venerdì 16 ottobre 2020

Recensione dell’ultima enciclica sociale di Papa Francesco “Tutti fratelli”

 






Se vogliamo trovare il commento più amichevole dei giornali della destra questo si riassume in : l’enciclica più comunista che un papa abbia mai scritto.

I commentatori più moderati si sono limitati a commentare : ma se a questo papa il mercato proprio non sta bene avrebbe dovuto almeno sforzarsi di indicare con cosa secondo lui andrebbe sostituito.

Sinceramente ambedue i commenti trovano un fondamento concreto.

Devo dire però che l’apporto di questa enciclica non mi sembra però nulla di rivoluzionario per la dottrina sociale della chiesa.


Certo se avessimo la pazienza di andarci a leggere il documento col quale tutto è cominciato e cioè la “Rerum novarum” di Leone XIII scritta nel lontano 1891 noteremmo un salo di qualità impressionante.

Allora la chiesa si degnava di dedicarsi alla dottrina sociale con lo stesso spirito col quale guardava ai “poveri”.

Dobbiamo aiutarli, dobbiamo fare la carità, poco di più.

Non dico che la dottrina sociale fosse ridotta alle Dame di San Vincenzo borghesi di buona famiglia che portavano poche vettovaglie ai poveri del loro quartiere, ma non molto di più.

E poi ricordiamoci che trentanni prima quel “senza dio” di Carl Marx aveva inventato il comunismo che chiamava scientifico mettendo in allarme rosso il clero che sentiva minacciato il proprio ruolo di difensore dell’ordine costituito per “diritto naturale”.

L’idea di contrastare frontalmente la disuguaglianza e la povertà non solo non era sentita come il più ovvio dei comandamenti lasciati dal fondatore del cristianesimo, ma era considerata come una utopia stravagante, che non poteva avere alcun fondamento nella realtà essendo disuguaglianze e povertà viste come elementi connaturali alla condizione umana.


Ora l’orizzonte si è aperto in modo clamoroso, ma era già successo con i decreti del Concilio Vaticano II (1962) e con la “Populorum Progressio” di Paolo VI (1967).

Il concetto chiave di limitazione del “diritto di proprietà” a un temporaneo diritto comune d’uso dei beni della terra che appartengono all’intiero genere umano era già presente.


Cioè per intenderci, se Papa Francesco è comunista per quello che ha scritto nella “omnes fratres”, non lo è di più di quanto lo era già il suo predecessore Paolo VI.

Se c’è qualcosa di nuovo in questa ultima enciclica questo nuovo sta in un linguaggio sempre meno pretesco , più sociologico e politologico.

Ma forse è proprio questo che da fastidio ai commentatori che rimpiangono il Pio V di Lepanto e il Pio IX del Sillabo.

Figuriamoci lo stupore di costoro costretti a leggersi in questa enciclica di Papa Francesco ben cinque citazioni, dicesi cinque del grande imam Muhammad Ahmad al Tayyib, rettore dell’università coranica del Cairo Al Ahzar.

Non so se la fiducia di Papa Francesco in questo personaggio è ben riposta, ne dubito sinceramente avendo seguito per anni i dibattiti degli intellettuali di quell’ateneo particolare pubblicati dalla rivista di Al Azhar, che hanno sposato un po tutte le cause, ma trovo apprezzabile almeno l’apertura mentale di questo papa verso una religione diversa dalla sua se pure sempre abramitica.


Data la sua particolare formazione da uomo dell’America Latina, Papa Francesco arriva addirittura a citare come esempi da seguire i “movimenti popolari” tipici di quel continente.

A parte il fatto che si tratta di realtà da prendere molto con le molle , guidati da leaders ancora più da prendersi con le molle per i loro riferimenti ideologici non certo lineari, capisco perché la lettura di questa parte dell’Enciclica possa essere stata tossica per i vari Feltri, Ferrara eccetera.

Dopo i movimenti popolari c’è solo Che Guevara, “alla prossima !” questi commentatori si saranno detti.

Ebbene sì se Papa Francesco voleva raggiungere una punta avanzata di sinistrismo c’è riuscito.

Ma a che pro?

Quali passi avanti ha fatto fare alla sua chiesa?

E’ molto di sinistra la critica puntuale di un mercato cieco verso i valori umani.

E’ molto progressista la richiesta di lavoro per tutti.

E’ molto “liberal” proclamare la necessità di politiche a livello mondiale che superino la povertà, la fame e le disuguaglianze.

Forse è anche semplicemente “cristiano” ma al minimo sindacale.


Ma perché non proviamo a rileggerci tanto per fare un esempio il discorso di insediamento di John Fitzgerald Kennedy del 20 gennaio 1961.

Siamo a ben 60 anni fa, ma essendo di cultura oltre che di religione cristiana quel grande politico aveva già espresso queste idee come il nucleo del suo disegno politico strategico.


Bene quindi Papa Francesco, ma un po in ritardo probabilmente, un po tanto in ritardo.

Se il papa si mettesse a seguire umilmente i tweet dei degni pronipoti politici di J.F.Kennedy come

Alexandra Ocasio Cortez, anche lei di etnia latino-americana, giovanissima deputata democratica rappresentante del Bronx, invece di quelli dei suoi strampalati amici dei movimenti popolari sud americani, potrebbe stare un po più coi piedi per terra e nel complesso mondo di oggi.

Abbiamo detto di quello che nell’enciclica c’è e che ha suscitato scandalo in molti non tanto pratici di dottrina sociale cristiana.

Mi son permesso di dire che va bene la novità di linguaggio, va bene l’attenzione all’imam Tayyib, va bene ribadire la limitazione del diritto di proprietà e l’affermazione che occorrono politiche per superare la fame la povertà e le disuguaglianze, va bene la sfiducia nel solo mercato e nel liberismo sfrenato.

Ribadire però, trattandosi di cose già dette dai suoi predecessori.


Va detto che ho trovato una trattazione finalmente un po più articolata del fenomeno della emigrazione di massa al punto che si arriva a parlare esplicitamente di un inedito “diritto a non emigrare”.

Questo papa finalmente si deve essere reso conto che non è più tempo di sostenere un generico dovere di accogliere immigrati senza se e senza ma, per la semplice ragione che una emigrazione di massa depriva i paesi di origine spesso dei suoi membri più intraprendenti.

Bene quindi la maggiore ragionevolezza dimostrata.

Va detto però che il problema è ancora affrontato in modo contraddittorio e pasticciato.

Innanzi tutto il generico diritto anche all’emigrazione per pure ragioni economiche si scontra con il dato elementare che qualunque studioso di geopolitica conosce e che consiste nel fatto che se gli abitanti del mondo in via di sviluppo pensassero di avere il diritto di pretendere lo stesso tenore di vita dell’Occidente sviluppato, ci vorrebbero le risorse di tre pianeti terra e non di uno solo e quindi questa strada non è percorribile.

Sarà spiacevole e politicamente scorretto, ma questa è la realtà obiettiva indicata della matematica e quindi tanto vale prenderne atto.

E poi sull’argomento non si può non osservare che come al solito nella dottrina sociale cristiana non riesce nemmeno non dico a superare ma nemmeno a nominare il tabù della demografia.

Ci vorrebbe invece un po di coerenza mentale.


Come si fa a scrivere un’enciclica sulla pace e fare finta di non sapere che quella della demografia in assurda espansione nel mondo in via di sviluppo è la prima causa di conflitti ?

Ecco quello che spaventa di più in quest’enciclica non è certo il presunto comunismo di Papa Francesco e la sua critica generica al mercato e al liberismo senza saper proporre vie alternative, ma è il tanto, il troppo non detto, che a mio modesto parere non è tollerabile che non sia detto.


Non c’è nemmeno un accenno di autocritica.

Questo presunto comunista ci fa rimpiangere l’austera forza di carattere del suo predecessore conservatore e tradizionalista Papa Wojtyla che aveva osato addirittura chiedere perdono per le nefandezze delle quali si era resa colpevole la chiesa nella storia ,dallo schiavismo alle crociate, dalla passività di fronte all’ Olocausto, alla discriminazione del sesso femminile alle persecuzioni di chi la pensava diversamente.

Va bene voler essere di sinistra, ma bisognerebbe allora basare il proprio orientamento su qualcosa di solido.

Papa Francesco invece si arrampica sui vetri.


Bene promuovere la pace ma come si fa a dire che le religioni e quella cristiana in particolare non hanno mai promosso violenza e guerra?

Diavolo non siano tutti analfabeti religiosi, molti di noi la Bibbia l’hanno letta e la conoscono e di conseguenza conoscono bene i numerosissimi passi che incitano alla violenza, al massacro dei nemici eccetera eccetera.

Come si fa a fare queste affermazioni stendendo un velo pietoso sulla notte di San Bartolomeo, come fa il Vaticano nella sala di rappresentanza per antonomasia del palazzo vaticano ,che è la Sala Regia, dove il celebre affresco del Vasari che ritrae quel celebre massacro è in quasi eterno restauro

con un velo davanti per trarsi d’imbarazzo?

Papa Francesco sbagliando, pensa anche lui di “trarsi d’imbarazzo” ricorrendo al solito trucchetto dialettico dell’invito alla “contestualizzazione” dei passi più imbarazzanti delle scritture.

Va bene che è gesuita, e i suoi confratelli sono maestri di trucchetti dialettici, ma sostenere che le religioni sono fondamento della pace, contraddice quello che c’è scritto chiaro chiaro su qualsiasi manuale di storia.

C’è poco da contestualizzare, quando fa comodo.

Con un po’ più di onestà intellettuale e oserei dire con un po più di bagaglio culturale si sarebbe più efficacemente potuto sostenere le idee che papa Francesco vuole portare avanti riconoscendo l’evidenza della realtà storica ribadendo i mea culpa e l’autocritica già esplicitate da papa Wojtyla.


Dall’argomento sulla pace, passiamo però all’argomento più di sostanza che ci possa essere per un enciclica sociale e cioè il lavoro.

Qui siamo al deserto culturale.

Questo papa ignora totalmente la ormai vasta letteratura sulla “fine del lavoro” che va da Jeremy Rifkin a Yuval Harari da Ray Kurzweil a Martin Rees a Jerry Kaplan tanto per fare qualche nome.


E’ sorprendente se non addirittura imbarazzante che quest’ultima enciclica sociale non contenga nemmeno nessuna di queste parole : robotica, intelligenza artificiale, ingegneria genetica, data analitics, profilazione.

Queste che sono semplicemente le linee guida dello sviluppo del nostro mondo sono addirittura ignorate.

Non sembra vero.

La non conoscenza porta a concentrarsi sul passato e non sul presente che è già futuro.

Il problema non è più l’eccessiva fiducia nel mercato.

Non è più l’eccesso di liberismo e l’egemonia della finanza sull’economia reale.

I problemi veri di oggi sono l’enorme velocità con la quale si sta diffondendo la robotica non solo per estendere la sfera dell’automazione ma nell’occupazione di spazi che un tempo erano considerati di assoluto predominio dell’intelligenza umana.

Quello che un tempo osavano presentare gli autori di fantascienza e di racconti distopici, in gran parte sono già arrivati a nella nostra realtà quotidiana.

Il governo cinese ha già ordinato robot a milioni per sostituire tra gli altri gli operai in carne ed ossa degli stabilimenti della Foxconn dove fra l’altro si assemblano quelle icone del nostro mondo che sono gli iphone della Apple, li ha già ordinati e quindi questo futuro è già il nostro presente.

Ma questo papa non lo sa evidentemente o magari invece lo sa benissimo.

Oggi il problema non è più il cattivo imprenditore che sfrutta il povero lavoratore.

Oggi il problema è il lavoro che non c’è più e che scomparirà ulteriormente a una velocità spaventosa nel futuro più prossimo a causa dell’arrivo inarrestabile delle nuove tecnologie.

Mi riesce come non verosimile che papa Francesco possa semplicemente ignorare queste nuove realtà.


Ma se non le ignora come è probabile allora per la sua chiesa le cose stanno anche peggio perché allora saremmo legittimati a dedurre che questo papa dia per scontata la sparizione progressiva della sua religione nell’Occidente sviluppato che si avvia a diventare ultra sviluppato con uomini che diverranno superuomini con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, mentre si preoccupa di conservarla nel mondo in via di sviluppo, per il quale il futuro si presenta tutt’altro che roseo.

Ecco allora che l’incoraggiamento ai movimenti popolari dell’America Latina, che qui da noi sono generalmente considerate formazioni folkloristiche e strampalate, viene fuori invece come la sua autentica direzione strategica.

Potrebbe anche avere ragione lui se pensa che per la chiesa cattolica rimanga spazio solo in altri continenti.

Mi si consenta di dire anche una cosa che non riesco a non dire.


Ma come è possibile che esca quest’ultima enciclica proprio nei giorni infelici per papa Francesco quando i giornali di tutto il mondo riportano notizie ghiotte sulla “Dama del Cardinale Becciu” (ex potentissimo sostituto alla Segreteria di Stato vaticana) che si sarebbe macchiata dell’appropriazione indebita di fondi destinati ai poveri o addirittura al pagamento dei riscatti di missionari prigionieri dei fanatici musulmani per sperperarli, si spera solo in parte,in generi di lusso.

Come è possibile che esca quest’enciclica in un tale momento senza che il papa senta il dovere nuovamente di chiedere scusa alla moltitudine dei fedeli che incredibilmente questa fedeltà gli rinnovano nonostante tali evidenze , per l’infedeltà non di un impiegatuccio qualunque, ma di membri della prima linea del potere vaticano?


Sono decenni che all’ombra dei sacri palazzi si ruba e si fornica, applicando l’esatto contrario dei precetti della dottrina sociale.

Chi ritiene di scrivere encicliche sociali non è attanagliato dal dubbio che la sua credibilità in materia sia ormai svanita proprio a causa di questi misfatti ?





sabato 3 ottobre 2020

Antonio Scurati : Mussolini l’uomo della Provvidenza

 




Puntuale dopo il grande e inusitato successo del primo volume del “romanzo” biografia di Mussolini uscito nel 2018 che ha valso lo Strega all’autore, ecco fresco di stampa il secondo, seguito naturale della prevista trilogia.

Questo “l’uomo della provvidenza” copre il periodo 1925-1932.

Primo commento : 640 pagine lasciano perplessi, ma sono ben scritte e scorrono con estrema facilità.

Nella sostanza direi questo.

Scurati intelligentemente non celebra e non demonizza nessuno.

E’ un romanziere non è uno storico e quindi da lui non ci si aspetta una selva di note che documentino le fonti sulle quali basa il suo racconto.

Ma dalle sue interviste sull’argomento si sa che a questa trilogia ci lavora da anni.

Si sa che ha visitato a lungo la monumentale storia del fascismo di De Felice, che ha avuto la fortuna di accedere all’epistolario della Sarfatti e che ha dedicato il tempo dovuto alla consultazione di prima mano degli archivi dove sono custoditi gli innumerevoli rapporti della polizia fascista, che per gli studiosi sono una vera manna.

Dopo la lettura del primo volume avevo ricavato tre impressioni fondamentali.

1- Lui, la figura del Duce. Il giovane figlio del fabbro socialista anarchico romagnolo che si inventa e si intesta il fascismo andando a cercarlo là dove lo poteva generare solo una particolarissima evenienza storica, che oggi è lontanissima e che forse per questo l’antifascismo ufficiale generalmente sottovaluta.

I fenomeni del “reducismo” e dell’ Arditismo” che hanno pesato in modo determinante negli anni appena dopo la Grande Guerra.

Il fascismo nato come squadrismo non avrebbe potuto sorgere ed affermarsi se non in quelle condizioni storiche.

Non credo di essere l’unico convinto che oggi chi blatera di supposti pericoli fascisti non sa di cosa sta parlando, perché il fatto storico “fascismo” non è ripetibile proprio a causa di questi due fattori che l’hanno generato e dei quali oggi la gente ignora praticamente tutto.

Il fascismo è anche tutto quello che uno dei nostri più grandi intellettuali Umberto Eco ha definito nell’aureo saggio intitolato “fascismo eterno”: autoritarismo, totalitarismo, dogmatismo, gerarchia, mancanza di senso critico, pigrizia, chiusura mentale e così via.

Sotto nuove forme potrebbero quindi essere ripescati questi attributi del fascismo etrno, ma mai potrebbe rinascere quel fascismo storico,perché non ci sono più quelle condizioni particolari di sfinimento, di enormi lutti e sofferenze, sopportate a causa della Guerra Mondiale, della frustrazione per avere tanto dato senza nulla ricevere in compenso,quel rancore per essere stati ingannati, quello spaesamento di chi torna alla vita civile dopo averne viste di tutti i colori e che invece di trovare chissà che ricompense non trova nemmeno il minimo sindacale e cioè un lavoro decente e quindi gli viene la tentazione di ammirare e imitare i “fegatacci” che passavano di notte le trincee col pugnale fra i denti per scoprire dove il nemico aveva sotterrato le mine e tagliar la gola a chi si trovava sulla loro traiettoria, gli Arditi.

I sacerdoti del mito dell’atto eroico, della violenza che risolverebbe tutto, della bella morte che riscatta una vita del cavolo.

2 – la figura centrale di Margherita Sarfatti colta nobildonna che nel ruolo di amante si accollò il ruolo di formatrice , di “stratega”, di “spin doctor”, si direbbe oggi, di quel giovane di belle speranze che era Mussolini e che tale sarebbe rimasto se non guidato da chi vedeva più lontano di lui.

3 – La spumeggiante presenza del Vate. Una figura tipica di quegli anni, che la vulgata antifascista ufficiale ha insensatamente cercato di ridicolizzare impedendo così alla gente di cogliere l’anima culturale del tempo.

Senza Gabriele D’Annunzio come si fa a capire nazionalismo, interventismo e fascismo?

Quei proclami ispirati, alla ricerca del sublime fino a riuscire a fanatizzare le folle fino al delirio.

Nel primo libro di Scurati il fascismo nasce ,si consolida e riceve un consenso oceanico, ma contemporaneamente arriva nel ‘24 con l’assassinio di Giacomo Matteotti sull’orlo di una caduta rovinosa.


In questo secondo libro si riparte da lì ,dall’orlo del baratro.

Un’ulcera duodenale da operare d’urgenza e mai operata per l’incredibile terrore verso il bisturi del chirurgo da parte di quello strano uomo per altri versi coraggioso fino all’azzardo, lo hanno portato a rischiare la morte proprio nel periodo della reazione a quel delitto infame che aveva messo seriamente in forse la tenuta del fascismo.

Volutamente Scurati comincia la narrazione da un Mussolini prigioniero per giorni, spesso in punto di morte, in una stanzetta pervasa dall’odore nauseabondo dei suoi secreti corporali, ancora una volta assistito per sua fortuna dalla mano ferma e dalle idee chiare di Margherita Sarfatti, un Mussolini che sopravvive con una dieta ferrea di bicchieri di latte e passati di verdure, che durerà praticamente una vita.

L’insistenza nel descrivere quell’ambiente cupo e pieno di disgustosi miasmi spinge il lettore a cogliere il senso di metafora che riveste quella scelta.

Perchè il libro sarà contemporaneamente la narrazione della glorificazione del primo decennio di un fascismo divenuto prima regime assoluto e poi divinizzazione del corpo del Capo, ma anche contemporaneamente la denuncia di un processo marcescente che comincia a corrodere tutte le istituzioni.

E’ una parabola di carriere che arrivano ad offrire ai gerarchi , potere smisurato, ricchezza sproporzionata , godimento spesso sfrontato dei piaceri della vita, fino a quando rimangono nelle grazie del Duce, ma anche cadutoni rovinosi e infamanti cacciate, quando il favore del Capo viene meno.

A cominciare proprio dalla Sarfatti

che all’inizio del libro è all’apice del potere come organizzatrice della prima mostra d’arte del Novecento a Milano nella sua veste di responsabile de facto della politica del regime nelle belle arti, ma alla fine dello stessi libro è umiliata fino a subire due ore di attesa nel corridoio antistante la Sala del Mappamondo a Palazzo Venezia fino a quando non si convince ad andarsene perché il Duce non è chiaro che la vuole ricevere.

La parte del condottiero sognante e leggendario che aveva avuto D’Annunzio nel primo libro in qualche modo è sostenuta nel secondo da Rodolfo Graziani.


Militare che viene dalla gavetta fino ad assurgere alla leggenda di un Laurence d’Arabia italiano.

Descrivendo tra l’altro le imprese belliche di Graziani, Scurati riesce a parlare della conquista della Libia per quello che è, buttando nel cestino le grottesche caricature dell’antifascismo di maniera che hanno fatto credere che la conquista del presunto “scatolone di sabbia” sarebbe stata poco più di una passeggiata da parte di truppe moderne contro beduini armati di lance.

Nulla di tutto questo è mai avvenuto nella realtà.

Quella di Libia è’ stata una guerra durissima in territori sconfinati contro una popolazione tribale fiera e ben armata, che ha saputo giocare per anni la carta delle tattiche di guerriglia in un territorio impossibile, contro un corpo di spedizione numeroso e decentemente armato, ma che era culturalmente del tutto impreparato a quel tipo di guerra.

Graziani ha consentito di portare a termine la conquista della Libia perché aveva capito che quel tipo di guerriglia si combatte in modo efficace solo con le stesse tattiche.

Coi cammelli e non con autocarri o autoblindo e con gli aerei usati col contagocce, perché nel deserto un ricognitore si vede e si sente molto ma molto da lontano e a questo punto chi vuole scappare, scappa.

Graziani ha cercato di capire bene il deserto prima di osare avventurarcisi.

Ciò non toglie che lo stesso Graziani se pure si è guadagnato buona parte della leggenda della quale si era ammantato ,si è anche ricoperto dal disonore (beninteso insieme ai suoi superiori) di rastrellamenti, campi di concentramento, stragi al limite del genocidio con l’uso di gas tossici già proibiti dalle convenzioni internazionali.

E’ chiaro che Scurati non lo ama ed anzi arriva chiaramente ad additarlo al disprezzo del lettore quando non concede nemmeno l’onore delle armi al suo implacabile nemico sconfitto Omar Al Muktar, capo anche lui leggendario della setta Senussa.


Un altro protagonista di questo periodo e quindi di questo libro è Augusto Turati ,

segretario nazionale di partito fascista dopo la cacciata di Farinacci.

Mussolini era stato squadrista e fra i suoi squadristi non ci si trovava affatto male, ma come sempre capita, arrivato al potere ,uno dei primi pensieri che ha avuto è stato quello di far rientrare tutti i manipoli nell’ordine costituito, diversamente avrebbe dovuto governare il caos di una rivoluzione permanente e questo non è notoriamente possibile.


A Farinacci questo non garbava proprio e di fronte all’ordine di normalizzazione del Duce andava avanti come se niente fosse.

Mussolini lo ha sostituito alla testa del partito con un uomo d’ordine come Turati, ma Farinacci da fuori è rimasto per anni una spina nel fianco.

Era forse l’unica persona che Mussolini temeva.

Turati è stato messo al suo posto per essere l’anti- Farinacci e farla finita con i dissidi e i sogni di gloria dei mille ras locali.

Per anni si è dedicato con dedizione e assoluta fedeltà al Duce,portando avanti quel compito anche con intelligenza ed in buona parte i suoi sforzi sono stati premiati.

E’ quindi con sorpresa che il lettore alla fine del libro, prima rimane sconcertato dal fatto che il Capo accetta le sue dimissioni, ma ancora più sorpreso si ritrova quando apprende che Turati che si ritrova assediato da una campagna di fango buttatagli addosso dai nemici che si era fatto, a base di accuse di scandali sessuali, rivelatasi in gran parte falsi, cerca Mussolini, ma il Duce non muove un dito e lo lascia affogare.

Questa ingratitudine per Scurati rivela una degenerazione avvenuta nei comportamenti del Capo che lo vede avviato a staccarsi sempre più dalla realtà per confidare solo in sé stesso.


Il fratello Arnaldo Mussolini è visto da Scurati come una figura positiva, che sta a dimostrare come anche una persona disordinata come Mussolini cercasse di trovare un po di equilibrio se non nella famiglia nel suo complesso, almeno in un famigliare del quale si fidava ciecamente.

Arnaldo era una delle poche persone “normali” di questa storia.

Messo a dirigere il giornale di famiglia il Popolo d’Italia, da Milano aveva la parte del confidente e del consigliere più ascoltato al punto che i due fratelli si sentivano sistematicamente per telefono tutte le sere per scambiarsi le idee.


La famiglia. Il resto della famiglia per Mussolini era più una scocciatura che un appoggio.

La moglie ufficiale viveva su un altro pianeta se è vero che non faceva che ripetere a Benito “quando non contavamo niente allora eravamo felici, torniamo al paese!”

La figlia prediletta Edda aveva avuto la terribile sorte di avere preso tutto da suo padre e quindi era fonte di casini costanti.


Altro personaggio che ha conquistato un suo spazio in questa storia è Arturo Bocchini,

che non solo è stato il capo, ma addirittura è stato l’inventore e il costruttore della polizia fascista.

Personaggio particolare, signorotto meridionale ,gran gaudente, apparentemente rozzo, ma singolarmente scaltro.

Se gli studiosi oggi vengono presi dallo sconforto quando mettono mano alla sterminata documentazione che ha lasciato, questo significa che il suo mestiere lo ha saputo fare anche troppo bene, dato che spiava perfino il suo Duce senza trascurare nemmeno la camera da letto lasciando rapporti di polizia su tutto.

Se spiava il Duce, figuriamoci i coraggiosi ma inconcludenti esuli antifascisti riuniti sopratutto a Parigi, di loro si sapeva assolutamente tutto.

Si diceva sopra che questo libro sul trionfo del fascismo nel suo primo decennio, è tutto pervaso da una più o meno sensibile aura di marcio, di putrescente.

Altro che la celebra battuta di Almirante che sosteneva che al Duce appeso in Piazzale Loreto non poteva uscire dalle tasche nemmeno un centesimo.

Gli arricchimenti dei gerarchi erano materia assolutamente senza segreti, noti a tutti, anche a causa degli scandali pubblici che in alcuni casi avevano provocato, i nemici di fazione quando li avevano dati in pasto al popolo.


A cominciare da Belloni Ernesto, Podestà di Milano.

Chimico sempre convinto di essere sul punto di fare invenzioni portentose, mai realizzatesi era però in un numero impressionante di consigli di amministrazione di industrie dove è riuscito ad arricchirsi in brevissimo tempo.

Travolto poi da una serie di scandali relativi a malversazioni e uso a fini privati del denaro pubblico.


Sempre a Milano uguale sorte è toccata a Mario Giampaoli, federale di Milano.

Scurati lo battezza uomo dei bassifondi.

E’ l’uomo del fascismo sociale e popolare.

Ha però un idea geniale, quella di fondare i “gruppi Aziendali”che nel corso del tempo sono riusciti a scalfire il monopolio dei comunisti nelle fabbriche.

Anche lui dovrà abbandonare tutto, travolto dagli scandali relativi a sesso ma sopratutto soldi pubblici.



i grandi del mondo

Limitiamoci a tre, ma di peso.

Un Winston Churchill che stravede e fa il tifo per il Duce.

Un papa che benedice l’uomo della provvidenza

Un devoto ammiratore austriaco, che pure stravede per Mussolini al punto da essersi messo in coda invano da anni per esserne ricevuto.

Incredibile pensare che si trattava di Adolf Hitler in persona.


Volutamente ho solo lasciato finora nell’ombra,

lui il Duce,

perchè la sua parabola è ben descritta dagli alti e i bassi dei suoi sodali.

Una cosa che impressiona e che non ricordavo bene è che in questo periodo storico abbastanza breve, sette anni, Mussolini subisce la bellezza di cinque attentati, ai quali scampa per un soffio.

Significativi sono gli accenni che Scurati fa del penultimo, quando la fama di quelli precedenti rendeva la gente quasi incredula del fatto che una tale fortunata sorte potesse capitare a un mortale se pure il loro Duce.

E infatti Scurati ci dice che dopo avere scampato il quarto attentato che ha lasciato la fascia dell’ordine dell’Annunciata che Mussolini portava nelle cerimonie mentre si recava alla sede del Fascio adornata con un vistoso buco di proiettile , molta gente al passaggio della sua auto, anziché salutare romanamente si era inginocchiata.

La sorte l’aveva trasfigurato : era diventato Augustus, Pontifex Maximus.

Il fascismo diventava religione civile, il Concordato, pure voluto ostinatamente da Mussolini anche se i suoi lo avversavano come un inaudito cedimento, era chiaramente solo un corollario, la religione era transitata ad un altra chiesa, non meno potente già prima della firma di quel trattato.

L’allontanamento dal potere degli unici personaggi che Scurati presenta come positivi, la Scarfatti, Turati, il fratello Arnaldo deceduto prematuramente, lasciano Mussolini all’apice, nel ruolo ormai di dittatore semidio, ma l’altra faccia della medaglia è che il personaggio si ritrova talmente solo da perdere completamente la percezione della realtà, gia al passaggio del primo decennio.

La nomina da parte sua di una nullità come Starace al posto di Turati, viene di fatto indicata da Scurati come indice di questa degenerazione ormai avvenuta nelle capacità decisionali del Capo.

Ha intorno uno stuolo di yes men, non poteva andare lontano in quelle condizioni.



venerdì 25 settembre 2020

Yuval Noah Harari : 21 lezioni per il XXI secolo

 



Ed eccoci all’ultimo lavoro della trilogia di Harari, che è anche il volume di più recente pubblicazione 2018.

Vedremo che questo fatto ha delle conseguenze perché Harari ne approfitta per aggiornarci sulla evoluzione del suo pensiero anche in materie di notevole peso.

Premetto però che è altamente consigliabile per il lettore seguire lo sviluppo del pensiero dei questo autore seguendo la cronologia delle uscite : Sapiens, Homo Deus e Lezioni.

Harari sa scrivere in modo accattivante ma non nascondiamoci che l’ argomento non è dei più semplici da trattare e per di più la linea di pensiero dell’autore richiede nel lettore la necessità di metabolizzare affermazioni spesso contro- intuitive che richiedono un po di tempo per essere analizzate.

Ricordiamoci infine che si tratta purtroppo di una materia che non è ancora nei normali canali dell’”offerta formativa” della nostra scuola e che quindi il lettore si troverà necessariamente ad esplorare campi completamente vergini.

Ma questa è anche la ragione dello straordinario successo che ha avuto la pubblicazione di uno studio di livello accademico anche se scritto a beneficio del pubblico “normale”.

Purtroppo devo confessare che le pagine di questi libro sono 490, ma il lettore si rallegri, vedo dalla pagina che gli dedica Amazon che Sapiens è stato tradotto in un film da Ridley Scott con la direzione di Asif Kapadia.


Forse non poteva fare diversamente, ma Harari comincia come è nel suo stile con l’assestare un bello schiaffone al tranquillo lettore, contento del suo bagaglio di pregiudizi, che però per lui sono quelle che ha maturato come “certezze” che usa per dare senso e sicurezza alla sua vita.

Gli umani si basano su storie piuttosto che su fatti, numeri ed equazioni : questo è l’incipit del libro.

Storie, miti,fascismo, comunismo, liberalismo.

Per chi non avesse letto i libri precedenti ricordo che nell’ottica di Harari le così dette ideologie sono equiparate alle religioni essendo tutte creazioni uscite dalla fantasia creativa dell’uomo nel corso dei millenni per risolvere problemi pratici come dare legittimità ad altre creazioni fantastiche come stati, imperi, nazioni, corporations. banche, monete.

L’ultima di queste storie nelle quali ha creduto l’uomo, il liberalismo ,è piuttosto in crisi a seguito delle più recenti crisi economiche ed al minore appeal del quale soffre la democrazia rappresentativa.

Ma per l’uomo dice Harari, anche quando scopre i limiti delle religioni, ideologie etc, è terrificante trovarsi senza storie che diano senso alla vita.

Questo processo di disillusione verso la religione seguita più di recente è stato reso più rapido e più profondo dall’enorme progresso della tecnologia , si pensi solo alla diffusione di Internet che in fondo esiste solo dagli anni ‘90.

Il potere si è spostato ed anche questo genera sconcerto, non è più la terra o le macchine o le materie prime, si è spostato su cose immateriali come l’informazione.

Noi stiamo imparando addirittura a estendere la vita umana, disegnare la nostra mente, uccidere pensieri a nostra discrezione.

Scenari di enorme miglioramento per certi verso come nella salute, ma con conseguenze terribili e di enorme portata come il fatto dei lavori che perderanno ogni senso, costringendo le masse all’irrilevanza a favore di una ristretta cerchia di super uomini, super istruiti.

Non parliamo del collasso ecologico che prosegue senza che ce ne sia una sufficiente presa di coscienza ed ancor meno reazioni proporzionate.

Ma inesorabilmente i computer stanno progredendo nella abilità dell’analizzare il comportamento umano fino ad acquisire la capacità di predire le decisioni umane.

A questo punto è la fine lavoro per impiegati in genere, di banca in particolare, medici, farmacisti, guidatori di ogni tipo, avvocati e giudici eccetera.

L’intelligenza artificiale ha non soltanto la capacità di superare le nostre facoltà nel calcolare probabilità in un millesimo di secondo, ma ha superiore abilità nelle decisioni basate sull’intuizione ed eccelle nel possesso di connettività e di capacità di aggiornarsi.

Più i lavori sono di routine, più è facile rimpiazzare uomini con macchine, ma più il lavoro richiede un vasto campo di abilità più è difficile sopratutto se comporta di dovere fronteggiare scenari imprevedibili.

Lo stesso discorso si può fare nelle materie nelle quali è implicata la creazione artistica.

Mentre nei volumi precedenti Harari tendeva a ipotizzare tranquillamente la sostituzione dei compositori con assemblatori inanimati, lasciando parecchio sconcertati molti lettori, in questo libro afferma invece che l’arte sia qualcosa di più profondo che non emozioni umane, vibrazioni biochimiche e algoritmi biometrici.

In vista del mondo nuovo occorre quindi al più presto focalizzarsi su nuovi tipi di lavori che in quel mondo abbiano piena utilità come la manutenzione, il controllo da remoto, analisi dei dati e cyber sicurezza.

Il problema più evidente anche a un primo approccio è che tali tipi di lavoro richiedono un livello molto alto di specializzazione.

Occorre tener conto che non solo l’idea di posto fisso verrà ritenuta antidiluviana, ma lo stesso giudizio verrà dato anche all’idea di una medesima professione praticata a vita.

A queste nuove sfide è chiaro che non si può rispondere se non organizzando un sistema di educazione completamente diverso nel senso che sia indirizzato verso l’istruzione permanetene ben oltre l’età scolare perché il tipo di vita che ci aspetta richiederà che ci si reinventi continuamente.

In ogni caso i governi dovranno studiare sistemi di reddito universale di base perché i senza lavoro saranno i più tassando i profitti delle aziende che producono robot e controllano gli algoritmi.

Un altro modo di raggiungere il medesimo scopo è quello di valutare economicamente i servizi che si rendono ad esempio in famiglia accudendo ai figli.

Oppure rendendo gratuiti i servizi essenziali come educazione sanità trasporti e così via.

Raggiungeremo gli scopi quasi utopici che si proponevano i teorici del comunismo ? Si chiede Harari.

E’ chiaro che il nuovo mondo che si delinea costerà carissimo ai paesi in via di sviluppo che rischieranno il collasso.

In scenari così destabilizzanti,Harari invita però a considerare il fatto che ormai c’è una evidenza scientifica sul fatto che la felicità alla quale tutti agogniamo non la si raggiunge col maggior possesso di beni o di ricchezza, ma dedicandosi a qualcosa di appagante relativamente alla nostra domanda di senso.

Harari ,che è un laico a tutta prova ,cita a dimostrazione di questa asserzione lo studio fatto in Israele sul grado di soddisfazione nella vita percepito nelle varie occupazioni dal quale risulta che la categoria di persone più soddisfatta è quella degli ultra-ortodossi,gli Haredim, che non svolgono nessun lavoro e sono esonerati dal servizio militare ma sono stipendiati dallo stato per studiare la Torah e le sue interpretazioni, oltre a seguire alla lettera le prescrizioni del Levitico.

Per capire le basi di questo nuovo mondo Harari invita a prendere coscienza del fatto, appurato dalle neuroscienze, che le nostre sensazioni e anche i nostri sentimenti non sono altro che meccanismi biochimici riducibili ad algoritmi, usati in ultima analisi per calcolare rapidamente le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione.

E’ un inganno della mente quello che ci fa credere che i sentimenti sarebbero basati su intuizione, ispirazione o libero arbitrio, essi sono in realtà basati sul calcolo.

Occorre quindi superare l’illusione secondo la quale io sarei in grado di controllare il mio sé.

Bisogna altresì prendere coscienza del fatto che oltre ha non godere di libero arbitrio e di uno spazio tipo anima individuale, il sistema esterno che processa i dati è in grado di hackerare i nostri desideri, le nostre decisioni, le nostre opinioni fino a poter determinare chi e cosa siamo con più precisione di quanto potremmo mai fare noi.

Una preoccupazione- obbiezione che viene di solito mossa a questo nascente enorme potere in mano all’intelligenza artificiale è che le macchine sarebbero del tutto incapaci di sottoporsi a regole etiche.

Questo modo di ragionare è erroneo perché proprio per il fatto che diversamente da noi le macchine non sono state modellate dalla selezione naturale non hanno né emozioni né istinti.

Ma proprio per questo non sono limitate dalla zavorra dei nostri pregiudizi e quindi in momenti di crisi possono seguire guide etiche meglio di noi.

Certo che i moderni sistemi di controllo in mano a un potere dittatoriale sarebbero un arma terribile.

Tutto si basa sul controllo dei dati per anticipare e provocare le nostre decisioni è vero, però non dimentichiamo che il meccanismo della nostra mente è strutturato esattamente nello stesso modo.

Harari nella sua trilogia ripete la scioccante evidenza secondo la quale ben lontani dal godere di libero arbitrio e di possedere una anima singolare e immutabile, siamo in balia di pulsioni che ci inducono a decisioni che avvengono per lo più in automatico e non per nostra scelta, spesso influenzati pesantemente da pregiudizi inculcateci dal lavaggio del cervello operato da chiese culture famiglia e gruppi sociali.

L’intelligenza dice Harari è l’abilità di risolvere problemi mentre la coscienza, la consapevolezza è l’abilità di sentire cose come pena, gioia, amore, odio.

Il problema è che conosciamo a tutt’oggi troppo poco sulla coscienza.

Ci può confortare il fatto che nel futuro più vicino l’uso dell’intelligenza artificiale continuerà a dipendere in una certa misura dalla auto-coscienza umana.


Coloro che posseggono i dati posseggono il futuro, sostiene Harari

I cacciatori -raccoglitori di 70.000 anni fa avevano di proprietà personale ben poche cose, tanto che il concetto di proprietà privata praticamente non esisteva, ma questo era la loro fortuna perché è con l’affermarsi del concetto di proprietà che è nata la disuguaglianza e la gerarchia.

Si è arrivati alla proporzione odierna che vede l’1% della popolazione mondiale possedere metà di tutta la ricchezza della terra e in futuro sarà anche peggio perché le misure per estendere la vita e ridisegnare in meglio corpo e mente saranno operazioni costose che solo una élite sarà in grado di procurarsi.

Ma quali saranno i beni del futuro sul possesso dei quali misurare la ricchezza?

Saranno i dati, concentrati in poche mani.

I famosi giganti del web Google,Facebook Baidu, Tencent, gestiscono un business che la gente ancora non capisce bene in cosa consista e tende a credere che sia concentrato nel vendere pubblicità.

Non è così, perché noi non siamo i loro clienti, noi siamo il loro prodotto.

Mi permetto di ricordare al lettore che se vuole avere un aggiornamento chiaro e ben fatto sull’argomento potrebbe ricorrere all’ottimo documentario sul circuito Netfix “The social Dilemma”.

Come facciamo a fidarci dei pochi o pochissimi che dispongono dei nostri dati?

Nazionalizziamo le corporation che li posseggono dice qualcuno, ma per metterli nelle mani dei politici ,e chi li ritiene più affidabili?

E’ difficile trovare una soluzione anche se l’unica cosa certa che si può dire in proposito è che la soluzione se c’é deve essere necessariamente presa dalla comunità delle nazioni.

Ma nazionalismi religioni e culture dividono l’umanità.

Come i nostri antenati cacciatori raccoglitori riuscirono a vivere grosso modo 58.000 anni fà verosimilmente più felici di quanto siamo noi oggi facendo a meno di religioni e nazionalismi, è possibile che l’umanità possa farlo anche nel 21° secolo.

Una soluzione potrebbe essere incoraggiare la gente ad andare on line solo quando proprio necessario, dedicare più attenzione al loro ambiente circostante ai loro corpi ed ai loro sensi.

Oltretutto è dimostrato che gli umani possono essere fedeli a diversi gruppi contemporaneamente perfino in campo religioso.

La sociologia religiosa ha messo in evidenza che è assolutamente normale che ognuno nell’ambito delle grandi religioni universali si costruisca una sua religione fai da tè, assemblando alcuni dogmi-verità e lasciandone fuori altri, come del resto fanno anche i vertici istituzionali delle medesime aggiornando, contraddicendosi ,arrampicandosi sui vetri con traduzioni e interpretazioni spesso inverosimili per sopravvivere lottando contro la loro irrilevanza.

Del resto il mondo funziona così, le cose mutano, la continuità di fatto non esiste.

Sui tempi lunghi religioni e nazionalismi che spingono per chiudere gli adepti in recinti sono sempre stati sconfitti dalla tendenza umana innata a indirizzarsi verso coalizioni più ampie ,dalla tribù a gruppi sempre più ampi.

I nazionalismi e le religioni che spingono verso le chiusure settarie hanno successo solo praticando il lavaggio del cervello propaganda e disciplina, controllo sociale, contro l’istinto dell’uomo a socializzare con altri.

Nel mondo di domani questi atteggiamenti saranno ancora più evidenti.

Coloro che promuoveranno identità saranno il problema non la soluzione del problema.

Marx ha sicuramente esagerato quando ha bollato le religioni come pure superstizioni perché non ha colto l’enorme potere politico che raccolgono le religioni fabbricando identità di massa.

Ma per risolvere i problemi del 21° secolo esse non sembra abbiano qualcosa di rilevante da dire.

Religioni nazioni e culture chiuse dovremmo riuscire a ridimensionarle nelle loro pretese si essere ognuna migliore e superiore all’altra, dobbiamo insegnare loro l’umiltà.

Il mondo non ha bisogno di loro perché quello che serve ed in particolare moralità, arte, spiritualità e creatività sono abilità umane universali contenute nel nostro DNA.

Per fare un esempio gli Ebrei non sono mai stati di più di una piccola tribù medio orientale che anche tramite i racconti biblici assemblati a tal fine ha mirato a presentarsi come aspirante ad un ruolo molto più grande dipingendosi come superiore a tutti gli altri,ma in realtà il loro contributo alla storia dell’homo sapiens che conta 100.000 anni, diventa insignificante rispetto alla sua storia che non va oltre a poco più di 4.000 anni.

Ci sono codici etici scritti nel DNA umano compresi il non uccidere e il non rubare, senza bisogno di ricorrere ai miti ed alle storie delle religioni universali, che poi nel corso dello sviluppo storico hanno fatto il copia e incolla usando le prescrizioni vigenti degli imperi precedenti.

Sumeri,Egiziani,Assiri e Babilonesi avevano i loro codici che sono entrati nei racconti biblici.

Confucio,Laotze,Buddah e Mahavira stabilirono codici di leggi universali molto prima di Paolo di Tarso e di Gesù.

Da un punto di vista dello sviluppo storico il monoteismo descritto come un progresso è stato invece una delle peggiori idee dell’umanità, perché spinse i popoli che lo accettarono a divenire molto più intolleranti di quelli che li avevano preceduti.

Prova ne siano i decreti di Teodosio del 391 quando fu stabilito che le religioni accettate dall’impero erano solo la cristiana e l’ebraica, mentre chi avesse praticato le altre anche solo fra le mura domestiche sarebbe stato passibile della pena di morte, compresi i fedeli di Giove e di Mitra.

Come nacque il nome di dio? Quando ci accorgemmo delle molte cose che ignoravamo, demmo il nome di dio alla nostra ignoranza.

Molti credono a torto che la moralità non sarebbe più rispettata se non la si fondasse più sul nome di un dio.

Ma la moralità non vuole affatto dire seguire i comandi di un dio.

La moralità in estrema sintesi significa ridurre la sofferenza senza bisogno di credere in nessun mito.

Il secolarismo ci può offrire tutti i valori dei quali abbiamo bisogno, le religioni non sono altro che storie inventate dai nostri antenati per legittimare norme sociali e istituzioni politiche.

Molti dei valori portati dal secolarismo sono condivisi da varie tradizioni religiose.

I secolaristi sono a loro agio con diverse identità ibride.

La loro principale convinzione è che la verità è basata sull’osservazione della realtà e sull’evidenza piuttosto che sulla mera fede.

La seconda principale convinzione è la compassione , una particolare attenzione alla sofferenza propria e degli altri e quindi alla ricerca di vie che possano limitare o evitare questa sofferenza ,basandosi sulla guida di studi scientifici.

Vi è infine la ricerca dell’eguaglianza, della libertà di pensiero di ricerca e di sperimentare.

Richiede una grande quantità di coraggio combattere i pregiudizi e i regimi oppressivi.

Le persone secolariste cercano la responsabilità e si sforzano di esercitare la propria.

Le religioni predicano per lo più amore e misericordia, ma hanno provocato odio e guerre in misure incredibili. Come hanno fatto ad essere state così distorte?

Perché la pretesa di possedere l’unica verità è fonte di disastri per il semplice fatto che è una enorme menzogna.

La base della convivenza civile e della tolleranza è il riconoscimento dell’ignoranza.

La scienza moderna ci ha dato 500 anni di scoperte che hanno cambiato tutto proprio grazie al fatto di essere basata su questo principio di fondo, il riconoscimento dell’ignoranza e non del possesso di presunte verità eterne e immutabili.

Le moderne neuroscienze hanno per di più dimostrato che noi conosciamo parecchio meno di quello che crediamo di conoscere.

Noi conosciamo poco e quel poco lo dobbiamo per lo più non a noi stessi, ma alla nostra naturale tendenza a vivere in gruppo e a condividere.

Nessuno di noi ha le nozioni per costruire una cattedrale o la bomba atomica o un aereo.

Noi sfruttiamo le abilità e le conoscenze di tutti gli altri per pressoché tutti i nostri bisogni.

La conoscenza (dei singoli) è un illusione.

Abbiamo bisogno di sperimentare facendo diversi passi improduttivi, abbiamo bisogno di perdere del tempo girando qui e là intorno alla periferia di un problema, perché il centro è costruito sulla base della conoscenza acquisita e questa si deve scalfire per andare oltre.

Non c’è tanto da temere odio e arroganza, c’è più da temere ignoranza e indifferenza in questo mondo che è diventato troppo complesso e complicato.

I pregiudizi sono oggi ancora molto diffusi e potenti proprio perché danno l’illusione di sfuggire alla frustrante complessità del reale.

Adamo ed Eva non sono mai esistiti, ma la cattedrale di Chartres è ancora lì in tutta la sua magnificenza.

La Bibbia è una storia che non ha alcuna maggiore dignità di altre storie come quelle di Harry Potter, ma questo non significa che tutte le storie siano necessariamente dannose o senza significato , esse possono essere tuttora belle e piene di ispirazione, purché ridotte a quello che sono in realtà e depurate da pretese assurde, che stanno insieme solo perché sostenute da martellante propaganda e da lavaggi del cervello.

Non dimentichiamoci del genio della propaganda hitleriana che era Joseph Goebbels che applicava il principio secondo il quale una menzogna detta una volta è una menzogna, ma se è ripetuta molte volte diventa una verità.

Dobbiamo imparare a uscire fuori dalla macchina del lavaggio del cervello, studiare i fatti e le cose che ci fanno soffrire, smascherare i nostri pregiudizi verificando le nostre fonti di informazione che ci hanno installato quei pregiudizi, leggere letteratura scientifica rilevante perché rivista da “pari”.

Non fidiamoci degli ideali che ci pone il mondo di cartapesta dei flm, non è comprando più cose che diventeremo più felici.

È vero che la tecnologia è oggi usata per manipolare la nostra mente e controllare gli esseri umani,ma teniamo ben presente, come si era già detto che gli umani sono già intrappolati per natura nella scatola della loro mente che è a sua volta ben chiusa in una trappola più grossa che è quella della società umana con le sue innumerevoli storie che ci sono state propinate.

La specie umana è diventata quella dominante proprio grazie alla sua capacità di manipolare le menti.

Aldous Huxley scrisse il suo “Brave New World” nel 1931 con il comunismo e il nazi-fascismo gia ben installati in Russia e in Italia e lì per trionfare in Germania, immagina una società futura senza guerre, carestie e epidemie, che si gode pace ininterrotta prosperità e salute.

La gente diventa consumatrice, dà libero sfogo a sesso, droghe e musica e si pone come supremi valori la felicità ,la scienza può manipolare l’algoritmo umano e il Governo del Mondo usa la tecnologia perché ognuno sia soddisfatto e quindi non avere ragione di ribellarsi.

Secondo Harari la genialità nella visione di Huxley sta nel fatto che è molto più facile controllare la gente attraverso piacere e amore che attraverso violenza e paura. E’ questo che lo rende distopico.

Ebbene il nostro futuro sarà tutto diverso da quello che conosciamo e questa è contemporaneamente fonte di esaltazione di frustrazione.

Non potremo difenderci che giocando tutto sull’educazione permanente, per evitare che la nostra psiche schianti.

La certezza sarà riconosciuta come menzogna e la assoluta discontinuità come la verità.

Occorreranno grande flessibilità e grandi riserve di bilanciamento emozionale.

Dovremo correre più forte dei progressi degli algoritmi,

L’eternità conoscibile consiste nei 13,8 miliardi di anni che ci distanziano dal Big Bang.

Il pianeta Terra data 4,5 miliardi di anni.

Gli umani (non i Sapiens) datano 2 milioni di anni.

Se riflettiamo ai lassi di tempo in queste prospettive ci rendiamo conto di quanto siano limitate e incomplete fino al ridicolo le storie che costituiscono il nostro universo culturale.

L’universo non funziona come una storia mentre la nostra identità personale e le nostre istituzioni collettive sono costruite sulla storie, liturgie e magie.

Tutte le storie sono piene di buchi e di contraddizioni e questa è probabilmente la ragione per la quale la gente fa riferimento e diverse storie e identità contemporaneamente e solo raramente si lascia infinocchiare in storie fanatiche che chiedono assoluta e univoca fede come il nazi fascismo o certe religioni.

Ma come ne usciamo dalla presa di coscienza che non abbiamo il libero arbitrio nel senso di libertà di scegliere cosa desiderare perché legati da vincoli genetici e culturali ?

Dalla consapevolezza che non governiamo nemmeno la nostra mente perché non possiamo dire ai neuroni come muoversi e creare connessioni?

Tutt al più possiamo assistere a pensieri, emozioni e desideri che appaiono e scompaiono di continuo senza una ragione e senza che siano preceduti da un nostro comando.

La prima cosa da conoscere di tè stesso dice Harari è che tu non sei una storia.

Inaspettatamente, ma fino a un certo punto, Harari conclude il suo libro facendo un riferimento diretto al Buddismo che riconosce il fatto che l’universo non ha nessun significato e che il sentire umano non fa parte di una grandiosa storia cosmica.

Le nostre sensazioni sono vibrazioni effimere.

Tutto cambia costantemente, niente ha un’essenza che perduri, nulla è completamente soddisfacente e quindi non si potrà mai incontrare questa essenza che molti chiamano dio perché non c’è.

E quindi la domanda che gli umani si debbono fare non è quale è il significato della vita, ma come possiamo riuscire a uscire dalla sofferenza?

La risposta, dice Harari, non è una storia ma è la meditazione.

Quello che io riesco a cogliere osservando che mi sta attorno, la gente che mi sta attorno, i libri che ho letto alla fin fine sono storie elaborate.

La meditazione Vipassana significa introspezione.

Non cercare di controllare il tuo respiro, solo osserva la realtà del momento presente fino a quando non diventerai cosciente che la tua mente ha cominciato a vagare fuori dal tuo respiro, ti accorgerai che avrai controllo di tè stesso con difficoltà.

Capirai che la sofferenza non è un qualcosa di obiettivo nel mondo esterno, ma che è una reazione mentale generata dalla tua stessa mente.

Acquisire questa consapevolezza è il primo passo per cessare di generare nuova sofferenza.

La meditazione è uno strumento per osservare la mente direttamente, bisogna quindi allenarsi a calmarsi ed a concentrarsi in modo metodico.

Avendo personalmente frequentato per decenni la cultura cattolica non posso non provare soddisfazione a vedere che uno studioso del livello di Harari si pone in un filone di pensiero che è stato visitato e spesso fatto proprio da eminenti esponenti della spiritualità cattolica come Thomas Merton, Raimond Panikkar, Luigi Lombardi Vallauri, e più recentemente Vito Mancuso.

Tutti personaggi che pur sapendo bene che scegliere la libertà di ricerca avrebbe significato per loro la certezza di essere buttati fuori dal recinto della chiesa istituzionale, hanno scelto la libertà di ricerca con determinazione.



venerdì 18 settembre 2020

Yuval Noha Harari : “Homo Deus”

 




In un momento storico afflitto culturalmente da un pensiero unico parecchio appesantito dal pregiudizio del politicamente corretto a tutti i costi, un scrittore come Harari, che per di più è anche accademico, sembra spesso il classico elefante in un negozio di cristalli.

Caspita se le spara grosse.

Per certe categorie di lettori come come preti,rabbini e mullah e seguaci almeno al primo impatto sarà addirittura fonte di sofferenza.

Per chi invece si riconosce in quella che lui chiama la rivoluzione scientifica, invece sarà una costante goduria.

Piano però, le sue affermazioni, anche se assolutamente appoggiate da solide evidenze, sono spesso un pugno nello stomaco, che ci fa brancolare nel buio alla ricerca di una qualche via di uscita meno sgradevole.

Ma confrontarsi con le evidenze scientifiche anche quando i nostri pregiudizi religiosi o culturali tendono a farcele rifiutare, è un lavoro al quale dobbiamo costringerci, sia che gli scenari relativi alle rivoluzioni tecnologiche in arrivo siano una realtà con quale dovranno convivere già i più giovani di noi o invece riguarderanno più avanti nel tempo i nostri figli o i nostri nipoti.

Questo libro è con tutta evidenza il seguito logico di “Sapiens, da animali a dei” , citato infatti fin dalla copertina.


L’incipit non può essere che uno e cioè appunto la rivoluzione scientifica dal ‘500 in avanti.

Le leggi del moto di Isaac Newton,il dialogo sui massimi sistemi di Galileo, Charles Darwin con l’evoluzione, via via fino a Albert Einstein e la relatività, il principio di indeterminazione di Heisemberg e la fisica quantistica, tutti citati nell’opera precedente, che non è male richiamare.

In realtà però questo libro comincia su una chiave positiva mettendo in evidenza il fatto che la rivoluzione scientifica ha consentito all’umanità di ridurre in modo drastico le precedenti carestie, di affrontare le epidemie con una efficenza una volta impensabile, e infine a ridurre le guerre all’insignificanza.

Bella la considerazione che Harari fa sulla guerra quando dice che nel nostro mondo moderno la ricchezza non è più nella terra o nelle risorse naturali,ma ormai è migrata nella conoscenza e questa non può essere acquisita tramite la guerra.


Dopo queste eclatanti vittorie l’uomo, dice Harari, è incamminato ad acquisire l’immortalità, la felicità e la divinità.

Che coraggio! Dice proprio così e in modo diretto.

Il capitolo è intitolato con estrema chiarezza “gli ultimi giorni della morte”.

La vita è sacra come è scritto nella dichiarazione di diritti umani, dice Harari, ma questo non significa che si debba continuare a credere che sarebbe sacra per un decreto di un presunto dio e che quindi la morte sarebbe nelle mani del medesimo dio, come la vita.

La scienza invece ci dice semplicemente che la morte è un problema tecnico, come tanti altri, un malfunzionamento al quale è possibile porre rimedio se solo ci decidessimo a farne parlare non preti e teologi, ma gli ingegneri.

Del resto l’aspettativa di vita è raddoppiata nel corso dell’ultimo secolo e quindi arrivare in una prima tappa a 150 anni è cosa verosimile.

Citando non a caso Epicuro Harari dice che adorare dio è una perdita di tempo, perché noi non siamo qui né per servire un dio, per servire uno stato, bensì per servire noi stessi, cioè per ricercare la nostra felicità.

E a questo punto Harari ripete una riflessione che viene fuori più volte nell’opera precedente e cioè che raccoglitori-cacciatori nel periodo lunghissimo che va da 70.000 (rivoluzione cognitiva) a 12.000 (rivoluzione agraria) anni fa vivevano più felici di noi anche se godevano di enormemente meno risorse.

Harari cita studi che dimostrano per esempio che il livello di benessere degli anni ‘90 non è migliorato rispetto a quello degli anni ‘50 per mettere in evidenza che è dimostrato che il livello di felicità dell’umanità non è legato al semplice disporre di più risorse.

La felicità dipende dalle aspettative piuttosto che da condizioni obiettive.

Come aumenta il progresso le nostre aspettative si moltiplicano, ma le sensazioni piacevoli durano notoriamente poco.

Funzioniamo così per un errore intrinseco del meccanismo dell’evoluzione che ci spinge ad aumentare le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione, ma non ad aumentare la felicità.

Come possiamo venirne fuori?

Attenzione perché il tentativo di risposta che fornisce Harari a questa domanda è la chiave di lettura di tutto il libro: rivolgendoci agli ingegneri dice Harari (pensando evidentemente all’ingegneria genetica) che sono in grado di manipolare la biochimica umana, corpo e mente.

Per godere di un godimento duraturo, l’Homo Sapiens deve re-ingegnerizzarsi.

Infatti tutti gli immensi progressi che l’umanità ha fatto sopratutto negli ultimi 500 anni li ha fatti scoprendo e perfezionando strumenti sempre più sofisticati, ma ora è venuto il momento di mettere le mani sul nostro corpo e sopratutto sulla nostra mente per aumentarne le capacità oppure per “mescolare” il nostro corpo con attrezzi tecnologici esterni non organici.

Secondo Harari infatti non c’è ragione di pensare che il Sapiens sia l’ultima stazione, si può andare oltre.


Quando l’intelligenza artificiale supererà le capacità umane, la specie Sapiens verrà sostituita da una altra specie.

Deuteronomio 11: 13-17 : “se obbedirete diligentemente ai comandi che oggi vi do...io darò al vostro paese la pioggia…...il frumento….”

Ma gli scienziati oggi sanno fare molto meglio del dio biblico, dice Harari, basterebbe andare a vedere gli impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare in uso proprio nella terra di Israele,che hanno reso quel paese indipendente dalla pioggia; questi umani hanno anche inventati fertilizzanti e antiparassitario che hanno reso indipendente la coltivazione dei cereali dal regime così detto “naturale”.

E’ curioso che il termine “naturale” ,che va tanto di moda e che viene continuamente citato da chi vuole presentarsi come acculturato e moderno, non abbia alcuna base scientifica, anzi per la scienza proprio non ha alcun senso, perché tutto il reale è un flusso in permanente evoluzione, e quindi il riferimento a presunti archetipi fissi definiti naturali è una categoria di pensiero delle religioni, ma non certo della scienza.

Harari dice poi che tentare una definizione di naturale diventa impossibile anche perché ognuno crede in una gruppo diverso di leggi naturali in quanto sarebbero state scoperte e rivelate da gruppi diversi di profeti.

Le chiese non si azzardano a contestare Darwin frontalmente (salvo le sette creazioniste dell’intelligent design) perché sanno che ne uscirebbero perdenti, ma sono ancora fortissime nel far coltivare i loro pregiudizi, come questo del presunto naturale, che dovrebbe uscire non si sa come dalla ineluttabile legge dell’evoluzione.


Harari riconosce che la maggior parte di noi non riesce più a raccapezzarsi di fronte a un mondo che cambia così velocemente ma afferma categoricamente che non c’è alcun modo di tirare il freno quand’anche lo volessimo, perché se ci provassimo ad esempio e fermare l’economia, andrebbe tutto in pezzi.

Questa spinta inarrestabile verso un futuro ultra-umano, secondo Harari sembra sfruttare la capacità della nostra mente, del nostro inconscio a raccontarci le storie proponendocele in modo da rendercele accettabili.

Allora per esempio se ci spaventa la facoltà di intervenire sul nostro corpo e sulla mostra mente per incrementare le nostre facoltà, ci raccontiamo la medesima cosa proponendocela solo come strumento per superare le malattie e le disabilità.

Infatti ci rallegriamo per la possibilità di consentire a un paraplegico di riprendere a camminare con un esoscheletro o con arti artificiali, ma comandati dal pensiero, (cioè tramite impulsi elettrici del nostro cervello come avviene con un arto naturale) ,per non costringerci a parlare direttamente di usare quegli stessi mezzi sui sani per incrementarne le capacità.

Come ci rallegriamo per la scoperta dei mezzi per arrestare la perdita di memoria degli anziani, per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di incrementare la memoria di chiunque.

Allo stesso modo ci rallegriamo della possibilità di manipolare i geni per stoppare una malattia genetica per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di disegnare a tavolino un Sapiens talmente incrementato da passare a una specie diversa e superiore.

Esultiamo della possibilità di curare la schizofrenia “mescolando” la mente del paziente con dati provenienti da un computer, per non costringerci a dover parlare direttamente di incrementare il nostro cervello con la enorme potenza di calcolo e di data base che può fornirci un computer collegato o addirittura mescolato al nostro corpo.

E’ una forma di furbizia della nostra mente che ci consente di metabolizzare il concetto diversamente scioccante che siamo sulla via di superare la ferrea e inesorabile legge dell’evoluzione, non, raccontandoci le solite narrazioni religiose

Su questo argomento Harari ha scritto nella precedente opera usando un’immagine decisamente forte, quando dice che dovremmo mettendoci noi al tavolo da disegno di dio per superare i limiti biochimici dell’uomo, anche estendendo la vita dall’organico all’inorganico.

In questa prospettiva, Harari, che di professione è storico accademico, afferma che la missione della storia non è quella di predire il futuro, ma quello di aiutarci a liberarci dal passato e di immaginare alternative, ricordandoci sempre che la più grande costante della storia è il constatare che tutto cambia.


Per spaventarci un po’ meno in questa scioccante prospettiva di dare vita anche all’inorganico,Harari cerca di spiegare cos’è un algoritmo, che è un po il concetto chiave in questa prospettiva di una nuova umanità, che prossimamente potrebbe soppiantarci.

Perchè gli algoritmi sono importanti e quindi è importante capire cosa sono?

Perchè sono un pò il punto di possibile saldatura fra l’organico e l’inorganico in quanto vengono usati quotidianamente in tutti e due i campi, dato che gli organismi sono anche loro algoritmi.

Un algoritmo è una metodica serie di passi che si può usare per fare calcoli, risolvere problemi e arrivare a decisioni.

L’algoritmo non è un calcolo particolare, ma il metodo seguito quando si fanno i calcoli.

Per esempio, spiega Harari, se volete calcolare una media fra due numeri dovete sommarli e dividere per due il risultato.

Questa operazione è un algoritmo.

Come un algoritmo è una ricetta di cucina che vi indica i passi da fare in successione per creare una particolare piatto.

Un algoritmo è la macchinetta distributrice di caffè e bibite del nostro ufficio.

Gli umani sono algoritmi che producono non tazzine di caffè, ma copie di loro stessi.

Quelle che noi chiamiamo sensazioni emozioni e desideri , sono nei fatti degli algoritmi che non sono nulla di diverso che processi di calcolo.

Il processo di riproduzione anche umano, afferma brutalmente Harari è basato su un mero calcolo di probabilità che fa in automatico la nostra mente sulla base di sensazioni favorevoli o sfavorevoli in relazione ai nostri potenziali partners.

Povero romanticismo, che brutta fine, ma tant’è ,quello che dice Harari è documentato dalle moderne neuroscienze, non è una sua fantasia e quindi almeno prendiamone atto.


Superare l’idea che ha radicato in noi la tradizione biblica seconda la quale la caratteristica peculiare dell’uomo sarebbe il possesso di un’anima unica ed eterna.

Harari dice che la scienza moderna ha fatto saltare questo dogma prima con le scoperte di Darwin sull’evoluzione e sulla sopravvivenza del più adatto; poi con la teoria della relatività che sostiene chi spazio e tempo si possono torcere, piegare; la meccanica quantistica che sostiene che qualcosa può apparire dal nulla e che un gatto può essere vivo o morto nel medesimo tempo.

Tutte affermazioni che si prendono gioco del nostro senso comune, dice Harari.

Non è possibile possedere un’eterna essenza individuale che rimarrebbe immutabile nella vita per sopravvivere dopo la morte, per la semplice ragione che qualcosa di non divisibile e non mutabile non può sopravvivere al meccanismo della evoluzione.

Non può esistere un’entità olistica che non sia un assemblaggio di più parti, mentre l’anima per definizione non ha parti, mentre l’evoluzione per definizione significa cambiamento, flusso continuo.

Per l’evoluzione la cosa che abbiamo di più simile a un’anima è il DNA, che però è proprio un veicolo di mutazioni.


Superare il terrore verso cose intelligenti ma senza autocoscienza, (come robot e computer)

L’altra storia che la tradizione culturale biblica ha radicato in noi per giustificare la presunta superiorità umana è il fatto che il Sapiens ha una mente cosciente.

L’autocoscienza sarebbe una collezione di esperienze che diverrebbero un flusso di coscienza, di sensibilità.

Robot e computers non hanno coscienza perché non ostante le loro abilità non sentono nulla e non desiderano nulla.

E’ vero ,però non dimentichiamoci il fatto che in noi umani molti circuiti che processano sensazioni ed emozioni nella nostra mente producono azioni completamente inconsce.

Questo è certo, anche se, afferma Harari sappiamo ancora troppo poco sui processi mentali e in particolare nessuno ha realmente un’idea su come una congerie di reazioni biochimiche e correnti elettriche nel cervello producono soggettive sensazioni di pena, rabbia o amore.

O di come il movimento di elettroni da un punto all’altro del cervello ci porta ad una sensazione soggettiva di odio o amore.

L’unica cosa evidente è che si tratta di processi molto complicati.

Perchè il 99% dei processi del nostro corpo inclusi i movimenti dei muscoli e le secrezioni ormonali hanno luogo senza alcun bisogno di sensazioni coscienti.

Si è scoperto che parecchie specie animali sono senzienti.

Hanno coscienza, ma non autocoscienza si dice.

Solo gli uomini hanno la cognizione di un passato e di un futuro, forse perché solo gli uomini dispongono di un linguaggio capace di comunicare concetti astratti o di fantasia.

Usando di questa abilità il Sapiens è divenuta l’unica specie capace di flessibilità nella cooperazione anche fra un enorme numero di persone.

Queste abilità portarono a formare capacità di organizzazione, portando al successo i gruppi più organizzati.

In più gli umani hanno forme di moralità innate che ad esempio portano alla ricerca dell‘uguaglianza che appare quindi come il valore di consenso universale.

Tanto che le società meno egualitarie sono quelle che funzionano peggio.

Harari insiste sul concetto che aveva ampliamene sviluppato nell’opera precedente quando ha parlato della rivoluzione cognitiva che 70.000 anni fa ha consentito al Sapiens di fare un salto di qualità concependo entità inesistenti nella realtà e quindi di pura fantasia, portando il Sapiens medesimo a concepire forme di religione e di arte, sopravanzando così radicalmente le abilità delle altre specie.

Perchè questa capacità di creare entità fittizie ha dato loro la capacità di comunicare anche in numeri elevati di persone e di organizzarsi nel modo più funzionale possibile.


Da allora la storia è diventata per l’uomo un singolare equilibrio fra realtà e finzione, essendosi dimostrata la finzione essenziale e funzionale ad ogni forma di organizzazione sociale.

Le religioni ribadisce Harari sono state con le loro narrazioni mitiche fondamentali per fornire credenze che cementassero comunità di credenti intornio a fantasie condivise.

Le religioni, come da decenni ha documentato l’antropologia religiosa sono state inventate dall’uomo proprio per uno scopo sociale-politico e sono per loro natura distinte dalla spiritualità che è altra cosa.

La religione è un patto, un contratto con presunte divinità.

La spiritualità è invece una ricerca, è un viaggio.

Le religioni mirano a cementare un ordine sociale politico, mentre le spiritualità mirano ad allontanarsene.

Questa è la ragione per la quale la spiritualità per la religione è una pericolosa minaccia.

La scienza è basata sui fatti, le religioni sui dogmi, che non sono solo giudizi etici, ma anche “pretese fattuali”.

Le religioni mescolano tre cose :

-giudizi etici

-affermazioni fattuali

-una mescolanza di giudizi etici e affermazioni fattuali

Un esempio è il divieto di aborto che rende chiaro quanto l’affermazione fattuale sia arbitraria.

Affermazione fattuale è stata la famosa “donazione di Costantino” cioè il documento papale sul quale si era basata per secoli la pretesa del potere temporale del papato sulla parte occidentale dell’impero romano, che faceva risalire la presunta “donazione di Costantino” a una specie di contratto appunto fra Costantino e Silvestro I datato 30 marzo 315.

Fino a quanto il prete linguista Lorenzo Valla nel 1441 ha dimostrato che quel pezzo di carta invece di risalire al quarto secolo era un evidente falso elaborato 400 anni dopo da prelati curiali.

Harari pur denunciando le intrinseche debolezze delle religioni sostiene che è comunque necessario che sopravviva qualcosa dello stesso tipo per mantenere l’ordine sociale.

La stessa democrazia dice Harari funziona solo se i cittadini condividono dei comuni obiettivi e questo ha di fatto spesso significato condividere credi religiosi.

Il lettore tenga presente che Harari non distingue volutamente fra religioni e ideologie e quindi fra i credi religiosi comprende socialismo e liberalismo.

Come avviene che uno sia liberale e l’altro socialista?

Harari come al solito va giù piatto affermando che di fatto le mie visioni politiche non riflettono il mio autentico io.

Sono piuttosto il modo col quale sono stato allevato, le mie frequentazioni sociali e il lavaggio del cervello che ho subito fin dalla nascita.

Il comunismo è stato sconfitto dalla storia a causa del modo come è stato applicato in paesi concreti, ma il liberalismo che ha vinto lo ha fatto perché ha saputo pragmaticamente fare proprie le istituzioni sociali inventate dal socialismo come l’educazione la sanità e il lavoro per tutti con le stesse condizioni di partenza e il welfare.

Le religioni sono diventate insignificanti, ma come farà l’uomo a trovare un equilibrio di fronte alla

destabilizzazione del nostro senso comune provocato dalle scoperte scientifiche ?


Harari dice : La contraddizione fra il libero arbitrio e la scienza contemporanea è l’elefante nel laboratorio

I nostri geni,ormoni e neuroni possono agire in modo deterministico , a caso o con una combinazione dei due, ma non sono mai liberi.

Del resto se gli umani fossero liberi, come avrebbe fatto l’evoluzione a modellarli?

Sembrano liberi come gli scimpanzè nel senso che possono scegliere cosa desiderano, ma la domanda di fondo è se sono in grado di scegliere i loro desideri veramente e non a seguito di un processo biochimico che avviene nel loro cervello.

La realtà è che io non scelgo i miei desideri, io solo li avverto ed agisco di conseguenza.

Ma se gli organismi mancano di libero arbitrio, questo implica che noi possiamo manipolare ed anche controllare i nostri desideri usando farmaci, ingegneria genetica o diretta stimolazione del cervello.

Esperimenti dimostrano che è possibile intervenire anche su complessi sentimenti come amore ed odio tramite stimolazioni nel punto appropriato, per esempio si può paralizzare l’area che provoca la depressione, senza doversi fare infilare elettrodi, ma solo indossando un particolare casco tecnologico.

In conclusione l’anima eterna è reale come Santa Claus, perché in realtà gli umani non sono individui, ma sono dice Harari solo “dividui”.

Per lo meno noi abbiamo due entità in conflitto , il sé che fa esperienza ed il sé che ci compone narrazioni e che non ci narra tutto quello che succede, ma solo una media, fa da censore su momenti di orrore e mette in archivio preferibilmente storie che hanno buon fine, perché abbiamo un disperato bisogno di trovare un significato ai nostri sforzi ed alle nostre sofferenze.

Addirittura il nostro subconscio agendo in modo contro- intuitivo segue un sistema sofisticato per farci preferire la continuazione di sicure sofferenze in futuro, pur di non costringerci ad ammettere che alcune nostre sofferenze passate sono state del tutto inutili.

Nel mondo dell’umanità futura gran parte di essa vedrà persa la propria capacità di essere utile alla società.

Allora il sistema continuerà a trovare valore nell’umanità nel suo complesso ma non nei singoli individui.

Troverà valore solo in in un numero ridotto di super-umani, un a élite di umani che hanno incrementato le proprie abilità e facoltà.


Gli umani sono in pericolo di perdere il loro valore economico perché l’intelligenza si sta separando dalla coscienza

Nuovi tipi di intelligenza non cosciente saranno presto in grado di eseguire i loro compiti meglio degli umani.

Per eserciti e imprese sarà inevitabile riconoscere che l’intelligenza è essenziale,ma la coscienza è opzionale, e non avranno più bisogno di coscienza ed esperienza soggettiva.

Si veda ad esempio l’auto senza guidatore.


Impietosamente Harari cita il corposo elenco di professioni sul viale del tramonto.

Non solo quindi gli autisti di tutti i tipi.

Ma avvocati,giudici, poliziotti, quando si useranno su vasta scala le misurazioni che già esistono per verificare se l’interrogato dice la verità.

Non avrà scampo perché la verità viene processata in un’area del cervello diversa da quella che processa la menzogna, quindi basta mettersi davanti a un monitor adatto, già esistente che riproduca l’attività del cervello nelle varie aree.

E quale medico potrà mai competere con un data base che contenga assolutamente tutti i casi clinici, sintomi, diagnosi e relative terapie?

Idem coi farmacisti, Harari cita già esistenti esempi di farmacie gestite da robot.


Quando algoritmi senza mente saranno capaci di insegnare, diagnosticare e disegnare meglio di noi, noi cosa faremo?

Anche gli organismi sono algoritmi, cioè sono un assemblaggio di algoritmi organici messi insieme dalla selezione naturale.


I calcoli algoritmici non sono influenzati dal materiale col quale il calcolatore è costruito.

Quindi non c’è ragione di pensare che un algoritmo naturale possa fare cose che un algoritmo inorganico non potrà mai fare.

Niente da fare, si creerà una classe non solo di disoccupati, ma di persone non occupabili.

Il problema quindi è quello di creare nuovi lavori che gli umani sappiano portare avanti meglio degli algoritmi.


Per stare al passo l’unica via percorribile dagli umani è allora quella di imparare studiando durante tutta la vita e di reinventarsi più volte.

Gli algoritmi potranno deprivare l’umanità della sua autorità e libertà, perchè la tecnologia del ventunesimo secolo può abilitare algoritmi esterni a “hackerare” l’umanità in modo da conoscere mè stesso meglio di come mi conosco io, lavorando sui dati.

A questo punto gli umani non si sentiranno più autonomi perché il loro sistema biochimico sarà destrutturato e monitorato da un onnipresente sistema di sensori.


La nuova religione sarà il dataismo

L’arma che consentirà ai nuovi umani di conquistarsi la loro parte sarà l’informazione.

Il fatto che le medesime leggi matematiche si applicano sia agli algoritmi biochimici,sia a quelli elettronici, ha fatto cadere la separazione fra organico ed inorganico, animali e macchine.

Giraffe, pomodori ed esseri umani, dice Harari sono solo metodi differenti di processare i dati.

In un mondo così fatto dove è andato a finire il potere? si interroga Harari.

Il potere è di chi riesce a processare i dati più velocemente per usarli ai suoi fini.

Dl resto abbiamo visto che anche durante la rivoluzione cognitiva di 70.000 anni fa il Sapiens seppe assumere nel mondo una posizione dominante proprio usando il suo vantaggio competitivo nel saper processare i dati facendo cooperare larghi gruppi umani.

Bellissimo il ricorso che Harari fa all’antichissima cultura hindù che possiamo trovare nei Veda e nelle Upanishad che suggerisce agli umani di unirsi all’anima universale del cosmo, il proprio Atman si può unire all’Atman universale.

Quando verrà il momento che gli scienziati hanno denominato della “Singularity”, l’umanità sarà sopravanzata dalle macchine.

Bisognerà allora essere collegati con tutto il sistema, perché in questo si troverà la ricerca di senso per l’uomo, essere parte del flusso divenendo così parte di qualcosa superiore a noi stessi.

Ricordate l’Atman indù?

Possiamo tentare di incrementare il sistema umano di processare i dati, ma potrebbe non essere abbastanza.


Conosci tè stesso diceva la filosofia classica.

Quando tu ascolti le tue sensazioni, i tuoi sentimenti, segui un algoritmo che l’evoluzione ha sviluppato per milioni di anni e che ha superato il test della selezione naturale. I tuoi sentimenti, le tue sensazioni sono allora la voce di milioni di antenati.

Ascolta i tuoi algoritmi, essi sanno come tu ti senti.

Si può dubitare che la vita sia riducibile a un flusso di dati.

Come i dati possano produrre coscienza e esperienze soggettive, ad oggi non sappiamo come avvenga, come potremmo anche scoprire che dopo tutto gli organismi non sono algoritmi.

Il conosci tè stesso può voler dire : prendi coscienza di quello che ignori.


Harari ci lascia in eredità tre domande chiave :

1-gli organismi sono algoritmi e la vita è proprio processare dati?

2-cosa ha più valore l’intelligenza o la coscienza?

3-cosa succederà alla società nel momento della singularity quando una intelligenza non cosciente conoscerà noi meglio di noi stessi?

Questa è l’ultima sferzata di Harari, il libro finisce con tre domande, anche se ovviamente l’autore ha cercato di suggerire possibili risposte, in tutte le pagine precedenti, fra le quali richiamerei quella a mio parere più pesante :

sostituire preti rabbini e mullah con ingegneri e re-ingenizzare il nostro corpo e la nostra mente. Osare!