mercoledì 22 maggio 2024

Ilan Pappé La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati - Fazi Editore – recensione

 




Immaginate di essere uno storico affermato che scala i dovuti scalini della vita accademica del suo paese, Israele.

Immaginate ancora, di avere le carte perfettamente in regola, non solo per giustificare la posizione professionale occupata, ma anche come cittadino israeliano, avendo fra l’altro vestito la divisa del suo esercito, addirittura anche in zone di operazione.

Ma ora viene il bello : immaginate contemporaneamente, che il medesimo professore, facendo il suo mestiere, cioè consultando carte, documenti storico-diplomatici, analisi di colleghi, documentazioni, eccetera, viene trascinato dalla sua onestà intellettuale e dal suo rigore di storico a scoprire come evidente, quello che per un israeliano è addirittura l’impensabile.

E cioè, che il suo paese è stato fondato in modo tutt’altro che corretto anche se magari, non per colpa dei Sionisti, ma per la leggerezza delle potenze vincitrici della prima e della seconda guerra mondiale.

Cioè, è nato in condizioni tali ,da essere coi piedi di argilla e in una posizione disputabile.

Infatti, come si fa a dare ad un popolo disperso per il mondo ,da tempo immemorabile, un terra che è abitata da altri popoli ,solo perché un testo religioso dice che il loro dio tremila anni fa avrebbe detto che la sua volontà era che quel popolo, da lui proclamato eletto, occupasse le terre che non erano sue, ma erano, anche allora ,abitate da ben 11 diverse tribù .

Si possono capire le buone intenzioni e cioè il fatto che le medesime potenze volevano con quella concessione riparare in qualche modo all’onta morale, della quale si era macchiato il nazismo, praticando lo sterminio genocidario del popolo ebraico.

Ma si può pensare l’impensabile e occupare una cattedra in Israele?

Probabilmente no, visto che l’autore una cattedra la copre, ma nell’Università inglese dell’Exeter e non più ad Haifa.

Devo dire per correttezza, che nel libro del quale parliamo, il Prof. Pappè quella domanda sopra esposta ,non se la pone in modo diretto, ma che la medesima mi pare che si aggiri come un fantasma per tutta la trattazione.

Perchè il libro, mi sembra proprio, che sia costruito su quest’altro quesito non posto direttamente, ma indirettamente sempre presente : non è che è proprio l’incongruenza logica di quella decisione delle potenze alleate vincitrici di non curarsi minimamente della sorte di chi abitava la Palestina nel dopo guerra mondiale ,era talmente pesante ,da quasi indurre le allora vittime di una delle peggiori atrocità della storia a diventare loro stessi oppressori, data la posizione insostenibile nella quale erano stati messi ?

E’ come se nei cittadini del nuovo stato di Israele aleggiasse dalla fondazione in poi un retro-pensiero di questo tenore : se le grandi potenze ci hanno messo in questa situazione, conoscendo benissimo il fatto che venivamo ad occupare terre che non erano affatto nostre, è come se ci avessero dato il permesso di sbattere fuori i malcapitati che ci abitavano, meglio con le buone se possibile, ma la strategia non poteva essere che quella.

Ecco questo è il senso di questo saggio di Pappè.

La soluzione ,così detta dei due popoli ,appare allora niente più che una foglia di fico a cui in realtà nessuno ha mai realmente creduto, essendo palesemente irrealizzabile ,ma sopratutto forse la più iniqua di tutte le soluzioni possibili ,perché formalizzerebbe una divisione territoriale di questo tipo : a Israele praticamente tutto, ai Palestinesi qualche briciola.

Ma leggetelo questo libro ,ricordandovi che, pur trattando argomenti al momento particolarmente caldi e controversi , è fatto da uno storico di riconosciuto livello e quindi le analisi che propone le appoggia sempre a una documentazione accurata.

Parliamo cioè di storia non di politica o di opinioni.

Il lato più agghiacciante del libro però non è tanto l’esposizione lucida della strategia perenne di quel paese secondo lo storico Pappè, come sopra si è illustrato, ma il fatto che dalla fondazione i Palestinesi vivono in una condizione di carcerati e il resto del mondo non sembra esserne affatto turbato.

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