Dopo la
lettera a Scalfari, della quale abbiamo parlato nel post del 18 settembre
scorso, papa Francesco continua il discorso facendosi intervistare ancora da
Scalfari direttamente in Vaticano.
La scelta
che ha favorito Scalfari è con tutta evidenza assolutamente casuale.
Nel senso
che lo scopo del Papa era quello di interloquire con il mondo moderno
attraverso un anziano intellettuale, noto al grande pubblico, non credente e di
dichiarata formazione e ispirazione illuminista.
Come tale
quindi, persona adatta a rappresentare il punto di vista del mondo moderno.
L'intervista
è avvenuta il 24 settembre in Vaticano ed è stata poi pubblicata ovviamente su
Repubblica, il giornale di Scalfari. per venire poi riportata in un apposito
libro, uscito nei giorni scorsi ,del titolo : dialogo tra credenti e non
credenti.
Come
nella lettera di papa Francesco a Scalfari, sopra citata, lo stile del Papa in
quest'intervista è sempre quello al quale ci siamo ormai abituati.
Informale
e giornalistico, lontano anni luce da quello curiale dei suoi predecessori.
È chiaro
che solo scegliendo questo stile il Papa fa delle scelte pesanti anche di
natura teologica.
E infatti
quando si fanno scelte di cambiamento abbastanza radicali, come questa ,si sa
in anticipo che ci saranno conseguenze positive e negative, nel senso che una
parte del popolo cristiano esulterà ma un'altra parte rimarrà magari anche
fortemente sconcertata.
Se un
Papa sceglie di esprimersi, dopo essersi mostrato in sedia gestatoria, con
tanto di flambelli e guardia reggia,fra inni e cantici, in stile Pio XII, ma
anche dei suoi successori , è chiaro che vuole con quella messinscena sottolineare
la sacralità nella sua posizione ed apparire al popolo in una veste analoga ed
in continuità con quella di Mosé, che ha appena ascoltato la parola
dell'altissimo.
Se invece
un Papa sceglie di parlare a un intellettuale –giornalista, in stile
giornalistico, è chiaro che è consapevole di mettere con ciò stesso
nell'armadio la stessa sacralità della sua figura, ritenendola non più adeguata,
per parlare in modo credibile con l'uomo del 21º secolo.
Molti
diranno : finalmente era ora.
Ma altri
diranno : ma cosa fà, un Papa non può comportarsi così.
Tanto più
che cinquant'anni fa il concilio Vaticano secondo aveva fatto intravedere
questo nuovo modo di annunciare il messaggio cristiano, ma poi i successivi
cinquant'anni sono stati tutti dedicati a metterlo in frigorifero quel
concilio.
Il popolo
cristiano ha così subito cinquant'anni di propaganda e indottrinamento
tradizionalista e anticonciliare.
Riproporre
quel messaggio oggi non è quindi indolore.
In questi
cinquant'anni la cultura del popolo cristiano non è maturata, ma è regredita e
il popolo medesimo si è vistosamente assottigliato nel numero.
Se per
cinquant'anni la predicazione era orientata a presentare il mondo moderno,
fondato sulla mentalità scientifica ,come una cosa della quale diffidare, come
un pericolo sempre incombente, non è facile oggi con un Papa nuovo e di diverso
orientamento cominciare a predicare, che la mentalità scientifica del mondo
moderno è cosa buona e giusta.
La stessa
situazione l'hanno sperimentata ,di recente, gli anglicani ,vicini ai cattolici
più d'ogni altra denominazione protestante e dotati di organi di governo molto
più partecipati e meno medioevali di quelli del cattolicesimo.
Quando in
quella Chiesa si è formata una dirigenza gerarchica decisamente aperta al mondo
moderno sugli argomenti ,che riguardano i diritti civili e umani nonché
l'uguaglianza fra uomo e donna, hanno dovuto verificare con sorpresa ,che la
base dei loro fedeli reagiva in modo negativo, perché non era sufficientemente
acculturata e matura per fare propri quei nuovi orientamenti.
Questo
papa è appena partito ma non è che abbia la mano leggera.
Nell'intervista
a Scalfari, per esempio, ha sparato un'autentica cannonata quando ha detto : “il
proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso.
Bisogna
conoscersi e ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda”.
E come se
questo non fosse bastato, ha proseguito ribadendo l'affermazione, che era stata
considerata di maggior peso nella lettera di settembre, a proposito del primato
e dell'autonomia della coscienza personale.
“Ciascuno
ha la sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e di
combattere il Male, come lui li concepisce”.
Teologicamente
questa affermazione costituisce una rivoluzione culturale, che ha fatto rizzare
i capelli a tutto il fronte dei tradizionalisti.
Per
esempio, il foglio di Giuliano Ferrara, esponente di spicco dei cosiddetti atei
devoti o neo con, tanto apprezzati e
lodati nella lunga gestione dalla conferenza episcopale, da parte del cardinale
Ruini, si è deciso a titolare senza mezzi : termini questo papa proprio non ci
piace.
Nell’
affermazione di papa Francesco sul
primato della coscienza non ci sono sfumature o cavilli di difficile
comprensione, tipo discussioni sul sesso degli angeli.
Ci sono
invece in ballo in modo chiaro e trasparente due teologie diverse.
Una,
quella tradizionale, derivata dalle affermazioni dottrinali del concilio di
Trento a metà Cinquecento, basate sul principio di autorità.
Autorità del
papato ,che interpreta la scrittura in modo non discutibile da altri e che da queste interpretazioni deduce una
montagna di dogmi, che regolano tutto.
L'altra
teologia, basata invece sul principio della priorità e sull'autonomia della
coscienza personale, che già era emerso, ma non era nemmeno stato statuito, al
concilio Vaticano secondo.
Per farla
breve questo è un principio fondamentale, di chiara ispirazione illuminista,
che sta alla base del mondo moderno e della mentalità scientifica.
Il
teologo Vito Mancuso sull'argomento aveva già sostenuto le ragioni di questa
tesi nelle cinquecento pagine del suo testo di teologia fondamentale intitolato
:”io e Dio”, apparso nel 2011, regnante Papa Ratzinger.
È infatti
quel suo libro era stato accolto da commenti arroganti, superficiali e pungenti
da Civiltà Cattolica allineata con la curia e dalla ancor più allineata Società
Teologica Italiana.
Costoro,
gli rivoltarono contro addirittura delle ridicole accuse di “neo gnosticismo”,
che nulla c'entrava con il contenuto del suo libro.
Ma così
vanno le cose nelle corti e nelle curie.
Oggi
Mancuso, con molta sobrietà e “nonchalance” si è tolto la soddisfazione di
commentare queste affermazioni di papa Francesco, in un articolo sempre su
Repubblica del 17 ottobre scorso, nel quale, in uno stile tutt'altro che
giornalistico, ma decisamente teologico, dà conto del concetto tratto dalla
teologia classica, che sarà risultato ai più piuttosto astruso ed esoterico.
Il
concetto, che in teologia si chiama “sinderesi”.
Questo
concetto, dice Mancuso, cerca di spiegare la capacità di conoscere il bene
oggettivo, mediante la coscienza soggettiva.
In parole
povere, Mancuso si preoccupa di spiegare come quelle parole del Papa non
significano affatto accettare l'individualismo esasperato, che si manifesta nel
mondo moderno e meno ancora accettare un relativismo morale puro e semplice.
Si tratta
invece di proclamare il primato della coscienza individuale, che non disconosce
affatto l'esistenza per tutti noi di un patrimonio morale largamente comune,
cioè un messaggio etico universale, immanente alla natura delle cose, che gli
uomini sono in grado di decifrare.
Queste parole Mancuso le cita prendendole da un documento di
curia in proposito e che proviene dalla Commissione Teologica Internazionale in
data 6/12/2008.
Questo
documento appena dopo prosegue così : la
legge morale non può essere presentata come l'insieme di regole, che si
impongono a priori. ma è fonte di ispirazione oggettiva. per il suo processo
eminentemente personale di presa di decisione.
Fa una
certa impressione vedere un teologo come Mancuso, al quale il Vaticano, fino a
poco tempo addietro disconosceva polemicamente addirittura la qualifica di
teologo, per il semplice fatto che non era l'un teologo di corte, che ora si
preoccupa di mettere insieme argomenti, per dimostrare l'ortodossia delle tesi
del papa regnante, invece che di sottolinearne la forte portata innovativa.
Questo è
un segno non secondario del fatto che in Vaticano ora le cose sono veramente
cambiate.
Detto
quello sopra riferito, il singolare intervento non tradizionalista, ma certo
molto ortodosso, del teologo progressista Mancuso si arresta ed è un peccato, perché uno dei meriti della
teologia di Mancuso è quello di rifondare la teologia, come si è sopra
accennato, non più partendo dall' autorità della rivelazione e relative
interpretazioni ecclesiastiche , ma ha fondato la teologia a partire dalla conoscenza della
realtà, come è stata sviluppata dalla scienza moderna.
Per
fondarci sopra una nuova cosmologia e una nuova teologia, capaci di individuare l'esistenza dello “spirito” e del “divino”,
non solo nell'ordine dell'universo, scritto in termini matematici nelle
universali leggi fisiche, ma soprattutto nella tendenza che lui vede nel
processo evolutivo verso forme sempre più organizzate e complesse.
Per
ironia della sorte questo concetto fondamentale del teologia di Mancuso, era
stato già espresso con chiarezza nella prima importante opera teologica del
giovane teologica teologo Ratzinger, basata sul commento del credo quando
questi era nella sua fase, diciamo progressista, ai tempi del concilio Vaticano
secondo.
Si tratta del libro dal titolo “Introduzione al
cristianesimo”, apparso in italiano nel 1968.
Libro,
che Ratzinger ,da papa, seppure con qualche contorsione logica, ha
esplicitamente scritto di non ritenere di dover ripudiare.
Questa
rifondazione della teologia, partendo dalle evidenze della scienza moderna, è
di grande importanza, perché nel campo della teologia morale afferma il primato
della coscienza individuale e quindi la sua autonomia dalla autorità della
rivelazione e della tradizione, ma nello stesso tempo afferma anche con forza
il concetto dell'esistenza di un nucleo obiettivo di valori universali,
valevoli per tutta la specie umana.
Questo
stesso concetto, sul piano filosofico, è stato bene argomentato da Roberta de
Monticelli, che non a caso era stata a suo tempo chiamata ad insegnare
all'Università del San Raffaele insieme a Mancuso, da quel singolarissimo prete
–diavoletto- geniaccio, che è stato Don Verzé.
Si diceva
prima, peccato che Mancuso, probabilmente per esigenze di spazio, in
quell'articolo a commento dell'intervento di papa Francesco sul primato della
coscienza, non abbia proseguito accennando a questi concetti così tipici delle
sue teologia.
Perché
proprio in questi giorni la stampa ha riportato il pensiero di importanti
scienziati espresso in occasione dei festival
della scienza a Bergamo e a Genova.
Scienziati
cultori di discipline diverse hanno sostenuto e argomentato l'esistenza di una
base di valori morali universali, riscontrabili nel patrimonio culturale
acquisito dalla specie umana ,attraverso il processo di evoluzione.
L'evoluzione
darwiniana è un processo nel quale la selezione naturale avviene in modo che
siano favorite quelle variazioni, che comportino un rafforzamento delle probabilità
di sopravvivenza, che è legata anche a una maggiore capacità riproduttiva.
Questo
meccanismo sembrerebbe intrinsecamente egoistico.
In parole
povere sembrerebbe orientato alla politica del “ farsi i fatti propri”, nel
modo più efficace.
E invece ,etologi
e antropologi hanno dimostrato, che questo meccanismo è accompagnato da
evidenti comportamenti altruistici, che in natura sono molto comuni e non solo
fra i primati più evoluti.
Comportamenti
attraverso i quali il singolo individuo sacrifica il suo interesse egoistico a
favore del bene del gruppo, al quale appartiene.
Questo si
verifica regolarmente, quando per esempio un animale dà l'allarme a tutto il
gruppo, mettendo con ciò stesso a rischio la sua vita ,nei confronti di un
predatore ,che si avvicina.
E nella
direzione opposta sono comuni nei gruppi animali le punizioni nei confronti
degli individui ,che manifestano comportamenti egoistici, ad esempio quando
dopo avere cacciato in gruppo non condividono la preda catturata con gli altri
componenti del gruppo.
In base alla
teoria darwiniana, questi comportamenti si inseriscono nella logica di fondo
dell'evoluzione,perché il sacrificio potenziale del singolo e comunque il suo
comportamento cooperativo porta un vantaggio alla sopravvivenza del patrimonio
genetico dei suoi parenti ,presenti nel gruppo medesimo.
Ma fra
gli umani si va oltre e si verificano i casi di “altruismo senza reciprocità”,
quando ad esempio, rimanendo nella logica sopradescritta, non c'è alcun parente
da salvare nel gruppo o nella comunità di appartenenza.
Gli
etologi hanno individuato comportamenti del genere anche fra gli scimpanzé
quando un individuo interviene a favore di specie diverse dalla sua.
Gli
scienziati spiegano questi comportamenti come compatibili con l'evoluzione
darwiniana, affermando che questi individui percepiscono, a seguito di
acquisizioni culturali consolidate con l'evoluzione, che il gruppo o la società,
che comprende più gruppi, si trova a vivere in un ambiente più favorevole ,se
fra i gruppi o nei gruppi c'è più coesione e meno conflittualità.
E questa
sarebbe la base evolutiva acquisita ,che porta a favorire in certe circostanze
i comportamenti altruistici o addirittura altruistici senza reciprocità.
L'etologo
Frans de Waal ha rilevato dallo studio del comportamento dei primati bonobo,
che nei gruppi di questi animali è possibile dimostrare l'esistenza di quelle,
che noi chiamiamo comportamenti ispirati ai principi morali e in particolare di
“empatia” cioè la tendenza ad occuparsi degli altri e capacità di valutazione
relative alle all' “equità”, che noi diremmo essere principi di giustizia,
assoggettandosi a certe regole sociali.
Da queste
considerazioni ,l'etologo olandese deduce che quella che noi chiamiamo morale
oggettiva esiste in natura e non è quindi fondata su rivelazioni religiose, perché
a queste è preesistente.
Non è
nemmeno derivata da un ragionamento filosofico ma è un qualcosa di precedente,
che c'è e esiste prima delle
elaborazioni delle religioni e delle filosofie, facendo parte della nostra natura
di umani, derivanti dai primati.
Le
acquisizioni scientifiche sopra riportate, sono con tutta evidenza argomenti
usabili a forte sostegno dell'affermazione di papa Francesco a favore del primato
dalla coscienza individuale e dell'impostazione teologica di Mancuso, fondata non più sul
principio di autorità della rivelazione, interpretata dalla
tradizione, ma sulle conoscenze del mondo, ottenute partendo dalle acquisizioni
della scienza moderna.
In altre
parole, una base obiettiva dei valori morali universali di giustizia c'è, ma
non è necessario fondarla sulla rivelazione fatta a un popolo eletto, essendo
questo un concetto obiettivamente debole, perché è per definizione non
universale, in quanto di rivelazioni
religiose a popoli eletti ce ne sono diverse a secondo delle latitudini
geografiche.
Questo
patrimonio morale obiettivo e universale c'è in quanto iscritto addirittura nel
nostro patrimonio culturale evolutivo in quanto specie umana.
1 commento:
Vito Mancuso, nel difendere le affermazioni di Papa Francesco sull’autonomia della coscienza nell’individuare che cosa debba intendersi per “bene” e per male”, sostiene che Papa Francesco non ha detto nulla di nuovo: Mancuso, nel sostenere tale tesi, si riferisce essenzialmente al contenuto del documento “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale”, redatto nel 2008 dalla Commissione Teologica Internazionale, definendolo atto “Magisteriale”.
Mancuso, però, incorre in un evidente errore: il documento in questione non è un atto del Magistero della Chiesa Cattolica, dato che, anche con riferimento allo stesso suo titolo, altro non è che il risultato di una ricerca svolta, da parte di 30 teologi, al fine di individuare principi morali, fondati sulla c.d. “legge naturale”, da poter essere universalmente accolti: come tali, pertanto, vanno presi in considerazione e, quindi, non possono considerarsi sostitutivi o riduttivi della "nuova legge" cristiana di Gesù Cristo,che dovrebbe valere anche per Mancuso che continua ad autodefinirsi "teologo cattolico".
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