Nell’ultimo post si era evocata la coppia dei
santoni dell’economia liberista ai quali il Corriere affida spesso articoli di
fondo sulla situazione economica.
Puntualmente
il 23 successivo è arrivata su quel
giornale l’ultima puntata con la quale i due cercano di spiegare al
volgo i rudimenti del loro credo, dando per scontato che le loro teorie siano di
tale evidenza da essere indiscutibili.
Ne è venuto fuori un esempio eclatante di come personaggi di indubbia caratura
professionale riescano a farsi prendere la mano da una ideologia politica per
vendere appunto un discorso tutto politico come se fosse invece un sofisticato
ragionamento economico, facendo affidamento non certo sulla forza intrinseca
degli argomenti esposti, ma sull’autorità dei due autori, uno Alesina che ha la
fortuna di tenere una cattedra ad Harvard e l’altro alla Bocconi.
Peccato però che il sistema di fondare le proprie
affermazioni non sulla loro forza ma su un’autorità esterna come fanno le
gerarchie ecclesiastiche sia un po’ tanto fuori del tempo moderno.
Vale però la pena di vedere quell’articolo nei
dettagli.
Si parte con l’ennesima enunciazione del discorso
sull’allungamento delle aspettative di vita degli italiani, corredata da alcuni
numeri a supporto (come si conviene per un ragionamento economico) : in dieci
anni si è passati da 65 anni a 77 anni per gli uomini.
E questo lo sanno ormai assolutamente tutti.
Ma i due professori volevano arrivare ad uno degli
articoli fondamentali della loro fede, tutta ideologica : il problema di tutti
i problemi è il peso e l’ingerenza dello stato e quindi la filosofia che la
politica deve adottare è quella di tagliare lo stato : personale, risorse,
competenze.
Ridotto lo stato a quasi nulla, come d’incanto il
dio mercato farà rifiorire i giardini dell’Eden, ben coltivati dagli unici che
lo sanno fare e che ne meritano i frutti : gli ultra ricchi.
Di tutti gli altri non è il caso di preoccuparsi,
da giovani sono bamboccioni e da adulti sono fannulloni.
E’ la ripetizione pari-pari delle tesi della
destra repubblicana americana dei Tea
Party, ben rappresentata dal mormone Romney e dal suo Vice il cattolico
ultraconservatore Paul Rayan.
Torniamo subito all’articolo dal quale siamo
partiti, perché i due economisti hanno snocciolato le cifre sull’allungamento
delle aspettative di vita negli ultimi dieci anni ? Ma ovviamente per dire che
occorre andare in pensione più tardi, perché, e qui veniamo al dunque, la spesa
pensionistica è cresciuta sino al 17% del Pil.
I professori cercano evidentemente di impressionare
i lettori con le cifre sull’aumento della spesa pensionistica lanciando che il
lettore stesso venga raggiunto dal messaggio subliminale (cioè non formulato
nero su bianco ma lasciato intendere) che l’aumento della spesa sarebbe
insostenibile.
Cosa che direttamente non avrebbero potuto
sostenere prima di tutto perché la riforma delle pensioni è già stata fatta da
una delle sacerdotesse della loro fede , la ministra Fornero e poi perché la
situazione dell’istituto previdenziale è in equilibrio per ora e per il
prevedibile futuro come tutti sanno.
Per poter sostenere la tesi del sistema a rischio rincarano la dose sommando alla spesa pensionistica
quella della sanità per fare più colpo sul lettore : insieme le due voci di
spesa raggiungono infatti ben il 27% del
Pil (quasi 10 la sanitaria,secondo i loro dati e 17 la pensionistica) e
concludono : “di fronte a questo aumento vistoso di spesa non si è provveduto
riducendo altre spese per esempio quella
per i dipendenti pubblici” ed eccoci ai
reprobi per definizione.
Prima osservazione : i numeri che citano non sono
corretti.
Infatti dalla relazione della Corte dei Conti nel
suo rapporto 2012 si ricava che l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è
scesa nel 2011 al 7,1% dal 7,3 del 2010, ben altre cifre rispetto al 10%, indicato
dai professori.
Seconda osservazione: usano numeri già lontani dal reale per fare
acquisire al lettore un concetto privo
di appoggio e infatti si guardano bene dal dirci che la virtuosissima Germania e
la Francia spendono più di noi per la sanità e che gli Stati Uniti, che hanno
già un sistema quasi tutto privato come piacerebbe tanto a loro spendono
addirittura il 50% più di noi più per
avere molto di meno quanto a servizi per il cittadino.
Terzo. L’ossessione nel demonizzare l’impiego pubblico fa si che
si lasci credere al lettore che l’Italia sia il pese che ha il maggiore
esercito di pubblici impiegati, ma
questo ulteriore messaggio subliminale è del tutto falso.
Infatti l’Italia ha la stessa percentuale di
impiegati pubblici sul totale della virtuosissima Germania (5,7 % contro il
5,5%) e un terzo in meno della Francia (che ha ben l’8% di impiegati pubblici).
Se poi si vanno ad analizzare le cifre relative
all’Europa a 27 stati si scopre che la scostumata Grecia ha solo il 3,3% di
impiegati pubblici, mentre i super virtuosi Paesi Nordici sono oberati dal
pubblico impiego (Svezia 12,36; Olanda
6,9; Finlandia 10,6).
Quando poi arriviamo alla parte finale e propositiva dell’articolo dei
due economisti vediamo che i discorsi su pensioni sanità e pubblico impiego non
erano che le premesse per tirare il colpo pirotecnico dove si propone sic et
simpliciter non solo di ridurre il peso dello stato e del welfare ma
soprattutto di ridurre le tasse ai ricchi, schiacciati dalle tasse per pagare il welfare gratuito agli
italiani,
Questa l’idea in sé non ha nulla di originale, come
si era già osservato sopra, essendo null’altro che il programma della destra americana da Reagan a
Bush a Romney, che non sono economisti ma politici.
La parte sgradevole del ragionamento dei nostri
due economisti sta nel modo subdolo di proporla, facendola partire da
una considerazione in sé e per sé quasi accattivante.
Infatti dicono i nostri : che senso ha tassare
pesantemente i ricchi per poi offrire loro servizi sanitari gratuiti, che
potrebbero benissimo pagarsi da soli con un’assicurazione privata, in modo da consentire
allo stato di ridurre le loro tasse?
Bellissimo salto logico, che lascerebbe del tutto scoperte le conseguenze della
proposta riduzione delle tasse sui ricchi sulle classi medie che sono la
stragrande maggioranza della cittadinanza e peggio ancora sui bisognosi, che
vedrebbero in tal modo ridursi pesantemente i servizi sanitari pubblici e tutto
per abbassare le tasse ai più ricchi, cioè ad una stretta minoranza.
Questi ragionamenti, come tutti capiscono non sono
affatto ragionamenti di economia, questa è politica e non della migliore qualità.
Colpisce che persone di una tale qualificazione e
prestigio professionale non colgano il concetto elementare che quando nella
storia si è affermata la modernità questo significa che la maggioranza
dei cittadini si è conquistato il diritto di
gestire il potere pensando di salvaguardare prima di tutto gli interessi della larga
base della piramide sociale e non la
difesa degli interessi del piccolo vertice della piramide medesima.
Intendiamoci, ogni gruppo sociale è legittimato a
esprimere le proprie idee anche nell’editoriale del maggiore giornale italiano,
ma chi si fa portavoce di una precisa ideologia politica che di fatto supporta
gli interessi di ceti sociali largissimamente minoritari, sarebbe più onesto
che si facesse rappresentare da politici,
come si fa in tutti i paesi normali, non da due se pure più che qualificati
economisti.
Questo editoriale del Corriere appare come l’ennesimo
esempio di quello che è il grande equivoco del così detto “governo tecnico”,
che tecnico non è, perché il governo è per definizione politico.
Come ne abbiamo abbastanza di queste foglie di
fico, per nascondere una politica che non garba affatto.
Nessun commento:
Posta un commento