venerdì 28 giugno 2024

Filippo Ceccarelli : B Una vita troppo – Feltrinelli ED. – recensione

 



Se il lettore ha la pazienza (e ce ne vuole nel resistere per le oltre 600 pagine di questa ,anche troppo accurata, biografia di Silvio Berlusconi) si rende conto subito che le cose nella politica di oggi viaggiano veloci, come tutto il resto, appunto.

Nel senso ,che a ben breve distanza dalla dipartita del Cavaliere nazionale, devono davvero essere finiti sia il berlusconismo che l’anti-berlusconismo ,se un giornalista di Repubbica, cioè di uno degli organi di stampa, che hanno avversato il Leader di Forza Italia con più accanimento, dedica chissà quanto tempo, a scrivere, forse, la biografia più elegante (per rimanere nel lessico berlusconiano) corretta,morigerata e civile di Berlusconi ,facendola stampare, per di più ,da Feltrinelli, l’editore leader del sinistrismo per antonomasia.

E si comprende come possa accadere, che dopo aver fatto la fatica immane di avere compulsato archivi di ogni genere ,oltre ai faldoni auto-prodotti dall’autore ,in decenni ,nei quali ha seguito tutte le vicende del personaggio, il dovere professionale, nel tempo, si è accompagnato a una qualche forma di complicità, se non proprio di simpatia e di familiarità per il personaggio che studiava.

La stessa cosa del resto è’ accaduta a storici e biografi di altri personaggi celebri e sicuramente meno piacevoli del nostro Berlusca.

E sì ,perché il medesimo effetto, dilaga a macchia d’olio col passare del tempo.

Perchè Silvio Berlusconi ,per sorprendente che sia questo fatto, è il Presidente del Consiglio che è rimasto al governo per più tempo nell’Italia repubblicana.

Quando il riferimento al potere politico dura così tanto ,il popolo in generale, non solo quello dei suoi fans e dei suoi tifosi, è portato a vederlo come qualcosa di familiare e ,quindi, magari proprio a riferirsi a lui come Berlusca o con altri appellativi come si fa con amici e familiari.

Il caso Berlusconi ,immagino che gli storici lo valuteranno proprio come un “caso”, nel senso che lui, era diverso da tutti i suoi predecessori, e probabilmente, lo sarà anche dei suoi successori.

Forse solo Grillo era abbastanza outsider ed estraneo alla politica ,da potere in qualche modo assomigliarli, tanto che i due non si amavano, ma raramente si attaccavano.

L’unico che ha battuto alle elezioni Berlusconi ,come sappiamo, è stato Romano Prodi, Professore fino al midollo, tutto il contrario del personaggio Berlusconi.

Ecco un argomento sul quale i suoi avversari hanno scivolato, a volte rovinosamente.

Quando si sono relazionati a Berlusconi ,col massimo della supponenza e arroganza immaginabili, descrivendolo come un personaggio volgare e ignorante, in contrapposizione a loro unici ritenutisi depositari della cultura e delle buone maniere democratiche ,e l’hanno fatto spesso e volentieri.

Leggete il libro di Ceccarelli e vedrete documentato il fatto per esempio che, quanto a curriculum scolastico ,il Berlusca era da 110 e lode.

Anche se con gli intellettuali e gli uomini di cultura notoriamente non legava.

Quanto poi alle buone maniere, come ancora il libro dimostra, chiunque abbia avuto la ventura di incontrarlo direttamente ,regolarmente ne parla come di una persona molto a modo, che metteva l’interlocutore a suo agio e che per di più risultava quasi sempre simpatico.

Se poi parliamo di capacità imprenditoriali è difficile trovare altri esempi altrettanto brillanti si self made man.

E poi se andiamo avanti a elencare le cose in positivo, attribuibili al personaggio, eccoci a quella probabilmente la più importante di tutte : le televisioni.

Berlusconi è stato definito fino alla noia “grande comunicatore” ,semplicemente perché lo era, e non solo ,perché le catene televisive le aveva create e le possedeva, ma perché le sapeva usare alla grande, insieme all’editoria, per “conquistare le menti e i cuori” o ,se si vuole essere più crudi ,per manipolare l’opinione pubblica, potere che hanno tutti i media e che tutti usano per il bene o per il male.

Qualcuno ha scritto di Berlusconi, che la sua influenza sul paese, come detentore del potere mediatico, sapientemente usato, è stata tanto forte da aver cambiato addirittura gli italiani, dal punto di vista antropologico.


E in effetti quell’individualismo edonista, tipico del berlusconismo, prima non era così diffuso, ma può anche essere, che sia stato solo un portato dei tempi nuovi, che il Berlusca ha solo interpretato.

Il libro , lo abbiamo detto fin dall’inizio, è scritto da un giornalista, che lavora per l’organo di stampa fra i più anti- berlusconiani ,che ci siano stati, ma tutti gli aspetti ascrivibili alle migliori qualità del Cavaliere, li ha ampiamente descritti e documentati.

E beh, poi ovviamente, c’è anche il resto, e cioè le ragioni per cui l’altra metà degli italiani è stata in parte non-berlusconiana, se non proprio anti- berlusconiana.

“Io sono uno di voi” voleva assolutamente far credere il Cavaliere, perché così si era probabilmente anche convinto di essere, ma l’affermazione proprio non stava in piedi, lui che era fra gli imprenditori più ricchi d’Italia, e aveva tante ville prestigiose, da metterlo in imbarazzo su quale scegliere di volta in volta come dimora momentanea.

Il sottotitolo della copertina del libro recita “una vita troppo”.

Azzeccatissimo! Perché il personaggio era troppo in tutto.

L’eccesso di ricchezza lo spingeva ad atti che non si possono che definire di megalomania, come la costruzione dell’incredibile monumento funebre-mausoleo nel parco della villa di Arcore.

Ma non mi dilungo oltre perché se il libro di Ceccarelli va oltre le 600 pagine è proprio perché elenca ed elenca tutto quello che nella mente e nelle mani del Cavaliere diventava quel “troppo”, che in molti casi ha lasciato il segno.

Last but not least ,le donne di più o meno facili costumi.

Troppe se non troppissime.

Tendeva al troppo in molti campi è vero, ma in questo campo ce lo ricorderemo veramente , perché è inutile dirlo, quando si va sul pruriginoso, lo sanno i giornalisti, si fa tiratura facile, facile.

E il Cavaliere ne faceva proprio di tutti i colori, come non si era mai visto prima, se non alla corte di Bisanzio.

Peccato, perché con tutte le ambizioni che aveva coltivato, lavorandoci spesso senza risparmiarsi mai, rischia di rimanere nella memoria collettiva come un vecchio satrapo, mentre le 600 pagine del libro di Ceccarelli ci dimostrano che, con più o meno successo, si sarebbe meritato obiettivamente una considerazione di ben altro livello.

Ma caspita!, se l’è proprio cercata ,avrebbe detto quel diavolo del divo Giulio.









martedì 18 giugno 2024

Carlos Castaneda The Teaching of Don Juan A Yagui Way of Knowledge – recensione

 




Come tutti, immagino, avevo sentito parlare di Carlos Castaneda come di un autore di successo, ma non ne sapevo niente di più.

Poi leggendo e recensendo il libro di Francesco Tormen ,sui “sogni lucidi” ,a metà fra neuroscienze, filosofia, spiritualità e antropologia (https://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2024/04/francesco-tormen-con-gli-occhi-aperti.html ) ho trovato diverse citazioni su Castaneda ,come divulgatore del pensiero sciamanico messicano e la curiosità di approfondire mi ha spinto ad accostarmi alla sua opera principale.

Castaneda, di origine peruviana ,che però ha studiato ed ha vissuto prevalentemente in America,e ha scritto generalmente usando l’inglese (laurea alla UCLA) ,è un personaggio controverso e del quale si sa solo quello ,che ha ritenuto di farci sapere, anche perché ha avuto dei periodi nei quali scompariva dai radar e nessuno sapeva dov’era.

Si sa per certo ,che ha venduto milioni di copie (8 per la precisione) dei suoi libri ,nei quali pretendeva di raccontare la sua esperienza di discepolo, di quello che descrive come uno sciamano messicano, Don Juan, con l’aiuto del quale avrebbe acquisito la sapienza e le tecniche del pensiero, appunto sciamanico precolombiano, nato in quella zona geografica (deserto di Sonora).

Anche se il successo dei suoi libri dimostra che la gran parte dei lettori ha accettato la sua versione, non si può tacere il fatto ,che il mondo letterario e sopratutto accademico, ha contestato la

veridicità della sua narrazione, nel senso che l’ha definita come opera di fantasia e non corretta analisi antropologica.

L’autore in effetti non ha fatto niente per appoggiare la sua narrazione su testimonianze di terzi.

Alcuni accademici gli hanno addirittura contestato di essersi appropriato anche di quanto acquisito da antropologi professionali.

Ma comunque sia ,le sue narrazioni sono ben articolate e, dato il genere, anche verosimili, e quindi ,che siano analisi antropologiche, o pura fantasia, la disputa non inficia il grande interesse sul tipo di spiritualità e di filosofia che ci viene proposto.

Tra l’altro non risulta che le sue descrizioni dello sciamanesimo messicano siano state contestate da cultori della materia, cioè da altri veri o presunti sciamani messicani.

Per farla breve, la narrazione dell’apprendistato ,vero o presunto, dell’autore presso il maestro-sciamano Don Juan ,è estremamente dettagliata e si basa quasi interamente sulle esperienze di accesso a una diversa realtà, tramite l’aiuto, proveniente dall’uso sopratutto di due piante messicane, notoriamente dotate di proprietà psichedeliche allucinogene : il peyote (Lophophora williamsii) ,ricca di mescalina ,e la così detta “erba del diavolo” (Datura Stramonium).

Viene descritto come accostarsi a queste piante, non certo alla maniera dei raccoglitori di funghi, ma seguendo procedure rituali estremamente precise e complesse.

Con il cactus peyote la cosa risulta relativamente semplice perché va raccolto, lasciato seccare e poi masticato.

Castaneda descrive l’accostamento a queste piante sempre come se si fosse in un ambiente antropomorfo, cioè come se le piante avessero, di loro, forme di energia ,che scambierebbero con noi solo in certe condizioni.

Chissà cosa ne pensa di questo approccio il Prof. Mancuso, notissimo botanico, mi propongo di approfondire questo aspetto.

Molto più complicato e macchinoso invece l’approccio all’erba del diavolo.

Ecco ,forse la parte meno convincente del libro, la si ritrova in questi complessi rituali, che a volte nella loro ricercata e forse eccessiva macchinosità richiamano il pentolone fumante di Mago Merlino, che però non aveva l’ambizione di enunciare teorie antropologiche.

Teniamo conto però che l’uso di determinate piante non è descritto da Castaneda come un qualcosa di fine a sì stesso, ma è la ricerca di un aiuto per entrare in una realtà parallela che porta a vivere esperienze in altre realtà.

Va ricordato poi che nel terzo dei suoi libri Castaneda tiene a dire però che tutto il cammino di conoscenza da lui descritto può essere intrapreso con successo anche facendo a meno del ricorso alle erbe psichedeliche.

Forse si era reso conto che, al di là della sua buona fede, il suo entusiasmo per una realtà parallela poteva essere interpretato dai meno provveduti come un incitamento a fare uso di droghe e questo non era sicuramente il suo intento.

Ecco forse il punto debole delle narrazioni di Castaneda sta nel fatto di accennare a elementi di cosmologie e filosofie- spiritualità, di grandissimo fascino e interesse, ma accostandosi solamente, senza nemmeno provare a enunciare una qualche teorizzazione sistematica.

Per la verità un tentativo l’ha fatto come risulta dal suo libro intitolato Tensegrità, che sembra però una banalizzazione delle sue intuizioni ridotte a metodo di “movimenti magici del corpo”.

Al di là di inevitabili punti di caduta, le esperienze del Castaneda – allievo, lo portano a sperimentare esperienze formidabili.

Dalla levitazione, alla divinazione, ben al di là dalle leggi della fisica.

Sciocchezze? Ciarlatanerie?

Ma! Sarei prudente nel giudicare ,perchè questi “stati” non convenzionali, mi hanno immediatamente richiamato quelli dei “sogni lucidi” ,descritti nel libro di Tormen ,che ho citato all’inizio, che non descrivono niente di diverso.

Tormen, che non è un romanziere, ma uno studioso qualificato in particolare in materia di antiche spiritualità asiatiche come il buddismo tibetano, accenna con ben altro spessore a possibili cosmologie e filosofie alternative alle nostre occidentali.

Come la geopolitica, ci sta insegnando ,che il mondo è ben più grande del nostro Occidente ,e che il resto del mondo, che costituisce la stragrande maggioranza, va seriamente studiato se vogliamo capirci qualcosa del mondo in cui viviamo oggidì, parimenti ,non esiste solo la filosofia greca ,sulla quale basiamo le nostre convinzioni e i nostri valori, c’è anche altro che va studiato e che non ha minore dignità culturale.

Ecco, Castaneda ,penso che andrebbe letto traendone il massimo vantaggio seguendo la chiave di lettura che ho sopra accennato.

















lunedì 10 giugno 2024

Nicolai Lilin La guerra e l’odio. Le radici profonde del conflitto fra Russia e Ucraina. Piemme Editore – recensione

 




L’autore, romanziere, saggista e artista grafico-figurativo , è nato in Moldavia ,anzi è opportuno precisare, in quella regione della Moldavia ,che si chiama Transnistria (Bessarabia) ,che da tempo reclama la sua autonomia dalla Moldavia medesima e non nasconde la sua simpatia per la Russia.

Per chi non lo sapesse, quella piccola regione situata fra Moldavia e Ucraina è stata ritenuta talmente leale e vicina dalla Russia, che fin dalla caduta dell’Urss si è trovata ad ospitare la santabarbara dell’ex Patto di Varsavia, cioè in altre parole, si trova ad essere quella regione del mondo che ospita la più alta concentrazione di esplosivi per chilometro quadrato.

Per avvicinarci meglio al personaggio diciamo anche che il suo nome vero è Nikolaj Verzcickij, e che quel Lilin è lo pseudonimo che si è scelto per firmare le sue opere.

E’ cittadino italiano e vive e lavora qui da noi dal 2004.

La sua famiglia è di origini siberiane,polacche,ebraiche e tedesche.

Gli venne subito una certa notorietà con la pubblicazione del romanzo “Educazione Siberina” una quindicina di anni fa.

Curiosamente, in quel romanzo parzialmente autobiografico, rivendica ai suoi antenati l’appartenenza a una casta criminale, che si ispirerebbe però a una forte etica ,diretta a combattere il potere corrotto.

Tiene a Milano un laboratorio artistico e disegna tatuaggi oltre a dare consulenza di “tiro a lunga distanza”, come apprendiamo dal suo ricco profilo su Wikipedia.

Oltre che dieci romanzi ,ha pubblicato un saggio su Putin (anche con spunti critici) e un libro di racconti per ragazzi.

Ha collaborato allo script per trarre la versione cinematografica del suo primo romanzo diretta da Salvadores.

E’ stato duramente ripreso da alcuni accademici per aver fatto passare per autobiografici fatti da loro considerati di pura fantasia.

Nel suo canale Telegram e su Youtube segue la guerra in Ucraina non nascondendo le sue posizioni filo-russe.

Mi sono dilungato nel delineare la biografia di Lilin ,per sottolineare il fatto che si tratta di un personaggio complesso ,dotato di aspetti contraddittori, che qualche scivolone probabilmente deve averlo preso, ma che non ha difficoltà a riconoscerlo.

La complessa e contraddittoria biografia di Lilin mi sembra oltretutto fatta apposta per rispecchiare proprio la realtà effettiva della guerra in Ucraina.

Chi affronta questo problema in termini di ragione – torto, oppure di chi ha vinto e chi ha perso, può ovviamente pensarla come crede, ma non sarebbe male che accettasse di conoscere anche chi segue un’altra linea di pensiero come Lilin, e che, guarda caso ,si trova più vicino alle posizioni dei russi che a quelle dei seguaci di Vlodomir Zelensky ,per la semplice ragione che parla russo, essendo cresciuto nell’ambito di quella cultura.

Dico cultura, perché se parlassimo di storia, ci metteremmo nei guai ,perché la storia di quelle regioni è terribilmente complicata e certo ben difficile da semplificare.

Se andiamo a cercare il bianco e il nero nella storia dell’Ucraina, ne usciamo letteralmente ubriachi, perché, anche se prendiamo appunti, alla fine non ci ritroviamo affatto con le famose idee chiare e distinte ,di scolastica memoria.

Mi limito a pochissime considerazioni ,che ho ritrovato nel libro di Lilin ,e che ritengo valide, almeno come punti di meditazione e di approfondimento.

Forse quella più basilare, è che il nazionalismo ucraino, sul quale si basa tutta la politica di Zelensky, non ha una base di carattere etnico, che si può agevolmente individuare in altri paesi ex Urss come, che so io, il Tagikistan, l’Uzbekistan, l’Ungheria eccetera.

Ma è’ un fatto identitario di tipo culturale, cioè basato su una certa narrazione.

Altro elemento fondamentale ,quello della lingua ,andrebbe certo approfondito da parte di esperti.

Lilin ne parla in modo approfondito e, dico subito ,che non sono in grado di valutarne il merito, non conoscendo né il,russo, né l’ucraino.

Certo che se tutto si riducesse a dire Karkyv (ucraino) o Karkov (russo) o poco di più, come sembra suggerire Lilin, difficilmente si potrebbero giustificare almeno 100.000 caduti per parte e cinque volte di più di feriti, come computano gli esperti.

Rimane comunque difficilmente contestabile il fatto che in Ucraina circa la metà degli abitanti sono russofoni e che comunque anche l’altra metà capisce il russo.

Fare la guerra fra due parti che sono quantomeno fratelli è un impresa doppiamente dolorosa.

L’analsi di Lilin si concentra sopratutto su quella parte del territorio ucraino che è la Galizia (Ucraina sud occidentale) ,con capitale noi diciamo Leopoli, Lviv in ucraino Lvov in russo.

Perhè, a suo dire, è in questa parte, che per ragione storiche complesse si è consolidato il nazionalismo ucraino.

Capisco che è la storia è complessa e spesso macchinosa, ma non è certo inutile seguirla per vedere quanto è complicata e quanto oserei dire è poco ucraina ,se non in senso passivo ,cioè di comunanza di sottomissione a dominazioni straniere : polacche, austriache, austro-ungariche, zariste eccetera.

Di conseguenza, a mio modesto parere, sarebbe utile per tutti prendere visione del punto di vista di Lilin, che verosimilmente rispecchia quello di una buona parte del popolo ucraino.

Non posso però non fare presente ,che non capisco , perché Lilin ricorra così spesso a un linguaggio urtante, quando ritiene di gratificare Zelensky e i suoi seguaci come nazisti.

Posso capire le assonanze culturali e storiche ,sulle quali cerca di aggrapparsi, ma la cosa riesce assolutamente controproducente e finisce per rendere facile il gioco ai professionisti del pensiero unico dei media, rigorosamente filo-atlantici ,seguaci dei valori non rinunciabili eccetera, che faranno finta di vedere solo quello che risulta loro utile per bollare Lilin come quinta colonna di Putin.

Peccato, perché non si può negare, che Lilin rappresenti una delle rarissime voci, capaci di farsi udire, che propone una narrazione non allineata col Biden-Zelensky pensiero.

E, si può vederla come si vuole, ma è fuori discussione che non può esserci pensiero critico, senza confronto fra tesi contrapposte, il contrario ,cioè, del pensiero unico.

Lilin può dare un contributo, ma ,caspita!, che si guardi di non cadere così spesso nel tranello di usare e ripetere lui stesso alcuni degli slogan propagandistici del Kremlino, perché quando lo fa perde completamente credibilità e autorevolezza.


mercoledì 5 giugno 2024

Carlo Sini : E avvertirono il cielo La Nascita della cultura. Telmo Pievani Ed Jaca Book – recensione

 



La paleoantropologia è una materia che non appare certo frequentemente sui media, a meno che non si verifichi qualche scoperta archeologica di particolare rilievo.

Purtroppo nel nostro paese lo studio della storia è caduto in disgrazia da tempo, figuriamoci quello del lunghissimo periodo precedente la storia.

Per una convenzione del tutto arbitraria, la storia ,come è noto, la si fa partire dalla scoperta della scrittura.

Quel lunghissimo periodo è coperto dalle nebbie in tutti i sensi.

Ma a proposito di storia si è fatta una piacevole scoperta.

E cioè che se spunta un autore brillante, che si incarichi di parlare alla gente in modo comprensibile e possibilmente anche piacevole, la percezione pubblica cambia improvvisamente.

Per fortuna nostra è infatti comparso un Barbero, che quando si reca in un teatro o in una sala di conferenze ormai viene accolto col medesimo entusiasmo riservato alle star televisive.

E l’interesse per la storia è improvvisamente rinato.

Della stessa “missione” di Barbero, si è fatto carico Telmo Pievani, nel campo della pre-storia che viene ormai definita come paleo-antropologia.

Oltre che scrivere libri di successo su una materia così di nicchia, rendendola viva e interessante, Pievani ha capito che per arrivare al pubblico era necessario ancora qualcosa di più del solito giro di conferenze e si è fatto organizzatore di mostre, ricordo in particolare quelle tenute a Roma e Milano, che hanno avuto un grande successo, attirando anche vaste scolaresche e lasciando il segno.

Inutile tentare di incasellare Pievani in una delle tipologie canoniche delle materie universitarie.

Oltre a farlo molto irritare, lui alfiere da tempo della inter- disciplinarietà, come carta vincente per fare progredire la scienza moderna, non servirebbe a niente.

Diciamo solo che il professore è partito dall’epistemologia (filosofia della scienza) ma poi imbattendosi nello sconfinato genio di Charles Darwin e nella sua creatura dell’evoluzione, ha rilevato la necessità di integrare la base culturale di un filosofo con quelle di alcune materie scientifiche come la biologia.

In questo percorso ha poi avuto la fortuna di imbattersi in un altro genio, come il fondatore della genetica moderna non solo nel nostro paese : Luca Cavalli Sforza, che ,guarda caso ,è stato un’ altro convintissimo sostenitore della necessità di aprire le università alla prassi dell’analisi interdisciplinare.

Questo libro Pievani l’ha firmato con un filosofo come Carlo Sini, che condivide la gran parte delle sue impostazioni scientifiche.

Come dice il titolo interno, il volumetto costituisce un dialogo fra i due personaggi.

Devo dire sinceramente che per chi ha letto i libri di Pievani questo lavoro può essere niente di più che un simpatico sintetico richiamo alla sua opera.

Per chi si avvicina per la prima volta a questo approccio scientifico invece è di grande utilità perché lo fa riflettere su dimensioni e approcci che con tutta probabilità gli erano sconosciuti.

Si comincia dalla grande emigrazione dall’altipiano eritreo 70/60.000 anni fa.

Eravamo tutti africani infatti.

Avevo citato sopra ,non a caso, Luca Cavalli Sforza perché è stato fondamentale il suo lavoro per acquisire la prova scientifica di questa migrazione ,acquisita analizzando il Dna delle varie popolazioni.

A questo proposito mi è molto piaciuto l’accostamento della mutazione genetica col processo ben più noto, costituito dagli errori di scrittura degli amanuensi medioevali nel lavoro che hanno compiuto per secoli nello scriptorium dei loro conventi.

Si ribadisce poi nel libro il concetto che per Pievani è stato usato addirittura come titolo di un suo saggio : l’imperfezione ,per dire che in natura non esiste alcuna realtà né perfetta né definita una volta per tutte, ma che tutto è in costante mutazione per realizzare la quale il caso gioca un ruolo importante.

Altro che disegno creazionista mirabile per la sua presunta perfezione!

Molto importante l’osservazione in base alla quale, le mutazioni sono osservabili con più facilità nei gruppi piccoli e con pochi interscambi.

Bellissimo il ricordo a questo proposito dello scartabellare di Cavalli Sforza negli archivi parrocchiali dei piccoli paesi ,per rilevare le strette similitudini fra la varianza o meno dei cognomi e le variazioni genetiche per le medesime ragioni.

Ancora interessantissimo l’accostamento fra le variazioni genetiche e quelle delle lingue.

Tutto avveniva per spostamenti di piccoli gruppi ,che avevano conseguenze sul numero dei fonemi usati.

Si arriva poi a delineare per approssimazione il concetto di cultura. a un certo punto acquisto solo dalla nostra specie.

Posizione eretta, uso della mano, che ne amplifica le potenzialità, impiego degli utensili, adattamenti di labbra muscoli e lingua per arrivare alla fonazione articolata.

Acquisizione della conoscenza dei materiali, coordinamento dei movimenti, manifestazione di capacità di progettazione attraverso un processo per la prima volta incrementale e diretto alla trasmissione alle giovani generazioni.

Lo scimpanzè usa un ramo per per risolvere un problema, ma quando il medesimo problema gli si ripresenta, deve di nuovo reinventarsi l’utilità di usare un ramo, ripartendo da zero.

E il tutto procede niente affatto in modo lineare ,seguendo una presunta spinta verso il progresso, ma assolutamente per caso e fra mille errori di percorso.

Mi fermo qui, sperando di avere offerto al possibile lettore elementi per incoraggiarlo alla lettura.





lunedì 3 giugno 2024

Sigfrido Ranucci La scelta – Bompiani Editore – recensione


 


Confesso di essere stato un fan di “Report” ,la trasmissione televisiva di Ranucci, fin dai tempi della conduzione della Gabanelli , quando praticamente non mi perdevo mai una puntata.

E fin da allora mi veniva da chiedere : ma chi glielo fa fare?

Sapevo infatti dalle cronache dei giornali, che si tirava dietro un numero folle di querele, che di per sé sono una cosa pesante da sostenere, ma che coi tempi e le procedure della giustizia italiana sono una vera tortura.

Il giornalismo d’inchiesta ,se fatto cercando di essere obiettivi, rende veramente un sevizio alla collettività perché costringe ad aprire gli occhi, è quindi lo strumento per far capire alla gente che “il re è nudo” più spesso di quando sembri.

Va bene, però, ci sono dei però.

E’ utile alla collettività se fatto appunto,cercando di essere obiettivi e con la consapevolezza dei propri limiti, si è detto sopra.

Voglio dire, uno scoop megagalattico ,come quello del Watergate, che costò la presidenza a uno dei più autorevoli presidenti americani nel 1972, se ne può fare uno ogni alcuni decenni.

La trasmissione di Ranucci ,però, va in onda tutte le settimane e questa incombente presenza forse è un po' sproporzionata rispetto al tipo di trasmissione.

A scadenza così ravvicinata ,c’è il rischio di lasciare il cittadino spettatore nel più assoluto sconforto, persuadendolo che la società della quale fa pure parte, sia insanabilmente marcia e malata di corruzione.

Non parliamo della politica.

La Gabanelli aveva intuito il rischio di questa deriva apocalittica della sua trasmissione e aveva introdotto, dopo “la parte destruens” ,anche una parte “construens” ,che andasse a verificare se le inchieste precedenti avevano prodotto una reazione positiva da parte dei responsabili politici e quindi se tutta la sua fatica era servita a qualcosa.

Lo stesso Iacona, praticamente unico altro conduttore di una trasmissione di inchiesta alla Rai, messo in onda nei periodi quando Report è in pausa per non fargli concorrenza diretta, si cura di dedicare almeno qualche inchiesta anche alle “eccellenze” italiane in positivo, che ci sono eccome.

La gestione di Ranucci mi ha invece spinto a vedere la sua trasmissione solo saltuariamente ,perché finisce per lasciarmi in una situazione spiacevole di angoscia a causa della ricerca a senso unico del marcio e solo del marcio.

Ed è anche per questa ragione che ho letto con interesse il suo libro, per cercare di capire chi è il personaggio, cioè chi è l’uomo che c’è dietro al giornalista.

Il libro infatti riporta anche frequenti richiami alla vita privata del conduttore che sono utili a comprenderne la personalità.

L’architettura del libro è combinata in modo da integrare alcune delle più scioccanti inchieste di Report con le vicende personali del conduttore nei medesimi periodi.

Ne viene indubbiamente fuori uno strumento per comprendere quanto costa a un professionista fare il giornalista di inchiesta.

Costa carissimo, diciamolo pure.

Non ti salta solo la possibilità di gestirti una vita privata tranquilla.

E’ abbastanza ovvio che questa perdita è da mettere nel conto.

C’è anche il tempo dilatato che ti prende tutto.

Ma poi può sopravvenire, come è successo a Ranucci ,di ritrovarsi da un giorno all’altro assegnatario di una scorta, perché gli inquirenti hanno raccolto prove documentali che sei nel mirino dei killer della mafia.

Se poi nel conto ci mettiamo anche una bella fila di querele penali, con relative richieste di risarcimenti civili milionari, la maggior parte della gente, sceglierebbe di cambiare mestiere.

E’ opportuno ricordare queste situazioni quando personaggi come Ranucci tendono un po a sentirsi nei panni di Robespierre, rischiando a volte di sbracare un poco e di sopravvalutare il proprio ruolo.

Ecco, posti i dovuti limiti, devo dire che la lettura di questo libro è utilissima perché anche per chi segue le vicende nazionali, cercando di informarsi e di documentarsi quotidianamente è una fonte di notizie e dati di prima mano.

Alla fin fine si può perdonare quasi del tutto l’eccesso di giustizialismo se si conosce quanto costa fare quel mestiere.