giovedì 6 ottobre 2011

Esiste una immortalità laica o una verosimile speranza di immortalità laica?

Ho dovuto registrare in una successione temporale stretta tre eventi (uno al giorno per tre giorni successivi) che proprio per la riproposizione del medesimo tema ,e che tema, così di seguito, avrebbero indotto a filosofeggiare anche un avventore del bar sport, per definizione poco avvezzo a queste cose.
Primo giorno, commemorazione di un mio amico di infanzia , professore universitario di fama deceduto improvvisamente il dicembre dell’anno scorso.
Commemorazione tenuta nel corso di un evento che si ripete da sette anni autogestito dagli studenti, ma che senza la sua iniziativa non avrebbe potuto avere il successo che ha avuto.
Il tutto si svolge in ambiente accademico, ma protagonisti non sono paludati professori, suoi colleghi, ma una folla strabocchevole di studenti, molti dei quali suoi ex studenti, che lo ricordano con un affetto e una stima sconvolgente, ma senza che nessuno ritenga di invocare l’al di là o la “consolazione” derivante dai miti religiosi ,che in circostanze del genere di solito non mancano mai.
Ecco gettato un primo seme di immortalità laica.
Una vita spesa bene mettendo tutto l’impegno a svolgere al meglio la propria professione, praticando e trasmettendo entusiasmo, impegno, senso civico.
Una testimonianza umana alta che passa ai giovani la prova provata che è possibile vivere in questo modo e che vivere in questo modo paga non in termini di soldi di potere e di onori, ma di ricchezze umane, che non hanno prezzo.
E questo impegno viene apprezzato dagli studenti non perché profuso facendo il calcolo di ricevere in cambio la eventuale “ricompensa” promessa dalle religioni, ma laicamente e stoicamente perché fare il bene è un valore in sé che si auto- ricompensa.
Che l’interessato fosse credente non cambia nulla, perché la folla degli studenti non gli era grata per quello ma per il suo impegno “laico”, non solo per averli dotati delle necessarie conoscenze delle discipline indispensabili per esercitare una certa professione ma per averli aiutati a diventare uomini con il suo rigore morale.
Secondo fatto, il giorno dopo.
Leggo su la Stampa la notizia del decesso dopo alcuni anni di lotta al tumore di una ragazza autrice di un blog molto seguito, anche perché il direttore di quel giornale aveva saggiamente deciso di metterlo sul sito del giornale da diversi mesi.
Non avendo avuto modo di seguire il blog, che sinceramente non conoscevo, leggo il ricordo di ottimo livello che lo stesso direttore ha scritto sul suo giornale ieri.
I concetti che vengono fuori anche in questo caso non sono occasione di semplice commozione e consolazione, ma sono una vera sferzata di cultura umanistica, così rara di questi tempi.
Scoprire quanta vita c’è quanto si sente vicina la morte, quanta energia vi si può ricavare.
Energia tradotta in capacità di fare progetti.
Mi ha molto colpito questo pensiero così duro, ma che spalanca orizzonti umani davvero verso un infinito laico :”sto programmando un sacco di cose, non importa se tutti i miei progetti non riuscirò a realizzarli, perché nessun male mi potrà mai impedire di immaginarli”.
Si può essere “solo” umani ma saper volare così alto.
E la forza le veniva dalla condivisione coi familiari, col fidanzato che l’ha sposata pur sapendo che sarebbe stato per un tempo così breve, con gli amici e con i lettori.
E la considerazione che ogni attimo della vita va vissuto cercando di goderlo, quando si sta bene.
Guai vivere per far passare il tempo, come diceva Hemingway, guai perdere il tempo.
Il blog era tutto un : “so che non potrò mai guarire , ma…..”
Ma che cosa? Cos’è questo atteggiamento se non la prova dell’esistenza di una “speranza di immortalità” laica.
Non c’è un solo accenno alle “consolazioni” dei miti religiosi.
Non par vero che in questa strana Italia sappiano vivere sentimenti di sana umanità laica così alti e così forti, manifestati poi nel momento della verità per definizione, quello del confronto consapevole con la morte.
Terzo giorno, oggi.
Arriva la notizia della morte di colui che molti ritengono ,probabilmente a ragione, il più grande genio dell’umanità dei nostri tempi, Steve Job, dopo anni di lotta determinatissima a una delle forme meno curabili di tumore.
Non sto a elencare le sue “scoperte” e realizzazioni, che hanno cambiato la vita di tutti noi ,perché ci penseranno (vorrei sperare) i media.
Pochi personaggi riescono ad essere avvicinati ai grandi geni del rinascimento in modo così naturale.
L’uomo aveva tutto per rientrare a buon diritto nello stile dei personaggi delle “vite” del Vasari.
Pochi hanno saputo combattere la malattia in pubblico con tanta naturalezza.
Questo era uno che viveva di progetti immaginifici e che a differenza dei grandi del rinascimento aveva dalla sua un formidabile corredo di tecnologia che quelli non potevano nemmeno sognare.
E ne fece uso a profusione.
Ovvio che la vita gli abbia concesso una ricchezza difficile da immaginare, ma che valgono i soldi di fronte a un tumore al pancreas?
Ma la genialità non ha prezzo.
Stive Jobs sono decenni che ha saputo stupire il mondo, sfornando congegni di un livello tecnologico talmente eccelso da non parere frutto di una mente umana.
Gliene comperavano a milioni prenotandoli sulla parola solo sulla base di illazioni.
Ma se nel suo caso il genio è stato coniugato anche col business, nessuno ha mai dubitato che il genio vive di vita propria.
Ed ecco il terzo indizio di immortalità laica.
L’artista diventa immortale attraverso le sue opere diceva Giacomo Leopardi.
Questo è un caso da manuale.
Jobs non era credente, dalle sue normali biografie risulta solo una vicinanza momentanea col buddismo, ma per l’ennesima volta questo è un elemento soggettivo che non sarebbe rilevante più di tanto, nel valutare la statura della persona perché quello che ha fatto è un arricchimento dell’umanità nel suo insieme al di là di ogni ricorso ai miti religiosi e qui risiede la speranza di immortalità laica.
Nel celebre discorso di accettazione della laurea honoris causa ricevuta dalla prestigiosissima Università di Stanford sei anni fa, Jobs aveva lasciato il suo testamento spirituale ai giovani :
cercate di scoprire quello che amate e non mollate fino a quando non riuscirete a coltivarlo, non accontentatevi di poco , mirate alto; coltivate la voce che nasce dal vostro io , cercate di non finire prigionieri del dogmatismo, che equivale a vivere in base ai principi altrui; tutti temono la morte, che però è la nostra ultima destinazione, e che ha la funzione geniale di essere il più formidabile fattore di cambiamento, spazza via il vecchio per far posto al nuovo.
Duro ma fantastico.
E’ più alto e credibile il messaggio, cioè la speranza che proviene da questi uomini e donne in ambito puramente laico o quello che ci propongono le chiese per un al di là del quale non sanno argomentare nulla?
Eppure dovrebbe essere la loro ragion d’essere.
Da secoli si sono occupate di tutto, ma nella materia per la quale la gente cerca qualche risposta dalle religioni non hanno elaborato pressoché nulla, non hanno aggiunto nemmeno un tassello per costruire una argomentazione appena verosimile o convincente.
Ne riparleremo.

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