mercoledì 26 novembre 2014

Elezioni del 23 novembre : anche in politica la gente lascia le vecchie chiese



Facile per chiunque dire chi ha perso le regionali del 23 novembre scorso.
Berlusconi ha perso in modo catastrofico e Grillo gli andato dietro, poi, come di consueto, nè l'uno nè l'altro riconoscono la portata della sconfitta, che per loro potrebbe significare il fatto di essere all'ultimo giro e che i loro movimenti non hanno la garanzia di sopravvivere alla sconfitta del fondatore.
Facile anche , specularmente, individuare i vincitori, dato che i numeri non mentono.
Ha vinto Renzi, che si ritrova col suo partito a governare tutte le regioni italiane meno Lombardia  Veneto e Campania.
Ha vinto, e in modo clamoroso, Salvini che raddoppia i voti e dimostra di avere ormai una base nazionale e non più solo locale.
Stiamo parlando di quattro movimenti politici, che di fatto rappresentano la quasi totalità delle forze politiche italiane ,e che hanno tutte una caratteristica peculiare, radicalmente diversa  rispetto al passato.
Hanno tutti  tagliato i ponti col partito -chiesa del passato, nel quale ci si riconosceva, come in un fattore identitario e che per questa ragione non si abbandonava mai se non da parte di frange marginali.
L'ideologia , i così detti valori fondanti, erano i vangeli che non era lecito mettere in discussione.
E questa situazione era durata fino a molto di  recente, perché il PCI , associazioni collaterali e classe politica era di fatto sopravvissuto costituendo la spina dorsale del PD.
La DC nella sua parte moderata, che era la maggioranza, non  ha fatto fatica a riconoscersi nel berlusconismo, mentre la sinistra democristiana era sopravvissuta entrando nel Pd, se pure in posizioni di minoranza.
La consapevolezza di queste origini per molti era la garanzia rassicurante di essere sempre nel  partito -chiesa di sempre.
Per i berlusconiani ex democristiani, in particolare, perché il leader  è stato omaggiato da papi, segretari di stato e presidenti della Cei, fino al recente cadutone causato dalla condanna penale.
Non di meno per gli ex- comunisti, che di comunista o anche solo di socialista non avevano più nulla, ma che per necessità si trovarono costretti a venire incontro alla volontà della base di tenere vive le radici almeno nella memoria dei leader del passato più presentabili come Enrico Berlinguer o dei segretari generali storici della CGIL.
Poi è arrivato Renzi, che per il suo partito era un marziano, in quanto la sua giovane età gli consentiva praticamente di non essere politicamente figlio di nessuno e quindi di inventarsi un suo, se pur generico, universo di riferimento, che va da Tony Blair a Barak Obama, ma che trascura quello che era l'intero Pantheon del suo partito.
Questo salto in avanti sarebbe stato assolutamente impensabile in altri tempi ed è stato possibile oggi solo perché ,chiaramente, l'elettorato ha dimostrato di essersi sganciato, forse definitivamente, dalla "fede" nei partiti- chiesa, e di chiedere alla politica la risoluzione dei problemi, che avverte come più urgenti di volta in volta e i "valori fondanti" li sostituisce con un sano e forse eccessivo pragmatismo.
Lo stesso fenomeno si avverte nel caso dei Grillini.
Non hanno radici in forze politiche storiche e se ne vantano, di conseguenza non hanno il riferimento a "valori fondanti", ma assemblano di volta in volta la loro offerta politica se pure tenendo ferme alcune linee guida come difesa dell'ambiente, lotta ai privilegi della casta, salario garantito per i giovani ecc.
In casa di Berlusconi le cose vanno un po' peggio, perché anche se i giudici hanno inspiegabilmente scelto di cambiare indirizzo e da qualche tempo assolvono tutti, la vecchia volpe è rimasta irrimediabilmente presa nella tagliola di una condanna definitiva e quella se la tiene.
Di conseguenza è costretto ad andare a patti con Renzi, col cappello in mano, per chiedergli in cambio "l'agibilità politica", cioè la grazia.
Come possa pensare seriamente di potere condizionare un atto sovrano del prossimo presidente fornendogli in cambio i voti necessari per la sua elezione, lo sa solo lui.
Vada a chiedere a un vaticanista quanti papi anno rispettato le promesse che avevano fatto ai cardinali che li hanno eletti in conclave, avrà delle risposte molto scoraggianti.
Quello di Berlusconi è un   partito in disfacimento, per il quale, alla parte residuale che rimarrà in vita Berlusconi non è una risorsa ma un problema.
I numeri dimostrano che la "fede" nelle imperiture fortune del capo non è stata condivisa dalla metà del suo elettorato.
Un partito poco oltre il 10% che  nei momenti d'oro del '94 e seguenti raccoglieva  il 40%, che futuro può avere?
Per la Lega di Salvini si può fare un discorso in parte analogo  a quello di Renzi.
La giovane età gli consente di  saltare ben oltre l'acciaccato fondatore e il suo disastroso "cerchio magico".
La sua Lega, della vecchia Lega ha solo il nome ed anche questo probabilmente è destinato a cambiare, perché l'attuale bacino nazionale trasforma radicalmente la fisionomia del vecchio  movimento.
Finiti i riferimenti fondativi al federalismo ed all' indipendenza del Nord, si passa ad adottare l'ideologia lepenista, che come in tutte le ideologie di destre  è tutto il contrario e cioè è statalista, in quanto nazionalista.
Qui nella Lega, il ripudio del vecchio partito -chiesa, di rito celtico è ancora più radicale che negli altri partiti.
Salvini, giustamente dal suo punto di vista, è come Renzi e Grillo  un assemblatore di offerta politica, che mette insieme le situazioni di disagio e di rabbia sociale, che sono molte e consistenti.
E' destinato a mangiarsi le altre formazioni di destra, Berlusconi compreso in un sol boccone.
Ed alla stabilità del sistema e quindi anche a Renzi, giova tutto sommato avere di fronte, incarnata da Salvini, "l'opposizione di sua maestà", all'inglese, che ora non c'è, se non per la presenza più goliardica, che politica, dei 5Stelle.
Siamo quindi in uno scenario nuovo, completamente nuovo, che come sempre offre grandi opportunità ed anche il pericolo di decadere nel populismo, dove vince chi la spara più grossa.
A Renzi il compito di portare a casa al più presto delle riforme vere, approfittando della singolarità del momento per essere ancora più coraggioso.
Berlusconi e Renzi sono in gravi difficoltà, a Renzi quindi l'opportunità di giocare la carta dei due forni, secondo le convenienze del momento.
Ha l'enorme vantaggio di essere lui a dare le carte, lo sfrutti.



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