i Padri del Deserto e poi gli ordini monastici più severi.
Non l’ho fatto con malizia, sto solo seguendo l’ordine col quale  questa associazione si definisce .
Ma qui appare a tutti evidente  che  quello che si vede e si sente di Formigoni, c’entra come i cavoli a merenda con le alte cose delle quali stiamo parlando.
- 2) : missione.  Qui va bene siamo sempre sul piano ecclesiale ma più in termini terreni.
Cioè anche uno come Formigoni può dire che si impegna a fare testimonianza cristiana nel mondo, tutt’al più poi può dire che non c’è riuscito molto, ma siamo su un piano più opinabile e non si può fare il processo alle intenzioni;
-3) obbedienza nel senso di sequela. Qui siamo in una terminologia un po’ arcaica ed esoterica che però conosce bene chi sa cosa sia la pedagogia di Don Giussani che in questa materia esponeva idee non certo moderne, ma che affermava in poche parole che è un errore madornale quello della modernità per la quale bisognerebbe lasciare che i giovani e le persone  seguano le loro esperienze maturando così la loro personalità e il loro senso critico, la via maestra sarebbe quella di proporre loro, ma con decisione una scala di valori, un modo di vita e fare in modo che li seguano.
Questa la veste teorica, la pratica consiste sostanzialmente nell’imporre all’adepto un confessore che gli detti le sue direttive spirituali. L’adepto di questo e di altri movimenti analoghi (Opus Dei ecc.) si  ritrova quindi in un ambiente che gli consente una forma di sostanziale “libertà vigilata” ed è controllato da molto vicino;
-4) povertà nel senso di distacco dal possesso individuale del denaro e delle cose.
E qui   ognuno farà le sue deduzioni;
- 5) verginità nel senso di rinuncia alla famiglia
Lascio anche qui il lettore libero di fare i commenti che crederà di fare nella gamma dall’austero al goliardico.
Gli adepti non potendo essere detentori individuali  di beni vivono in una casa comune  in un ambiente di preghiera , condivisione, fraternità.
Do ora alcune notizie di tecnica giuridica che ci consentiranno di concludere il discorso sul ruolo in tutto questo dell’autorità ecclesiastica e del suo assordante silenzio  in proposito.
I Memor4es Domini sono una associazione eretta canonicamente nel 1981 e approvata dalla Santa Sede nel 1988.
Cioè la chiesa l’ha riconosciuta come “Associazione ecclesiale privata di laici con personalità giuridica e con estensione universale”.
Che significano queste denominazioni?
Significano molto in quel librone che elenca i ben 1752 articoli del Diritto Canonico, del quale la quasi totalità dei cristiani ignora l’esistenza, ma che ha grande rilievo per la pedanteria con la quale regola tutto quello che c’è dentro la chiesa come istituzione.
In particolare stabilisce che non ostante le evidenti ricercatezze terminologiche con le quali i capi di Cl hanno cercato di svincolarsi  dallo stretto controllo dei Vescovi, questo controllo esiste ed è molto stretto.
Per esempio il Canone 301 stabilisce la esclusiva competenza della gerarchia nell’istituire associazioni che si occupino di insegnamento della dottrina cristiane ( e nel caso specifico lo hanno fatto concordando lo statuto).
Al Canone  305 si statuisce il diritto di vigilanza dell’autorità ecclesiastica su tali associazioni; si stabilisce poi addirittura il diritto di visita cioè di ispezione su tali associazioni e si afferma in modo perentorio che queste sono  soggette al governo dell’autorità ecclesiastica
Canone 322 queste associazioni acquistano personalità giuridica solo se l’autorità ecclesiastica approverà gli statuti
Canone 324 avranno un Consigliere ecclesiastico che dovrà avere la conferma dell’autorità competente
Canone 325 potranno avere e gestire beni secondo gli statuti ma salvo il diritto dell’autorità ecclesiastica di vigilare
Canone 326 .Qui arriva la bomba : l’autorità ecclesiastica ha il diritto dovere di arrivare fino alla soppressione dell’associazione se ha causato scandalo per i fedeli.
Mi sono dilungato per chiarire in modo evidente che quando ad esempio l’Arcivescovo di Milano dice che si ha conosciuto Formigoni molti anni fa, ma che ora l’ha perso di vista e che se fa cose non commendevoli non è colpa sua, come per dire che non è affar suo, sbaglia di grosso, perché il diritto canonico come abbiamo visto gli da esplicitamente il diritto dovere di “vigilare” su attività, beni ed azioni di quella associazione avvalendosi addirittura del diritto di “visita” nonché di valutare la rispondenza degli operati della associazione e dei suoi aderenti fino al suo scioglimento nel caso di inosservanze che diano scandalo.
Non parliamo  poi del controllo effettuabile tramite i chierici aderenti, dirigenti o confessori dell’associazione medesima.
Di  conseguenza se il silenzio si protrae al di la del sensato senza che venga presa alcuna misura quanto meno la gente ha il diritto di indignarsi con l’autorità ecclesiastica e di pensare male.

venerdì 12 ottobre 2012

Marchionne non funziona perché non ha mai usato un cacciavite





Dicono gli statistici che il vero dominus nella nostra vita è il caso.
Ieri ho impiegato diverso tempo a montare una scrivania appena comprata e conseguentemente a smontare quella che doveva andare in discarica.
Provare per credere.
Come mai oggi è possibile comprare nei grandi magazzini a 100 mobili che una volta costavano 200 o più?
Ovvio, in buona parte perché dovete caricarveli voi in macchina voi, portarveli in casa e poi montarveli voi.
Quante viti ho dovuto avvitare e svitare? All’incirca 150.
Dopo di che il caso ha voluto che mi mettessi a leggere la presentazione del libro scritto dal sindacalista Giorgio Airaudo ,grande esperto di metalmeccanici e soprattutto di Fiat intitolato “la solitudine dei lavoratori”.
La presentazione era firmata dal sociologo del lavoro dell’Università di Torino Luciano Gallino e quindi persona più che qualificata.
Pur essendomi sempre ritenuto “persona informata dei fatti” ,come si dice in gergo giudiziario, sia sul piano dello studio del mondo del lavoro sia per la  frequentazione sul piano professionale della logistica aziendale sono rimasto veramente scosso dal dover constatare per l’ennesima volta di come questo mondo, tutto basato sull’immagine e sull’apparire riesca a manipolare la nostra percezione delle cose, perché quello che scrive Airaudo è verissimo : il lavoratore è scomparso, non è più a fuoco per i mezzi di comunicazione e quindi ha cessato di esistere, non conta più niente.
Oggi sui giornali c’è Marchionne coi suoi fatti e misfatti, ma di cosa sia la realtà quotidiana di chi le macchine le fa veramente in Fiat la gente, noi, non sappiamo niente.
Ricordo che ancora ai tempi dell’ultimo Gianni Agnelli ci avevano raccontato la favoletta della fabbrica a misura d’uomo, con i robot che alleviavano la fatica manuale, la linea  formata da gruppi lavorativi di piccole dimensioni quasi una famigliola artigiana che prendeva il sopravvento sulla cieca tecnologia della catena.
Ci avevano decantato le virtù dell’importazione in Italia di quanto sopra riassunto e pomposamente denominato “il metodo Toyota”: una rivoluzione epocale si era detto, che avrebbe combinato la funzionalità della catena di montaggio con l’inventiva e la creatività dei singoli operatori, si sarebbe tornati nella grande industria a ricreare il metodo di lavoro della bottega artigianale del rinascimento.
Era talmente bello che ci avevamo creduto.
Oggi finalmente qualcuno, raccontando non delle favole, ma la vita reale di alcuni operai Fiat ci riporta alla dura celeberrima immagine di Charlot in “Tempi moderni”, che passa la giornata a girare bulloni con la chiave inglese, immerso in ingranaggi enormemente più grandi di lui, che non può controllare in alcun modo.
Pensavamo fosse una vecchia immagine da lasciare alla storia della rivoluzione industriale del così detto “fordismo”, ma pare che invece sia ancora la realtà quotidiana, benedetta improvvidamente  anche da una parte del mondo sindacale italiano, disposta a svendere la dignità del lavoro per una presunta sicurezza del posto che nessuno può più garantire.
Ci viene descritta la vita di un operaio addetto al montaggio sulla scocca sempre della stessa portiera, sempre nella stessa posizione, sempre dallo stesso lato.
Quattro viti di sopra, quattro viti di sotto da sistemare esattamente in tre minuti per un totale di 1.000 viti posizionate al giorno.
Il “metodo Marchionne”, che tanti tromboni hanno lodato sui giornali italiani di suo ci ha messo solo un ulteriore peggioramento delle condizioni di  lavoro di quell’operaio diminuendo i tempi di pausa e togliendo ogni potere ai delegati sindacali sui tempi di movimento della catena.
E poi gli stessi tromboni ci ripetono sino alla noia che il segreto nella globalizzazione, la vera parola magica è flessibilità, elasticità, o meglio ancora in inglese “resilience”.
Peccato che il ragionamento sia solo a senso unico, la flessibilità solo per l’imprenditore.
Per l’operaio che gira il cacciavite siamo ancora all’età della pietra , ubbidire e  girare, coi tempi decisi altrove.
Se l’apporto della creatività umana sta solo nel girare il cacciavite senza potere modificare nulla, dove va a finire il metodo Toyota?
La bottega del rinascimento allora era tutto solo propaganda, per girare una vite allora sarebbe  stato più dignitoso metterci un robot.
Perché l’uomo è più di un robot e può fare quello che un robot non potrà fare mai?
Per rispondere a questa domanda bisogna nella propria vita avere usato il cacciavite molte volte e in molte circostanze diverse, diversamente si parla alla luna.   
Questo, cioè la pratica del cacciavite è quello che sicuramente Marchione non avrà presumibilmente mai fatto, perché se lo avesse fatto si occuperebbe non solo di finanza ma anche di gestione manageriale, di tempi della linea, di organizzazione del lavoro nella linea con i problemi concreti annessi e connessi.
Se uno è pratico di cacciavite sa che le viti non sono tutte uguali, che qualcuna  è più rifinita di un’altra, sa che qui non siamo nel campo della meccanica di precisione degli orologi svizzeri e che quindi le sbavature hanno la loro influenza, e dall’altra parte i fori possono avere scanalature più o meno ben rifinite e che si conseguenza ci vuole appunto elasticità nel calcolare i tempi.
Questo significa che i tempi non  possono essere sempre uguali, devono avere margini di elasticità, che l’operatore padroneggia e il robot non padroneggia.
E più il lavoro è ripetitivo e abbassa l’attenzione dell’operatore, più dovrebbero essere le pause per consentirgli di riprendere il controllo della propria mente frustrata e della propria umanità anche solo ai fini del buon andamento produttivo.
Di questo è necessario tornare a parlare invece che di spread,  derivati e  sigle varie, inventate per non far capire di cosa si sta parlando e così di fatto si fa passare  il concetto di non disturbare il manovratore.
Questa storia deve finire, i cittadini Cipputi e Fantozzi in democrazia esercitano il potere e quindi devono essere messi in condizione di capire di cosa si parla.
E anche loro però questo potere devono pretendere di riprenderselo e non continuare a inchinarsi al signor barone.