Le parole che mi hanno più colpito di Martini sono quelle con le quali
aveva sintetizzato la “filosofia” della “cattedra per i non credenti”,con la
quale aveva quasi istituzionalizzato il dialogo con loro :
è riduttivo parlare di credenti e non credenti, parliamo piuttosto di
pensanti e non pensanti.
Poche parole, che però appunto enunciano una filosofia, una visione della
vita e della missione che lui vedeva per un Vescovo.
Perché superare la contrapposizione credenti e non credenti?
Innanzitutto perché chi è qualificato come non credente (e con ciò stesso
con una connotazione di condiscendenza in senso negativo) può essere un uomo di
statura spirituale enormemente superiore
a un sedicente credente.
Poi perché il problema da sempre se posto nella formula : credente o non
credente non definisce un bel nulla se non si specifica credente in che cosa.
E cinqunt’anni di sociologia religiosa in occidente hanno confermato che
questo è il punto.
Perché quando si intervista una persona e le si chiede se si ritiene
aderente o vicino a una religione, succede che la quasi totalità in Italia risponde
di essere cattolica (intendendo cattolica in senso culturale, cioè di
appartenenza a una storia, a un popolo, che faceva riferimento al
cattolicesimo) ma se si cerca di ricavare anche solo elementari informazioni su cosa l’intervistato intenda essere il
contenuto della sua fede sono guai nel senso che viene fuori di tutto ma non
quello che dovrebbe venire.
E quindi che significato può avere il termine credente se chi dice di
esserlo non sa praticamente definire in cosa crede nemmeno approssimativamente?
Pensante invece significa chi si responsabilizza e dedica almeno un po di
tempo a ricercare il senso della sua vita.
Se lo cerca partendo da un’altra religione, dal versante della filosofia o
della scienza non è determinante al fine del risultato.
E qui sta il discrimine radicale fra chi condivide l’apertura mentale, che
aveva Martini e la chiusura ermetica dei Ratizinger e dei Woitila, che ripetono
senza variazioni apprezzabili la teologia del Concilio di Trento di cinque
secoli fa : noi cattolici saremmo gli unici ad avere la rivelazione divina che
ci ha dettato tutta la verità sul senso della vita in modo definitivo e
immutabile e questa verità, pur potendo
essere intravista dalla “sana” ragione, deve essere intermediata dalla
intepretazione della istituzione ecclesiatica, che appunto stabilisca quando la
nostra ragione sarebbe sana e quando no.
Con queste premesse che senso avrebbe il dialogo con i non credenti ?
Nessuno perché se siamo convinti di possedere la verità tutta e
definitiva, mentre gli altri non ce l’avrebbero perderemmo del tempo a
dialogare con loro.
Tanto varrebbe allora risolvere il problema come hanno fatto le missioni
per secoli di pari passo col colonialismo quando il crocifisso avanzava all’ombra
delle spade, convertendo tutti con metodi sbrigativi.
Così infatti si pensava a Trento e così pensano ancora oggi i tradizionalisti che reggono l’istituzione
chiesa anche se ovviamente oggi parlano in modo diverso solo per una
inevitabile diversione tattica dettata dal riconoscimento del fatto che il
potere ecclesiastico oggi è ben diverso da quello che la chiesa istituzione usufruiva
cinque secoli fa.
Chi segue la filosofia che ispirava Martini cerca il dialogo con il
pensante credente o non credente semplicemente perché è convinto che da lui
possano venire utili idee per fare qualche passo in più verso quella verità che
nessuno possiede una volta per tutte e
che quindi non è per niente immutabile.
Procede per approssimazioni come tutte le cose di questo mondo.
Il discrimine radicale è fra chi ha fede o meglio fiducia nelle capacità umane di usare ragione
sentimenti e quant’altro per usare della sua libertà e autonomia al fine di testimoniare
il bene e la giustizia e chi invece non ha per niente questa fiducia e quindi
invoca un’autorità che dal di fuori dell’uomo serva a raddrizzare la sua umanità concepita
come una pianta irrimediabilmente storta.
Un’autorità appoggiata su una
isituzione dotata di una forza di ordine temporale, capace di imporre il
rispetto della verità e del bene, come la chiesa ha fatto per sedici secoli
dall’editto di Teodosio del quarto secolo ai giorni nostri.
Altre parole chiave nel pensiero di Martini erano : “il senso contemplativo
della vita”.
Qui ci sta dentro ancora ovviamente
l “uomo pensante” del quale abbiamo parlato finora, ma non solo.
Il significato di queste parole non
è solo il dire che il fare è essenziale,ma che deve venire dopo all’avere
pensato, possibilmente in una prospettiva di lungo periodo.
Qui si tratta soprattutto di fede o meglio fiducia nella capacità
dell’uomo di confrontarsi, raffrontarsi, colloquiare con quello che le
religioni chiamano dio e le filosofie e la scienza chiamano il tutto.
Molte di queste discipline e soprattutto le neuroscienze chiariscono che
questo tipo di dialogo è un dialogo con la parte più profonda di sé stessi
perché è comunque in quella parte che albergherebbe quello che si intende per
dio e per il tutto.
Questa forma di dialogo è quella degli spiritualisti e dei mistici.
I mistici non avevano alcun interesse per la dogmatica e per l’istituzione
per il semplice fatto che ricercando prima di tutto il dialogo con quello che
intendevano per dio, non avevano alcuna necessità di servirsi della mediazione
della istituzione chiesa, andavano per conto loro.
Molti sono stati fatti santi dalla istituzione chiesa, ma è certo che a
loro non si capisce cosa potesse importare del riconscimento burocratico di
quello che già possedevano come esperienza loro, il colloquio diretto con
quello che ritenevano dio.
Ancora in questo campo è radicale la differenza fra questo modo di vedere
e quello della istituzione che impone di seguire per l’accesso a dio l’adesione
totale alla dogmatica cattolica,come
interpretata dalla istituzione medesima, i sacramenti, i riti e le liturgie,
come dettate della istiutzione medesima.
La preghiera e la meditazione personale ammesse solo dietro la guida di
confessore-direttore spirituale e comunque sempre stando sui binari stabiliti.
La lettura della scrittura, consentita dagli anni sessanta del 1900, ma
proibita nei venti secoli precedenti, e comunque consentita solo nelle edizioni
che hanno acquisito il beneplacito dell’istituzione ecclesiastica.
Maritini era per professione e passione personale biblista.
La sua vita era stata dedicata a una nuova traduzione (in collaborazione
con altri studiosi) e a fissare il punto fermo di una esegesi severa dei testi
(cioè lo studio della loro autenticità) ed all’utilizzo del metodo storico-critico
sia ancora per verificare l’autenticità dei testi medesimi, ma anche per
individuare i passi puramente metaforici da quelli storicamente accettabili e
verosimili.
In parole povere, cosa ha detto veramente Gesù di Nazaret e quale era il
gesù storico?
Putroppo Martini ha avuto la disavventura di ritrovarsi alla fine della
sua operosa carriera di studioso con un papa che ha ritenuto di scrivere una
ennesima e modesta vita di Gesù nella quale sostiene che ricercare dall’esame
dei testi chi era il Gesù storico (cioè
quello vero) non ha alcuna importanza, perché quello che è importante conoscere
è il Gesù della tradizione (cioè quello costruito a tavolino in venti secoli di
cristianesimo).
Perché la filosofia di Razinger ha
portato il papa a sostenere una cosa così sorprendente, inverosimile, improponible
per il mondo di oggi?
Perché Ratzinger ritiene sua missione riproporre intatta la teologia del
concilio di Trento, fondata su tre capisaldi : autorità, papa istituzione.
Anche allora (1545) era stata un scelta sbagliata, ma allora era stata
elaborata nell’ottica di contrastare l’azzeramento dell’autorità papale operata
dalla Riforma protestante, oggi viviamo in ben altri tempi.
Non può esserci in questa teologia l’isitituzione al servizio dell’uomo,
perché questa teologia è strabica sul primato di papato, autorità, istituzione,
chiesa.
Il fedele ha la dignità di persona non di per sé, ma solo se dichiara sottomissione alla istituzione in
tutte le forme stabilite.
Questa terribile distorsione ha fatto sì tra l’altro che la chiesa non
abbia mai riconosciuto i diritti umani né nella formulazione risultante dalla dichiarazione
del 1789 né da quella successiva nel dopoguerra del 1948.
Questa teologia è il contrario della teologia della chiesa intesa come “popolo
di dio” definita se pure timidamente dal concilio Vaticano II, accettato a
parole e sistematiamente negato e seppellito negli atti degli ultimi due papi.
E qui veniamo ad altre due parole chiave nel pensiero di Martini : Gerusalemme e primato poveri.
Peccato che i commentatori nei giornali abbiano così tanto sottovalutato
la poratata estremamaente radicale della scelta di Martini per Gerusalemme,
venduta per lo più come il “pallino” di un’anziano studioso eccentrico,che
voleva essere vicino alla materia dei suoi studi.
C’era ovviamente anche questo, avere accesso ai luoghi, ai musei
archeologici, alle carte ed ai qualificatissimi colleghi studiosi dell’università
ebraica di Gerusalemme.
Ma c’era ben di più, anche se Martini non mi pare che ne abbia mai parlato
o scritto in modo diretto, benchè il suo pensiero fosse ugualmente chiaro e
noto.
Probabilmente l’età, la veste, la dignità cardinalizia e sopratutto la
malattia non gli hanno concesso di dire espressamente quello che invece per
esempio aveva ritenuto di poter dire ai quattro venti quello strano prete
geniale e spregiudicato, ma anche scavato dal morbo del potere che è stato Don Verzè.
La chiesa per sopravvivere deve rinnovarsi in modo radicale, abbandonare potere,privilegi,
ricchezze,fasti ecc.
Per dimostrare di credere veramente in un tale radicale mutamento, occorre
allora fare un gesto plateale di rottura e abbandonare il Vaticano per
riportare visivamente il centro della cristianità là dove lo aveva posto il suo
fondatore : a Gerusalemme e in nessun altro posto.
Se si ritiene che il morbo che ha infestato la chiesa dopo i primi quattro
secoli in poi sia stato con Costantino e Teodosio l’alleanza con il potere
temporale, ecco la possibilità di
rigenerarsi ripudiando il potere e chiedendo scusa per i disastri che tale
alleanza ha portato con sé : imporre la religione con la spada e non con convincere con la forza delle argomentazioni;
mettersi sempre dalla parte dei potenti fino a sacralizzarlo, per potere
condivederlo; guerre di religione eccetera, eccetera : il libro nero del
cristinesimo purtroppo non è di piccole dimensioni.
Martini credeva nel primato dei poveri non solo in teoria fin da quando a
Roma dedicava un giorno per andare di persona ad assistere gli anziani a
Transtevere.
A Milano erano frequenti e in privato le sue visite a San Vittore ed a lui
si deve la costruzione di quella sensibilità spinta che è stata necessaria per
affrontare per tempo l’improvvisa ondata immigratoria di extracomunitari, in
gran parte di altre religioni.
La visione della vita di Martini come in parte si è sopra delineata e in
particolare l’idea cardine che l’istituzione e la verità sono al servizio dell’uomo
e non viceversa, lo avevano portato a contrastare la linea dogmatica fissata da
Woitila e Ratzinger sulla bioetica, purtroppo derivata da quell’infausto
documento che è stata l’Humanae Vitae, firmata pardossalmente dal più progressita
dei papi del secolo scorso Paolo VI,
quando ormai la salute e la conseguenete lucidità mentale lo avevano
abbandonato.
Quell’enciclica, che contrasta fortemente sia con gli atti precedenti sia
con la filosofia di Paolo VI, lui, amico e traduttore di quel Maritain,filosofo
cattolico di prima grandezza, che unico e
osteggiato nel suo ambiente aveva sostenuto la necessità per il Vaticano di
aderire alle dichiarazioni dei diritti umani, cosa come è noto mai avvenuta.
E il Paolo VI dell’Humanae Vitae ha finito per ribadire pari pari il
ritorno alla teologia di Trento, che è il contrario esatto di tutto quello che
lo stesso papa aveva voluto superare, soprattutto proprio nel campo dei diritti
umani.
l ritorno alla teologia del diritto naturale, che è l’architrave teologica
di quell’enciclica, diritto che sarebbe acquisito
dalla rivelazione e quindi avuto una volta per tutte è solo una esperessione
diversa della concezione della verità acquisita solo dalla chiesa una volta per
tutte e dispenata solo ed esclusivamente nell’interpretazione e con la
mediazione dell’istituzione.
Con questa teologia non è possibile riconsoscere i diritti umani che
competono all’uomo in quanto tale e non solo al battezzato, come sostenuto da
Trento in poi.
Martini aveva capito benissimo che tale teologia deve essere superata in
blocco e infatti ha parlato di bioetica, sessualità, matrimonio e divorzio, fine vita in modo del tutto dissonante
rispetto alla vulgata vaticana ed in punto di morte ha approfittato della sua
posizione privilegiata per far valere le sue volontà.
Purtroppo il cittadino italiano non può ancora farlo.
Il pensiero di Martini è stato espresso in moltissimi scritti ed in essi è
possibile ritrovare le altre parole chiavi che lo hanno ispirato :
-l’ecumenismo praticato e non solo auspicato;
-la necessità di una gestione collegiale della chiesa, ridimensionando
l’autorità papale e della curia;
-l’indizione di un nuovo Concilio per
completare il lavoro di rinnovamento appena iniziato con il Vaticano II;
-la presa di coscienza del fatto che la situazione attuale della chiesa è
estremamente grave e che l’istituzione così com’è non è in grado di sostenere
la sfida della modernità;
-la fiducia nell’uomo e nelle sue possibilità e quindi la grande apertura
a tutte le forme di ascolto,l’esortazione a non avere paura di ascotare i
“segni dei tempi” e chi fuori dal coro si fa portavoce della “profezia”;
-all’interno della chiesa la sua costante sfiducia nei “movimenti”, tanto
amati e coccolati dal Vaticano, avendo sempre individuato la povertà culturale
della quale erano portatori e il costante pericolo di una loro deriva settaria.
Con il pensiero di Martini si sono delineate,come abbiamo visto, due
teologie in radicale antitesi una con ‘altra.
I commentatori dei principali giornali italiani, eterni estimatori della
camomilla e del politicametne corretto, hanno voluto ribadire in coro il luogo
comune delle due anime della chiesa, che sarebbero la sua forza segreta, che le
avrebbe consentito di sopravvivere nei secoli, alla faccia della coerenza.
La ma opinione personale è che la crisi di questa chiesa sia arrivata al
punto di non ritorno, che richiede non solo una cura radicale, come ha detto
con incredibile coraggio per un porporato morente,Martini nell’ultima
intervista della sua vita, ma un presa di distanza netta.
Questa isitituzione non può più essere riconosciuta come la chiesa fondata
da Gesù Cristo e quindi per ritornare a quella per chi lo voglia e per chi ci
creda occorre la divisione, lo scisma.
Questa chiesa istituzionale si è allontata troppo dalla lettera e dallo
spirito evangelico, non è più possibile la comunione con chi professa oggi la
teologia di Trento, si badi bene non per pura ignoranza, ma al contrario nella
lucida consapevolezza che solo questa teologia può sostenere e giustificare la
conservazione del potere da parte di chi incarna le isitiuzioni ecclesiastiche.
Chi avrà il coraggio di prendersi la responsabilità di guidare questa
svolta e soprattutto, ci sarà mai oggi un personaggio che abbia il coraggio,
che cinque secoli fa ha avuto il monaco Lutero?
Molti pensano di no e che di conseguenza questa chiesa si estinguerà a
poco a poco esternando la sua crescente irrilevanza come è avvenuto in tutto il
nord Europa.
Forse è più probabile questa seconda ipotesi in considerazione del fatto
che chi la pensa come Martini non ha il coraggio di fare rete ,di rendersi
visibile e di proporsi un atto di radicale distacco e se non lo ha avuto fino
ad oggi non si vede come possa acquistarlo nel prossimo futuro.
Ma il fatto che sia esistita una personalità come Martini, osteggiato,
sbeffeggiato, odiato da chi non era degno nemmeno di allacciargli i calzari, è
un “segno dei tempi” che sarebbe sciocco trascurare.
E poi di fronte ad un gregge di fedeli che non sanno in pratica in che
cosa credono in questi ultimi anni cominciano a comparire molti testi critici,
analisi storiche, inchieste sociologiche per non parlare di inchieste
giornalistiche che mettono a nudo la corruzzione e l’incoerenza degli uomini
che guidano le istituzioni ecclesiastiche.
E’ indubbio che una scossa salutare è arrivata anche al “fedele” medio.
Staremo a vedere e per essere fedeli al messaggio di Martini confermiamo
la fiducia in un esito positivo che è possibile.
Non per caso nel Nord Europa di fornte al progressivo declino della chiesa
istituzione si diffonde da anni il movimento che nelle varie lingue è
denominato “noi siamo la chiesa”.
Occorre più coraggio e andare oltre, se noi siamo la chiesa questo
significa che voi che reggete la chiesa oggi non lo siete più.
Ermanno Olmi, che con lui aveva collaborato, ha dichiarato di non
piangerlo perché comunque vadano le cose il suo pensiero vivrà.
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