domenica 20 agosto 2017

Ridicolo dire “non abbiamo paura” se non sappiamo inventarci reazioni più virili, siamo fregati







Penso di non essere il solo ad averne piene le tasche dei buonismi e del politicamente corretto alla Boldrini e C. secondo i quali la stragrande maggioranza dei musulmani da noi sarebbero “moderati” e quindi buoni e che i terroristi assatanati non c’entrerebbero nulla con la religione che professano.
Ma non è perché sono diventato razzista o fascista, ma semplicemente l’assunto sopra riportato costituisce un inganno micidiale, in quanto se è vero che la gran parte dei musulmani da noi magari non vanno nemmeno in moschea, sono tiepidi e non sono determinati a uccidersi per ucciderci,

tuttavia sarebbe ora di dire chiaro e tondo che col cavolo la loro è una religione di pace, e col cavolo vengano loro trasmesse dottrine in contrasto con quelle che hanno “radicalizzato” i Jihadisti.
Chi per esempio c’ha messo i soldi per costruire la grande moschea di Roma con annesso centro islamico,universalmente indicato come il campione dell’Islam moderato in Italia?
Non è delle volte quell’Arabia Saudita che proclama come religione di stato l’Islam Wahabita che ha prodotto Bin Laden e seguaci fino al sedicente Califfo Al Bagdadi ed all’attuale “califfato virtuale” dato che Al Bagdadi è dato per morto?
Chi ci mette i soldi per tenere in piede la rete probabilmente maggioritaria in Italia di islamici affiliati ai “Fratelli musulmani”?
Non sarà mica quel Quatar, che i fratelli coltelli sauditi stanno ora ricoprendo delle ingiurie più pesanti, perché ne temono la concorrenza, tirandosi dietro quel penoso presidente americano,
che non sa neanche più come si chiama?
Fortunatamente se ci sono i buonisti a prescindere, ci sono anche coloro che sanno di cosa parlano quando trattano di Islam e di Isis.
Inutile dire che mi ha fatto godere l’intervista al notissimo giornalista e scrittore spagnolo Perez Reverte, quando questi, che il Medio Oriente se lo è fatto tutto come corrispondente per anni e anni
dichiara apertamente di essersi convinto che l’Islam è culturalmente incompatibile con la democrazia e che da qui bisogna partire quando si parla di accoglienza.

Reverte dice che degli immigrati abbiamo e avremo bisogno per ragioni demografiche, ma che la loro permanenza è subordinata all’accettazione dimostrata dei nostri principi, usi, cultura, diversamente fuori.
Lo stesso scrittore porta una sua esperienza interessante maturata nell’Iran di Komeini, dove la maggioranza della gente gli risultava sì “moderata”, ma del tutto incapace di tenere la posizione, quando nel loro ambiente entrava un integralista, perché da quel momento in poi , quei moderati non volevano rischiare di apparire all’esterno come “meno buoni musulmani” dell’integralista.
Questo atteggiamento di “inferiorità” verso l’Islam integralista è la cartina di tornasole, perché dimostra che la base culturale-teologica anche in campo presunto “moderato” in realtà è oscurantista-tradizionalista, e cioè moderati e integralisti in realtà condividono gli stessi principi teologici di fondo, perché storicamente a differenza dei cristiani i musulmani non hanno mai sostenuto la necessità di rileggere il Corano con una analisi critica facendo una adeguata esegesi.
Facciamo una riflessione storica sulla nostra evoluzione di cristiani dal tempo delle crociate e dell’inquisizione ad oggi.

Ci abbiamo messo secoli e una marea di morti ammazzati spesso orribilmente per toglierci dalla testa quelle idiozie che ci venivano propinate come verità di fede.
Non sarà né semplice né facile l’evoluzione degli islamici verso la modernità , il pensiero critico e il concetto di laicità dello stato.
Evitiamo però di scivolare indietro noi e questo lo facciamo quando qualcuno di noi pretende che ci auto-censuriamo “per non offendere gli islamici” e finiamo per accettare più o meno tacitamente che costoro proclamino e mettano in atto pratiche medioevali, che invece dovrebbero trovare una nostra aperta e immediata reazione contraria.
E qui entriamo in un discorso più delicato e sofisticato.
Perchè è abbastanza facile dire che per difenderci dovremmo prima di tutto sbattere fuori chi viene sorpreso a esaltare l’Isis o peggio a preparare attentati.

Allo stesso modo e per le stesse ovvie ragioni è facile dire che occorre al più presto che i singoli Paesi e meglio l’Europa nel suo insieme stabiliscano di schedare ,catturare e tenere al fresco i “forein fightersche inevitabilmente torneranno in Europa dopo avere compiuto infinite efferatezze in Iraq, Siria, Nigeria eccetera.
Magari quando si arriverà al dunque, i buonisti faranno dei bei cortei chiedendo la “rieducazione” dei foreign feighters da tenersi a piede libero, ma spero che non saremo tanto idioti e codardi da dare loro retta.
Più difficile è affrontare il discorso degli islamici divenuti cittadini italiani, che per usare il lessico di ordinanza “si radicalizzano”.
Francamente trovo un po’ scemo questo modo di parlare perché, come appare da quanto si è detto sopra,sono convinto che la differenza fra l’Islam radicale e quello “normale” “moderato” sia estremamente tenue.
Questo non significa dire che tutti i musulmani sono terroristi, ma solo che se le basi culturali e teologiche degli uni sono le stesse degli altri il passaggio da fare fra i due settori è breve e temo sia concepito dal di dentro come quello fra “credenti” tiepidi o poco osservanti a credenti osservanti al grado più elevato, fino al martirio.
Come si vede anche se restiamo solo sul piano dell’analisi culturale il discorso diventa difficile e scivoloso.
Figuriamoci allora quando un magistrato si trova costretto a fare la medesima analisi sul piano giuridico e cioè deve stabilire quando un indiziato è solo un estremista fondamentalista sul piano culturale-teologico e quando invece diventa pericoloso per la società perché potrebbe volere “immolarsi” nel gesto del Shahid, (martire) che sarà nel giudizio divino tanto più valutato quanti più “kafir” (infedeli) riuscirà a far fuori.

Lo scrittore che abbiamo citato all’inizio Perez Reverte dichiara apertamente che siamo in difficoltà su questo piano perché regole e cultura democratica ci impediscono di reagire con decisione.
E infatti sulla base della nostra cultura e delle nostre tradizioni democratiche ci troveremmo le mani legate se fossimo costretti a distinguere fra “moderati” e “fondamentalisti”, se pure aspiranti terroristi, perché ci troveremmo chiaramente nel campo dei deprecati “reati di opinione” e vicini al “processo alle intenzioni”.
Purtroppo però in questa fase storica quando il coltello alla gola sta diventando una spiacevole possibile realtà per ciascuno di noi, siamo anche costretti a interrogarci sul fino a che punto riteniamo di potere o dovere rinunciare a una parte di esercizio di libertà per assicurarci maggior sicurezza.
Discorso difficile, antipatico, pericoloso, scivoloso, ma che va fatto, perché il collo in pericolo è il nostro e il pericolo è reale, non è teoria.

Dulcis in fundo va fatto il discorso del mettere alla prova una volta per tutte le comunità islamiche che vivono nel nostro paese e negli altri stati europei, in quanto siamo tutti nella stessa barca.
Pare che l’ideologo dei quindici ragazzini aspiranti shahid di Barcellona fosse un imam, del quale si conoscerebbe nome e cognome.
Il bello o il tragico è che la comunità musulmana di appartenenza ha subito fatto sapere ai giornali che quello stesso imam lo aveva allontanato dalla moschea, evidentemente perché avevano scoperto che fiancheggiava il terrorismo.
Guarda il caso però si erano guardati bene dall’informare la polizia.
E qui ci risiamo alla cartina di tornasole, se quando si viene al dunque e cioè alla scoperta che uno della comunità che di riffa o di raffa fiancheggia il terrorismo magari si ha il coraggio di allontanarlo per non correre rischi con le autorità civili e col quartiere, ma non lo si denuncia è perché lo si sente troppo “fratello” sul piano teologico.
Cioè lo si vede anche come una testa calda che può danneggiare la comunità ,ma non si riesce a condannarlo proprio sul medesimo piano religioso-teologico, dove anzi il fatto che aspiri ad divenire shahid lo ammanta magari addirittura di venerazione e di ammirazione.
Qui siamo a un altro passaggio estremamente delicato, che mette in crisi i nostri principi e le nostre convinzioni, ma non possiamo evitare di rifletterci e di trarne delle conclusioni.
O gli islamici di casa nostra ci aiutano nella nostra lotta al terrore denunciando i loro che nella comunità territoriale fanno pensare male o sarà per noi e per loro un guaio molto serio,perchè , perché allora altro che religione di pace, quando la lotta si fa dura si va naturalmente all’”homo homini lupus”.
Gli “anni di piombo”, quando non passava giorno che i giornali radio non annunciassero un attentato delle BR con morti o feriti se andava bene, ci hanno insegnato che il terrorismo si può batterlo se le forze dell’ordine riescono ad organizzarsi adeguatamente specializzandosi sulla materia, ma sopratutto se la gente sente il dovere di collaborare.

Sono le telefonate alla polizia per denunciare persone, movimenti sospetti, presunti covi dei brigatisti in clandestinità che hanno battuto il terrorismo di quegli anni.
Oggi le comunità musulmane devono essere chiamate a fare lo stesso.
Diversamente, non contiamoci balle buoniste, vedremo con sorpresa noi stessi o il nostro vicino di casa mossi a prendere a calci nel didietro il presunto islamico che passa per la strada, tanto per cominciare.

Spero che gli islamici riescano a comprendere che evitare questo è nel loro interesse ancora prima che nel nostro.

sabato 5 agosto 2017

L’Italia in Libia può fare molto ma bisogna chiarirsi quali sono gli interessi nazionali





Ho l’impressione che anche gli osservatori specialisti del settore geografico non amino troppo mettersi a parlare o scrivere sulla Libia, talmente la situazione politica e sociale di quel paese è intricata e allo sbando.

Lo si è detto su questo blog in diversi post precedenti, già è complicato capirci qualcosa nella situazione della Siria, ma certo che la Libia batte tutti i primati di caos in atto.
Homo animal politicus, diceva Aristotele, volendo significare che siamo per natura esseri sociali, abituati a interagire fra di noi e quindi abituati a ricercare sistemi di organizzazione sociale : famiglia, tribù o associazioni, organizzazioni politiche.
Freghiamocene del politicamente corretto e diciamoci chiaramente che l’uomo cerca istintivamente un capo, così come i nostri predecessori nell’albero dell’evoluzione cercavano e cercano il maschio Alfa da riconoscere per consentire la realizzazione della gerarchia e organizzazione sociale.
Bene in Libia il “capo” che funzionava bene come tale, come sappiamo, è stato fatto fuori nel 2011 dalla banda dei capetti europei che non sapevano vedere oltre il proprio naso, con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Incredibilmente il nostro “capo” del momento, il tanto vituperato (anche su questo blog) , Silvio Berlusconi in quella occasione si era schierato dalla parte del buon senso, della geopolitica e degli interessi nazionali italiani, difendendo Gheddafi ,col quale aveva firmato un trattato di amicizia che ad esempio sul terreno del freno all’emigrazione era stato rispettato ed attuato da Gheddafi a meraviglia.
Ma poi la paura di rimanere isolati nella Nato e in Europa ,hanno convinto il pur riluttante Berlusconi ad accodarsi a Sarkosy e compagni.
Peccato che non abbia resistito, se lo avesse fatto si sarebbe guadagnato le mostrine da statista, ma non lo ha fatto, gli mancava il quid purtroppo.

Ora in Libia l’Italia se guardiamo le cose seriamente superando le nostre furie masochiste, è il paese che ha le più lunghe radici storiche, le più ampie relazioni, il più forte scambio commerciale e quindi è doveroso che pretenda un ruolo di leadership, come fa la Francia nelle adiacenti,Ciad, Mauritania eccetera, dove non si vergogna affatto di conservare basi-fortini dei famosi legionari con altro nome, ma con la stessa sostanza e copertura politica.
Noi in Libia abbiamo un vantaggio competitivo fuori discussione, gli impianti Eni, perfettamente funzionanti, che consentono tra l’altro ai Libici di non morire di fame, ma nemmeno ce lo diciamo per paura di vederci come colonialisti nazional-fascisti.
Veramente dovremmo finirla con queste distorsioni mentali ex di sinistra ed oggi al limite della paranoia.
In Libia oggi ci siamo per fare i nostri interessi nazionali, punto, e se a qualcuno questo fa schifo, chi se ne frega.
Dalla presenza ininterrotta per decenni sul campo dell’Eni, traiamo una forma di diplomazia parallela, che lungi dall’essere di impaccio, ci è fondamentale per capire come muoversi in situazioni che non hanno relazione con la nostra cultura e la nostra esperienza storica di europei, e che quindi sono particolarmente difficili da gestire.

E allora se siamo così bravi, potrebbe pensare il lettore, perché siamo in difficoltà a farci aiutare dai Libici per frenare questa assurda fiumana di gente che qualcuno vuole portarci in casa al di là di ogni considerazione di buon senso, senza a tutt’oggi alcuna reale possibilità di sbolognarne almeno una parte ai nostri altezzosi partner europei?
Perchè paghiamo gli errori passati.
Non certo le presunte “colpe” coloniali, cancellate dallo scorrere del tempo e finite nell’oblio.
Il problema è un altro e consiste nel fatto che il governo italiano e quello libico avevano firmato un trattato di amicizia del costo apparentemente salato di 6 miliardi di infrastrutture da costruire, ma spalmato su vent’anni e con la ovvia possibilità di far fare quei lavori a ditte nostre e quindi con un ritorno sicuro e immediato, trattato che è stato stracciato in modo disonorevole dalle bombe lanciate su Gheddafi, contro i nostri interessi nazionali.
E’ ben comprensibile in politica che alla Francia stia sulle scatole il vantaggio competitivo che noi abbiamo in Libia, ma se fossimo stati governati in questi ultimi decenni da statisti e non da figuranti allo sbaraglio, i nostri interessi li avremmo difesi fino alla rottura su questo punto con gli alleati, perché è per questo che servono i politici nelle istituzioni, per fare gli interessi della collettività nazionale.

Dopo questo precedente coloro che in Libia quelle bombe se le sono prese sulla testa o che comunque le hanno viste da vicino, non c’è certo da stupirci se hanno difficoltà a prendere sul serio le firme che siamo pronti a mettere su nuovi accordi per fermare il flusso dei migranti ,facendo fare il lavoro sporco ai Libici medesimi, anche perché non potremmo comunque invadere quel paese per farlo noi direttamente.
Il primo ostacolo che qualsiasi governo italiano trova in Libia è legato a questo passato prossimo disonorevole per noi, poiché “pacta sunt servanda”, non sono carta straccia e quando si perde la faccia, è difficile e lungo costruirsene una credibile.
Le altre difficoltà poi sono sul terreno e sono pesantissime in quanto consistono nel fatto del quale abbiamo parlato all’inizio : in Libia dalla morte di Gheddafi non c’è più stato un capo con cui trattare.
Gheddafi purtroppo si rovinava la reputazione con quel suo modo di fare pieno di atteggiamenti folkloristici, ma non era affatto un cretino, se si pensa che aveva governato per quarant’anni senza avere né un esercito né uno stato su cui contare.
L’esercito era più una milizia di pretoriani che un vero esercito nazionale e lo stato non c’è mai stato né prima né dopo.
L’uomo aveva avuto la straordinaria abilità di tessere per quattro decenni accordi con una rete molto composita di tribù, che sono la vera base della società libica.
Questa è ed era la situazione reale.

Oggi Sarraj o Aftar o gli altri dieci, cento,mille capetti meno noti, contano non è certo quanto ,solo in rapporto alla loro capacità di guadagnarsi l’alleanza con le tribù che controllano il territorio.
Il quadro è complicato dalle ingerenze ed alleanze con forze esterne , ad esempio Egitto Arabia Saudita ed Emirati arabi al fianco di Aftar con la Francia; Quatar ,Turchia ,Onu, Europa e Italia con Serray.
Queste ingerenze ed influenze ci sono, ma non dimentichiamo che il territorio è sempre controllato dalle tribù di riferimento e che queste alla lunga prevalgono.
Ecco, i media tendono a banalizzare la complessità della situazione libica mettendola come una scelta obbligata fra Sarraj e Aftar.
Questa contrapposizione c’è e conta, ma il potere dei due è dipendente dalla variegata galassia delle
forze sul territorio che li appoggiano e che sono difficili da valutare.
Se la vedessimo come un a partita a due, allora avremmo difficoltà a capire perché mai l’Italia ha scelto Sarraj, che appare con evidenza in posizione più debole rispetto ad Aftar.
Purtroppo la Libia, come la Siria è il risultato di una sequela lunga di errori macroscopici e di doppi o tripli giochi che si sono rimpallati fra di loro le piccole e grandi potenze.
Le potenze esterne, poi, se gli dai un po di tempo la situazione la risolvono male a suon di bombe, ma la risolvono apparentemente.
Apparentemente perché poi il territorio chi lo controlla, finita ufficialmente la guerra e tornati negli hangar aerei e droni stranieri?

In Libia a rendere incomprensibile una situazione già difficile ci ha pensato addirittura l’Onu che in modo chiamiamolo irrituale ha fatto una scelta di campo intromettendosi al di fuori delle sue regole più elementari nella politica interna di uno stato dando il proprio appoggio a Sarraj invece che ad Aftar, cioè appoggiando la Tripolitania invece che la Cirenaica.
Nessuno sa perché, con la conseguenza di rendersi con quella scelta non più credibile alla parte soccombente e quindi rendendo di fatto praticamente impossibile la riunificazione di quel paese, che è l’obiettivo che formalmente l’Onu vorrebbe conseguire.
E’ stato un grosso errore ed è un bel pasticcio per chi come l’Italia adesso deve trattare con tutti e due rendendo pubblici solo gli incontri con l’uomo ufficiale che è Sarraj e facendo finta di non conoscere Aftar, senza il consenso del quale qualsiasi accordo sarebbe privo di senso pratico.
Adesso che per noi “la casa brucia” se non riusciamo a chiudere il rubinetto dell’immigrazione almeno in parte, siamo costretti a finirla con le idiozie buoniste a tutti costi ed a prospettarci azioni estreme come la chiusura dei porti.
E’ chiaro però che una politica seria in materia non può prescindere dalla collaborazione sul terreno dei libici.
Motovedette libiche che pattuglino le coste , cosa tutt’altro che difficile perché i porti libici di imbarco sono pochi e sono divenuti affollati come caselli di autostrada e quindi facilmente individuabili.
E poi, campi profughi in Libia o in Tunisia, chiamiamoli pure Hot spot se il termine inglese riesce ad attenuare l’assoluta spiacevolezza della sostanza della cosa, dove mantenere decentemente questa enormità di umanità sofferente, identificarli, spiegare loro che hanno fatto la peggiore cacchiata della loro vita a vendere cose e indebitarsi per andare dove oggi nessuno li vuole e dove per il momento non c’è obiettivamente più posto per loro.
Dargli un po di soldi per tornare e possibilmente riportarli al loro paese dopo avere stipulato le necessarie intese.
Per favore finiamola con piagnistei pietistici e falsi.
Usiamo in tutte le tappe di queste procedure la massima umanità possibile ma non nascondiamoci che la riuscita o meno di tutta la procedura è solo ed esclusivamente questione di soldi.
Se volete una conferma andate a chiederlo a una certa Angela Merkel che in argomento la sa lunga avendoci fatto tirare fuori 8 miliardi di fondi europei per fare le stesse cose in Turchia, procedure che funzionano come un orologio svizzero proprio perché ben lubrificato da una montagna di soldi.



venerdì 28 luglio 2017

I politici hanno perso il potere





Prendo spunto ancora da una analisi di Galli della Loggia che mi è sembrato  individuasse la radice della crisi profonda dei partiti e delle istituzioni ,tanto profonda da mettere in pericolo la democrazia stessa. (Corriere della sera del 21 luglio scorso)
Riduco all'osso il ragionamento di Galli : i partiti hanno sempre meno credito perchè la gente istintivamente si accorge che girano a vuoto, un po’ perchè il loro personale politico non è mediamente all'altezza del ruolo istituzionale che ricoprono, ma anche e sopratutto perchè si sono verificati mutamenti così profondi nella società contemporanea che è cambiato "il patto sociale", sono cambiati gli equilibri fra i poteri.

Ne deriva che il tradizionale potere politico, gestito dai rappresentanti del popolo eletti democraticamente si perde in una chiacchiera infinita, senza concludere nulla, mentre il potere vero viene gestito da altri.
Come è possibile?
Perchè altre forze, più o meno organizzate, sono divenute col tempo tanto potenti da riuscire a condizionare le istituzioni ,a volte esercitando potere di veto e a volte orientando quello che dovrebbe essere l'unico legittimo gestore del potere.
Le lobby, i poteri forti, le corporazioni, le agenzie dello stato come l'alta burocrazia, i tecnocrati delle grandi banche e delle multinazionali eccetera.
Si potrebbero aggiungere la magistratura, le chiese, le ong., le organizzazioni criminali , la massoneria.

In base a questa analisi, ci sarebbe in atto ,come si diceva sopra, un nuovo patto sociale fra i poteri veri e il potere formale istituzionale, in base al quale i poteri veri dietro le quinte ritengono di avere ricevuto l'assenso tacito di "fare i loro comodi" cioè di perseguire i loro interessi privati o di gruppo, da parte dei poteri istituzionali che in cambio di questo tacito assenso consentirebbero al potere istituzionale di portare avanti solo governi deboli e inconcludenti.
La feroce analisi di Della Loggia è quindi formulata in modo da spiegare perchè da decenni i governi che si sono succeduti non sono riusciti a combinare pressochè nulla e la politica è degenerata in una infinita chiacchera che ormai non interessa più a nessuno.
Certo che questa è un'analisi assolutamente radicale.
Però almeno è un tentativo serio e razionale di spiegare come mai sono decenni che l'Italia non riesce ad uscire dalla palude della non crescita, in una situazione sociale di palpabile insicurezza inevitabilmente derivante dalla sensazione percepita di una "non legalità" divenuta sistematica.
Lode e onore alle forze dell'ordine ed alla magistratura, che in una situazione del genere continuano a portare avanti inchieste, ad arrestare criminali eccetera eccetera.
Però la quotidiana informazione che ci viene servita dai media su episodi di corruzione, che si ripetono a raffica non ci lascia tranquilli, perchè ci fa capire che qui di gente che fa il proprio dovere ce n’è rimasta ben poca e che i casi di corruzione che finiscono in tribunale sono solo la punta di un iceberg immenso e quindi questi casi sanzionati, in fondo in fondo, finiscono per essere una foglia di fico, per nascondere una situazione che diventa irrimediabile a causa delle dimensioni del fenomeno corruttivo e di illegalità diffusa a tutti I livelli.

Se poi fosse vera la chiave di lettura ipotizzata da Della Loggia secondo la quale tutto è fondato su un patto fra stato e poteri informali per non perseguire più la violazione della legalità, allora saremmo sistemati.
Della Loggia nella sua analisi costruisce una "pars destruens" , ma non fa seguire quella propositiva e quindi in questo campo dovremo arrangiarci da soli.
Certo che se facessimo nostra la conclusione di Galli, le nostre scelte politiche sarebbero messe a dura prova.
Personalmente ho sostenuto più volte che per uscire dalla palude occorre aborrire quel "moderatismo" che ha inchiodato la maggioranza dei nostri connazionali a "turarsi il naso" e continuare a votare per il "grande centro" , tutto per paura del "salto nel buio".
Ho scritto e ripetuto mille volte che ora la situazione è oramai troppo seria e che quindi a mio parere il salto nel buio saremo comunque costretti a farlo, anche se non è privo di rischi.
Che sia il Movimento 5Stelle, che sia la Lega di Salvini, che sia la destra sovranista, finiremo per votare loro, ma non l'establishment PD-Forza Italia, che sono coloro che questa palude hanno costruito.

Il voto per ideologia o per tradizione culturale oggi non trova più assolutamente dei contenitori politici che lo rappresentino e che vi siano fedeli, oggi bisogna votare col criterio del "problem solving".
Facciamo riferimento ai problemi che riteniamo assolutamente prioritari e verifichiamo cosa propongono le forze in campo e con quale credibilità.
Mettiamola giù senza riguardi al politicamente corretto.
Chi è che dice basta a questo flusso di migranti senza controllo?, ma basta davvero attuando con misure adeguate.
Chi è che dice che occorre un forte piano di investimenti pubblici e privati per spingere il paese alla ripresa per dare lavoro a tutti, cominciando dai giovani?
Chi è che dice ristabiliamo la legalità, il controllo del territorio , a cominciare dalla punizione anche della piccola criminalità in stile Rudolf Giuliani?
Non andiamo oltre, basta così.

Pensiamoci, sappiamo tutti che non occorre faticare per darci le risposte giuste a quelle tre domande fondamentali.

martedì 18 luglio 2017

L'Italia è veramente un paese ormai allo sbando come dice Galli della Loggia?



Ernesto Galli della Loggia è da decenni probabilmente il più autorevole commentatore del Corriere della Sera e quindi il fatto che sul numero del 14 luglio di quel giornale abbia scritto un articolo pesantissimo e sconsolato sulle condizioni di questo paese ha lasciato tutti di stucco, perchè si era abituati al garbo e alla misura che ha sempre usato per i suoi commenti.
Incredibile ma vero, questo personaggio, che è anche un accreditato accademico, è apprezzato per la capacità che ha sempre dimostrato nel rimanere, per quanto possibile, obiettivo, senza indulgere in entusiasmi verso questo o quel capo politico in auge a un certo momento.

Di conseguenza, il fatto che abbia deciso di usare la frusta verso una classe politica inetta e incapace e parole di fuoco per una situazione generale del paese, che definisce fuori controllo, colpisce parecchio.
Siamo abituati a leggere, se ci piace questo genere giornalistico, le sferzate polemiche quasi quotidiane di abili e puntuti polemisti come Travaglio e Feltri, ma il loro è un altro stile, sono giornalisti da battaglia, che da sempre hanno sposato una parte politica apertamente, e per quella si battono.
Il lavoro dei commentatori alla Galli della Loggia è di tutt'altro genere ed è molto più difficile perchè non mira a solleticare sentimenti ,ideologie , appartenenze, insomma non vuole parlare alla pancia ma alla ragione e la gente non sempre è disposta a mettersi tranquilla e dedicare il tempo dovuto per seguire analisi e ragionamenti, invece che battutacce d'effetto.
Questa volta, però, l'articolo di Galli, che ,come sempre, è strutturato più nello stile del saggio che dell'articolo, verrà ricordato per il fatto che può essere riassunto proprio con uno slogan di effetto :

"questo paese è fuori controllo" da parte della classe politica, che dovrebbe governarlo, e che invece non ci riesce, perchè in questo paese ormai ognuno fa quello che gli pare, violando le leggi come se nulla fosse in modo abituale.
L'autore argomenta elencando alcune vistose "abitudini" di questo tipo :
-gli incendi che dilagano
-le "movide" notturne con ubriacature e vetri rotti
-periferie ma non solo non più attraversabili di notte perchè in mano a gang criminali
-stazioni e mezzi pubblici che di notte divengono ad alto rischio
-l'allarme sicurezza che incute la presenza sempre più massiccia di immigrati non gestiti in alcun modo, ciodolanti per città e paesi.
Galli da questi esempi, che ovviamente sono solo una parte di un ben più lungo possibile elenco delle cose che non vanno, trae la conclusione che i poteri pubblici hanno perso, o rinunciato, al controllo del territorio e delle varie situazioni sociali conflittuali.
Perchè chi fa politica pare disinteressato a governare veramente le situazioni sociali, cioè la realtà vera.
Come mai?

Galli sembra rispondere: perchè la politica sembra essersi strutturata per capire solamente quello che sarebbe di destra o di sinistra ,mentre questa dura realtà di illegalità e di degrado non è nè di destra nè di sinistra è solo la realtà sociale esistente, della quale occorre prendere conoscenza e coscienza per approntare programmi, cioè misure politiche coordinate per porre rimedio ai problemi gravi esistenti.
Cioè bisogna che i politici per governare si facciano un’idea di futuro.
Ma la classe politica vede solo sè stessa allo specchio e quindi è interessata solo alle elezioni , cioè all'eterno presente, per conservarsi le poltrone, mentre i gravi problemi del paese richiedono gente capace di guardare al domani e di programmare il futuro, per non subirlo.
Difficile dare torto all'analisi impietosa di Galli della Loggia.

Poco prima dell'articolo di Galli del quale si è parlato, lo stesso giornale, il Corriere, aveva pubblicato una intervista a Piero Angela di estremo interesse, sostanzialmente sullo stesso tema, ma visto da una angolazione diversa.
Il quasi novantenne personaggio, notissimo come efficace divulgatore scientifico, diceva di essere onorato dalla petizione lanciata dal Fatto Quotidiano" e diretta a nominare lo stesso Piero Angela Senatore a vita, ma di non essere interessato a entrare a far parte di un consesso politico.
Nel corso dell'intervista, Angela ribadisce quanto aveva scritto in un libro ben documentato alcuni anni fa intitolato : "a cosa serve la politica".
E' chiaro che dall'alto della sua formazione culturale di chiara ispirazione illuminista e dal grandissimo amore che lo stesso ha coltivato per la scienza, la sua considerazione per la classe politica che ci governa è talmente bassa che a una domanda diretta che gli chiedeva un giudizio sui personaggi politici del momento, Angela ha risposto deciso di non voler rispondere.
Citando quanto scritto in quel libro,

Angela "relativizza" in modo radicale il ruolo avuto della politica nello sviluppo positivo dell'umanità, verso condizioni di valorizzazione dei diritti umani e di miglioramento generalizzato delle condizioni di vita, affermando senza mezzi termini che a suo avviso non è la politica che ha condotto l'umanità al progresso ed alla modernità, ma lo sviluppo della scienza e della tecnologia, che hanno fornito all'uomo sempre maggiori quantità di energia.
Scienza, macchine ed energia, questi sono gli "dei" che dobbiamo ringraziare, non i politici.


Giudizio sferzante e pesantissimo, fortemente controintuitivo e per questo scioccante, per chi, cioè quasi tutti noi, è abituato da sempre a pensare il contrario.
Non è casuale però che a giudizi molto vicini a queste conclusioni sono arrivate le opere, parecchio ponderose, che a questo stesso argomento hanno dedicato due dei più eminenti filosofi italiani contemporanei : Emanuele Severino e Umberto Galimberti.
Ma allora la politica non serve a nulla?
Evidentemente non è così, ma, secondo Angela, il suo ruolo è quello di inserirsi nei processi di crescita ed evoluzione della tecnologia per facilitare lo sviluppo armonico della società che di quei progressi deve essere la beneficiaria e quindi : scuola, educazione, merito, innovazione.
Angela non ha affatto una visione pessimistica del futuro, perchè nel suo lungo lavoro di ricerca ha conosciuto un sacco di giovani e meno giovani impegnati e capaci e quindi sa che basta cercarli e metterli insieme, per fare progredire il paese.
Per far che cosa?
Ci risiamo : per costruire il futuro, non per giocare le elezioni a proprio vantaggio, senza sapere elaborare altre idee.

Cosa pensa lei del fututo? Impariamo a chiedere questo ai politici che ci si propongono su media e social.
E poi giudichiamoli su quello che sanno o non sanno rispondere a quella domanda specifica.

Il resto è puro bla bla ,lasciamolo ai perditempo di destra e di sinistra.

mercoledì 12 luglio 2017

Matteo Renzi sempre più dilettante allo sbaraglio sempre meno statista



A questo punto comincia a far pena vedere questo giovane uomo che in vita sua non ha mai fatto altro che vivere di politica, annaspare nel vuoto cercando di mascherare il vuoto con una chaicchiera giornaliera sempre più fastidiosa e controproducente.
Non è una novità ,se uno non ha niente da dire ed è l'ultimo a sapere cosa vuol fare perchè non ha alcuna strategia ed alcun programma coerente, cade nel narcisismo e nell'arroganza.
E' purtroppo per noi un "dèjà vue".
Ricorderete quando nel ventennio berlusconiano i commentatori politici per darsi una verniciatina di intellattualità parlavano del "Cavaliere" dicendo che era uno dei pochi politici capaci di "parlare col corpo".

Stesso narcisismo stessa arroganza, stessa mancanza di una strategia politica politica a lungo respiro, tutto basato sull'oggi e sulla lettura dell'oggi attraverso un uso maniacale dei sondaggi.
Poi sulla base delle presunte pulsioni della gente misurate dai sondaggi si sparava lo slogan che avrebbe dovuto soddisfare appunto le più immediate pulsioni del "popolo".
I politologi definirono questo modo poco elevato di far politica "parlare alla pancia della gente".
Va bene uno fa quello che può, se uno nasce Berlusconi o Renzi non c'entra nulla con un DeGasperi o un Fanfani, non è colpa sua se la differenza di livello e di statura morale è così abissale.

A proposito non c'è niente che mi irrita di più come il ricordo di quando Matteo Renzi autobenedisse l'incipit della sua carriera politica andando a "meditare" nella cella del Convento di San Marco nella quale era vissuto Giorgio LaPira.
Allora ero stato tanto sciocco da commuovermi e dargli credito come se avesse voluto solennemente affermare di voler portare avanti le idee di quel grande.
Visto da oggi forse avrebbe fatto meglio a scegliere un'altra celebre abbazia , quella di Chiaravalle ed andare a "meditare" sulla tomba di Enrico Cuccia , dato che le uniche cose coerenti che ha fatto Renzi sono state indirizzate a dare sempre ragione agli interessi delle banche.
Le ultime sparate di Matteo Renzi sono veramente una pena.

Cercare di strappare il consenso di una parte dell'elettorato montando a freddo una polemica sui media contro la Commissione europea dicendo che bisogna stracciare il "fiscal compact", cioè l'impegno sottoscritto nei trattati ed approvato dal parlamento ancora in carica a grande maggioranza è un comportamento politico che fa pena e che da la misura di quanto l'uomo per tanto che si possa spremerlo non potrà mai produrre nulla di buono come politico e tanto medo come statista.
Come si fa andare a dire alla Commissione Europea che bisogna stracciare il fiscal compact quando la medesima commissione è lì per vigilare che quel documento sia osservato, è la sua ragion d'essere, diversamente i Commissari potrebbero tutti andare a casa.
Un politico di una anche modesta caratura ma che ci capisca qualcosa si sarebbe procurato alleati politici per poter sforare i limiti del fiscal compact, ma guardandosi bene dal dire che i trattati che ha firmato e che ha fatto approvare dal suo parlamento sono carta straccia, perchè diversamente tedeschi e nordici che non ci vedono bene a causa delle nostre incoerenze dimostrate nei vent'anni berlusconidi ora rinverditi da Renzi continueranno a pensare che siamo un popolo di buffoni ben rappresentato dai politici che ci scegliamo.

Insomma mantenere la parola data non è un "optional", dai tempi delle caverne è su quella base che si misura l'affidabilità del vicino.
Ma la giravolta sul fiscal compact non è l'unica.

Altrettanto clamorosa è stata quella pure recentissima sulle politiche migratorie : prima avanti a tutti, adesso numero chiuso , limite agli sbarchi e "andiamo ad aiutarli nei loro paesi".
Ovviamente non sto assolutamente discutendo sul merito delle sparate renziane, perchè su questo blog da sempre si era sostenuto che il flusso migratorio va governato e che non c'è posto per tutti e che si rischia una rivolta sociale se non si agisce subito.
Così come si è sempre detto che le politiche berlusconiane e renziane di abulico e piatto asservimento agli interessi della Germania, mascherati dai soliti "lo dice l'Europa" erano una truffa pura e semplice propinata agli italiano considerati come incapaci di intendere ve di volere i loro interesi nazionali, che sono diversi e contrastanti rispetto a quelli della Germania.
Si sta ragionando invece sulla faccia tosta di chi, come Renzi ritiene di potere invertire dall'oggi al domani alcune delle posizioni politiche che aveva sostenuto fino al giorno prima su argomenti del massimo interesse.
E tutto questo perchè ci si avvicina (relativamente) alle elezioni politiche e i sondaggi dicono che la gente ne ha piene le scatole di vedere immigrati ciondolanti ad ogni angolo di strada e ne ha aptretanto piene le scatole delle politiche di austerità e vorrebbe invece sviluppo e piena occupazione.
Se ne accorge oggi il grande Renzi di cosa pensa veramente la gente? se fosse un politico appena appena avrebbe dovuto accorgersene qualche anno fa non a pochi mesi dalle elezioni.
Ma come può un ex sindaco, presidente di provincia, presidente del consiglio essere tanto infantile da non capire che non paga mai rubare le posizioni politiche che altri hanno porttato avanti con coerenza anni ed anni prima di tè, perchè la gente se ne accorge e regolarmente fra il modello e l'imitazione nella cabina elettorale da credito al modello e non all'imitazione.

Tralasciamo l'incoerenza e il procedere a zig zag, proclamando da una parte la necessità di frenare il flusso dei migranti e poi contemporaneamente insistere sulla legge dello jus soli che a molti immigrati incerti se rimanere o tornare a casa loro interessa relativamente, ma che la mente confusa di Renzi ritiene di essere geniale e un mostro di furbizia e di potere quindi con quella legge acquisire il voto di chissà quanti immigrati, dei quali dimostra di non conoscere le aspirazioni.

Tralasciamo la presentazione di una legge contro l'apologia di fascismo che è già in vigore in Costituzione e che è stata nel tempo ribadita e benprecisata dalle leggi Scelba e Mancino, anche se agire su argomenti che non hanno nessun impatto sulla realtà e sui problemi veri del paese ma sollevano un bel polverone mediatico distogliendo l'attenzione dall'incapacità dei governi ad affrontare appunto i problemi veri è una tattica ben nota, ma che dimostra che uno inntesta di idee buone non ne ha proprio.

Fa talmente tanto pena Renzi, che il suo maestro Silvio Berlusconi dall'alto dei suoi ottant'anni che continua nella sua spregiudicata politica della quale ha il copy right :dal ninete tasse sui patrimoni ai sussidi di ogni genere per chi si tiene in casa quadrupedi di ogni taglia appare molto più "in palla" del suo giovane e malaccorto imitatore.