Due esponenti di punta del cattolicesimo
progressista hanno commentato su Repubblica le uscite di Papa Francesco nel suo
viaggio in Brasile.
Ambedue pongono chiaramente grandissime speranze nelle
intenzioni innovatrici di questo papa.
Il teologo Mancuso ha fatto il suo commento
conservando la dovuta freddezza razionale.
Ha sostanzialmente detto : questo papa in materia
di gay, di divorziati risposati e di ruolo della donna nella chiesa, nulla ha
detto che non avrebbe potuto sottoscrivere anche il suo predecessore
tradizionalista.
Diversamente dal suo predecessore, ha assunto una
serie di atteggiamenti anticonformisti, che hanno il loro valore anche
simbolico, trattandosi di un papa e a questi si guarda con grande speranza e
aspettativa.
Con tutto questo però questo papa non ha ancora
assunto atti di governo significativi, e sono quelli che lo qualificheranno.
Nel viaggio in Brasile però ha detto una frase che
i suoi immediati predecessori non avrebbero detto proprio, quando ha
pronunciato quel :ma io chi sono per
giudicare?
Ed è vero, si tratta di una frase significativa,
che potrebbe far
pensare a un orientamento, che finalmente sposti l’asse della chiesa
gerarchica dal principio di autorità a quello della considerazione per le
persone concrete, all’attenzione evangelica per il fratello.
Giustamente però Mancuso aggiunge che fin quando
questi principi non appariranno in atti di governo, le belle parole non
potranno avere effetto.
Complessivamente quindi il commento di Mancuso mi
sembra corretto, anche se non posso non rimproverargli di non avere
sottolineato la mancanza di sensibilità verso il problema del sacerdozio
femminile.
Mancuso cerca di minimizzare il problema
ipotizzando, forse con realismo ,che potrebbe essere affrontato verosimilmente
per gradi : prima l’apertura alle donne del diaconato, poi l’apertura alle
donne delle alte gerarchie della curia, ove non è precluso l’accesso ai non
presbiteri (in teoria addirittura il cardinalato).
A me, sinceramente, la non sensibilità del papa su
questo tema appare uno scivolone disastroso come ho già commentato nel post
precedente, dove facevo presente che è in corso nel mondo una autentica
rivoluzione sulla promozione del ruolo della donna, che è destinata a
sconvolgere gli attuali assetti sociali.
Ma veniamo al secondo commentatore, padre Enzo
Bianchi, monaco che non è prete, colto cultore della letteratura patristica, ma
non è teologo.
Nelle sue conferenze e nelle sue apparizioni
televisive, padre Enzo incanta l’uditorio con la sua capacità di comunicare e
di essere credibile.
Nel suo articolo su Repubblica di due giorni fa, ,però
è evidente che la forte partecipazione sentimentale con la quale segue questo papa gli ha giocato dei brutti
scherzi e si è lasciato prendere la mano.
Lui stesso verso la fine si giustifica (excusatio
non petita, che è sempre pericolosa e sintomo di disagio) dicendo che quello che ha scritto non è
buonismo.
Difficile negarlo invece.
Nell’incipit attribuisce ai rabbini, ma poi fa sua,
la convinzione che dio, a differenza degli uomini, è capace non solo di
perdonare i peccati, ma è anche capace di dimenticarli, come se non fossero mai
stati commessi.
L’affermazione è apparentemente una grandiosa
definizione della misericordia di dio.
Ma non è corretta né da un punto di vista
teologico, né sul piano del puro e laico buon senso.
Il concetto di perdono divino e di relativa
misericordia infatti non può essere declinato senza il dovuto riguardo al
corrispettivo concetto di giustizia.
Da un punto di vista teologico le definizioni se
pure analitiche e dettagliate come sempre, sono vaghe e contradditorie, come si
era detto nel post dell’8 maggio scorso.
Una intera montagna dottrinaria è stata costruita
su un unico passo scritturale, quello del vangelo di Giovanni al punto 20,23.
Inutile qui sottolineare che, come dettano le
regole più elementari della esegesi biblica, il contenuto di un messaggio
evangelico è tanto più sicuro quanto più è ripreso da altri evangelisti e da
altri brani che ne con fermino il concetto e qui non siamo molto sul un terreno
solido, ma non ostante questo ci si è costruita sopra tutta la montagna
dottrinale del sacramento della penitenza e soprattutto dei poteri del clero,
che sarebbero di diretta discendenza divina e in successione storica da quello
conferito agli apostoli “ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi e a chi non li rimetterete , resteranno non rimessi” .
Definire chiaramente il significato di rimettere
non è semplicissimo e non aiuta nemmeno ripercorrere a ritroso le traduzioni, perché
il termine latino remittere, è quasi letteralmente uguale all’italiano e quello più antico greco “afiemi
amartia” è molto vicino al latino remittere e comunque è corretto tradurlo come
un perdonare i peccati.
Oltre a quel passo di Giovanni c'è solo il famosissimo passo di Matteo 16,19 con il "tu sei Pietro e su questa pietra......ti darò le chiavi...per legare....e sciogliere".
Seguito al 18,18 dall'estensione del medesimo potere agli apostoli "tutto ciò che avrete legato sulla terra...e tutto ciò che avrete sciolto..." e al 28,16 "andate...ammaestrate e ...battezzate...".
E' evidente che "legare e sciogliere" è ancora più generico del "rimettere" giovanneo, per a semplice ragione che non si aggiunge alcun complemento oggetto.
Quindi un insieme di riferimenti generici.
Ma anche se li prendessimo per buoni, rimarrebbe comunque una difficoltà di non poco conto che sta nel fatto che Marco, primo evangelista in ordine storico, non dice nulla del genere e il poco che dice è in contrasto con il discorso della delega agli apostoli, perchè al passo 2,20 riserva la potestà di perdonare i peccati solo al Figlio dell'Uomo.
Comunque, superiamo il discorso del fondamento fragilissimo del potere, che sarebbe stato delegato agli apostoli, superiamo il discorso immediatamente successivo della presunta successione apostolica ininterrotta dal collegio degli apostoli al clero di oggi, che è ancora più debole da sostenere e fermiamoci al concetto di perdono.
Oltre a quel passo di Giovanni c'è solo il famosissimo passo di Matteo 16,19 con il "tu sei Pietro e su questa pietra......ti darò le chiavi...per legare....e sciogliere".
Seguito al 18,18 dall'estensione del medesimo potere agli apostoli "tutto ciò che avrete legato sulla terra...e tutto ciò che avrete sciolto..." e al 28,16 "andate...ammaestrate e ...battezzate...".
E' evidente che "legare e sciogliere" è ancora più generico del "rimettere" giovanneo, per a semplice ragione che non si aggiunge alcun complemento oggetto.
Quindi un insieme di riferimenti generici.
Ma anche se li prendessimo per buoni, rimarrebbe comunque una difficoltà di non poco conto che sta nel fatto che Marco, primo evangelista in ordine storico, non dice nulla del genere e il poco che dice è in contrasto con il discorso della delega agli apostoli, perchè al passo 2,20 riserva la potestà di perdonare i peccati solo al Figlio dell'Uomo.
Comunque, superiamo il discorso del fondamento fragilissimo del potere, che sarebbe stato delegato agli apostoli, superiamo il discorso immediatamente successivo della presunta successione apostolica ininterrotta dal collegio degli apostoli al clero di oggi, che è ancora più debole da sostenere e fermiamoci al concetto di perdono.
Perdonare ,comunque lo si intenda, non significa affatto
dimenticare, come dice Padre Enzo Bianchi.
Teniamo conto che i due termini (remittere e
afiemi) usati dal passo di Giovanni sopra citato, sono usati prevalentemente nel senso di rimettere un debito, che ancora
meno significa dimenticare.
E dunque, che si oppone alla troppo larga
interpretazione di padre Enzo, è la non trascurabile nozione di giudizio
particolare e di giudizio finale, che materialmente impediscono a dio stesso di
dimenticarsi dei peccati anche se il peccatore è stato assolto in confessione.
Se non ci fosse la nozione di giudizio, che anzi è
tuttora ben presente ed in primo piano nell’ universo culturale dei cattolici,
compresi quelli non o poco frequentanti, il cattolicesimo probabilmente sarebbe
caduto da tempo, perché qui siamo, come
tutti abbiamo ben capito, sul piano del terrore delle pene eterne dell’inferno,
che rimane probabilmente la ragione fondamentale, che motiva l’atto di fede per
la maggioranza dei professanti cattolici.
Tra l'altro il terrore della dannazione eterna è esplicitamente presente nel vigente Catechismo al Canone 1453 con la voce "contrizione da timore".
Tra l'altro il terrore della dannazione eterna è esplicitamente presente nel vigente Catechismo al Canone 1453 con la voce "contrizione da timore".
Togliete la paura del giudizio e non vedrete più
nessuno in chiesa.
Purtroppo temo sia così che vanno le cose, come
sono andate nei secoli e secoli precedenti, anche se questa motivazione al
giorno d’oggi appare sempre più come oggetto di superstizione piuttosto che di
religione.
Dio condanna il peccato ma non il peccatore,
scrive padre Enzo.
Non bisogna confondere l’errore con l’errante.
Belle parole. che affascinano, ma che
obiettivamente sul piano della logica e della razionalità non hanno un
significato sostanziale.
L’amore e la misericordia di dio non necessitano
di essere meritati, incalza ancora padre Enzo.
E poi, ciascuno di noi non può sentirsi senza
peccato.
E qui proprio non riesco più a seguire questo tipo
di ragionamenti, anche perché non sono ragionamenti, ma sono appelli al
sentimento, e queste sono cose che mi affascinano poco.
Sul piano razionale sono pericolosi, perché
possono facilmente essere tradotti nel mondano appello assolutorio : “ ma tanto
lo fanno tutti” così facile sulla bocca dei furbastri nazionali e non, per
giustificare il malaffare e la corruzzione.
Ne sono piene le cronache.
E allora le buone intenzioni degli uomini come
Enzo Bianchi finiscono in una pessima compagnia, che lui certo non gradirebbe.
Purtroppo però Enzo Bianchi enfatizza questi argomenti
sostenendo addirittura che questo è il vero cristianesimo che deve essere
scandaloso anche se sembra follia per
gli intellettuali, che confidano nel loro pensiero.
Questa mi sembra addirittura un’offesa al buon
senso.
E che dovrebbero fare gli intellettuali se non confidare
nel loro pensiero, basato sulla ragione e sulla logica, mettendosi e mettendo
la gente in guardia contro i propagandisti integralisti di tutte le dottrine e
gli imbonitori, che non hanno la capacità di opporre argomenti agli argomenti?
Del resto il terreno dell'esaltazione sentimentale è già ben presidiato da tempo dai vari padri Livio e dai miracolisti pro Padre Pio , Mediugorie eccetera, che lo si lasci a loro.
Del resto il terreno dell'esaltazione sentimentale è già ben presidiato da tempo dai vari padri Livio e dai miracolisti pro Padre Pio , Mediugorie eccetera, che lo si lasci a loro.
Fare appello
ed esaltare i sentimenti è pericolosamente vicino al fare appallo “alla
pancia”, come succede tutti i momenti
nella politica dei populisti.
Siamo su un terreno scivoloso.
Non credo che Enzo Bianchi sia minimamente
ascrivibile a queste categorie, ma questo suo lasciarsi andare al
sentimentalismo buonista, non mi sembra degna di lui.
Già la dottrina canonica sul sacramento della
penitenza è tutt’altro che limpida e non riesce a risolvere la contraddizione fra
remissione dei peccati col sacramento della penitenza e la realtà del giudizio
di dio riaffermata contemporaneamente.
Per fare mente locale, riporto solo un brano del citato precedente
post dell’8 maggio in argomento:
“Ci troviamo quindi di fronte alla incongruità della formulazione di un
giudizio addirittura a tre livelli : quello del sacerdote come mediatore o
delegato, che interviene col sacramento della penitenza, quello particolare e
quello finale.
Non se ne esce, o si ipotizza solo la possibilità di tre giudizi uniformi,
cioè identici, ed allora tutta la costruzione dei tre livelli di giudizio
sarebbe inconsistente, insensata, oppure si ipotizza la possibilità di tre
giudizi veri e propri e quindi con la potestà di cassare ognuna delle sentenze
precedenti, ma allora il sistema a tre livelli ridicolizzerebbe addirittura la
dignità di dio, perché sarebbe come riconoscere che lo stesso dio si sarebbe sbagliato in uno dei due giudizi precedenti e
questa evidentemente sarebbe una insensatezza.
E’ sconcertante rilevare come la teologia tradizionale offra argomenti così
poveri in materie di questo spessore e importanza per i fedeli”.
Se la dottrina è discutibile ed appoggiata su quasi
nulla, sarebbe utile dirlo chiaramente alla gente, invece che fare appello ai
buoni sentimenti per salvare capra e cavoli, lasciando le cose come stanno.
Un uomo di esperienza e di cultura come padre Enzo sa
che la chiesa per secoli e secoli si è prestata ad essere anche religione
civile, sostenendo tutti i poteri costituiti perché privilegiava lo scopo di
assicurare la stabilità sociale , anche se l’ordine sociale esistente era fondato
su una infame disuguaglianza, che anziché
essere combattuta era considerata parte dell’immutabile ordine naturale delle
cose.
In questo ambito la chiesa ha altresì accettato di
essere la stampella di ogni potere politico
costituito proprio usando in modo per lo meno improprio il sacramento
della penitenza al servizio di quel potere.
Per fare un esempio non era possibile firmare un
contratto civile di qualsiasi genere se il cittadino suddito non fosse in grado di esibire nero su bianco
il certificato del parroco attestante la
buona condotta intesa nel senso di avere assolto il precetto della confessione
e comunione almeno annuale.
E tutto il sistema di commistione clericale-civile si
reggeva proprio alla fin fine sulla
predicazione che diffondeva il terrore per la terribili pene eterne.
Non trovo quindi giusto che personaggi del calibro e
della dimensione morale di un Enzo Bianchi si lascino andare a riscuotere grandi
consensi giocando sull’esaltazione
sentimentale nell’ambito di posizioni genericamente progressiste ma pensando di
poterlo fare senza dover pagare dazio.
Pagare dazio vuol dire avere la forza di carattere per
dire la gente la verità che merita sulla chiesa oggi, verità che intellettuali
del suo calibro conoscono benissimo e che si possono riassumere con il fatto
che la costruzione dogmatica vigente non sta in piedi perché è basata su argomenti
che non passano il vaglio della ragione e della logica e che la bibbia non può
essere definita parola di dio in base agli studi ermeneutici ormai consolidati.
Certo che se i personaggi cattolici come padre Enzo
solo cominciassero a dire queste cose, che conoscono benissimo, probabilmente rischierebbero di essere buttati
fuori dalla chiesa, ma forse, anzi senza forse, ne varrebbe la pena.
Il mondo e la sua storia sono pieni di nuovi inizi e
di personaggi di grande carattere che li hanno resi possibili.
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