Ho visto di recente il film di Enzo Monteleone sulla battaglia di El Alamein avvenuta nell’autunno 1942.
Come mai rivedere quel film non certo di cassetta e non certo di intrattenimento?
L’interesse ed il pretesto sono stati di natura prettamente personale per due ragioni.
Per prima cosa nell’autunno del 42 sono nato e quindi in qualche modo mi ritrovo legato a quegli eventi in modo idissolubile.
Poi perché il più anziano dei miei familiari ha avuto la ventura di esserci in quei giorni fra il deserto e la depressione di Al Qattara e la fortuna di potere oggi raccontare quei giorni, che tra l’altro per lui sono stati corroborati dall’esperienza di successivi quattro anni di prigionia in un campo inglese sempre nel deserto egiziano.
Il forte interesse che il film ha suscitato in me però è andato oltre al legame personale e familiare con quegli eventi per focalizzarsi su un problema di fondo sul quale oggi si è portati a riflettere poco per il semplice fatto che fortunatamente da allora abbiamo trascorsi quasi settant’anni costantemente in una situazione di pace.
Mi riferisco a quello che nel campo della scienza politica si definisce il problema del lealismo verso lo stato,
studiato in Italia più sistematicamente, come è noto, da Norberto Bobbio, cioè del vincolo per il quale il cittadino si trova a essere e a sentirsi obbligato ad andare il guerra se richiesto dallo stato al quale apparitene.
Quel film pone questo problema in mille modi ovviamente non in modo diretto e teorico, ma non meno pressante.
Si fa capire chiaramente che sia nella truppa quanto fra gli ufficiali si era ormai diffusa la consapevolezza che l’intera operazione era viziata da errori marchiani di carattere strategico e logistico ,tali da comprometterne l’esito.
Ad esempio il Tenente spiega subito al giovane appena arrivato che la logistica era un disastro dal momento che le basi di rifornimento erano lontane settanta chilometri di piste desertiche e che quindi la posizione di quelle truppe era materialmente impossibile da mantenere.
La questione quindi non era politica né ideologica, come si tenderebbe a pensare ragionando con i parametri oggi usuali.
Non si trattava affatto di essere fascisti o antifascisti, guerrafondai o pacifisti, ma più concretamente di scoprirsi pedine di una partita già persa per una serie di errori proprio di tecnica militare e di conseguenza non solo e non tanto di trovarsi a combattere una guerra sbagliata, ma di essere in costante pericolo di vita a causa di errori altrui e peggio di non essere in condizione di potere fare nulla né per cambiare le sorti di quelle operazioni di guerra, né tanto meno per portare a casa la pelle sana.
Situazione assolutamente tremenda.
L’assoluta drammaticità di quei momenti è evidenziata in modo eclatante dall’episodio del suicidio del generale (episodio tra l’altro realmente avvenuto con l’impatto sul morale dei soldati che si può facilmente immaginare).
Nel film non si parla direttamente di una delle alternative possibili in pura linea teorica, quella del “disertare” solo accennata parlando di uno che si era nascosto per mesi ad Algeri e in qualche modo adombrata quando la pattuglia mandata ad approvvigionarsi di acqua si prende la libertà di cambiare itinerario per concedersi un bagno in mare.
Alternativa, si è detto, possibile in linea teorica ma che al di là dei terribili conflitti fra lealismi diversi ,che tale scelta avrebbe suscitato (quello verso lo stato, ma anche quello verso sé stessi e la propria famiglia, quello verso i compagni d’arme ecc,), non è affatto detto che in mezzo al deserto fra campi minati ed opposti schieramenti fosse realisticamente praticabile con più possibilità di sopravvivenza.
Uno che poteva fare in quelle condizioni?
Chi oggi frequenta gli opinionisti dei così detti “salotti radical chic” sarebbe portato a dire : uno in quella guerra “fascista” non doveva nemmeno andarci ,invece avrebbe dovuto per tempo andare esule in un paese democratico.
Ancora in linea teorica l’obbiezione presenta una sua logica, ma appare anche priva di fondamentali elementi di aggancio alla realtà storica.
Prima di tutto il fatto non casuale che gran parte di quei ragazzi non erano poveracci costretti a tenere la posizione in trincea perché se avessero arretrato sarebbero stati fucilati dai carabinieri come era capitato nella prima guerra mondiale, ma erano volontari fortemente motivati vuoi dal fascismo, vuoi dall’ideologia dannunziana, vuoi semplicemente dal fatto di essere giovani, che volevano fare “grandi cose” come tutti i
giovani.
Poi il cima culturale enormemente diverso rispetto all’attuale.
Paradossalmente nel regime che riconosceva il suo intellettuale di riferimento in quel Gentile teorico dello stato come elemento prioritario rispetto all’individuo, la cultura politica allora diffusa non faceva tanto riferimento al concetto astratto di stato, ma piuttosto al concetto di nazione e di patria, con tutte le implicazioni simboliche ed emozionali che questi concetti evocano.
Sembrano passati secoli talmente i riferimenti culturali allora diffusi e condivisi sono radicalmente cambiati.
Allora ,senza che i protagonisti ne fossero consapevoli, si concludeva una stagione storica ideologica durata secoli nella quale prevaleva il concetto di patria come radice, fattore di appartenenza ad una comunità non scelta, ma naturale.
Prevaleva il concetto di lealismo verso i reggitori della patria come elementi che ricoprivano quelle posizioni per diritto naturale e sostanzialmente anche divino.
Il concetto di potere politico basato su e legittimato da un “contratto sociale”, cioè da una scelta degli individui cittadini e non da un presunto diritto naturale ,anche se presente nella storia e in dottrina da un secolo e mezzo non era allora patrimonio né comune nè tantomeno condiviso.
Per capire quanto sono radicalmente e velocemente cambiate le sensibilità politiche ideologiche con la fine della seconda guerra mondiale è utile ricordare ad esempio che soli tre decenni dopo quei fatti di El Alamein, fra i giovani che in America hanno bruciato la cartolina precetto o sono andati illegalmente all’estero per schivare la guerra del Vietnam c’era quel Bill Clinton che anziché essere riprovato per quei comportamenti, sarebbe diventato addirittura il più popolare Presidente degli Stati Uniti dei tempi recenti.
La risposta alla richiesta di lealismo verso lo stato è radicalmente cambiata.
A cominciare dalle istituzioni.
Oggi l’art 11 della Costituzione italiana ripudia la guerra come “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, è una dizione terribilmente restrittiva.
Fino ai custodi della morale , infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica agli articoli 2265 e seguenti condanna la guerra che non sia per legittima difesa :” i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità”.
Poi al canone 2309 per non lasciare dubbi elenca dettagliatamente i casi nei quali è ravvisabile la legittima difesa con ciò condannando in modo netto ogni altro uso della guerra ed impedendo così interpretazioni estensive di comodo.
Una ultima osservazione che quel film mi ha portato a fare è questa : la democrazia ha una sua superiorità rispetto alle dittature che non è solo ideologica o etica, ma è direi fattuale, “tecnica”.
In una democrazia (si intende che funzioni almeno in una certa misura ) le regole del gioco sono ispirate ad una filosofia per la quale le nomina della classe dirigente devono essere fatte per merito ed in ogni caso le scelte di ogni tipo sono sottoposte al vaglio ed alle critiche della opposizione e di una opinione pubblica avvezza al pluralismo delle informazioni.
E’ lecito quindi dedurre :
- che in un regime democratico la scelta di entrare in guerra avrebbe dovuto essere supportata da argomenti dotati di una loro logica, sottoposta alle contro argomentazioni della opposizione parlamentare e non lasciata ad una propaganda di regime che aveva buon gioco a giocare tutto sulla emotività della gente;
- nel corso di un dibattito con quelle caratteristiche lo stato di preparazione o di impreparazione tecnica delle nostre forze armate avrebbe potuto arrivare a potere essere vagliato dalla opinione pubblica attraverso ai mezzi di informazione, che avrebbero potuto sfornare tabelline con tanti uomini ,aerei, carri, navi ecc da una parte e dall’altra, evitando così brutte sorprese;
- se la scelta della classe dirigente militare fosse stata fatta per merito probabilmente gli approvvigionamenti sarebbero consistiti invece che nel il cavallo di Mussolini e nel lucido da scarpe per una improbabile parata in artiglieria e carri per combattere almeno ad armi pari.
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