domenica 20 febbraio 2022

Rita Cucchiara : L’intelligenza non è artificiale – La rivoluzione tecnologica che sta già cambiando il mondo – Mondadori Editore – recensione

 


Alexa, Inter Milan, qual’è il punteggio in questo momento?

Chi non si è abituato a farsi aiutare dai vari Alexa, Siri, Google eccetera per avere notizie che potrebbe benissimo cercare digitando nel rettangolino di ricerca di Google, ma che è obiettivamente più comodo e veloce acquisire interagendo col nostro smartphone tablet o PC dialogando con lui come si fa tra umani.

Ecco che tutti o quasi siamo ormai abituati a servirci dell’intelligenza artificiale.

E se siamo abituati a interagire con le varie Alexa da più tempo ci siamo di sicuro resi conto che l’intelligenza artificiale fa progressi stupefacenti.

Per esempio chi di noi per lavoro ,svago o interesse personale non si è cimentato anni fa con le traduzioni di Google anche al solo scopo di farsi grasse risate per il tipo di traduzione elementare o per gli svarioni nei quali il software ancora agli inizi cadeva regolarmente.

Oggi le cose sono cambiate in modo clamoroso sia nella qualità della traduzione, sia nel numero inverosimile di lingue disponibili.

Non parliamo della velocità di elaborazione, ma questo è merito di processori diventati oggi incredibilmente potenti.

Alla base comunque di questi traduttori anche parlanti c’è l’intelligenza artificiale.

Non nego che l’argomento è di grandissimo interesse perché la sua utilità è assolutamente indiscussa, ma contemporaneamente la gran parte di noi sopratutto fra chi non ha una preparazione scolastico professionale di tipo oggi si dice Stem (scienza,tecnologia,ingegneria e matematica),per affrontare seriamente l’argomento teme di dover entrare in materie di tipo esoterico, che so io come il sanscrito, bella lingua, importante, ma chi ci capisce?

Effettivamente se si dovesse prendere in mano un testo universitario sarebbe veramente, ma veramente dura.

Questa è la ragione per la quale una docente di Intelligenza artificiale di lungo corso e con un curriculum accademico di assoluta eccellenza, come la Prof. Cucchiara ha voluto fare la fatica di cercare di spiegare di cosa si parla quando si tira in ballo l’intelligenza artificiale, in modo accurato ma con un linguaggio tale da non far scappare il lettore dopo poche pagine.

Nel libro ci sono puntualmente anche accenni alle teorie che si ritrovano nei manuali universitari, quanto basta per rendere il lavoro serio da un punto di vista scientifico ma il lavoro ha un taglio di carattere volutamente divulgativo anche se spesso didattico.

Ce n’era bisogno perché la materia è abbastanza ostica e il grande pubblico ne sa veramente poco o nulla.

Una cosa è assolutamente certa,volenti o nolenti con l’intelligenza artificiale dovremo convivere e quindi tanto vale cominciare a farci amicizia.

L’autrice non si nasconde il fatto che la attuale scarsa conoscenza della materia fa si che nel nostro paese, ma anche in Europa in generale la gente quando si parla di qualche applicazione dell’AI come si dice comunemente oggi ricorrendo all’acronimo inglese invece di cercare di farsi almeno una cultura sull’argomento per il minimo sindacale, va subito a impantanarsi nei pregiudizi e nelle paure anti-moderne .

Ma! dovremmo prima studiare bene le conseguenze!Rimuginano in molti.

Comprensibile la paura del nuovo, ma fino a un certo punto.

Se l’umanità non si fosse data una mossa tutte le volte che il progresso scientifico cambiava le carte in tavola oggi saremmo tutti “terrapiattisti” o cose del genere.

Va bene il discernimento non la paura generica.

Attenzione ci dice la Prof. Cucchiara, perché Stati Uniti e Cina sono talmente avanti che se non ci aggiorniamo andiamo in serie B e non è una bella cosa, perché non ostante il ricorrente masochismo nazionale il nostro paese non sta affatto così male.

Abbiamo in Italia i due più potenti auper-calcolatori d’Europa e ne abbiamo un terzo in costruzione

Non dimentichiamoci che il primo Pc se pure a schede perforate e senza schermo per la semplice ragione che i pixel nemmeno erano conosciuti allora è nato a Ivrea all’Olivetti, Piemonte e non a Silicon Valley, California.

Sui robot pure non stiamo affatto male, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova diretto fino a poco tempo fa da quel Prof Cingolani oggi ministro della transizione ecologica ha costruito il robot umanoide iCube ,con le sembianze di un bambino che per dare un idea nel maggio scorso ha sfilato per Dolce e Gabbana.

L’autrice nel campo dell’AI si occupa sopratutto della sotto-branca della Visione Artificiale e di questo parla nel libro in modo approfondito ovviamente senza trascurare nessun’ altra delle altre sotto specie di AI.

I lettori che seguono questo blog e che avranno dato un’occhiata alle recensioni dei numerosi libri sulla Cina che sono stati recensiti di recente, avranno un’idea dei livelli incredibilmente avanzati ai quali sono arrivati i sistemi di riconoscimento facciale diffusi capillarmente in quel paese.

Questo ovviamente è un esempio di applicazione dell AI alla visione.

Dal costruire programmi perché le macchine possano vedere il mondo , si è arrivati all’estrema sofisticazione che è necessaria per fare riconoscere quel volto particolare fra altri milioni di volti.

Alla macchina va insegnato a leggere o vedere un numero enorme di dati ed a processarli poi passando per filtri successivi per classificarli e individuare solo le caratteristiche che si vogliono che apprenda.

Le macchine quindi apprendono, consultando un’enormità di dati facendo le operazioni necessarie per sparare fuori i risultati che si richiedono loro.

Sbagliano anche è ovvio, ma il lavoro che si fa con loro sta proprio nel ripetere le operazioni con le correzioni necessarie per non ricadere in quegli errori usando super computer.

L’autrice pur conoscendo bene la grandissima sofisticazione insita nelle operazioni sopra descritte a braccio, si sforza addirittura di dare un’idea del sistema a strati usato per arrivare da un’enormità di dati a concentrarsi solo sui risultati richiesti.

Quando si leggono libri di questo genere, scritti dalle eccellenze che queste scoperte le portano avanti si coglie la sensazione che il futuro ormai è penetrato profondamente nell’oggi, che è già qui.

Dalle auto a guida autonoma, ai robot che vanno dalla automazione dei processi industriali alla cura della persone anziane, all’eseguire operazioni chirurgiche con più accuratezza del chirurgo umano, dal riconoscimento facciale, alle diagnosi mediche a distanza basate su una data base di portata enormemente superiore all’esperienza del migliore medico diagnostico, eccetera eccetera.

Uno degli ultimi capitoli del libro porta il titolo : io non ho paura.

E ci voleva, perché l’autrice si sforza continuamente e ripetutamente a far capire che l’intelligenza artificiale non l’ha inventata qualche spirito santo o qualche alieno, e tanto meno le macchine stesse, ma che è assolutamente opera dell’uomo, che la può e la deve controllare.

Niente paura quindi, dice l’autrice con garbo ma anche con decisione se volete avere paura di qualche cosa, abbiate paura prima di tutto dell’ignoranza.

Leggiamoli i libri come questo, anche se richiedono la dovuta attenzione.

Un po di fatica bisogna farla, ma ne vale veramente la pena.


martedì 8 febbraio 2022

Simona Colarizi : Passatopresente . All’origine dell’ oggi 1989-1994 – Editore Laterza - recensione


 

L’autrice dal suo profilo su Wikipedia è professoressa di storia (del sindacalismo e del movimento operaio e poi storia dei partiti e dei movimenti politici) presso l’Università di Camerino, poi alla Federico II di Napoli e quindi alla Sapienza a Roma.

Ha al suo attivo oltre alle pubblicazioni scientifiche una ventina di saggi pubblicati per lo più da Laterza.

Siamo di fronte quindi al lavoro di una storica e politologa con qualifica accademica indiscutibile.

I lettori ricorderanno il libro di Goffredo Buccini : il tempo delle mani pulite (http://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2021/11/goffredo-buccini-il-tempo-delle-mani.html) recensito in novembre su questo stesso blog.

Buccini firma di primo piano del Corriere della Sera faceva la storia dettagliata degli anni di mani pulite nei quali aveva avuto la ventura di godere della fiducia del capo del Pool di Milano, che in pratica gli aveva fornito in esclusiva una serie di notizie da scoop.

Non ostante questo però Buccini, con molta obiettività non aveva potuto non rilevare le incongruenze e le scorrettezze a carico del Pool che la lettura della storia ex post ha consentito di esprimere a quasi tutti gli osservatori che si sono poi cimentati nel tentativo di elaborare un giudizio critico su quegli eventi.

Diciamo pure subito che il saggio della Colarizi del quale stiamo ora trattando assesta una mazzata pressoché definitiva sull’operato di quel pool di pubblici ministeri.

La sua ricostruzione storica ,se vogliamo (scorrettamente) ridurre in pillole il giudizio che si trova ben articolato nel libro, in sostanza ci dice che Mani Pulite ha distrutto il sistema politico italiano, unico caso in Europa,in cambio di che cosa?

Un pugno di mosche che consiste nel mantra fasullo che tutto il sistema politico e della pubblica amministrazione sarebbe stato insanabilmente corrotto, di fronte a una società civile invece presunta moderna colta e sana e moralmente elevata.

Pura fantasia che non trova alcun supporto nell’analisi storica e sociologica di quel periodo, dato che invece è facile dimostrare che il sempre relativo livello di corruzione della classe politica non era altro che lo specchio di una società civile che non era meno inadeguata, preparata e onesta dei suoi governanti che non a caso lei stessa aveva scelto e confermato col voto.

Pura fantasia anche se il battage pubblicitario dei media della carta stampata e delle TV voleva far passare come verità assoluta e che purtroppo la società nel suo complesso si era allegramente bevuta per anni come se fosse stata tale.

L’illusione di sostituire la classe politica presunta insanabilmente corrotta con la supplenza della magistratura inquirente che era arrivata a dilagare ampiamente nella sera politica mandando a farsi benedire l’elementare principio della divisione dei poteri ha causato dei danni ancora da riparare nel tessuto politico e sociale del paese.

Per la semplice ragione che dal qualunquismo moralista si è facilmente arrivati all’anti -politica tout -couret ed al populismo spesso oscurantista che affligge il paese ancora oggi.

E’ stato tutto un movimento in fase “destruens” senza il seguito di nessun movimento “costruens” o propositivo.

Oggi abbiamo dei partiti tanto liquidi che nemmeno loro sanno più come definirsi.

E’ tragicamente ridicolo vedere delle forze politiche che si definiscono sovraniste e identitarie che non hanno la minima capacità di esplicitare in modo articolato in cosa consista il nucleo di valori sovranisti e identitari che vorrebbero difendere.

Se poi parliamo di classe politica il senso di vuoto fa girare la testa.

Queste forze politiche dimostrano tutti i giorni di non avere una classe politica né coesa né minimamente spendibile per governare.

A sostegno delle tesi della Colarizi mi permetto di osservare che dai semplici editorialisti ai politologi e storici di professione oggi i giornali sono quotidianamente pieni di articoli che bollano con un marchio di infamia questa classe politica, con una virulenza come non era mai accaduto in passato.

E questo è pericoloso, fortemente pericoloso perché va bene che la storia non insegna nulla, ma stiamo osservando che a pochi decenni di distanza si rischia di ripetere gli errori marchiani commessi da tutti società civile compresa ai tempi di Tangentopoli e di Mani Pulite, cioè distruggere la credibilità del sistema per ritrovarsi con in mano un pugno di mosche (che non sono adatte per governare alcunchè).

Riferita a quegli anni la Colarizi con lucida analisi formula una condanna pesante sopratutto rivolta alla classe dirigente del Pci. poi Pds, poi Pd che ha scioccamente flirtato con quei pubblici ministeri ,approfittando del fato che furbamente il pool aveva deciso di fare tabula rasa della classe politica di allora lasciando in vita appunto solo quella forza politica della sinistra.

Ochetto, che pare non avesse capito pressoché nulla delle coordinate politiche e sociali che si agitavano allora si trastullava nella beata illusione che lasciando che i pubblici ministeri gli distruggedssero il Psa ed il suo leader, l’odiato Craxi, avrebbero in pratica lavorato per lui aprendogli le porte per un lungo periodo di governo.

Purtoppo per lui e per i suoi seguaci Ochetto non era Togliatti e quindi non era sufficiente aspettare sulla riva del fiume che il tempo lavorasse per lui.

Per la verità la magistratura inquirente allora si è tenuta anche alla larga dalla grande imprenditoria, evidentemente valutando vitale per portare avanti la sua opera di “moralizzazione” il costante sostegno della grande stampa guarda caso posseduta da quella grande industria.

Memorabile nel libro la descrizione del passaggio di Romiti ,capo operativo della Fiat che si trattiene non più di tre ore nella Questura di Milano per una dichiarazione spontanea dopo essere arrivato in elicottero, mentre una folla di piccoli imprenditori languiva nelle patrie galere fino a “confessione completa” secondo le collaudate procedure del metodo Di Pietro.

Noto ora che la Colarizi nemmeno fa menzione della componente cattolico sociale del PDS e poi Pd.

Questa esclusione è ancora peggio di una condanna, significa che per l’analisi politologica questa componente era del tutto insignificante.

Ottimo libro ben argomentato e lontanissimo da pregiudizi ideologici come si conviene a un autore di provenienza accademica.










sabato 29 gennaio 2022

Luca Zaia Ragioniamoci sopra .Dalla pandemia all’autonomia Marsilio Editore – recensione

 



Luca Zaia ,il Governatore del Veneto ,è un personaggio veramente singolare.

Sulla stampa spesso c’è qualcuno che si chiede come mai non si attivi per sostituire il segretario della Lega, Salvini che dopo i pur clamorosi successi iniziali non imbrocca più una mossa azzeccata neanche per sbaglio.

Ma incredibilmente nelle 164 pagine di questo libro il termine “Lega” lo si trova scritto forse una o due volte, non credo di più.

E lo stesso autore tiene a definirsi come amministratore e non come politico.

Lo capisco o almeno cerco di capirlo perché in effetti da tutto il libro traspare una gran voglia ed orgoglio di “fare” cose concrete come amministratore pubblico negli enti locali (Comune, Provincia, Regione) in quel determinato territorio che l’autore sente fortemente come la sua terra. Però l’autore medesimo è stato anche ministro e quindi non può ignorare di calcare il mondi della politica praticamente da sempre.

Voglio dire che dopo aver letto il libro direi che Zia è assolutamente in buona fede quando proclama di sentirsi amministratore più che un politico, ma obiettivamente il discorso ha un senso obiettivo?

Non credo proprio, come non credo abbia un senso la distinzione che oggi appassiona molti fra “tecnico” e “politico”.

Per fare l’esempio più emblematico come si fa a dire che Draghi per tenere l’incarico che a tenuto nelle UE non abbia esercitato tutte le sfumature delle arti politiche?

E’ sicuramente molto più politico lui in quanto competente di politica dei segretari dei partiti che lo sostengono o lo avversano.

Potremmo argomentare che Draghi non è iscritto a nessun partito e non è stato eletto.

Vero ma questo è un altro discorso che comunque non gli impedisce di essere Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ma se torniamo a Zaia la distinzione amministratore-politico è ancora di più di lana caprina e nella sostanza non ha basi obiettive se non nella percezione soggettiva dell’interessato.

E’ un atteggiamento che ripeto capisco che sia giustificato come sensazione dell’autore, ma che non può essere sostenuta perché diviene una formula invocata per sfuggire a una parte importante delle proprie responsabilità, come personaggio pubblico.

Se poi andiamo a vedere che lo stesso atteggiamento è tenuto anche con la stessa convinzione da Massimo Fedriga, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia scopriamo che si tratta di un modo di pensare molto diffuso nella Lega fin dai tempi di Bossi.

Ma è intrinsecamente sbagliato perché l’amministratore pubblico è un politico per eccellenza, in quanto eletto direttamente dal suo popolo, se così non fosse gli enti potrebbero benissimo essere governati dai dirigenti tecnici, detti anche burocrati, ma questo è proprio quello che i Leghisti aborrono.

E quindi che si prendano la loro responsabilità nella gestione del loro partito senza delegare la gestione politica a presunti fenomeni.

Il meglio del libro di Zaia è l’appassionata esaltazione dello spirito veneto che ha delle sue peculiarità innegabili.

Il Veneto è passato da terra dove si faceva la fame e che costringeva almeno una parte delle famiglie ad emigrare per sopravvivere in ogni parte del mondo, al miracolo del Nord Est degli anni 70 e 80 che ha portato la regione a un elevato livello di benessere con la più alta percentuale di piccoli capannoni industriali del Paese.

La narrazione di Zaia per la mia esperienza personale ha sfondato una porta aperta, dato che la mia famiglia ha antenati veneti e quindi la sua descrizione dello spirito veneto faceva già parte del mio Dna.

Nelle storie della mia famiglia è un fatto scontato quello di considerare il cittadino Veneto come uno che nasce con la cultura lavorativa della partita Iva, con lo spirito del piccolo imprenditore autonomo nel sangue, che si costruisce la propria autonomia con la caparbietà con la quale fa il suo lavoro.

Zaia sforna pagine e pagine nelle quali narra e documenta con orgoglio quanto ha fatto il Veneto per contrastare l’epidemia dimostrando di avere un sistema sanitario di eccellenza e ben gestito.

Rivendica le sue scelte sopratutto nella determinazione di aver parlato ogni santo giorno alla sua gente in una conferenza stampa facendo il punto della situazione in modo da responsabilizzare tutti tenendoli informati costantemente di quello che facevano i loro “amministratori”.

E’ noto che Zaia è forse il più convinto assertore delle virtù dell’autonomia regionale.

Lui dice in sostanza : abbiamo fatto molto e con successo, ma se avessimo avuto più autonomia avremmo potuto fare ancora meglio per contrastare la pandemia come ha fatto per esempio Israele prendendo due piccioni con una fava cioè bloccando la diffusione della pandemia consentendo però alla gente ed all’economia di procedere quasi normalmente.

Sono interessanti le sue proposte in merito all’ autonomia differenziata cioè da conquistarsi “per merito”.

Zaia è il classico self made man, venuto da una famiglia contadina povera del veneto profondo, che ha saputo emanciparsi lavorando duramente.

Ha saputo prendere l’ascensore sociale basato sul lavoro sopratutto autonomo ed è convinto che questa sia la ricetta buona per tutti.

Ci parla di sanità e istruzione da finanziare al massimo e da considerare fiori all’occhiello.

Ma sa benissimo anche a ragione della sua formazione professionale (prima perito agrario e poi Medico Veterinario) che l’enorme potenziale che il Veneto può e deve sfruttare è il turismo sostenuto anche dalle eccellenze agricole di quella Regione.

Zaia ha una marcia in più rispetto ai politici dei quali ho letto e recensito le biografie e consiste nel fatto che ha realmente una visione strategica della politica.

Scrive e ripete nel libro che ora il Veneto rispetto al passato è ricco, ma che i soldi ci vogliono ma non bastano.

Ci vuole la cultura per affrontare un presente e un futuro sempre più complicati.

La sua concezione di autonomia è prima di tutto un’acquisizione culturale.

Grossa affermazione per un esponente della nostra classe politica, che di solito non sa andare oltre a proclami populisti ispirati da una tattica di corta visione.







martedì 25 gennaio 2022

Luigi Di Maio : Un amore chiamato politica La mia storia e tutto quello che ancora non sapete – Piemme Editore – recensione

 


Tempi duri per i politici.

Lo sappiamo tutti che il livello di credibilità della classe politica è arrivato ai minimi storici.

Di conseguenza è ovvio che un leader politico che si scrive la sua biografia ,ovviamente in collaborazione col suo gost-writer del momento è difficile che sia tanto sciocco da eccedere nell’auto esaltazione tutt’al più dovrebbe essere costretto a giocare in difesa.

E questo mi sembra anche il caso di Luigi Di Maio leader di fatto del Movimento 5 Stelle che ha delle caratteristiche peculiari per la giovanissima età del personaggio, che fa sì che di Di Maio non si sappia molto.

Purtroppo per lui quello che in genere si crede di sapere si riduce a quello è quello che i suoi avversari politici ,Berlusconi in testa gli hanno appiccicato addosso.

Il re dei media è infatti riuscito a battezzarlo una volta per tutte, tanto per cambiare, con una foto definita assolutamente un fake dallo stesso Di Maio, foto che ritrae un giovane che vende le bibite allo stadio del Napoli con la faccia di Di Maio.

Da allora la gente pensa di sapere per certo che Luigi Di Maio sarebbe un giovane senza né arte né parte, miracolato dalla politica.

Leggendo il libro pare proprio che le cose stiano in un modo completamente diverso e questa è la ragione per la quale ho letto questo libro e dopo averlo letto e trovato ben costruito con una narrazione verosimile e documentata, invito a leggerlo.

Di Maio non ha lauree da esibire questo è vero, però è uscito bene da un liceo classico, che tuttora è una scuola severa e meritocratica.

Dopo si è iscritto a Ingegneria Informatica e infine a Giurisprudenza ma è stato ben presto risucchiato dalla politica attiva, che del resto aveva cominciato a praticare come rappresentante di classe, poi di istituto al liceo e in seguito come Presidente del Consiglio degli studenti all’Università.

Padre piccolo imprenditore edile e madre insegnante di italiano e latino.

Inizia l’attività politica vera e propria animando i meetup del neo nato Movimento 5 Stelle al suo paese Pomigliano D’Arco.

Da lì parte una carriera travolgente come quella del suo Partito che allora si fregiava del titolo di “non partito” a iniziare dalla conquista del primo seggio parlamentare nel 2013.

Vice Presidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico nel governo Conte I , diventa Ministro degli esteri nel Conte II ,dicastero che conserva nel Governo Draghi tutt’ora in carica.

Stiamo parlando di un esponente politico che alle elezioni che hanno espresso il parlamento in carica fino al 2023 ha preso abbastanza voti da essere indicato come il primo partito italiano.

Sto facendo una recensione e quindi ritengo doveroso da parte mia guardarmi bene da esprimere le mie personali preferenze politiche e in base a quelle le mie simpatie o meno per il personaggio del quale si parla.

Chi fa una recensione penso sia tenuto a riferire ai lettori sopra tutto il grado di obiettività della narrazione, perché immagino che al lettore interessi appunto avere in mano un libro che gli offra degli elementi che lui stesso valuterà criticamente, prescindendo da eventuali cadute nella propaganda politica, che certo il lettore non gradisce.

Ecco obiettivamente ritengo che il libro di Di Maio sia sufficientemente onesto e sempre sufficientemente lontano dalla propaganda.

Confesso che leggendo e sentendo parlare di Di Maio alla Farnesina, che rimane il ministero di maggiore prestigio politico, mi sono sempre chiesto, ma come se la caverà questo ragazzo con l’inglese ?

Lui stesso ce lo dice.

Sveglia alle 5 e traduzioni dall’inglese fino all’ora dell’andata appunto alla Farnesina dove lo aspetta un professore di madre lingua per lezioni tutti i giorni.

Se è vero come spero che sia i miei complimenti a Di Maio, le lingue si imparano anche molto bene se le si studia in modo sistematico, non c’è il minimo dubbio.

Anche i dossier politici ed economici si imparano solo ed esclusivamente se li studia.

Ecco da libri come questi si cerca di evincere la preparazione, le idee, il carattere del personaggio che si narra.

Però proprio perché come si diceva all’inizio siamo tutti piuttosto perplessi e insoddisfatti dalle prestazioni dei nostri politici, quello che dicono di loro nei libri, ben lungi dal prenderlo per oro colato, cerchiamo di vagliarlo per valutarne l’attendibilità.

Ecco a favore di Di Maio devo dire che mi hanno bene impressionato diverse cose fra l’altro la sua scelta iniziale di richiedere per sé come primo incarico due ministeri notoriamente fonte di rogne e non di onori, quelli del Lavoro e delle Sviluppo Economico.

Invito a propositi il lettore a fare mente locale sul fatto che Di Maio è di Pomigliano d’Arco.

A Pomigliano d’Arco la Fiat aveva insediato uno dei suoi stabilimenti più iconici diretti a propagandare la leggenda di un industria molto sensibile alle esigenze del sottosviluppo del Sud, che nel Sud investiva pesantemente e che per questo presentava allo stato il conto molto salato di adeguati contributi e facilitazioni.

Disgraziatamente dopo l’ubriacatura iniziale la Fiat delocalizzò pesantemente nell’Est europeo lasciando senza lavoro la gran parte degli operai di Pomigliano.

Questa era la realtà che Di Maio aveva sotto gli occhi del suo paese e questa infelice esperienza è sicuramente servita a dargli una forte spinta per mandare avanti le riforme che facevano il Movimento 5 Stelle quello che era e che è.

Il decreto dignità a tutela dei lavoratori precari e la famosa e chiacchieratissima legge sul reddito di cittadinanza.

Altre leggi bandiera che il Movimento nel corso degli anni ha portato a casa sono la legge di riforma della prescrizione ,la legge anti- corruzione, la riduzione del numero dei parlamentari.

Ribadisco non darò alcun giudizio di merito ma per esempio avendo prima recensito su questo stesso sito la analoga biografia di Giorgia Meloni mi viene spontaneo chiedermi :

a parità di giovane età e di pur grandissimo e coinvolgente impegno politico, cosa è riuscita a portare a casa per gli Italiani la Meloni nella sua carriera politica?

E poi anche la Meloni dice come Di Maio di essere una secchiona, ma disgraziatamente non ci dice cosa e come studia.

Mi fermo qui.

Il libro di Di Maio mi sembra scritto bene e in modo scorrevole.

E’ breve ,180 pagine e coinvolge il lettore nella narrazione degli avvenimenti dell’ultimo decennio, tutt’altro che irrilevante per le sorti del nostro paese.









mercoledì 19 gennaio 2022

Tom Miller : China’s Asian Dream. Empire Building Along The New Silk Road - Published by Zed Books Ltd London – recensione

 






Se questo non è il migliore libro che ho letto sulla Cina contemporanea, è sicuramente il più completo.

Chi è l’autore? Ecco questa è una domanda che crea un po di imbarazzo perché l’autore impersona figure professionali diverse.

La presentazione che compare sul libro qualifica Tom Miller come giornalista che ha vissuto in Cina per 14 anni dove tra l’altro ha studiato e imparato il mandarino.

Appena prima però lo stesso Miller viene indicato come Senior Analist del Gavekal Research , un istituto di ricerca di geopolitica e direttore del periodico China Economic Quarterly.

Perchè ho esitato a definire la figura professionale dell’autore, perché definirlo prima di tutto come giornalista mi sembra francamente fuorviante e fortemente riduttivo per uno studioso che correda il suo lavoro con un apparato di riferimenti di quasi quaranta pagine, questo è il modo tipico di procedere degli accademici e questo libro è senza dubbio di livello accademico.

Nei precedenti libri sulla Cina contemporanea recensiti in questo blog abbiamo più volte parlato della nuova via della seta o più propriamente della Belt and Road Initiative.

Cos’è?

E’ una strategia anzitutto economica a lungo periodo tipica del modo di procedere della dirigenza cinese che a differenza dei gruppi dirigenti del resto del mondo è capace di pensare anzitutto al futuro e di programmare dettagliati piani di politica economica a lungo o addirittura lunghissima scadenza.

Programmazione di cose molto concrete,sopratutto costruzione di infrastrutture su scala gigantesca

per avvicinare la Cina al mondo con strade, ferrovie, vie marittime, hubs, porti, logistiche, gasdotti elettrodotti, cavi di telecomunicazione eccetera.

Il tutto provvisto del relativo finanziamento scaglionato nel tempo quanto basta a tassi spesso di favore ma nell’ambito dei prezzi di mercato.

La carta vincente che usa la Cina verso i paesi in via di sviluppo non è tanto il tasso del prestito particolarmente conveniente ma sopratutto il fatto che sia le istituzioni finanziarie internazionali, sia i privati difficilmente sono disposti a fare prestiti a paesi di dubbia solidità se non imponendo condizioni capestro, ma più spesso a certi paesi non fanno proprio credito.

La seconda carta vincente della Cina è la sua proverbiale capacità di portare a termine anche gigantesche opere pubbliche in tempi incredibilmente brevi.

L’altra faccia della medaglia è che si portano dietro tutto o quasi dalla Cina, manodopera compresa, cosa questa che fa storcere il naso ai paesi occidentali, ma che obiettivamente per molti paesi in via di sviluppo è l’unico modo di riuscire a ritrovarsi una grande opera chiavi in mano, dato che di loro disporrebbero di ben pochi strumenti di produzione.

Le grandiose opere previste dalla Belt and Road Initiative nascono appunto come grandi opere ma hanno di fatto una ispirazione prettamente politica.

Dietro a tutto c’è la realizzazione del “sogno cinese” enunciato apertamente da Xi Jinping che consiste nel riportare la Cina allo splendore che aveva prima delle guerre dell’oppio e dell’umiliazione inflittale dalle potenze coloniali a partire dalla fine della prima metà dell’800 e fino al riscatto della Rivoluzione Maoista del 1949.

La dirigenza cinese ripete fino alla noia che la Cina non ha e non ha mai avuto ambizioni imperialiste e che la BRI è un opportunità per lei ma anche per i paesi partner che vorranno unirsi a lei senza secondi fini.

L’autore con molto realismo mette in chiaro però che se è verosimile che la dirigenza cinese sia in perfetta buona fede facendo queste affermazioni, è anche vero che la Cina di suo è un pachiderma per territorio, popolazione e peso economico.

Questo fa si che sviluppando scambi economici di dimensioni proporzionate alla sua stazza non possa non mirare a divenire una superpotenza almeno di livello regionale con ciò spingendosi a fare il necessario per difendere anche militarmente le sue vie di comunicazione e di approvvigionamento.

E qui inevitabilmente dal punto di vista geopolitico si va in rotta di collisione con le mire e la situazione di fatto dal dopoguerra messa in atto dalla superpotenza americana che per decenni si è considerata l’unica superpotenza poliziotto del mondo, dotandosi delle famose sette flotte proprio per controllare tutto il mondo Asia compresa.

Gli Usa mal sopportano l’idea che la Cina di fatto li abbia superati diventando negli ultimi decenni la “fabbrica del mondo” per beni a buon mercato ed a basso contenuto tecnologico.

Ed ancora meno digeriscono il fatto di essere sul punto di essere superati anche sul piano della produzione di beni ad alto contenuto tecnologico.

Sul piano della potenza militare è opinione comune che gli Usa sono tuttora di gran lunga il numero uno.

Questo però non significa che possano continuare a pretendere di essere la potenza egemone in casa altrui specialmente in Asia dove ormai il gigante cinese si è svegliato e sta acquistando la consapevolezza della propria forza e conseguentemente dei propri diritti almeno sul piano regionale.

Tom Miller con molto equilibrio e realismo sostiene la tesi che non è affatto inevitabile che Cina e Usa si debbano avviare ad una guerra per stabilire chi comanda in Asia.

E’ invece possibile e ragionevole che trattino come distribuire fra loro ed i loro alleati la gestione dell’area riconoscendo i reciproci interessi.

La parte a mio avviso migliore e più utile di questo lavoro è l’analisi dettagliata che Miller fa delle prima fase della BRI che consiste nella realizzazione diciamo del primo tratto di questa moderna via della seta compiendo le opere progettate fra la Cina ed i paesi immediatamente più vicini e confinanti.

Tanto per dirne una confesso che per esempio del Kazakistan venuto alla ribalta in questi giorni per la “rivolta del gas” non conoscevo quasi nulla prima di aver letto questo libro.

Paesi di questo tipo sono diventati lontanissimi dal fascino esotico fatto di deserti, capre e cammelli che ci forniscono i documentari che parlano di loro.

In questi paesi scorre un fiume di denaro alimentato da risorse naturali formidabili delle quali fino a pochi anno fa nemmeno si conosceva tutta la loro utilità se non indispensabilità per il futuro del mondo moderno come i metalli rari.

Fra i paesi limitrofi alla Cina che dire della situazione etnicamente più che complessa e frastagliata di quel Mianmar che molti di noi associalo alle lotte fra i militari al potere da decenni e l’aristocratica San Suu Kyi, che sono solo una parte, una piccola parte del problema.

Un’altro esempio : personalmente avevo avuto occasione di studiare anche in profondità la situazione del Vietnam all’epoca della guerra con gli Usa, ma non avevo acquisito alcuna conoscenza del viscerale risentimento se non proprio odo che corre da millenni fra Cinesi e Vietnamiti, perché la narrazione di quella guerra prevaleva su una storia che segue una time-line molto più ampia.

E però quella storia di lungo respiro è indispensabile conoscerla per capire come mai il Vietnam che avrebbe un disperato bisogno dei finanziamenti e delle opere della Bri per fare il salto di qualità che ancora non è riuscito a fare, proprio non riesce a sopportare l’idea di accettare la presenza degli odiati Cinesi dei loro soldi, mano d’opera e macchinari.

Ecco questo è un libro sulla Cina ma ancora di più sui paesi della cintura intorno alla Cina.

Difficile capire quale sarà lo sviluppo della Cina se non si conoscono questi paesi.

Inutile concludere dicendo che il “mestiere” di giornalista che il nostro autore ha pure praticato lo ha aiutato enormemente a trattare questi argomenti in modo veramente accattivante.