Da Don Verzè mi sarei aspettato questo commiato : ho riletto con emozione il Riccardo III di Shakespeare e ho capito che l’esercizio del potere mi ha divorato, ho commmesso errori imperdonabili, vi chiedo scusa, per dimostrare la mia buona fede metto a disposizione tutti i miei beni personali ai creditori del San Raffaele e mi ritiro in un chiostro mettendo la mia veste, che temo di non avere onorata a disposizione della chiesa, ora dimenticatemi.
Purtroppo il copione è stato di tutt’altro tenore se non addirittura opposto.
La reazione di Don Verzè è stata assurdamente ispirata alla filosofia del “dopo di me il diluvio”, assurda e contro natura per un uomo di 92 anni.
Sorprendente, veramente sorprendente la reazione o meglio la non reazione assoluta della chiesa.
Quando capita un prete, anche intellettuale di notevole livello (e ce ne sono stati parecchi) che ritene di non poter più amministrasi la sessualità distorta che predicano le sue gerarchie e si lega con una compagna, viene immediatamente buttato fuori in malo modo e perseguitato in ogni modo,bollandolo e impedendogli di trovare un lavoro.
In questi casi la gererchia applica alla lettera la radicale reazione evangelica allo scandalo che qualsiasi fedele ha sentito leggere e rileggere dai vangeli festivi.
Ma nel caso di questo prete di grande potere che ha avuto la inusuale capacità di mettere insieme un buco, un debito, di un importo ,che servirebbe da solo a sfamare un paese africano di piccole dimensioni, non una parola di rimprovero e la conservazione della veste.
Con queste stridenti contraddizioni e infedeltà la gerarchia cattolica sta minando alla radice la credibilità della chiesa italiana.
A che servono gli spot a favore dell’8 per mille che presentano preti che spendono la loro vita a favore degli altri se poi allo stesso livello viene messo uno che sperpera un patrimonio immenso in lussi indecenti, mala amministrazione e, la magistratura lo sta vagliando, probabile corruzione per acquisire favori dai pubblici poteri ?
Eppure c’era stato un alto anzi altissimo esponente della gerearchia cattolica ed era l’allora arcivescovo di Milano Montini che al giovane pretino Don Verzè dopo essersi sentito illustrare il progetto di fare un nuovo grande ospedale a Milano gli aveva detto con parole di puro buon senso che non vedeva la necessità di un altro ospedale a Milano e che in ogni caso non vedeva perché avrebbe dovuto costruirlo un prete e quindi che si occupasse d’altro, più consono alla sua veste.
Si vede che non era stato convincente.
La caduta di Don Verzè avventa negli stessi giorni della caduta di Berlusconi non può non fare comparare i due personaggi. Eppure Don Verzè non è Berlusconi.
Don Verzè è stato drogato dall’uso smodato del potere del denaro, come Belrusconi, ma è stato anche qualcosa di molto diverso.
Don Verzè come Berlusconi ha perseguito in modo spesso fanatico e da megalomane la realizzazione dei suoi sogni personali e diciamo azienedali, però aveva in sé anche una visione che Berlusconi non ha mai avuto. Ha perseguito anche progetti culturali di alto livello e di lungo respiro che Berlusconi non ha mai avuto né l’intelligenza né la cultura per poterli elaborare.
Cosa lascia Berlusconi all’Italia? Meglio evitare di rispondere, ognuno sa bene cosa rispondere.
Don Verzè cosa lascia all’Italia, lascia il San Raffaele in fallimento è vero, ma lascia anche le istituzioni culturali e di ricerca di primissimo livello dell’Università Vita e Salute che hanno consentito di mettere insieme intelligenze di assoluta eccellenza che hanno prodotto attività scientifica di assoluta eccellenza.
Che Berlusconi stia affogando nel marsma di vilgarità che ha creato non me ne importa sinceramente un fico secco, ma che don Verzè stia facendo la stessa fine mi dispiace parecchio perché Don Verzè aveva l’intelligenza e la cultura per riscattarsi con un colpo di reni che non ha sputo produrre.Peccato.
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