martedì 25 gennaio 2011

CL e la dottrina sociale della Chiesa.

Ovvero come mai il cattolicesimo politico di centro- destra è risultato vincente e quello di centro-sinistra perdente.


E’ oramai un ventennio che il cattolicesimo politico progressista ha perso ogni visibilità.
E’ oramai dallo stesso periodo che il cattolicesimo politico conservator-moderato-tradizionalista confluito nel Berlusconismo gode di ottima salute, ampia visibilità e sostanziale potere.
Tutti sanno che il merito di questo periodo col vento in poppa di questa branca del cattolicesimo politico sta nella forza “politica” di CL e delle scelte che ha fatto appoggiando il Berlusconismo.
Il cattolicesimo progressista in politica, finita la fallimentare esperienza di Prodi e amici è talmente in crisi che le comparsate televisive della Bindi e C suscitano ormai una malinconica pena.
Non ci sono né idee né uomini credibili per andare avanti, tanto varrebbe riconoscere senza indugi il fallimento del progetto politico del PD e pensare ad altro.
Di questo però ce ne occuperemo in un altro post, qui interessa invece interrogarsi per vedere se si tratta di mera buona o cattiva sorte, oppure se dietro il successo della componente moderata e l’insuccesso di quella progressista non ci sia qualcosa di serio e di sostanziale che hanno determinato le fortune di una e la sfortuna dell’altra.
A mio parere, come vedremo, la risposta è positiva, cioè ritengo che non si tratti né di causalità, né di buona o cattiva sorte ma di scelte politiche ideologiche che hanno prodotto i risultati dei quali stiamo parlando.
Per cominciare mettiamo subito da parte gli opposti fanatismi pro o contro il Berlusconismo , cioè cerchiamo di mettere da parte i pregiudizi e di analizzare invece alcuni fatti e le loro radici culturali.
Tutti sappiamo che Cl da decenni sta dietro a una tale occupazione di posti di potere nella politica , nella società e nell’economia da avere acquisito una visibilità ormai perfino imbarazzante per un movimento nato come ecclesiale e che oggi al di là della volontà dei suoi dirigenti viene percepita di conseguenza come una grossa forza di potere.
C’è da scandalizzarsi? Obiettivamente si e no, nel senso che se andiamo indietro di non moltissimi anni cioè dagli anni dal 60 agli 80 le Acli ,altro movimento ecclesiale, forse ancora più strutturato di CL quanto a dipendenza ecclesiale, avevano un gruppo parlamentare nella Dc che ha veleggiato per decenni fra i 20 e i 30 deputati e senatori, cioè nettamente più consistente di quello che hanno oggi i ciellini nel Pdl.
Non parliamo della Coldiretti, ancora più potente, anche se meno consistente sul piano ecclesiale.
Per intenderci : troverei giusto scandalizzarsi nei casi nei quali l’analisi portasse a individuare movimenti nati come ecclesiali trasformati in consorterie per l’ occupazione di posti di potere e basta, non troverei nulla da scandalizzarsi ove l’analisi portasse a individuare dietro a questi movimenti delle solide motivazioni culturali o dottrinali.
Veniamo quindi a CL.
Il Berlusconismo vissuto in modo fanatico dagli opposti schieramenti ha causato dei danni nel mondo cattolico nel senso che ha arruolato nelle opposte curve di fans ambedue le principali anime del cattolicesimo italiano.
E’ quindi diventato assiomatico per chi sente di appartenere alla componente progressista dipingere acriticamente il Berlusconismo come la fonte del decadimento della società italiana e assolvere il proprio schieramento diventato sempre più invisibile e inconsistente nella politica come vittima dello strapotere del Berlusconismo e non della propria sopravvenuta incapacità di proporre una linea politica coerente.
Gran parte del mondo cattolico progressista vede quindi Cl con l’irritazione di chi di si è visto ridotto all’angolo e tende a giudicare questo movimento con la stessa acredine con la quale sono stati redatti gli ultimi libri- inchiesta sul potere di Cl in Lombardia e nella sanità lombarda.
Mi riferisco ad esempio ai lavori di Ferruccio Pinotti : la lobby di dio e di Enrico De Alessandri : Cl assalto al potere in Lombardia, che riportano i dati utili per evidenziare la consistenza del potere politico occupato dai ciellini ma che non sanno fare alcuna analisi sulla cultura politica e l’ispirazione dottrinale che hanno portato questo movimento a divenire potente, abbiamo detto, in modo perfino imbarazzante.
Consiglierei il lettore che volesse aggiornarsi su Cl per capire se dietro a tanto successo c’è solo sete di potere o qualcosa di più consistente a seguire ad esempio Luigi Amicone direttore di Tempi il settimanale di Cl sul suo settimanale o nelle sue comparsate televisive.
Si accorgerebbe di un fatto fondamentale che vedremo di analizzare.
Cl ha scoperto il capitalismo e dopo averlo sperimentato ha concluso che può essere buono e virtuoso.
Per essere chiaro sono stato probabilmente troppo semplicista, ma questa è quella che vedo come la chiave di tutto il ragionamento.
Qualcuno potrebbe dire tutto qui?
E va bene, nella società italiana di oggi queste asserzioni sono condivise se non dalla totalità, presumo, da almeno i due terzi degli italiani e allora, cosa c’è di rilevante nel fatto che Cl abbia scoperto il capitalismo e lo abbia trovato sostanzialmente buono?
E invece c’è molto di più di quello che possa sembrare a prima vista per il semplice fatto che il rapporto fra la dottrina sociale della Chiesa e il capitalismo i rapporti non sono mai stati particolarmente buoni.
Sono stati pessimi fin dai tempi del fondatore del cristianesimo quel Gesù Cristo descritto dai Vangeli colme un figlio di lavoratore e lavoratore lui stesso che chiama ad esser suoi discepoli una turba di dodici apostoli provenienti nella quasi totalità dai ceti popolari più minuti.
L’interpretazione letterale dei vangeli porterebbe perfino a dover rilevare un pregiudizio del Cristo contro i ricchi.
La monumentale costruzione teologico-dottrinale che la Chiesa nei secoli ha sovrapposto al nudo messaggio evangelico non è stata da meno.
Difficile trovare nella Patristica e poi nella teologia medioevale delle paroline dolci per i ricchi.
Nei tempi moderni le cose non sono cambiate in modo sostanziale.
La reazione dei papi al capitalismo da quando hanno cominciato, se pure parecchio in ritardo ,ad occuparsi direttamente del problema i cioè da Leone XIII in poi non ha certo migliorato il rapporto.
Anzi, al contrario, al punto che quel poco che hanno detto in difesa dei capitalisti era stato quasi strappato loro non dalla convinzione ma dalla paura del social-comunismo che avevano individuato come il più terribile fattore di convulsione sociale, che volevano evitare a tutti i costi.
Il più progressista di tutti i papi in campo sociale che è stato Paolo VI tutto quello che ha scritto era chiaramente ispirato diciamo da una non simpatia ed ancora minore stima per le virtù del capitalismo.
Non parliamo del quasi Santo Papa Woytila, il primo papa quasi sindacalista, pervicacemente tradizionalista in dottrina, ma che non ha mai visto il capitalismo come la giusta alternativa al comunismo.
Papa Ratzinger uomo di altri interessi e di altre esperienze se ne è occupato ma senza dire nulla di nuovo o di originale.
Questo striminzito riassunto della dottrina sociale per dire che se cercassimo qui la base dottrinale per appoggiarvi la propria simpatia per il capitalismo avremmo sbagliato indirizzo.
E allora Cl che si presenta come il movimento più ossequioso della tradizione e della ortodossia dove è andata a prendere le se idee sul capitalismo?
Ovvio da Don Giussani.
Don Giussani, per chi sa di chi stiamo parlando realmente e non solo del suo mito, era una figura singolare.
Era l’ultra tradizionalista che si era precipitato dal vecchio e malato Paolo VI esortandolo di bloccare l’attuazione di alcune parti e interpretazioni del Vaticano II ,ma era anche uno dei pochissimi esponenti del cattolicesimo italiano che fosse curioso e interessato del cattolicesimo e soprattutto del cristianesimo riformato anglosassone ed in particolare dell’evangelismo americano.
Lo aveva studiato ed aveva anche fatto un serio viaggio di studio negli States, dal quale era tornato entusiasta.
Ecco da dove viene l’interesse e la sostanziale benedizione del capitalismo, che resta invece sostanzialmente indigesto alla dottrina sociale non ostante gli sforzi del banchiere Gotti Tedeschi, oggi posto dal papa a “risanare” lo Ior, che del capitalismo è un aperto difensore, portando però le argomentazioni di scuola Opus Dei più elitarie e quindi meno adatte a trovare ampi consensi.
Quando si sente un ciellino convinto parlare del suo incontro personale con Cristo sembra di sentire le confessioni a raffica che si possono seguire anche da noi dai siti satellitari televisivi evangelici statunitensi.
Allo stesso modo è inevitabile individuare nei discorsi dei dirigenti della Compagnia delle Opere l’eco della concezione calvinista della fortuna negli affari come segno della benedizione divina per il proprio buon operare, anche se questa osservazione li irriterebbe parecchio.
E in parte avrebbero ragione perché effettivamente nel bagaglio dottrinale culturale che Cl ha preso dall’evangelismo americano per “benedire” il capitalismo, manca quasi del tutto il rapporto con il liberalismo, nato illuminista e laico e quindi di difficile digestione per l’opinione tradizionalista del cattolicesimo soprattutto nostrano.
Pur con questo limite, che non è a poco, il fatto che abbiamo rilevato è di grande rilevanza perché mette in evidenza che una parte consistente, anche se non maggioritaria dell’opinione cattolica tradizionalista in Italia ha portato una sostanziale innovazione al pensiero sociale cattolico, andando oltre alla dottrina sociale della Chiesa.
Questa accettazione del capitalismo potrebbe per alcuni versi essere anche considerata una accettazione, se pure parziale, della modernità.
Cl pervenuta a queste posizioni a causa della sequela del pensiero del suo fondatore ha obiettivamente operato una innovazione nel pensiero sociale cattolico che la ha messa in sintonia con alcuni dei dati ritenuti acquisiti dalla gran parte della gente e questa è stata una e non ultima delle ragioni del suo successo nel campo della politica.
Sarà un caso ma la diffusione a macchia d’olio della Compagnia delle Opere sul terreno della piccola e media impresa la ha saldamente posizionata nel cuore del capitalismo italiano, che non è notoriamente basato sulla grande impresa.
Sull’altro versante, quello dei cattolici progressisti ,cosa è stato elaborato di innovativo nel corso di questi ultimi vent’anni?
Vedremo di rispondere a questa domanda nel corso di un successivo post.
Anticipo che non mi sembra che sia stato elaborato nulla di innovativo e che di conseguenza il loro riferimento culturale-dottrinale, pur essendo paradossalmente più aderente al corpus della attuale dottrina sociale della Chiesa, rispetto alla “innovazione” della “benedizione “ del capitalismo operato da parte di Cl, li fa percepire dall’opinione pubblica non come realmente progressisti, ma come i conservatori dello status quo e questa è precisamente la ragione del successo degli uni e dell’insuccesso degli altri.
Con tutto questo non si vuole affatto distribuire pagelle e tanto meno dire che Cl abbia dato un contributo essenziale all’evoluzione della dottrina sociale, ma si riconosce semplicemente che Cl ha messo in circolo una innovazione rispetto al corpus della dottrina sociale e questo fatto è risultato premiato a livello di società e di politica.
Allo stesso modo non si è voluto dare alcun giudizio su Cl giudicando se questo movimento ha ancora una sua valenza ecclesiale o se si è ridotto a una lobby di potere.
Si è solo detto in prima approssimazione che sembra di rilevare che la gente lo percepisca oggi più come lobby politica potente che non come movimento ecclesiale.
Come movimento ecclesiale fermamente tradizionalista non sembra che possa avere un roseo futuro se si guarda al resto d’Europa dove questa interpretazione del cattolicesimo ha ridotto il cattolicesimo stesso all’irrilevanza pressoché ovunque.
Come background culturale di orientamento cattolico moderato, nell’ambito di quel movimento politico che è il Berlusconismo è risultato finora vincente per le ragioni che abbiamo cercato di mettere sopra in evidenza e cioè sostanzialmente per il fatto che è percepito come innovativo rispetto alla tradizionale dottrina sociale delle chiesa e vicino al modo di sentire di quella fetta considerevole della società che proviene dal mondo delle libere professioni e del lavoro autonomo, che, guarda caso, coincide con la base elettorale del Berlusconismo.
L’altra faccia della luna del mondo cattolico paradossalmente più vicina di Cl alla tradizionale formulazione della dottrina sociale non avendo innovato né prodotto nulla di originale finisce per portare su di sé il peso dei limiti e dei pregiudizi storici che appesantiscono ancora quella dottrina e in particolare l’orientamento di fondo più favorevole agli interventi dello stato in economia che non all’iniziativa privata e tutto quello che ne deriva.
E’ vero che la dottrina sociale elenca il principio di sussidiarietà come cosa propria, ma questo principio è molto generico e può essere declinato in tanti modi.
Cl non solo lo ha declinato in modo molto estensivo ma si è dotata anche delle strutture per metterlo in atto.
E’ chiaro che se passiamo dalla teoria alla pratica e andiamo a vedere la galassia delle cooperative aderenti alla Compagnia delle Opere alle quali per esempio gli ospedali pubblici hanno fatto come si dice oggi “outsourcing” esternalizzando tutta la logistica e i servizi avremmo più che qualche interrogativo da porci sulla opportunità che siano proprio i cattolici ad ispirare le forme di lavoro più precarie che esistono nella realtà attuale, ma questo è un altro discorso.

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