mercoledì 3 marzo 2021

Mauro Gallegati : acrescita per una nuova economia - recensione


 

Libro interessante ma non di facilissima lettura perché si pone forse senza che l’autore se ne renda conto a metà strada fra la pubblicazione accademica e il saggio divulgativo utilizzabile anche “dal popolo” dei lettori “normali”.

D’accordo l’autore è un accademico di professione essendo professore ordinario di macroeconomia avanzata all’Università Politecnica delle Marche di Ancona ed ha scritto anche pubblicazioni in collaborazione con premio Nobel Ioseph Stiglitz, però è uno che usa con passione uno stile fra l’ironico e lo scanzonato, usando molta umiltà nel valutare la sua opera, forse perché sa bene quanto sia faticoso nel mondo baronal -accademico italiano sostenere delle idee in forte contrasto col pensiero unico praticato e celebrato nelle facoltà di economia della Penisola.

L’approccio però è quello di entrare direttamente nella confutazione della teoria economica prevalente dando per scontato che il lettore padroneggi il lessico della materia.

Francamente i libri dello stesso Stiglitz sono di lettura più piana per il lettore comune.

Premesso questo però il libro vale la pena di essere letto anche perché si fa perdonare l’uso di tecnicalità frequenti con la mole decisamente limitata del volumetto di circa120 pagine.

Attenzione al titolo che potrebbe trarre in inganno quando usa il termine “acrescita” , perché leggendolo la mente del lettore automaticamente viene proiettata a richiamare per assonanza il più celebre termine di “decrescita” teorizzato da Serge Latouche autore di “La decrescita felice”, presa allegramente per i fondelli da quando è uscita praticamente dalla totalità degli esponenti del pensiero economico dominante.

Rischioso quindi usare quel termine proprio nel titolo, anche se il significato è molto diverso di quello elaborato da Latouche.

Il libro anche se fa fatica a raggiungere il risultato che l’autore si propone di conseguire è però un libro coraggioso proprio perché è una delle rare confutazioni della teoria economica dominante neoliberista.

Nella sostanza Gallegati si propone di dimostrare che la teoria economica dominante è di carattere dogmatico come fosse una religione.

Lui usa correttamente il termine “assiomatica”, per indicare il fatto di basarsi su affermazioni date per vere senza che ci sia la possibilità di dimostrarne la veridicità tramite forme di esperimenti, né di potere operarne la “falsificazione” per superare gli assiomi superati, come avviene nella scienza moderna.

La teoria dominante dice Gallegati non funziona innanzitutto perché è strutturata in modo da non contemplare la possibile esistenza di una crisi strutturale che perdura dal 2007, come è quella ancora in atto in quanto è basata sul concetto di equilibrio che secondo la medesima teoria verrebbe sempre raggiunto.

Mentre la presenza di una crisi che è sistemica a causa della sua durata contraddice alla base la teoria medesima, che quindi non è in grado di spiegare la situazione attuale.

La teoria dominante è basata sul dogma dello sviluppo continuo ed eterno e questa è una palese sciocchezza, perché per essere sostenibile presupporrebbe che le risorse fossero infinite, mentre tutti sappiamo che è ovvio il contrario.

E’ possibile una crescita senza aumentare nella stessa proporzione il consumo delle risorse?

In teoria si se interviene l’innovazione.

E infatti l’innovazione è stata la protagonista ad esempio dello strabiliante sviluppo dell’economia digitale.

Ma tutti sappiamo che ci vorrebbe proprio una ipotetica e utopica crescita infinita per fare raggiungere agli abitanti del Terzo Mondo lo stesso tenore di vita goduto nei paesi sviluppati dell’Occidente.

Perchè questo richiederebbe un uso delle risorse che numerosi studi hanno quantificato indicando moltiplicatori del tutto irrealizzabili e consistenti in diversi pianeti Terra, mentre la Terra è una sola.

Se poi consideriamo l’incremento demografico elevatissimo nel medesimo Terzo Mondo la prospettiva di uno sviluppo continuo diviene ancora più irrealizzabile.

E allora?

E allora la teoria dominante è sbagliata e bisogna trovarne un’altra, che si accordi di più con la realtà.

Innanzi tutto occorre contestare la parte della teoria che definisce lo sviluppo prevalentemente come aumento del PIL, tenendo conto del fatto che le neuroscienze, sociologia e antrolpologia hanno dimostrato a iosa che l’aumento della ricchezza non è affatto sinonimo di aumento della felicità, e quindi non è più possibile proporre l’aumento infinito dello sviluppo come se fosse basato sullo stimolo umano primordiale a conseguire la felicità.

E non da ieri.

Non si può non ricordare che questo concetto è stato enunciato in un celebre discorso di Robert Kennedy addirittura nei primi anni ‘60 e quindi un sacco di tempo fa.

Occorre liberare l’uomo dice Gallegati dalla situazione di schiavitù nella quale si è condannato quando ha accettato di fare di fatto una vita da criceto.

Bisogna quindi convincere l’uomo -criceto a scendere dalla ruota perché solo così potrà cercare di conseguire una maggiore felicità.

E’ chiaro che quando si fa un discorso del genere si sfocia nel pensiero filosofico nel quale Gallegati però non si avventura per niente ed è un peccato perché un accenno alla sana morale stoica di Seneca e di Epicuro o anche solo al giusto mezzo di Aristotele , per non parlare delle tradizioni spirituali orientali non avrebbe stonato affatto per sostenere che la via per frenare il consumismo compulsivo alla base dell’erroneo concetto di sostenibilità della crescita infinita è semplicemente quella che si basa sull’esortazione ad esempio del Buddah di accontentarsi di quello che si ha.

Siamo a quattro secoli prima di Cristo.

Non vedo perché un economista possa ritenere disdicevole riferirsi a tradizioni spirituali e culturali antichissime, quando oggi la multi-disciplinarietà è diventata una metodologia obbligata per decifrare il mondo contemporaneo.

Capisco che sia divenuto quasi di moda negli ultimi tempi scrivere saggi per illustrare le varie facce del discorso della “sostenibilità”, ma non sarebbe affatto male accennare ai presupposti filosofici sui quali questo concetto si sostiene.

Pur giudicando positivamente questo saggio nel suo complesso come una buona confutazione della teoria corrente per onestà intellettuale non posso non segnalare il fatto che verso la fine del medesimo là dove l'autore elenca le misure di politica economica che a suo avviso andrebbero prese per avviare una nuova economia sostenibile ci si imbatte in un incredibile scivolone logico.

Si legge infatti fra queste misure che occorre fare in modo che spariscano coloro che vivono di rendita.

Ma chi lo dice? Maometto e SanTommaso lo hanno detto anche se con non molto successo, oltre naturalmente a Carlo Marx con ancor meno successo.

In tutti e tre casi sopra elencati gli autori facevano una affermazione dogmatica religiosa i primi due e puramente ideologica il terzo, ed allora come è possibile che un saggio che si propone di confutare la teoria economica corrente definita da Gellegani come radicalmente sbagliata perchè basata su assiomi non dimostrabili lanci una affermazione di carattere dogmatico-ideologico ?



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