mercoledì 2 settembre 2015

Migranti : vediamoci un po’ di numeri e lasciamo momentaneamente da parte slogan e prediche



L’ultimo giorno di agosto il pittoresco, ma preparato Oscar Giannino sul Messaggero ha scritto un articolo- saggio nel quale ha tentato di mettere in ordine una serie di numeri sul fenomeno immigrazione che consentisse di fare quattro conti elementari.
L’ho letto con molto interesse anche perché dimostrava quanto è più difficile passare dalla politica spettacolo dei  talk shaw al  lavoro serio di cercarsi una documentazione attendibile.
Non è una novità, viviamo in un paese complicato, sono andato a controllare i dati  citati da Giannino nei siti istituzionali o delle associazioni-organizzazioni che si occupano di questo problema e ho  toccato con mano il  fatto  che per affrontare problemi complessi si costruiscono  con successioni di leggi decreti ecc. organizzazioni barocche spesso opache e non trasparenti, e così i numeri sfuggono ,ma il problema è che i soldi che questi apparati manovrano continuano a uscire  continuamente.
Il caso delle famose cooperative implicate in mafia -capitale  con le quali chi le gestiva faceva dei  bei soldi con la gestione degli immigrati, insegna.
Cominciamo con qualche numero essenziale.
Gli sbarchi in Italia sono passati dai 15/20.000 dei primi anni 2000 ai 170.000 dell’anno scorso ed ai previsti oltre 200.000 di quest’anno.
Se allarghiamo l’orizzonte all’Europa intera si presume per l’anno in corso un flusso complessivo di 600.000 persone.
Non si può quindi negare che il fenomeno sia vistoso e in forte crescita.
Numeri  elevati e in crescita, d’accordo, però le organizzazioni internazionali e l’attuale gerarchia cattolica, obiettano che non dovremmo spaventarci per due ragioni :
1-avremmo le risorse per occuparcene;
2-ci sono stati che fanno molto ma molto di più e non si lamentano e citano il Libano che ospita 1,1 milioni di profughi su una popolazione di 4 milione di abitanti; la Giordania che con 6 milioni di abitanti ospita 2 milioni di profughi; la Turchia che ospita 1,7 milioni di profughi con 77 milioni di abitanti
Verissimo sui numeri, ma non si trascuri il fatto che in quei paesi c’è affinità etnico, culturale e religiosa, sono musulmani che vanno in stati musulmani, anche se mettere insieme sciiti e sunniti non è così semplice come mettere insieme cattolici ,ortodossi e protestanti, però ci  sono moltissimi riferimenti di fondo e questo conta moltissimo.
Altro argomento usato soprattutto dalle organizzazioni internazionali è questo che è vistosissimo : in un anno si calcola addirittura in 14 milioni il numero delle persone che decidono di abbandonare il proprio paese a livello mondiale e viene usato per dire : vedete bene che il carico sull’Europa è quindi minimo.
L’argomento è troppo grezzo per essere usato in questo contesto perché per lo più indica spostamenti nella stessa area geografica , non tiene conto del fatto che i confini segnati dopo la decolonizzazione sono cervellotici e che molti gruppi etnici sono trans- nazionali (vedi  Kurdi, Masai, ecc.).  
Numeri importanti di musulmani che arrivano in Europa creano molti più problemi anche se non si considerassero i rischi di infiltrazioni terroristiche.
Veniamo a qualche numero sui soldi, che richiede l’accoglienza.
Giannino in quell’articolo riesce a mettere insieme una spesa annua di circa 3 miliardi e mezzo, avvertendo però che si tratta di una stima per difetto.
Contro questa spesa, abbiamo entrate che ci vengono da appositi fondi europei, che sono però lontanissime dal coprire le spese, dal momento che riceviamo o piuttosto riceveremo  per quest’anno circa 470 milioni.
Come li spendiamo quei 3 miliardi e rotti?
Li spendiamo finanziando una rete di strutture, create ad hoc da leggi e decreti successivi.
Il Ministero degli interni conta ben 5 tipi di “centri” di accoglienza con denominazioni diverse a seconda del servizio che espletano.
-la prima accoglienza, per esempio  a Lampedusa, per intenderci è fornita dai CPSA (centri di primo soccorso e accoglienza) dove gli immigrati vengono “fotosegnalati” e basta, e poi da questi centri si viene trasferiti ai centri di identificazione eccetera;
- dai CPSA si va ai Cda (centri di accoglienza) o ai Cara (centri di accoglienza per i richiedenti asilo). Lo scopo di questi centri è (dovrebbe essere) prima di tutto l’identificazione e non essendo ancora abolita la Bossi Fini il sito del Ministero Interni  dice anche che deve essere accertata “la regolarità o meno della loro permanenza in Italia”, cosa abbastanza ridicola, perché se sono lì è perché non hanno passaporto e visto o permesso  di soggiorno.
Ai Cara si riceve la richiesta di acquisire lo stato di rifugiati che si ottiene se si può dimostrare :”di avere il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione,nazionalità,appartenenza a un determinato gruppo sociale  o opinione politica”.
Il migrante può anche richiedere di usufruire della “protezione sussidiaria” per colui che non possiede i requisiti di rifugiato ma “ vi sono fondati motivi per ritenere che se ritornasse nel suo paese …correrebbe il rischio di subire un grave danno”.
Si apprende anche che le donne che affermano di avere subito violenza possono ottenere lo status di rifugiato, così come i minori  non accompagnati.
I Cara gestiscono una spesa annua di 225  milioni, per assistere 9.000 persone.
-il Ministero poi elenca gli SPRAR (sistema di protezione per  i richiedenti asilo e i rifugiati), che sono gestiti dagli enti locali o dai “soggetti del terzo settore”, cioè cooperative, Onlus, diramazioni della chiesa ecc.
Questi enti e organizzazioni ricevono il finanziamento presentando domanda a seguito di bandi emessi dal Ministero.
E’ significativo constatare che di 8.000 comuni italiani solo 456 hanno concorso per gestire programmi di assistenza su base volontaria.
Qui parliamo di una spesa annua di 225 milioni che è una cifra di una certa consistenza, per assistere 20.000 persone.
-si ricava poi l’esistenza dei Cas (centri di assistenza temporanei) che sono allestiti appunto in via temporanea e che assistono ben 57.000 persone, assistono quindi un numero di persone in forte aumento.
Questi Cas, non sono al momento reperibili nell’elenco del Ministero e questo dimostra la forte difficoltà a mettere insieme dei numeri attendibili per avere una comprensione adeguata del fenomeno e soprattutto per stimarne i costi in modo almeno approssimativo.
-esistono  i CIE (centri di identificazione e di espulsione) dove dovrebbero finire i richiedenti asilo che risultano senza i requisiti necessari.
Sono deputati a “identificazione, espulsione, rimpatrio”.
Le condizioni quindi fanno presumere una situazione di libertà personale quanto meno limitata.
Il numero complessivo di migranti “assistiti” è  attualmente di 87.000 persone.
I numeri essenziali sono quindi quelli sopra elencati, su questi si può ragionare, contando sull’enorme vantaggio della matematica che è obiettiva per definizione.
Non così però è l’uso dei numeri nelle polemiche ideologiche o politiche.
In questi campi la prima precauzione da avere è quella elementare di non confrontare mai “mele” con “pere”, cioè rimanere sempre  nell’ambito di grandezze dello stesso genere.
Tanto per intendersi un esempio comunissimo di uso scorretto dei numeri è quello praticato in genere dai “buonisti”, favorevoli ad aprire le porte ai migranti “a prescindere” da qualsiasi altra considerazione, quando argomentano in questo modo  : l’assistenza ai migranti ci costa per anno
3 miliardi e rotti, ma gli immigrati che lavorano in Italia versano fra tasse, contributi eccetera 16 miliardi e quindi sarebbe convenientissimo aprire tutte le porte.
Non ci siamo, perché si confrontano “pere” con “mele”, non ha alcun senso infatti confrontare i versamenti allo stato degli immigrati lavoratori, ormai inseriti in Italia, col costo per assistere gli immigrati pervenuti in Italia, che sono per la quasi totalità “in transito” per raggiungere i paesi nordici.
L’Italia l’anno scorso ha riconosciuto il diritto d’asilo a 20.000 persone su 65.000 che ne avevano fatto richiesta e di questi 20.000 si presume che solo una piccola parte sia rimasta nel nostro paese.
In conclusione, i numeri ci sono e sono grossi, ma non perché in teoria siano tali che il paese non sia in grado di gestirli, tanto più che si tratta per lo più di persone “in transito”.
Il problema vero è che l’Italia non è né la Francia (che ha assorbito milioni di persone provenienti dalle sue ex-colonie) né l’Inghilterra (che ugualmente ha assorbito un numero enorme di persone dall’ex-Impero) né la Germania (che ha assorbito l’unificazione con la ex Germania comunista ed ha una comunità di immigrati turchi molto consistente), l’Italia non ha mai fatto l’esperienza di ricevere e integrare consistenti flussi di immigrati di altri continenti, etnie, culture e religione e quindi sente il problema in modo più marcato come fosse una minaccia, tanto più che siamo un paese in crisi economica da vent’anni.

Con questa condizione di sofferenza,  dovere trovarci ad essere stati fino a ieri quasi gli unici in trincea per assorbire il primo impatto coi flussi  è un fatto che ha reso la nostra percezione del fenomeno quasi come di un evento potenzialmente tragico e quindi sarebbe ora che la politica riconoscesse che il problema è avvertito fortemente, prima che strutture democratiche già graciline diano segni di cedimento.

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