giovedì 27 gennaio 2011

Il Pd è giunto ormai a fine corsa, tanto vale scioglierlo

Sono anni ormai che l’Italia non ha una opposizione parlamentare degna di questo nome, forse è venuto il momento di riconoscere il fatto che il PD ha fallito la sua missione e che di conseguenza la sua esistenza di partito inconcludente è ormi divenuta dannosa.
Ora che il ciclo del Berlusconismo , comunque lo si giudichi, sembra sempre più avviato non ad esaurimento ma probabilmente ad una radicale mutazione continuando ad esistere probabilmente senza Berlusconi, appare assurdo che il PD , concluso politicamente il suo ciclo con anni di inconsistenza assoluta, debba apparire di fatto come il principale sostegno del Berlusconismo a causa della sua cronica incapacità a proporsi come una alternativa credibile.

Il Berlusconismo se analizzato con criteri politologici e non di vuota polemica politica corrente si è imposto al consenso maggioritario degli italiani per quasi vent’anni per due ragioni fondamentali:
-è stato percepito come un fattore credibile di modernizzazione e di innovazione rispetto al regime politico preesistente (la Prima Repubblica) si ricordi l’obiettivo di fare una rivoluzione liberale della prima Forza Italia del’94;
-nel sistema bipolare costituitosi proprio negli anni del primo governo Berlusconi, diveniva fondamentale la figura e la personalità del leader della coalizione che potesse essere riconosciuto come un sicuro riferimento e Berlusconi è riuscito a presentarsi con quelle caratteristiche.

Il Pd invece ha perso la sua partita con la storia proprio perché specularmente è stato riconosciuto :
-come il portatore delle istanze dei ceti che volevano nella realtà la conservazione della situazione esistente.
Si tratta di quello che furbescamente ma efficacemente Berlusconi ha etichettato come il nemico comunista che in realtà era lo statalismo, il peso di una apparato burocratico invasivo pachidermico e inefficiente, un fisco inefficiente ma molto invasivo e parecchio pesante insomma tutto ciò che costituisce un ostacolo a chi vuole intraprendere invece che essere inquadrato nel lavoro subordinato;
-come un partito composito in balia di troppi capetti di scarsa levatura e con un passato ideologico nascosto e non entusiasmante, incapace di presentarsi con una leadership credibile.
Emblematico fu il tentativo di guida di Prodi, il tipico uomo sbagliato al posto sbagliato, del tutto incapace di esercitare un minimo di leadership e ancor meno di contrapporre al Berlusconismo un programma politico che non fosse il procrastinarsi del passato.
L’esperienza delle convention aziendali è stata molto utile a Berlusconi per riuscire a comunicare con chiarezza i suoi obiettivi strategici :
privilegiare il privato rispetto al pubblico;
ridurre la pressione fiscale;
favorire la libera impresa e il lavoro autonomo;
introdurre sistemi di reclutamento della classe dirigente basati sul merito e sui risultati come avviene nelle imprese;
ridurre l’apparato burocratico;
presentarsi come non politico nel senso di avverso alle manfrine della vecchia classe politica;
presentarsi come l’uomo del fare che privilegia le realizzazioni pratiche rispetto ai proclami ideologici;
puntare sul sentimento di insicurezza largamente percepito come reazione alla forte e improvvisa ondata di immigrati;
sfruttare la filosofia ispiratrice delle televisioni di Mediaset tutta focalizzata sul mero intrattenimento;
impersonare per la prima volta una versione di leadership indiscussa.

Sempre specularmente il Pd a causa dei suoi limiti e del migliore livello di comunicazione del Berlusconismo è stato percepito come il partito :
del pubblico privilegiato sul privato;
difensore del pubblico impiego e quindi della burocrazia;
partito delle tasse usate per tenere alta la spesa pubblica “improduttiva”;
ideologicamente buonista e quindi portato ad ospitare un qualsiasi numero di immigrati;
cronicamente incapace di esercitare una leadership fra le diverse componenti politiche ed anzi continuamente ostaggio di minoranze strette dai verdi più radicali ai comunisti più anacronistici.

Qual è stato il risultato di una contrapposizione così netta ed esasperata?
A costo di essere semplicistici si potrebbe dire che il vero nocciolo del problema è che il Berlusconismo, pur essendo la casa politica dei moderati, è stato percepito come una innovazione rispetto allo status quo della prima repubblica, mentre il Pd è stato percepito come la continuazione della prima repubblica con tutti i suoi difetti e quindi in sostanza come un elemento di conservazione.
Il progetto politico del Pd prevedeva la fondazione di una unica casa per i progressisti qualunque fosse la loro provenienza ideologica.
In realtà però si basava su due colonne fondamentali : il grosso di quello che era stato il Pci soprattutto nella sua componente riformista e l’area politica del cattolicesimo politico progressista.
In pura teoria non c’erano ragioni particolari che potessero far pensare a problemi di incompatibilità fra le due com ponenti principali e quindi il progetto politico sembrava destinato a rafforzarsi.
Forse la causa dell’odierno fallimento è che non si ottiene una struttura solida sommando due debolezze.
Cercheremo di analizzare il perché di due debolezze.

Cominciamo dalla componente ex Pci.
Qui gli elementi di debolezza sono talmente evidenti che non è certo difficile elencarli.
Prima di tutto la palla al piede di una ideologia risultata perdente nel giudizio della storia.
C’era un solo modo per esorcizzare in modo credibile quei ricordi spiacevoli ed era fare una analisi rigorosa di quello che c’era di buono nelle ideologia di partenza e di quali fattori invece avevano prevalso nel tempo snaturando l’originale pensiero di Karl Marx per ingabbiarlo in una dittatura nella interpretazione che del marxismo aveva fatto Lenin e attuato Stalin.
Gli ex Pci avevano a disposizione intellettuali di prim’ordine che avrebbero potuto facilmente offrire loro gli strumenti culturali per dare una solida base all’operazione.
Invece l’operazione non è nemmeno stata messa in cantiere ed invece si è assistito all’umiliante spettacolo di esponenti di primo piano che non hanno avuto alcun ritegno nel rinnegare le proprie radici culturali e storiche , qualcuno affidandosi a riferimenti politico culturali appartenenti ad altre storie e tradizioni, difficilmente combinabili con le loro vere radici, penso ad esempio a Veltroni con i suoi improbabili riferimenti a Kennedy e a Don Milani.
Sarebbe stato più sensato per loro tenersi almeno Gramsci e Pasolini.
Come mai l’operazione non è stata nemmeno tentata non ostante il livello non disprezzabile della classe dirigente ex Pci?
La risposta più plausibile è che quella classe dirigente era disposta a rinnegare le proprie radici ideologiche, ma non i pregiudizi e le idiosincrasie che aveva assorbito dalla storia del Pci.
Erano cioè disposti a rinnegare anche la propria madre ma non a fare quella severa revisione storica che li avrebbe costretti a riconoscere che loro avevano avuto torto e che i socialisti e i social democratici avevano avuto ragione.
Questa la prima delle ragioni sul versante ideologico- storico.
C’è poi un’altra ragione da ricercarsi sul versante della politica di potere.
Quei dirigenti politici sapevano bene che anche assumendo una qualsiasi altra denominazione partitica il loro radicamento territoriale come forza di potere era talmente forte e consolidato da farne in ogni caso una sorta di “Lega del centro Italia” e che da quei bastioni non li avrebbe scalzati nessuno.
Prevalse quindi il “partito degli assessori” che era e sarebbe rimasta una forza anche sotto una qualsiasi altra bandiera partitica e senza più alcuna ideologia.
Non è stata una scelta brillante né sul piano morale né sul piano politico.
Da allora le roccaforti sono state quasi generalmente mantenute ma con un costante stillicidio di consensi verso il basso, oltre che con una totale perdita di anima.
La gestione del potere da un grosso “vantaggio competitivo” ,ma se chi ne usufruisce non riesce più a comunicare con la società che dovrebbe rappresentare, il sistema politico si incarta.
Lo sbarco della Lega in Emilia con buoni risultati dimostra che la crisi degli ex Pci è sempre più pesante.
La contemporanea presa della Lega sull’elettorato operaio è un altro segnale di allarme rosso.
Il silenzio degli intellettuali e in generale dell’intellighentia italiana egemonizzata dalla sinistra da sempre è il terzo segnale della caduta verticale del Pd di provenienza Pci.
Quello che rimane come dicevamo è solo il “partito degli assessori”, cioè quella fetta di potere ancora consistente e ancora discretamente stutturata soprattutto nelle tradizioni regioni “rosse”.
In Italia l’arretratezza del sistema sociale fondato su vecchi vizi (baronie, signorie, corporazioni ecc.) prevale ancora sui più moderni criteri di scelta della classe dirigente per ragioni di merito e quindi la gestione del potere comporta una vischiosità maggiore che in altri paesi posti a nord delle Alpi.
Cioè chi detiene il potere è favorito dal fatto che la sua “base” chiude gli occhi sulle sue ladrerie, incapacità ecc. purché possa conservare la possibilità di avere un chiaro e visibile riferimento (il barone politico di turno) al quale rivolgersi per chiedere favori.
Da questa palla al piede che frena la modernizzazione del paese non è favorito solo il Berlusconismo ma anche i suoi competitori.
Ed allora a un Berlusconi che in qualsiasi altro paese sarebbe già stato sostituito è speculare un D’Alema che si trova esattamente nella stessa situazione di fruitore di un sistema incartato, non perché Berlusconi e compagni nonché D’Alema e compagni siano dei diavoli corruttori, ma perché la società che li ha votati è una società arretrata alla quale sta bene che esista il “barone” ben visibile e pronto a dispensare favori a suoi sudditi.
Il fatto poi che la componente del Pd in teoria più di sinistra sopravviva fruendo delle arretratezze della società italiana è cosa ancora più penosa.

Veniamo all’altra componente del PD, quella di matrice cattolica ex Dc.
Nella polemica politica corrente la si qualifica come ex sinistra Dc e questo non è affatto vero ed anzi è una delle cause del suo fallimento.
E’ chiaro a tutti che ad esempio la Binetti Fioroni e rispettivi seguaci rappresentano settori ed anime del cattolicesimo politico ovviamente rispettabili ma che non hanno nulla da spartire con le idee e la stori della sinistra Dc.
E’ vero che la sinistra Dc come tutte le componenti politiche ha usufruito o sofferto secondo i punti di vista di componenti diverse : la sinistra “sindacale” di Donat Cattin era diversa dalla sinistra “intellettuale” di Marcora che trovava la propria ispirazione nell’ereadità di Mattei.
Quella fiorentina di Nicola Pistelli era diversa da quella emiliana di Andreatta e poi Prodi che aveva ispirazione nel Dossettismo.
La Pira era un personaggio a sé. E nel Meridione Sullo conterraneo di De Mita aveva una sua connotazione non sovrapponibile a quella di DeMita ecc.
Fanfani giocava la sua partita in proprio per temperamento personale, ma per molti versi era assimilabile alla visione della sinistra.
C’era però un comune sentire e una connotazione ideologica ben precisa orientate a una politica economica di tipo Keynesiano, una fiducia nella missione del pubblico di gestire un ampio welfare .
di servizi e un orientamento di politica estera diretto a privilegiare il Mediterraneo e i rapporti col terzo mondo nel quadro di un europeismo convinto.
La visione politica era basata su una concordanza di vedute più profonda nella collocazione all’interno del mondo cattolico e delle componenti ecclesiali.
Per farla breve questa area politica si riconosceva pienamente nelle idee sulla Chiesa che avevano portato al rinnovamento operato dal Concilio Vaticano II, non è un caso che Giuseppe Dossetti si fosse trovato al Concilio come attivissimo segretario di uno dei quattro “modertori” il Card Lercaro.
Questo ultimo fatto ha avuto una importanza fondamentale perché la sinistra Dc era ben conscia del fatto che la propria visione peculiare delle cose era saldamente ancorata a una componete ecclesiale di grande peso.
Quando è finita la Dc nel 1993 con la nascita dell’allora Partito Popolare, Camillo Ruini era Presidente della Conferenza Episcopale Italiana già da due anni ed era già chiaro il suo disegno di perseguire una decisa politica di intervento della Chiesa sulle questioni politiche in modo sempre più diretto, favorendo le componenti moderate del mondo cattolico e tagliando i finanziamenti senza tanti complimenti a qualsiasi altra componente del mondo cattolico.
Successe quindi che la componente moderata del cattolicesimo politico non ebbe difficoltà a cercare una sponda ecclesiale nella potente e ben strutturata Cl per confluire in gran parte nel Berlusconismo ,con la benedizione e l’appoggio di Ruini e del media cattolici, mentre la componente di sinistra si trovò del tutto spiazzata e senza mezzi.
Con una certa visibilità rimase solo la componente prodiana, che vantava il background culturale di tutto rispetto e ben strutturato ispirato a Dossetti, con la vicinanza dell’Istituto di scienze religiose di Alberigo, dei Dehoniani del Regno e una piccola ma forte galassia di centri di ricerca che andavano oltre il più noto Nomisma, nonchè il prestigio culturale del Mulino.
Prodi però chiaramente non seppe esercitare una leadership che gli consentisse di amministrare l’eredità della sinistra Dc .
Per fare questo non sarebbe stato necessario solo saper coordinare politicamente quell’area, ma sarebbe stato necessario anche sostenere con mezzi materiali e copertura mediatica l’ area cattolica progressista, completamente oscurata da Ruini , ma esistente e con una consistenza rilevante.
Senza questo ancoraggio di tipo ecclesiale e culturale l’area politica avrebbe rischiato di finire come il “partito degli assessori” degli ex Pci e poi Ds, un gruppo di potere senz’anima e sempre più distaccato da una base reale nella società.
E infatti così è finita.

Ci siano quindi ritrovati con due debolezze ex Pci ed ex Dc che se sommate non possono fare una forza, come si era detto all’inizio, ognuno dei due in grave crisi di identità e senza più legame con un elettorato di riferimento.
A questo puto occorrerebbe avere il coraggio di pronunciare la dichiarazione di fallimento sciogliendo il partito sembra ulteriori indugi.
Non sarebbe la fine del mondo.
Del resto anche le altre forze di sinistra in Occidente sono oggi in crisi molto serie anche se partivano da condizioni di maggiore forza rispetto alla situazione italiana.
Le componenti di derivazione marxista avevano da decenni rinnegato il comunismo sovietico adottando le politiche proprie delle moderne socialdemocrazie.
Le componenti cattoliche progressiste godendo di posizioni più periferiche e più indipendenti dal Vaticano rispetto ai cattolici italiani non avevano mai avuto problemi a militare direttamente nei partiti socialisti democratici.
Cioè le due componenti pure con storie e riferimenti ideologici simili ma di diversa ispirazione avevano fatto scelte molto più “moderne” rispetto ai confratelli italiani.
Ma i nuovi problemi giunti al seguito della globalizzazione del mondo hanno messo in crisi anche loro ed ora occorre trovare comunque nuove strade , nuove politiche e un nuovo elettorato di riferimento. Si può quindi anche fare a meno del Pd.

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