Elezioni del 23 novembre : anche in politica la gente lascia
le vecchie chiese
Facile per
chiunque dire chi ha perso le regionali del 23 novembre scorso.
Berlusconi
ha perso in modo catastrofico e Grillo gli andato dietro, poi, come di consueto,
nè l'uno nè l'altro riconoscono la portata della sconfitta, che per loro
potrebbe significare il fatto di essere all'ultimo giro e che i loro movimenti non
hanno la garanzia di sopravvivere alla sconfitta del fondatore.
Facile anche
, specularmente, individuare i vincitori, dato che i numeri non mentono.
Ha vinto
Renzi, che si ritrova col suo partito a governare tutte le regioni italiane
meno Lombardia Veneto e Campania.
Ha vinto, e
in modo clamoroso, Salvini che raddoppia i voti e dimostra di avere ormai una
base nazionale e non più solo locale.
Stiamo
parlando di quattro movimenti politici, che di fatto rappresentano la quasi
totalità delle forze politiche italiane ,e che hanno tutte una caratteristica
peculiare, radicalmente diversa rispetto
al passato.
Hanno
tutti tagliato i ponti col partito
-chiesa del passato, nel quale ci si riconosceva, come in un fattore identitario
e che per questa ragione non si abbandonava mai se non da parte di frange
marginali.
L'ideologia
, i così detti valori fondanti, erano i vangeli che non era lecito mettere in
discussione.
E questa
situazione era durata fino a molto di
recente, perché il PCI , associazioni collaterali e classe politica era
di fatto sopravvissuto costituendo la spina dorsale del PD.
La DC nella
sua parte moderata, che era la maggioranza, non
ha fatto fatica a riconoscersi nel berlusconismo, mentre la sinistra
democristiana era sopravvissuta entrando nel Pd, se pure in posizioni di
minoranza.
La
consapevolezza di queste origini per molti era la garanzia rassicurante di
essere sempre nel partito -chiesa di
sempre.
Per i
berlusconiani ex democristiani, in particolare, perché il leader è stato omaggiato da papi, segretari di stato
e presidenti della Cei, fino al recente cadutone causato dalla condanna penale.
Non di meno
per gli ex- comunisti, che di comunista o anche solo di socialista non avevano
più nulla, ma che per necessità si trovarono costretti a venire incontro alla
volontà della base di tenere vive le radici almeno nella memoria dei leader del
passato più presentabili come Enrico Berlinguer o dei segretari generali
storici della CGIL.
Poi è
arrivato Renzi, che per il suo partito era un marziano, in quanto la sua
giovane età gli consentiva praticamente di non essere politicamente figlio di
nessuno e quindi di inventarsi un suo, se pur generico, universo di riferimento,
che va da Tony Blair a Barak Obama, ma che trascura quello che era l'intero
Pantheon del suo partito.
Questo salto
in avanti sarebbe stato assolutamente impensabile in altri tempi ed è stato
possibile oggi solo perché ,chiaramente, l'elettorato ha dimostrato di essersi
sganciato, forse definitivamente, dalla "fede" nei partiti- chiesa, e
di chiedere alla politica la risoluzione dei problemi, che avverte come più
urgenti di volta in volta e i "valori fondanti" li sostituisce con un
sano e forse eccessivo pragmatismo.
Lo stesso
fenomeno si avverte nel caso dei Grillini.
Non hanno
radici in forze politiche storiche e se ne vantano, di conseguenza non hanno il
riferimento a "valori fondanti", ma assemblano di volta in volta la
loro offerta politica se pure tenendo ferme alcune linee guida come difesa
dell'ambiente, lotta ai privilegi della casta, salario garantito per i giovani
ecc.
In casa di
Berlusconi le cose vanno un po' peggio, perché anche se i giudici hanno
inspiegabilmente scelto di cambiare indirizzo e da qualche tempo assolvono
tutti, la vecchia volpe è rimasta irrimediabilmente presa nella tagliola di una
condanna definitiva e quella se la tiene.
Di
conseguenza è costretto ad andare a patti con Renzi, col cappello in mano, per
chiedergli in cambio "l'agibilità politica", cioè la grazia.
Come possa
pensare seriamente di potere condizionare un atto sovrano del prossimo
presidente fornendogli in cambio i voti necessari per la sua elezione, lo sa
solo lui.
Vada a
chiedere a un vaticanista quanti papi anno rispettato le promesse che avevano
fatto ai cardinali che li hanno eletti in conclave, avrà delle risposte molto
scoraggianti.
Quello di
Berlusconi è un partito in
disfacimento, per il quale, alla parte residuale che rimarrà in vita Berlusconi
non è una risorsa ma un problema.
I numeri
dimostrano che la "fede" nelle imperiture fortune del capo non è
stata condivisa dalla metà del suo elettorato.
Un partito
poco oltre il 10% che nei momenti d'oro
del '94 e seguenti raccoglieva il 40%,
che futuro può avere?
Per la Lega
di Salvini si può fare un discorso in parte analogo a quello di Renzi.
La giovane
età gli consente di saltare ben oltre
l'acciaccato fondatore e il suo disastroso "cerchio magico".
La sua Lega,
della vecchia Lega ha solo il nome ed anche questo probabilmente è destinato a
cambiare, perché l'attuale bacino nazionale trasforma radicalmente la
fisionomia del vecchio movimento.
Finiti i
riferimenti fondativi al federalismo ed all' indipendenza del Nord, si passa ad
adottare l'ideologia lepenista, che come in tutte le ideologie di destre è tutto il contrario e cioè è statalista, in
quanto nazionalista.
Qui nella
Lega, il ripudio del vecchio partito -chiesa, di rito celtico è ancora più
radicale che negli altri partiti.
Salvini,
giustamente dal suo punto di vista, è come Renzi e Grillo un assemblatore di offerta politica, che
mette insieme le situazioni di disagio e di rabbia sociale, che sono molte e
consistenti.
E' destinato
a mangiarsi le altre formazioni di destra, Berlusconi compreso in un sol
boccone.
Ed alla
stabilità del sistema e quindi anche a Renzi, giova tutto sommato avere di
fronte, incarnata da Salvini, "l'opposizione di sua maestà", all'inglese,
che ora non c'è, se non per la presenza più goliardica, che politica, dei
5Stelle.
Siamo quindi
in uno scenario nuovo, completamente nuovo, che come sempre offre grandi
opportunità ed anche il pericolo di decadere nel populismo, dove vince chi la
spara più grossa.
A Renzi il
compito di portare a casa al più presto delle riforme vere, approfittando della
singolarità del momento per essere ancora più coraggioso.
Berlusconi e
Renzi sono in gravi difficoltà, a Renzi quindi l'opportunità di giocare la
carta dei due forni, secondo le convenienze del momento.
Ha l'enorme
vantaggio di essere lui a dare le carte, lo sfrutti.
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