martedì 25 settembre 2012

Tecnici dell’economia o tecnici della disinformazione ?



Nell’ultimo post si era evocata la coppia dei santoni dell’economia liberista ai quali il Corriere affida spesso articoli di fondo sulla situazione economica.
Puntualmente  il 23 successivo è arrivata su quel  giornale l’ultima puntata con la quale i due cercano di spiegare al volgo i rudimenti del loro credo, dando per scontato che le loro teorie siano di tale evidenza da essere indiscutibili.
Ne è venuto fuori un esempio eclatante di  come personaggi di indubbia caratura professionale riescano a farsi prendere la mano da una ideologia politica per vendere appunto un discorso tutto politico come se fosse invece un sofisticato ragionamento economico, facendo affidamento non certo sulla forza intrinseca degli argomenti esposti, ma sull’autorità dei due autori, uno Alesina che ha la fortuna di tenere una cattedra ad Harvard e l’altro alla Bocconi.
Peccato però che il sistema di fondare le proprie affermazioni non sulla loro forza ma su un’autorità esterna come fanno le gerarchie ecclesiastiche sia un po’ tanto fuori del tempo moderno.
Vale però la pena di vedere quell’articolo nei dettagli.
Si parte con l’ennesima enunciazione del discorso sull’allungamento delle aspettative di vita degli italiani, corredata da alcuni numeri a supporto (come si conviene per un ragionamento economico) : in dieci anni si è passati da 65 anni a 77 anni per gli uomini.
E questo lo sanno ormai assolutamente tutti.
Ma i due professori volevano arrivare ad uno degli articoli fondamentali della loro fede, tutta ideologica : il problema di tutti i problemi è il peso e l’ingerenza dello stato e quindi la filosofia che la politica deve adottare è quella di tagliare lo stato : personale, risorse, competenze.
Ridotto lo stato a quasi nulla, come d’incanto il dio mercato farà rifiorire i giardini dell’Eden, ben coltivati dagli unici che lo sanno fare e che ne meritano i frutti : gli ultra ricchi.
Di tutti gli altri non è il caso di preoccuparsi, da giovani sono bamboccioni e da adulti sono fannulloni.
E’ la ripetizione pari-pari delle tesi della destra  repubblicana americana dei Tea Party, ben rappresentata dal mormone Romney e dal suo Vice il cattolico ultraconservatore  Paul Rayan.
Torniamo subito all’articolo dal quale siamo partiti, perché i due economisti hanno snocciolato le cifre sull’allungamento delle aspettative di vita negli ultimi dieci anni ? Ma ovviamente per dire che occorre andare in pensione più tardi, perché, e qui veniamo al dunque, la spesa pensionistica è cresciuta sino al 17% del Pil.
I professori cercano evidentemente di impressionare i lettori con le cifre sull’aumento della spesa pensionistica lanciando che il lettore stesso venga raggiunto dal messaggio subliminale (cioè non formulato nero su bianco ma lasciato intendere) che l’aumento della spesa sarebbe insostenibile.
Cosa che direttamente non avrebbero potuto sostenere prima di tutto perché la riforma delle pensioni è già stata fatta da una delle sacerdotesse della loro fede , la ministra Fornero e poi perché la situazione dell’istituto previdenziale è in equilibrio per ora e per il prevedibile futuro come tutti sanno.
Per poter sostenere la tesi  del sistema a rischio  rincarano la dose sommando alla spesa pensionistica quella della sanità per fare più colpo sul lettore : insieme le due voci di spesa raggiungono infatti ben  il 27% del Pil (quasi 10 la sanitaria,secondo i loro dati e 17 la pensionistica) e concludono : “di fronte a questo aumento vistoso di spesa non si è provveduto riducendo altre  spese per esempio quella per i dipendenti pubblici” ed  eccoci ai reprobi per definizione.
Prima osservazione : i numeri che citano non sono corretti.
Infatti dalla relazione della Corte dei Conti nel suo rapporto 2012 si ricava che l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è scesa nel 2011 al 7,1% dal 7,3 del 2010, ben altre cifre rispetto al 10%, indicato dai professori.
Seconda osservazione:  usano  numeri già lontani dal reale per fare acquisire al lettore un concetto  privo di appoggio e infatti si guardano bene dal dirci che la virtuosissima Germania e la Francia spendono più di noi per la sanità e che gli Stati Uniti, che hanno già un sistema quasi tutto privato come piacerebbe tanto a loro spendono addirittura il 50% più di noi  più per avere molto di meno quanto a servizi per il cittadino.
Terzo. L’ossessione   nel demonizzare l’impiego pubblico fa si che si lasci credere al lettore che l’Italia sia il pese che ha il maggiore esercito di  pubblici impiegati, ma questo ulteriore messaggio subliminale è del tutto falso.
Infatti l’Italia ha la stessa percentuale di impiegati pubblici sul totale della virtuosissima Germania (5,7 % contro il 5,5%) e un terzo in meno della Francia (che ha ben l’8% di impiegati pubblici).
Se poi si vanno ad analizzare le cifre relative all’Europa a 27 stati si scopre che la scostumata Grecia ha solo il 3,3% di impiegati pubblici, mentre i super virtuosi Paesi Nordici sono oberati dal pubblico impiego (Svezia  12,36; Olanda 6,9; Finlandia 10,6).
Quando poi arriviamo alla  parte finale e propositiva dell’articolo dei due economisti vediamo che i discorsi su pensioni sanità e pubblico impiego non erano che le premesse per tirare il colpo pirotecnico dove si propone sic et simpliciter non solo di ridurre il peso dello stato e del welfare ma soprattutto di ridurre le tasse ai ricchi, schiacciati dalle  tasse per pagare il welfare gratuito agli italiani,
Questa l’idea in sé non ha nulla di originale, come si era già osservato sopra,   essendo null’altro che il  programma della destra americana da Reagan a Bush a Romney, che non sono economisti ma politici.
La parte sgradevole del ragionamento dei nostri due economisti  sta nel  modo subdolo di proporla, facendola partire da una considerazione in sé e per sé quasi accattivante.
Infatti dicono i nostri : che senso ha tassare pesantemente i ricchi per poi offrire loro servizi sanitari gratuiti, che potrebbero benissimo pagarsi da soli con un’assicurazione privata, in modo da consentire allo stato di  ridurre le loro tasse?
Bellissimo salto logico, che lascerebbe  del tutto scoperte le conseguenze della proposta riduzione delle tasse sui ricchi sulle classi medie che sono la stragrande maggioranza della cittadinanza e peggio ancora sui bisognosi, che vedrebbero in tal modo ridursi pesantemente i servizi sanitari pubblici e tutto per abbassare le tasse ai più ricchi, cioè ad una stretta minoranza.
Questi ragionamenti, come tutti capiscono non sono affatto ragionamenti di economia, questa è politica e non della migliore qualità.
Colpisce che persone di una tale qualificazione e prestigio professionale non colgano il concetto elementare che quando nella storia si è affermata la modernità questo significa che  la maggioranza
dei cittadini si è conquistato il diritto di gestire il potere pensando di salvaguardare prima di tutto gli interessi della larga base della piramide sociale e non  la difesa degli interessi del piccolo vertice della   piramide medesima.
Intendiamoci, ogni gruppo sociale è legittimato a esprimere le proprie idee anche nell’editoriale del maggiore giornale italiano, ma chi si fa portavoce di una precisa ideologia politica che di fatto supporta gli interessi di ceti sociali largissimamente minoritari, sarebbe più onesto che si facesse rappresentare da  politici, come si fa in tutti i paesi normali, non da due se pure più che qualificati economisti.
Questo editoriale del Corriere appare come l’ennesimo esempio di quello che è il grande equivoco del così detto “governo tecnico”, che tecnico non è, perché il governo è per definizione politico.
Come ne abbiamo abbastanza di queste foglie di fico, per nascondere una politica che non garba affatto.

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