L’ultimo giorno di agosto il pittoresco, ma preparato Oscar
Giannino sul Messaggero ha scritto un articolo- saggio nel quale ha tentato di
mettere in ordine una serie di numeri sul fenomeno immigrazione che consentisse
di fare quattro conti elementari.
L’ho letto con molto interesse anche perché dimostrava
quanto è più difficile passare dalla politica spettacolo dei talk shaw al
lavoro serio di cercarsi una documentazione attendibile.
Non è una novità, viviamo in un paese complicato, sono
andato a controllare i dati citati da
Giannino nei siti istituzionali o delle associazioni-organizzazioni che si
occupano di questo problema e ho toccato
con mano il fatto che per affrontare problemi complessi si
costruiscono con successioni di leggi
decreti ecc. organizzazioni barocche spesso opache e non trasparenti, e così i
numeri sfuggono ,ma il problema è che i soldi che questi apparati manovrano
continuano a uscire continuamente.
Il caso delle famose cooperative implicate in mafia -capitale
con le quali chi le gestiva faceva dei bei soldi con la gestione degli immigrati,
insegna.
Cominciamo con qualche numero essenziale.
Gli sbarchi in Italia sono passati dai 15/20.000 dei primi
anni 2000 ai 170.000 dell’anno scorso ed ai previsti oltre 200.000 di quest’anno.
Se allarghiamo l’orizzonte all’Europa intera si presume per
l’anno in corso un flusso complessivo di 600.000 persone.
Non si può quindi negare che il fenomeno sia vistoso e in
forte crescita.
Numeri elevati e in
crescita, d’accordo, però le organizzazioni internazionali e l’attuale
gerarchia cattolica, obiettano che non dovremmo spaventarci per due ragioni :
1-avremmo le risorse per occuparcene;
2-ci sono stati che fanno molto ma molto di più e non si
lamentano e citano il Libano che ospita 1,1 milioni di profughi su una
popolazione di 4 milione di abitanti; la Giordania che con 6 milioni di
abitanti ospita 2 milioni di profughi; la Turchia che ospita 1,7 milioni di
profughi con 77 milioni di abitanti
Verissimo sui numeri, ma non si trascuri il fatto che in
quei paesi c’è affinità etnico, culturale e religiosa, sono musulmani che vanno
in stati musulmani, anche se mettere insieme sciiti e sunniti non è così
semplice come mettere insieme cattolici ,ortodossi e protestanti, però ci sono moltissimi riferimenti di fondo e questo
conta moltissimo.
Altro argomento usato soprattutto dalle organizzazioni internazionali
è questo che è vistosissimo : in un anno si calcola addirittura in 14 milioni
il numero delle persone che decidono di abbandonare il proprio paese a livello
mondiale e viene usato per dire : vedete bene che il carico sull’Europa è
quindi minimo.
L’argomento è troppo grezzo per essere usato in questo
contesto perché per lo più indica spostamenti nella stessa area geografica ,
non tiene conto del fatto che i confini segnati dopo la decolonizzazione sono
cervellotici e che molti gruppi etnici sono trans- nazionali (vedi Kurdi, Masai, ecc.).
Numeri importanti di musulmani che arrivano in Europa creano
molti più problemi anche se non si considerassero i rischi di infiltrazioni
terroristiche.
Veniamo a qualche numero sui soldi, che richiede l’accoglienza.
Giannino in quell’articolo riesce a mettere insieme una
spesa annua di circa 3 miliardi e mezzo, avvertendo però che si tratta di una
stima per difetto.
Contro questa spesa, abbiamo entrate che ci vengono da
appositi fondi europei, che sono però lontanissime dal coprire le spese, dal
momento che riceviamo o piuttosto riceveremo
per quest’anno circa 470 milioni.
Come li spendiamo quei 3 miliardi e rotti?
Li spendiamo finanziando una rete di strutture, create ad
hoc da leggi e decreti successivi.
Il Ministero degli interni conta ben 5 tipi di “centri” di
accoglienza con denominazioni diverse a seconda del servizio che espletano.
-la prima accoglienza, per esempio a Lampedusa, per intenderci è fornita dai CPSA
(centri di primo soccorso e accoglienza) dove gli immigrati vengono “fotosegnalati”
e basta, e poi da questi centri si viene trasferiti ai centri di identificazione
eccetera;
- dai CPSA si va ai Cda (centri di accoglienza) o ai Cara
(centri di accoglienza per i richiedenti asilo). Lo scopo di questi centri è
(dovrebbe essere) prima di tutto l’identificazione e non essendo ancora abolita
la Bossi Fini il sito del Ministero Interni
dice anche che deve essere accertata “la regolarità o meno della loro
permanenza in Italia”, cosa abbastanza ridicola, perché se sono lì è perché non
hanno passaporto e visto o permesso di
soggiorno.
Ai Cara si riceve la richiesta di acquisire lo stato di
rifugiati che si ottiene se si può dimostrare :”di avere il timore fondato di
essere perseguitato per motivi di razza, religione,nazionalità,appartenenza a
un determinato gruppo sociale o opinione
politica”.
Il migrante può anche richiedere di usufruire della “protezione
sussidiaria” per colui che non possiede i requisiti di rifugiato ma “ vi sono
fondati motivi per ritenere che se ritornasse nel suo paese …correrebbe il
rischio di subire un grave danno”.
Si apprende anche che le donne che affermano di avere subito
violenza possono ottenere lo status di rifugiato, così come i minori non accompagnati.
I Cara gestiscono una spesa annua di 225 milioni, per assistere 9.000 persone.
-il Ministero poi elenca gli SPRAR (sistema di protezione
per i richiedenti asilo e i rifugiati),
che sono gestiti dagli enti locali o dai “soggetti del terzo settore”, cioè
cooperative, Onlus, diramazioni della chiesa ecc.
Questi enti e organizzazioni ricevono il finanziamento
presentando domanda a seguito di bandi emessi dal Ministero.
E’ significativo constatare che di 8.000 comuni italiani
solo 456 hanno concorso per gestire programmi di assistenza su base volontaria.
Qui parliamo di una spesa annua di 225 milioni che è una
cifra di una certa consistenza, per assistere 20.000 persone.
-si ricava poi l’esistenza dei Cas (centri di assistenza temporanei)
che sono allestiti appunto in via temporanea e che assistono ben 57.000 persone,
assistono quindi un numero di persone in forte aumento.
Questi Cas, non sono al momento reperibili nell’elenco del
Ministero e questo dimostra la forte difficoltà a mettere insieme dei numeri
attendibili per avere una comprensione adeguata del fenomeno e soprattutto per
stimarne i costi in modo almeno approssimativo.
-esistono i CIE
(centri di identificazione e di espulsione) dove dovrebbero finire i
richiedenti asilo che risultano senza i requisiti necessari.
Sono deputati a “identificazione, espulsione, rimpatrio”.
Le condizioni quindi fanno presumere una situazione di
libertà personale quanto meno limitata.
Il numero complessivo di migranti “assistiti” è attualmente di 87.000 persone.
I numeri essenziali sono quindi quelli sopra elencati, su
questi si può ragionare, contando sull’enorme vantaggio della matematica che è
obiettiva per definizione.
Non così però è l’uso dei numeri nelle polemiche ideologiche
o politiche.
In questi campi la prima precauzione da avere è quella
elementare di non confrontare mai “mele” con “pere”, cioè rimanere sempre nell’ambito di grandezze dello stesso genere.
Tanto per intendersi un esempio comunissimo di uso scorretto
dei numeri è quello praticato in genere dai “buonisti”, favorevoli ad aprire le
porte ai migranti “a prescindere” da qualsiasi altra considerazione, quando
argomentano in questo modo : l’assistenza
ai migranti ci costa per anno
3 miliardi e rotti, ma gli immigrati che lavorano in Italia
versano fra tasse, contributi eccetera 16 miliardi e quindi sarebbe
convenientissimo aprire tutte le porte.
Non ci siamo, perché si confrontano “pere” con “mele”, non
ha alcun senso infatti confrontare i versamenti allo stato degli immigrati
lavoratori, ormai inseriti in Italia, col costo per assistere gli immigrati pervenuti
in Italia, che sono per la quasi totalità “in transito” per raggiungere i paesi
nordici.
L’Italia l’anno scorso ha riconosciuto il diritto d’asilo a
20.000 persone su 65.000 che ne avevano fatto richiesta e di questi 20.000 si
presume che solo una piccola parte sia rimasta nel nostro paese.
In conclusione, i numeri ci sono e sono grossi, ma non perché
in teoria siano tali che il paese non sia in grado di gestirli, tanto più che
si tratta per lo più di persone “in transito”.
Il problema vero è che l’Italia non è né la Francia (che ha
assorbito milioni di persone provenienti dalle sue ex-colonie) né l’Inghilterra
(che ugualmente ha assorbito un numero enorme di persone dall’ex-Impero) né la
Germania (che ha assorbito l’unificazione con la ex Germania comunista ed ha
una comunità di immigrati turchi molto consistente), l’Italia non ha mai fatto
l’esperienza di ricevere e integrare consistenti flussi di immigrati di altri
continenti, etnie, culture e religione e quindi sente il problema in modo più
marcato come fosse una minaccia, tanto più che siamo un paese in crisi
economica da vent’anni.
Con questa condizione di sofferenza, dovere trovarci ad essere stati fino a ieri quasi
gli unici in trincea per assorbire il primo impatto coi flussi è un fatto che ha reso la nostra percezione
del fenomeno quasi come di un evento potenzialmente tragico e quindi sarebbe
ora che la politica riconoscesse che il problema è avvertito fortemente, prima
che strutture democratiche già graciline diano segni di cedimento.
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