martedì 22 settembre 2015

La riforma istituzionale di Renzi



Se Renzi cela fa a portare a  conclusione  la così detta riforma del Senato tanto meglio.
E’ da quando DeGasperi nel 1954 tentò senza successo  di far passare la  legge elettorale con premio di maggioranza, che i più avvertiti  fra i politici italiani  si erano resi conto che la struttura istituzionale  prevista dalla  costituzione basata su  un sistema  proporzionale  secco  e sul bicameralismo perfetto  era fatta in modo per non consentire  a nessun presidente  del  consiglio di governare veramente.
Nel  senso che con quel sistema di garanzia  qualsiasi presidente del consiglio non sarebbe stato in grado  di  realizzare il programma di legislatura per il quale era stato eletto.
I  costituenti è inutile ricordarlo  hanno avuto il difficile compito di conciliare le ideologie e le tradizioni di partiti  molto diversi  :democristiani, comunisti, socialdemocratici e liberali.
Ma soprattutto avevano tutti la grossa preoccupazione mai resa esplicita, ma che ispirò tutto il loro lavoro di delineare istituzioni che non consentissero il riapparire di avventure fasciste o di altro segno  perché i disastri  combinati dal  ventennio fascista erano sotto gli occhi di tutti.
Seguendo prima di tutto quella preoccupazione avevano badato  di limitare accuratamente i poteri del presidente del consiglio  bilanciandoli con quelli del parlamento  e nell’ambito del parlamento avevano badato  di  limitare il potere di un solo partito maggioritario, bilanciandolo col sistema elettorale di tipo proporzionale secco, che  costringeva  a fare alleanze fra partiti diversi.
In tutto il mondo si usa il termine inglese “premier” per indicare il capo del governo, ma in Italia i costituenti hanno accuratamente evitato di usare quel termine per usare quello molto più attenuato di “Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Comprensibili quegli scrupoli, nel primo dopoguerra e dopo fascismo, ma con tutti quei bilanciamenti,  lo stesso DeGasperi, come si è sopra accennato, si rese conto che in quelle condizioni era pressoché impossibile governare, con una prospettiva a medio-lungo termine e quindi propose il passaggio ad una nuova legge elettorale con premio di maggioranza.
I social-comunisti, che col proporzionale secco lucravano in pratica un potere di interdizione, superiore alle loro dimensioni reali , si opposero strenuamente e quella legge non passò.
Dopo di allora i  governi durarono per periodi brevi, sempre in balia di alleati ben contenti di far valere il potere di veto, che dava loro il proporzionale.
Per di più le cose peggiorarono ulteriormente con il formarsi di potenti correnti organizzate all’interno dei partiti.
Renzi con il sistema elettorale “italicum” introduce il principio del premio di maggioranza (a un partito o a una coalizione ci sarà da vedere) e soprattutto punta a uscire dall’attuale sistema istituzionale bicamerale paritario.
Il sistema bicamerale completamente paritario è praticamente un unicum al mondo ed è un mostro di inefficienza nella produzione legislativa.
In Europa su 28 paesi  ben 15 hanno una sola camera; 8 ne hanno  due ma con compiti diversi e il senato è eletto in modo indiretto e cioè non dai cittadini ma da assemblee rappresentative; solo 5 hanno un senato eletto direttamente dal popolo ma con compiti più specifici rispetto alla camera.
Il progetto di Renzi è italicamente macchinoso,  ma risponde a due esigenze fondamentali : i senatori sono drasticamente ridotti di numero : 100 membri dai 321 attuali; poi e soprattutto non saranno più eletti direttamente, ma da assemblee rappresentative (Consigli regionali); infine il nuovo senato avrà competenze estremamente ridotte, perderà tra l’altro quelle di maggior peso come concorrere al voto di fiducia al governo.
Quindi complessivamente la riforma proposta si ispira a ragioni di funzionalità del tutto condivisibili.
Molti  costituzionalisti hanno storto il naso perché troverebbero il sistema che ne uscirebbe  dotato di troppo pochi contrappesi, che  bilancino i poteri del premier.
Sinceramente mi sembra assurdo avanzare osservazioni del genere se si pensa che lo scopo della riforma è esattamente conferire più poteri al premier e toglierne al senato esistente.
Ancora più sinceramente ritengo che gli alti lai che quotidianamente emette la minoranza PD non siano espressione di nessun disegno costituzionale alternativo, ma solo della pura e semplice paura di perdere il loro attuale potere, il che é esattamente la funzione e lo scopo della riforma.
Dei giuristi puri, cioè non sviati nel giudizio da motivazioni o interessi di parte politica argomentano che la riforma è giuridicamente architettata in modo pasticciato e scarsamente coerente.
E questo è l’argomento che mi sembra condivisibile.
In materia costituzionale, il principale cultore italiano di scienza politica, Giovanni Sartori, oggi ultra novantenne, aveva sostenuto giustamente anche con molti articoli divulgativi sul Corriere, che tale materia esige un disegno ispiratore, coerente alla base e che non si possono fare dei puzzle assemblando pezzi di sistemi costituzionali diversi, ispirati a consuetudine storiche o architetture diverse.
Quello che però mi sembra fondamentale è che la riforma si faccia, nel senso di superare l’attuale bicameralismo paritario, che con la sua inconcludenza ha contribuito non poco a  generare sfiducia e discredito nei confronti della politica.
Certo che se si vanno a vedere i meandri tecnici della riforma in fieri, viene da dire che l’abolizione pura e semplice del Senato, sarebbe stata più sensata.

Ma accontentiamoci di quello che può passarci il convento oggi, piuttosto che andare avanti come prima.  

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