venerdì 2 agosto 2013

La misericordia di dio, se la riducono a buonismo sentimentale annullano la valenza di dissuasione del giudizio



Due esponenti di punta del cattolicesimo progressista hanno commentato su Repubblica le uscite di Papa Francesco nel suo viaggio in Brasile.
Ambedue pongono chiaramente grandissime speranze nelle intenzioni innovatrici di questo papa.
Il teologo Mancuso ha fatto il suo commento conservando la dovuta freddezza razionale.
Ha sostanzialmente detto : questo papa in materia di gay, di divorziati risposati e di ruolo della donna nella chiesa, nulla ha detto che non avrebbe potuto sottoscrivere anche il suo predecessore tradizionalista.
Diversamente dal suo predecessore, ha assunto una serie di atteggiamenti anticonformisti, che hanno il loro valore anche simbolico, trattandosi di un papa e a questi si guarda con grande speranza e aspettativa.
Con tutto questo però questo papa non ha ancora assunto atti di governo significativi, e sono quelli che lo qualificheranno.
Nel viaggio in Brasile però ha detto una frase che i suoi immediati predecessori non avrebbero detto proprio, quando ha pronunciato  quel :ma io chi sono per giudicare?
Ed è vero, si tratta di una frase significativa, che  potrebbe  far  pensare a un orientamento, che finalmente sposti l’asse della chiesa gerarchica dal principio di autorità a quello della considerazione per le persone concrete, all’attenzione evangelica per il fratello.
Giustamente però Mancuso aggiunge che fin quando questi principi non appariranno in atti di governo, le belle parole non potranno avere effetto.
Complessivamente quindi il commento di Mancuso mi sembra corretto, anche se non posso non rimproverargli di non avere sottolineato la mancanza di sensibilità verso il problema del sacerdozio femminile.
Mancuso cerca di minimizzare il problema ipotizzando, forse con realismo ,che potrebbe essere affrontato verosimilmente per gradi : prima l’apertura alle donne del diaconato, poi l’apertura alle donne delle alte gerarchie della curia, ove non è precluso l’accesso ai non presbiteri (in teoria addirittura il cardinalato).
A me, sinceramente, la non sensibilità del papa su questo tema appare uno scivolone disastroso come ho già commentato nel post precedente, dove facevo presente che è in corso nel mondo una autentica rivoluzione sulla promozione del ruolo della donna, che è destinata a sconvolgere gli attuali assetti sociali.
Ma veniamo al secondo commentatore, padre Enzo Bianchi, monaco che non è prete, colto cultore della letteratura patristica, ma non è teologo.
Nelle sue conferenze e nelle sue apparizioni televisive, padre Enzo incanta l’uditorio con la sua capacità di comunicare e di essere credibile.
Nel suo articolo su Repubblica di due giorni fa, ,però è evidente che la forte partecipazione sentimentale con la quale  segue questo papa gli ha giocato dei brutti scherzi e si è lasciato prendere la mano.
Lui stesso verso la fine si giustifica (excusatio non petita, che è sempre pericolosa e sintomo di disagio)  dicendo che quello che ha scritto non è buonismo.
Difficile negarlo invece.
Nell’incipit attribuisce ai rabbini, ma poi fa sua, la convinzione che dio, a differenza degli uomini, è capace non solo di perdonare i peccati, ma è anche capace di dimenticarli, come se non fossero mai stati commessi.
L’affermazione è apparentemente una grandiosa definizione della misericordia di dio.
Ma non è corretta né da un punto di vista teologico, né sul piano del puro e laico buon senso.
Il concetto di perdono divino e di relativa misericordia infatti non può essere declinato senza il dovuto riguardo al corrispettivo concetto di giustizia.
Da un punto di vista teologico le definizioni se pure analitiche e dettagliate come sempre, sono vaghe e contradditorie, come si era detto nel post dell’8 maggio scorso.
Una intera montagna dottrinaria è stata costruita su un unico passo scritturale, quello del vangelo di Giovanni al punto 20,23.
Inutile qui sottolineare che, come dettano le regole più elementari della esegesi biblica, il contenuto di un messaggio evangelico è tanto più sicuro quanto più è ripreso da altri evangelisti e da altri brani che ne con fermino il concetto e qui non siamo molto sul un terreno solido, ma non ostante questo ci si è costruita sopra tutta la montagna dottrinale del sacramento della penitenza e soprattutto dei poteri del clero, che sarebbero di diretta discendenza divina e in successione storica da quello conferito agli apostoli “ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete , resteranno non rimessi” .
Definire chiaramente il significato di rimettere non è semplicissimo e non aiuta nemmeno ripercorrere a ritroso le traduzioni, perché il termine latino  remittere, è  quasi letteralmente uguale  all’italiano e quello più antico greco “afiemi amartia” è molto vicino al latino remittere e comunque è corretto tradurlo come un perdonare i peccati.
Oltre a quel passo di Giovanni c'è solo il famosissimo passo di Matteo 16,19 con il "tu sei Pietro e su questa pietra......ti darò le chiavi...per legare....e sciogliere".
Seguito al 18,18 dall'estensione del medesimo potere agli apostoli "tutto ciò che avrete legato sulla terra...e tutto ciò che avrete sciolto..." e al 28,16 "andate...ammaestrate e ...battezzate...".
E' evidente che "legare e sciogliere" è ancora più generico del "rimettere" giovanneo, per a semplice ragione che non si aggiunge alcun complemento oggetto.
Quindi un insieme di riferimenti generici.
Ma anche se li prendessimo per buoni,  rimarrebbe comunque una difficoltà di non poco conto che sta nel fatto che Marco, primo evangelista in ordine storico, non dice nulla del genere e il poco che dice è in contrasto con il discorso della delega agli apostoli, perchè al passo 2,20 riserva la potestà di perdonare i peccati solo al Figlio dell'Uomo.
Comunque, superiamo il discorso del fondamento fragilissimo del potere, che sarebbe stato delegato agli apostoli, superiamo il discorso immediatamente successivo della presunta successione apostolica ininterrotta dal collegio degli apostoli al clero di oggi, che è ancora più debole da sostenere e fermiamoci al concetto di perdono.
Perdonare ,comunque lo si intenda, non significa affatto dimenticare, come dice Padre Enzo Bianchi.
Teniamo conto che i due termini (remittere e afiemi) usati dal passo di Giovanni sopra citato, sono usati prevalentemente nel senso di rimettere un debito, che ancora meno significa dimenticare.
E dunque, che si oppone alla troppo larga interpretazione di padre Enzo, è la non trascurabile nozione di giudizio particolare e di giudizio finale, che materialmente impediscono a dio stesso di dimenticarsi dei peccati anche se il peccatore è stato assolto in confessione.
Se non ci fosse la nozione di giudizio, che anzi è  tuttora ben presente  ed in primo piano  nell’ universo culturale dei cattolici, compresi quelli non o poco frequentanti, il cattolicesimo probabilmente sarebbe caduto  da tempo, perché qui siamo, come tutti abbiamo ben capito, sul piano del terrore delle pene eterne dell’inferno, che rimane probabilmente la ragione fondamentale, che motiva l’atto di fede per la maggioranza dei professanti cattolici.
Tra l'altro il terrore della dannazione eterna è esplicitamente presente nel vigente Catechismo al Canone 1453 con la voce "contrizione da timore".
Togliete la paura del giudizio e non vedrete più nessuno in chiesa.
Purtroppo temo sia così che vanno le cose, come sono andate nei secoli e secoli precedenti, anche se questa motivazione al giorno d’oggi appare sempre più come oggetto di superstizione piuttosto che di religione.
Dio condanna il peccato ma non il peccatore, scrive padre Enzo.
Non bisogna confondere l’errore con l’errante.
Belle parole. che affascinano, ma che obiettivamente sul piano della logica e della razionalità non hanno un significato sostanziale.
L’amore e la misericordia di dio non necessitano di essere meritati, incalza ancora padre Enzo.
E poi, ciascuno di noi non può sentirsi senza peccato.
E qui proprio non riesco più a seguire questo tipo di ragionamenti, anche perché non sono ragionamenti, ma sono appelli al sentimento, e queste sono cose che mi affascinano poco.
Sul piano razionale sono pericolosi, perché possono facilmente essere tradotti nel mondano appello assolutorio : “ ma tanto lo fanno tutti” così facile sulla bocca dei furbastri nazionali e non, per giustificare il malaffare e la corruzzione.
Ne sono piene le cronache.
E allora le buone intenzioni degli uomini come Enzo Bianchi finiscono in una pessima compagnia, che lui certo non gradirebbe.
Purtroppo però  Enzo Bianchi enfatizza questi argomenti sostenendo addirittura che questo è il vero cristianesimo che deve essere scandaloso anche se sembra follia per  gli intellettuali, che confidano nel loro pensiero.
Questa mi sembra addirittura un’offesa al buon senso.
E che dovrebbero fare gli intellettuali se non confidare nel loro pensiero, basato sulla ragione e sulla logica, mettendosi e mettendo la gente in guardia contro i propagandisti integralisti di tutte le dottrine e gli imbonitori, che non hanno la capacità di opporre argomenti agli argomenti?
Del resto il terreno dell'esaltazione sentimentale è già ben presidiato da tempo dai vari padri Livio e dai miracolisti pro Padre Pio , Mediugorie eccetera, che lo si lasci a loro.
Fare appello  ed esaltare i sentimenti è pericolosamente vicino al fare appallo “alla pancia”, come succede tutti i  momenti nella politica dei populisti.
Siamo su un terreno scivoloso.
Non credo che Enzo Bianchi sia minimamente ascrivibile a queste categorie, ma questo suo lasciarsi andare al sentimentalismo buonista, non mi sembra degna di lui.
Già la dottrina canonica sul sacramento della penitenza è tutt’altro che limpida e non riesce a risolvere la contraddizione fra remissione dei peccati col sacramento della penitenza e la realtà del giudizio di dio riaffermata contemporaneamente.
Per fare mente locale,  riporto solo un brano del citato precedente post dell’8 maggio in argomento:
“Ci troviamo quindi di fronte alla incongruità della formulazione di un giudizio addirittura a tre livelli : quello del sacerdote come mediatore o delegato, che interviene col sacramento della penitenza, quello particolare e quello finale.
Non se ne esce, o si ipotizza solo la possibilità di tre giudizi uniformi, cioè identici, ed allora tutta la costruzione dei tre livelli di giudizio sarebbe inconsistente, insensata, oppure si ipotizza la possibilità di tre giudizi veri e propri e quindi con la potestà di cassare ognuna delle sentenze precedenti, ma allora il sistema a tre livelli ridicolizzerebbe addirittura la dignità di dio, perché sarebbe come riconoscere che lo stesso dio si sarebbe  sbagliato in uno dei due giudizi precedenti e questa evidentemente sarebbe una insensatezza.
E’ sconcertante rilevare come la teologia tradizionale offra argomenti così poveri in materie di questo spessore e importanza per i fedeli”.
Se la dottrina è discutibile ed appoggiata su quasi nulla, sarebbe utile dirlo chiaramente alla gente, invece che fare appello ai buoni sentimenti per salvare capra e cavoli, lasciando le cose come stanno.
Un uomo di esperienza e di cultura come padre Enzo sa che la chiesa per secoli e secoli si è prestata ad essere anche religione civile, sostenendo tutti i poteri costituiti perché privilegiava lo scopo di assicurare la stabilità sociale , anche se l’ordine sociale esistente era fondato su una infame disuguaglianza, che  anziché essere combattuta era considerata parte dell’immutabile ordine naturale delle cose.
In questo ambito la chiesa ha altresì accettato di essere la stampella di ogni potere politico  costituito proprio usando in modo per lo meno improprio il sacramento della penitenza al servizio di quel potere.
Per fare un esempio non era possibile firmare un contratto civile di qualsiasi genere se il cittadino suddito  non fosse in grado di esibire nero su bianco il certificato del parroco attestante  la buona condotta intesa nel senso di avere assolto il precetto della confessione e comunione almeno annuale.
E tutto il sistema di commistione clericale-civile si reggeva proprio  alla fin fine sulla predicazione che diffondeva il terrore per la terribili pene eterne.
Non trovo quindi giusto che personaggi del calibro e della dimensione morale di un Enzo Bianchi si lascino andare a riscuotere grandi consensi  giocando sull’esaltazione sentimentale nell’ambito di posizioni genericamente progressiste ma pensando di poterlo fare senza dover pagare dazio.
Pagare dazio vuol dire avere la forza di carattere per dire la gente la verità che merita sulla chiesa oggi, verità che intellettuali del suo calibro conoscono benissimo e che si possono riassumere con il fatto che la costruzione dogmatica vigente non sta in piedi perché è basata su argomenti che non passano il vaglio della ragione e della logica e che la bibbia non può essere definita parola di dio in base agli studi ermeneutici ormai consolidati.
Certo che se i personaggi cattolici come padre Enzo solo cominciassero a dire queste cose, che conoscono benissimo,  probabilmente rischierebbero di essere buttati fuori dalla chiesa, ma forse, anzi senza forse, ne varrebbe la pena.

Il mondo e la sua storia sono pieni di nuovi inizi e di personaggi di grande carattere che li hanno resi possibili.

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