L’Italia soffre di un deficit di democrazia nella struttura e nella gestione dei partiti a torto riferita solo alla singolare gestione “padronale” del Pdl da parte di Berlusconi.
Non c’è dubbio che la gestione definita variamente padronale, personalistica o cesarista di Berlusconi sia una anomalia che crea danno al paese, ma purtroppo non è affatto l’unico esempio esistente nel panorama politico.
Si pensi alla gestione altrettanto personalistica e gerontocratica di Pannella sul Partito radicale.
A seconda sei punti di vista si potrà ritenere Pannella un leader politico di ben altra caratura rispetto a Berlusconi, probabilmente a ragione se si tiene conto del fatto che il Partito Radicale fa parte della tipologia classica del partito di opinione e non di massa e questo è di mostrato dal fatto che in certe iniziative referendarie ha raccolto consensi enormemente superiori alla sua consistenza parlamentare ed anche in talune elezioni ha ottenuto percentuali molto superiori all’abituale 2/3%.
Altrettante volte però la gestione cesarista del leader storico, insanabile narciso, ha portato il partito a sostenere iniziative fallimentari perché basate su valutazioni superficiali (si pensi alla mobilitazione per gli aiuti ai paesi africani ai tempi di Craxi che creato un mostruoso carrozzone utile solo per alimentare la corruzione politica italiana , somala ecc. sperperando miliardi di lire) o a sostenere iniziative fra il folcloristico e il goliardico come i posti di deputato donati a Cicciolina o ad altri personaggi dubbi.
Pannella dicono i suoi che oltre a non avere guadagnato nulla da tutta la sua carriera politica ci avrebbe rimesso tutti i beni di famiglia girati al partito per sostenerlo in momenti di grave difficoltà e questo probabilmente è vero ed è assolutamente singolare e rimarchevole nel panorama politico italiano.
Pur tuttavia la gestione personalistica conduce per esempio a “salti della quaglia” che in un partito gestito in modo non personalistico non sarebbero possibili.
Non meno dannosa è la tendenza del leader a intestardirsi nel coniare e ripetere da decenni slogan di dubbia sensatezza da lui inventati come :”il partito transnazionale, transpartito “ o l’insistenza sulla necessità di una lotta prioritaria alla “partitocrazia” che non salverebbe nessuno e nessuna istituzione salvo lo stesso partito radicale, unico puro.
Non manca il vezzo veramente cesarista di Pannella di occupare Radio Radicale tutte le domeniche con una sua prolusione fluviale sostanzialmente a monologo che non ha nulla da invidiare alle analoghe prolusioni un tempo di Fidel Castro e oggi di Chavez in Venezuela.
E’ sperabile che Berlusconi non l’ascolti e quindi non si metta in mente ulteriori cattive idee, sull’uso dei media.
L’unico risultato che questi comportamenti ottengono al Partito Radicale è quello di avere fatto scendere la sua quota elettorale, già molto bassa, dal tradizionale 2/3% a meno dell’1%.
Qualsiasi altro partito si sarebbe disfatto di un tale leader, ma un partito sempre gestito in modo cesarista non riesce a farlo, nonostante la presenza fra i radicali di molti giovani motivati e dedicati alle iniziative radicali in modo disinteressato.
Ma non è finita, cioè non ci sono solo Berlusconi e Pannella , c’è anche Di Pietro che gestisce il partito con lo stesso stile. E impietoso evidenziarlo, ma i recenti episodi di parlamentari del partito di Di Pietro transitati politicamente dalla parte opposta hanno messo in evidenza con quale leggerezza il capo aveva scelto il personale politico. Sul partito di Di Pietro si era anche scritto di confusione fra la gestione finanziaria del partito e di una fondazione a lui risalente. La cosa era talmente poco presentabile che ora probabilmente le cose sono state messe a posto. Il leader cesarista non sopporta mai comprimari o delfini.
Pochi anni fa era toccato a Veltri di dover lasciare Di Pietro, ora si pone il problema De Magistris.
Abbiamo parlato del Partito Radicale e dell’Italia dei Valori, due partiti significativi, ma piccoli.
Un problema più serio può essere la Lega che a un certo momento dovrà pure lei risolvere le sue contraddizioni di partito largamente popolare , ma guidata con una accentuazione sulla autorità del leader storico per certi aspetti tutt’altro che limpida.
Mi chiedo cosa avranno pensato gli esponenti più significativi della Lega da Maroni e Calderoli ,che tra l’altro si sono guadagnati sul campo una larga reputazione come uomini di governo e che quindi aspirano alla successione del capo storico, quando hanno sentito dire dal capo che il suo delfino è il figlioletto denominato “trota”, come se fossimo in una monarchia ereditaria.
La Lega tra l’altro adotta dalla fondazione una singolare procedura di affiliazione che non è certo il massimo della trasparenza e della democraticità. Cioè per intenderci se al Pci poteva anche iscriversi Gianni Agnelli purché avesse la faccia di dichiarare che condivideva gli ideali e la linea del partito ,alla Lega no .Alla Lega si fa una sorta di preiscrizione di prova che non da nessun diritto di voto per l’elezione negli organismi del partito e l’iscrizione vera e propria seguirà solo quando il partito avrà testato la corrispondenza del candidato alle sue esigenze.
Ora, purtroppo nel sistema italiano i partiti politici sono giuridicamente nel limbo delle “associazioni non riconosciute” pari alla “Canottieri Lambro” non c’è uno schema di statuto tipo al quale uniformarsi né tanto meno uno schema di bilancio da fare certificare come per una qualsiasi azienda, per la qual cosa ogni partito può strutturarsi e gestirsi come crede con solo gli ovvi limiti della legge penale.
Però anche con questa ampia e probabilmente eccessiva libertà della quale godono stante la loro funzione istituzionale si pretenderebbe qualcosa di più come coerenza ad un sistema democratico.
Anche nella Lega sembra finora prevalere qualcosa di simile al vecchio e deprecato “centralismo democratico” che vietava la formazione palese di correnti interne.
E’ vero che le correnti troppo strutturate hanno portato in passato i partiti che le avevano in certi periodi alla paralisi decisionale, ma ciò non toglie che senza una visibile dialettica interna in un partito le idee non circolano e si continua a riproporre sempre la stessa minestra riscaldata.
La Lega finora ha usufruito di anni felici di crescita continua e di un costante radicamento territoriale occupando gli spazi lasciati vuoti dal suicidio di Dc e Pci e di conseguenza ha a poco a poco schierato una classe di giovani amministratori completamente nuova.
Ora però che i posti istituzionali occupati sono diventati uno schieramento considerevole è venuto anche per lei il momento del passaggio dalla fase “eroica” degli inizi alla normale gestione del potere che porta con sé rischi di corruzione e involuzione clientelare che vanno contrastati appunto con una più ampia e trasparente democrazia interna.
E quindi il “cattivo esempio” della gestione berlusconiana del suo partito non è affatto un caso unico come abbiamo visto anche se questa constatazione non ci porta alcun sollievo.
L’Italia ha bisogno di tutto meno che di ribadire anomalie rispetto agli altri paesi di democrazia occidentale, anzi, dato che gli indicatori di qualità e di efficienza ci mettono sempre di più agli ultimo posti sarebbe ora di metterci in regola e di finirla di pensare di potere fare i furbi senza pagare il conto.
Nessun commento:
Posta un commento