La
vicenda dei funerali Casamonica è stato un fatto orripilante, ma è servito
almeno a fare aprire gli occhi per discutere su una vasta gamma di questioni
importanti, interessanti il potere civile, ma anche la chiesa.
Una
di queste è senz’altro lo stato della chiesa in Italia nel senso del livello di
fiducia e di credibilità sul quale può ancora o non può più contare.
Ora,
qualsiasi sia la nostra posizione di adesione o meno verso la chiesa, non
possiamo tacerci che su questa vicenda le figure ecclesiastiche, responsabili
di quelle istituzioni ,siano riuscite a sparare una serie di scuse e
giustificazioni ,che il fondatore del cristianesimo avrebbe bollato quanto meno
per “farisaiche”.
Anche
se facessimo finta che non mentivano, sapendo di mentire, non potremmo comunque
non rilevare le evidenti contradizioni nelle quali sono incorsi.
Il
meno attrezzato di furbizie ecclesiastiche, che è risultato essere il povero
Don Abbondio della situazione, ha recitato la parte che riteneva fosse da lui
richiesta.
Vengono
alla mente inevitabilmente le formidabili parole dei “promessi Sposi” relative
a casi di questo genere :”sopire, troncare, Padre molto reverendo, sopire, troncare”.
Solo
che nei Promessi Sposi i due interlocutori erano il Conte Zio e il Padre
Provinciale dei Capuccini, forse a quel livello il sopire ,troncare può
funzionare, ma a livello di Don Abbondio
naufraga.
In
prima battuta l’ argomento a giustificazione portato sia dal parroco che dal
Vicariato, è stato questo : solo dio può sapere se anche il più incallito
malfattore si pente all’ultimo momento e quindi la pietà vuole che il funerale
religioso sia celebrato.
Il
ricorso all’autorità di dio e quindi al sacro è corretto secondo la teologia
tradizionale, ma di scarso senso nel mondo moderno, se usato in questo
contesto.
Ma
soprattutto cozza contro la logica più elementare, perché se quello fosse il
criterio principe da applicare a questi casi, allora non si spiegherebbe perché
è previsto dal diritto canonico che in certe circostanze gravi il funerale può
venire rifiutato, tanto che è stato rifiutato proprio in quella chiesa da una
presa di posizione pubblica del Vicariato nel “caso Wembly”, anche questa volta
in barba ad ogni “pietà” e ad ogni logica, se si pensa che la prassi
consolidata era da tempo favorevole a celebrare i funerali nei casi di
suicidio.
Ammesso
e non concesso affatto, che Wembly fosse un peccatore per avere chiesto di
staccarlo dai macchinari che lo tenevano in vita artificialmente, perché mai
,seguendo quell’argomento prima enunciato, non avrebbe potuto pentirsi
all’ultimo momento e quindi non avrebbe potuto beneficiare della “pietà”
invocata dal nostro Don Abbondio?
E
poi se usciamo da quegli irritanti farisaismi, che insultano l’intelligenza di
tutti, come mai il parroco della chiesa nella quale per diritto canonico e cioè
,in base alla residenza, si sarebbe dovuto celebrare quel funerale, una volta
interpellato dai parenti e dopo avere sentito quel cognome ben noto, si è
rifiutato di celebrare il rito ?
Manzoni
,in qualche modo cerca di circoscrivere le mancanze di Don Abbondio dicendo,
come è noto, che chi nasce senza coraggio, non se lo può inventare, ma il
nostro parroco è ricorso ad argomenti alla Don Abbondio, addirittura
caricaturali.
Nell’intervista
pubblicata oggi da Repubblica esordisce dicendo che non avrebbe risposto nulla
perché i suoi superiori gli avevano tassativamente imposto di non parlare più,
ma poi parla eccome.
Meglio
per lui se avesse taciuto.
La
prima affermazione è veramente scioccante : nessuno mi aveva comunicato quale
fosse l’identità reale del defunto.
Apprendiamo
quindi che bisognava comunicargliela l’identità del defunto, non era lui, il
parroco, che avrebbe dovuto conoscere chi a lui si rivolgeva e in caso
contrario informarsi bene.
Se
si fosse informato avrebbe dovuto chiedersi da buon prete-impiegato, come probabilmente
si ritiene, se il suo collega che per diritto canonico era quello competente
per territorio si fosse rifiutato di celebrare quel rito, come in realtà era
avvenuto.
Questo
sarebbe stato suo dovere, come diligente prete- impiegato.
Se
poi si fosse trovato accecato dalla paura, avrebbe sempre potuto scaricare la
patata bollente sul Vicariato ed aspettare la risposta di quello prima di dare
il consenso.
Forse
a questo ci sarebbe arrivato persino Don Abbondio, che non vi aveva ricorso
perché nel ‘600 la logistica delle comunicazioni avrebbe scoraggiato il ricorso
all’Arcivescovo.
Il
nostro poi ha svicolato su quello che
per lui è sempre stato l’argomento che taglierebbe la testa al toro : io sono responsabile
solo di quello che succede dentro la chiesa e dentro la chiesa tutto è stato
ineccepibile.
Formalmente
sarebbe un argomento spendibile, solo che forse ritenendolo debole lo ha
rafforzato con particolari ridondanti, come : c’era pieno di confessati (come
se fossimo ancora ai tempi di Carlo Borromeo quando si compilava il certificato
di confessione, con valore anche nel civile) e tanti si sono comunicati.
Ma
poi il cadutone si verifica nell’ultima risposta.
Domanda
: e i cartelloni che raffiguravano il defunto praticamente nelle vesti da papa?
Il
nostro risponde che non aveva paura, ma che i collaboratori l’avrebbero
consigliato di non toglierli “per non fare innervosire nessuno”.
Hai
hai, qui cade tutto.
Allora
sapeva di chi si trattava e che sarebbe stato meglio non fare ” innervosire”
gente di tale fama, perché quelli “menano” se si è fortunati, se no finisce
peggio.
Trovare
un Don Abbondio, non è bello, ma nel numero ce né e ce ne saranno sempre, come
capita in qualsiasi ambiente sociale.
Però ai guai procurati da quel tipo di preti dovrebbe sopperire, in una grande citta ,una
organizzazione che evidentemente non c’è.
Consultare
il Vicariato in casi dubbi dovrebbe essere stabilito come un obbligo tassativo,
a ognuno le proprie responsabilità.
Il
nostro parroco non ha certo esercitato la virtù della prudenza, ma forse un po’
di coraggio l’avrebbe trovato se ci fossero regole che automaticamente coprono
i poveri parroci avocando la competenza all’autorità superiore, in casi di
potenziali pericoli per i parroci stessi.
Questa
vicenda ha diviso come sempre il mondo cattolico.
Si
sono visti “fedeli” sul sagrato della chiesa la domenica successiva con
cartelli che esprimevano la loro indignazione, ma c’erano anche parecchi
“fedeli” senza cartelli che intervistati dicevano che secondo loro il parroco
aveva fatto bene a fare quello che ha fatto.
E
anche questo non mi sorprende, perché questa di prendere le parti del proprio
prete a prescindere da qualsiasi “prova” di comportamento non corretto è il modo
di fare tipico di chi è abituato a “sacralizzare” tutto ciò che si riferisce
alla chiesa andando ben oltre la teologia o il semplice buon- senso.
Per
questo tipo di fedeli, qualsiasi evento che possa turbare o scuotere la propria
fede, va allontanato alla svelta.
Perfino
nei casi più eclatanti di pedofilia si sono viste schiere di “fedeli” difendere
strenuamente il proprio prete, perché era il loro prete-impiegato che avrebbe
loro aperto le porte del paradiso al momento opportuno.