Se Renzi cela fa a portare a
conclusione la così detta riforma
del Senato tanto meglio.
E’ da quando DeGasperi nel 1954 tentò senza successo di far passare la legge elettorale con premio di maggioranza,
che i più avvertiti fra i politici
italiani si erano resi conto che la
struttura istituzionale prevista
dalla costituzione basata su un sistema
proporzionale secco e sul bicameralismo perfetto era fatta in modo per non consentire a nessun presidente del
consiglio di governare veramente.
Nel senso che con
quel sistema di garanzia qualsiasi
presidente del consiglio non sarebbe stato in grado di
realizzare il programma di legislatura per il quale era stato eletto.
I costituenti è
inutile ricordarlo hanno avuto il
difficile compito di conciliare le ideologie e le tradizioni di partiti molto diversi
:democristiani, comunisti, socialdemocratici e liberali.
Ma soprattutto avevano tutti la grossa preoccupazione mai
resa esplicita, ma che ispirò tutto il loro lavoro di delineare istituzioni che
non consentissero il riapparire di avventure fasciste o di altro segno perché i disastri combinati dal
ventennio fascista erano sotto gli occhi di tutti.
Seguendo prima di tutto quella preoccupazione avevano badato di limitare accuratamente i poteri del
presidente del consiglio bilanciandoli
con quelli del parlamento e nell’ambito
del parlamento avevano badato di limitare il potere di un solo partito
maggioritario, bilanciandolo col sistema elettorale di tipo proporzionale
secco, che costringeva a fare alleanze fra partiti diversi.
In tutto il mondo si usa il termine inglese “premier” per
indicare il capo del governo, ma in Italia i costituenti hanno accuratamente
evitato di usare quel termine per usare quello molto più attenuato di “Presidente
del Consiglio dei Ministri”.
Comprensibili quegli scrupoli, nel primo dopoguerra e dopo
fascismo, ma con tutti quei bilanciamenti, lo stesso DeGasperi, come si è sopra
accennato, si rese conto che in quelle condizioni era pressoché impossibile
governare, con una prospettiva a medio-lungo termine e quindi propose il
passaggio ad una nuova legge elettorale con premio di maggioranza.
I social-comunisti, che col proporzionale secco lucravano in
pratica un potere di interdizione, superiore alle loro dimensioni reali , si
opposero strenuamente e quella legge non passò.
Dopo di allora i
governi durarono per periodi brevi, sempre in balia di alleati ben
contenti di far valere il potere di veto, che dava loro il proporzionale.
Per di più le cose peggiorarono ulteriormente con il
formarsi di potenti correnti organizzate all’interno dei partiti.
Renzi con il sistema elettorale “italicum” introduce il
principio del premio di maggioranza (a un partito o a una coalizione ci sarà da
vedere) e soprattutto punta a uscire dall’attuale sistema istituzionale
bicamerale paritario.
Il sistema bicamerale completamente paritario è praticamente
un unicum al mondo ed è un mostro di inefficienza nella produzione legislativa.
In Europa su 28 paesi
ben 15 hanno una sola camera; 8 ne hanno
due ma con compiti diversi e il senato è eletto in modo indiretto e cioè
non dai cittadini ma da assemblee rappresentative; solo 5 hanno un senato
eletto direttamente dal popolo ma con compiti più specifici rispetto alla
camera.
Il progetto di Renzi è italicamente macchinoso, ma risponde a due esigenze fondamentali : i
senatori sono drasticamente ridotti di numero : 100 membri dai 321 attuali; poi
e soprattutto non saranno più eletti direttamente, ma da assemblee rappresentative
(Consigli regionali); infine il nuovo senato avrà competenze estremamente
ridotte, perderà tra l’altro quelle di maggior peso come concorrere al voto di
fiducia al governo.
Quindi complessivamente la riforma proposta si ispira a
ragioni di funzionalità del tutto condivisibili.
Molti
costituzionalisti hanno storto il naso perché troverebbero il sistema
che ne uscirebbe dotato di troppo pochi
contrappesi, che bilancino i poteri del
premier.
Sinceramente mi sembra assurdo avanzare osservazioni del
genere se si pensa che lo scopo della riforma è esattamente conferire più
poteri al premier e toglierne al senato esistente.
Ancora più sinceramente ritengo che gli alti lai che
quotidianamente emette la minoranza PD non siano espressione di nessun disegno
costituzionale alternativo, ma solo della pura e semplice paura di perdere il
loro attuale potere, il che é esattamente la funzione e lo scopo della riforma.
Dei giuristi puri, cioè non sviati nel giudizio da
motivazioni o interessi di parte politica argomentano che la riforma è
giuridicamente architettata in modo pasticciato e scarsamente coerente.
E questo è l’argomento che mi sembra condivisibile.
In materia costituzionale, il principale cultore italiano di
scienza politica, Giovanni Sartori, oggi ultra novantenne, aveva sostenuto giustamente
anche con molti articoli divulgativi sul Corriere, che tale materia esige un
disegno ispiratore, coerente alla base e che non si possono fare dei puzzle
assemblando pezzi di sistemi costituzionali diversi, ispirati a consuetudine
storiche o architetture diverse.
Quello che però mi sembra fondamentale è che la riforma si
faccia, nel senso di superare l’attuale bicameralismo paritario, che con la sua
inconcludenza ha contribuito non poco a
generare sfiducia e discredito nei confronti della politica.
Certo che se si vanno a vedere i meandri tecnici della
riforma in fieri, viene da dire che l’abolizione pura e semplice del Senato,
sarebbe stata più sensata.
Ma accontentiamoci di quello che può passarci il convento
oggi, piuttosto che andare avanti come prima.
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