giovedì 9 maggio 2013

“il nostro fratello Giulio, assolto da ogni colpa, partecipa alla gloria di Dio”





Queste sono le parole pronunciate dall’officiante al funerale di Giulio Andreotti.
Ho l’impressione che anche un bimbetto di catechismo sia in grado di rendersi conto che in queste parole così altisonanti qualcosa non quadra proprio, tanto per cominciare, come può un prete arrogarsi il dritto di sostituirsi al giudizio di dio?
Nel caso particolare, ci sarà certo stato anche l’eccesso di entusiasmo per i potenti, che affligge in particolare la chiesa italiana e la induce così spesso a straparlare a loro favore, ma ci sono anche delle debolezze estreme nella teologia cattolica tradizionale su questa materia, per altro, così importante.

Ci sono almeno due punti di debolezza non superabili, se non ci si decide a cambiare la formulazione teologica tradizionale con qualcosa di più sensato:
Come sempre nel campo della teologia, anche in questa delicatissima materia si è avuta la presunzione di costruire nei secoli delle cattedrali teoriche sulla base di scarsissimi elementi scritturali.
Talmente scarsi nel Vecchio Testamento, che nel campo della esegesi biblica ebraica si ritiene da sempre che non sia affatto pacifico né agevole trovare nella bibbia degli argomenti, che appoggino con sicurezza la teoria della immortalità dell’anima, figuriamoci allora definire una dettagliata teoria del giudizio.
La teologia cattolica, senza disporre di niente di più, a livello scritturale nel Nuovo Testamento, se non pochi accenni indiretti (resurrezione di Lazzaro, scambio di parole col buon ladrone) si è lanciata nella definizione di un giudizio “particolare” al momento della morte, sostenendo che, subito dopo la dipartita, l’anima riceverebbe la ricompensa, la dannazione o l’avvio in un percorso di purificazione (Catechismo della Chiesa Cattolica canone 1021 e seg.-1030 e seg.- 1035 e seg. “dopo la morte discendono immediatamente negli inferi”).
Quindi il buon prete, sincero e probabile incauto ammiratore di Andreotti l’ha sparata grossa affermando addirittura : “partecipa alla gloria di dio”, sul piano del giudizio storico, ma forse non altrettanto sul piano teologico, dove sull’argomento ci si scontra contro definizioni inverosimili, incoerenti e in contrasto fra di loro.
Se prendiamo per buona la definizione dottrinale del “giudizio particolare”, sorge questo primo bel problemino :

1- se il sacerdote X assolve e comunica il fedele Y e questo passa a miglior vita, dio è tenuto ad aprirgli le porte del paradiso nel giudizio particolare?
Il canone 1470 del medesimo Catechismo parla direttamente del sacramento della confessione come “anticipo del giudizio divino”.
Se fosse così, già il “giudizio particolare” sarebbe una formalità umiliante per la dignità di dio, perché in contrasto con qualsiasi definizione dei suoi attributi.
Oppure, al contrario, c’è da ritenere, che al momento del giudizio particolare, salti la legittimazione della mediazione sacerdotale (anche questa tutta basata su costruzioni teologiche debordanti,  appoggiate su debolissime  pezze d’appoggio scritturali), e che quindi , seguendo la massima del diritto romano elementare “ubi maior, minor cessat” , ci si dovrebbe rimette, come vorrebbe il buon senso, al giudizio di dio, che ovviamente potrebbe essere in contrasto a quello sacerdotale.
Se non è così, per difendere il potere della chiesa, occorrerebbe che dio avesse la bontà di emettere ogni volta un giudizio non in contrasto con quello del suo mediatore, per evitare che la teoria della delega di mediazione porti a esiti paradossali, se non illogici come questo.
Per la teologia cattolica tradizionale non è un problema teorico di poco conto, perché se si ammettesse che dio, essendo l’essere perfettissimo, come definito da tutti i catechismi, per sua natura sarebbe ovviamente in grado di vedere anche quello che il sacerdote non ha visto, e quindi di dare un giudizio anche in pieno contrasto con quello del sacerdote.
Ma questa è una via non percorribile perché se la si percorresse  si darebbe un colpo mortale alla credibilità di tutta la teoria della mediazione-delega  sacerdotale, che definisce il ruolo del sacerdote  come titolare di “esercizio dei sacri misteri”, in nome di dio.
Non sviluppo ora questo aspetto per ragioni si spazio, basti dire però che le definizioni teologiche in materia fanno largo ricorso ai concetti di spirito e di mistero e sono invece molto caute nei dettagli.
Come è noto non esiste alcun fondamento scritturale sicuro su presunte deleghe e mediazioni affidate da dio a una classe sacerdotale, mentre al contrario, dal N.T. si evince un atteggiamento molto critico del Cristo sulla casta sacerdotale del suo tempo.
La stessa istituzione della chiesa, se si usano i criteri correnti più elementari di esegesi (presenza dell’affermazione in più evangelisti, affermazione ripetuta o concetto ripreso o meglio sviluppato in altri passi, sua concordanza con l’insieme del messaggio evangelico, sua consistenza logica, presenza nelle fonti più antiche ecc.) ha un fondamento debole, figuriamoci quindi ricercare il fondamento nel dettaglio dei singoli presunti poteri delegati.  

2- Come sappiamo la teologia cattolica tradizionale non si è limitata a definire il “giudizio particolare”, con  gli esiti, sopra descritti, ma, in ossequio ad altri passi scritturali, è stata costretta a definire anche l’esistenza di un successivo “giudizio definitivo”, al ritorno di Cristo, nel giudizio finale (quello dipinto da Michelangelo, per intenderci, Canone 1038 e seg.).
Nasce così un pasticcio imbarazzante, nel quale si avvita una teologia arrogante, che troppo spesso non va d’accordo con la logica.
Ed allora, se come abbiamo visto, il “giudizio particolare” rischia di apparire come una pura formalità, se il fedele e il sacerdote hanno fatto quanto prescritto, figuriamoci la consistenza del “giudizio finale”, che appare ridotto a pura ridondante scenografia.
Ricordo che il mio, pur quotato, insegnante di religione del liceo, per cercare di arrabattarsi fra queste contraddizioni ci ripetè l’ escamotage proposto dalla teologia tradizionale, che consiste in questo argomento debolissimo : che il giudizio finale sarebbe necessario alla fine dei tempi per valutare le conseguenze delle azioni avvenute nel frattempo (fra il giudizio particolare e quello finale) e fece l’esempio delle presunte nefandezze, operate da Lutero, che potrebbero essere viste solo alla fine dei tempi, per essere valutate in tutte le loro conseguenze.
Argomento debolissimo, perché ridurrebbe l’autore del “giudizio particolare” a uno che o non sa cosa sta facendo o che non ha abbastanza autorità per farlo.
Dal momento che il cristianesimo si definisce fino alla noia un monoteismo è lecito per lo meno ipotizzare o definire che il dio che opera il giudizio particolare sia il medesimo attore di quello finale, di dio ce n’è uno solo.
Si possono scrivere dei trattati¸ come si sono scritti, per elencare gli attributi di dio, ma è assolutamente pacifico che dio è universalmente concepito come una entità che conosce il futuro, essendo definito come onnisciente.
Se invece si ipotizzasse il giudizio finale come un vero giudizio e quindi con possibilità di ribaltare la mediazione sacerdotale nella confessione e poi quello particolare, si finirebbe ancor peggio, da un punto di vista logico.
Ci troviamo quindi di fronte alla incongruità della formulazione di un giudizio addirittura a tre livelli : quello del sacerdote come mediatore o delegato che interviene col sacramento della penitenza, quello particolare e quello finale.
Non se ne esce, o si ipotizza solo la possibilità di tre giudizi uniformi, cioè identici, ed allora tutta la costruzione dei tre livelli di giudizio sarebbe inconsistente, insensata, oppure si ipotizza la possibilità di tre giudizi veri e propri e quindi con la potestà di cassare ognuna delle sentenze precedenti, ma allora il sistema a tre livelli ridicolizzerebbe addirittura la dignità di dio, perché sarebbe come riconoscere che lo stesso dio si era sbagliato in uno dei due giudizi precedenti e questa evidentemente sarebbe una insensatezza.
E’ sconcertante rilevare come la teologia tradizionale offra argomenti così poveri in materie di questo spessore e importanza per i fedeli.
E’ facile dire che allora occorre mettere mano a nuove formulazioni della teologia cattolica, ma il compito è parecchio difficile.
Perché per secoli si è prodotto nulla, tutto va ripensato su nuove basi.
E’ talmente radicale la revisione che occorrerebbe fare in questo campo, che è il caso di chiedersi se ne varrebbe la pena o se non sia più produttivo lasciare perdere la teologia e rivolgersi più sensatamente alla filosofia.
Non è un caso che la storia del cristianesimo sia attraversata da secoli dal filone della mistica, cioè da coloro che hanno sempre inteso che il rapporto con dio debba essere diretto , senza mediazioni né sacerdotali né teologiche.
E’ inutile ricordare che una corposa fila di mistici è stata posta all’onore degli altari, anche se probabilmente i fedeli non pratici di teologia non colgono il grave imbarazzo della chiesa gerarchica per queste riconoscimenti.
Le più recenti correnti teologiche sono spesso arrivate alla conclusione che tutta la teologia vada riscritta non solo perché andrebbe orientata non più sul principio di autorità ma sulla ricerca filosofica, sul confronto con le acquisizioni della scienza e così via.
Ma soprattutto hanno sottolineato, che, se si parte dalla concezione di dio come spirito e non dalla concezione infantile antropomorfa del vecchio con la barba, occorre superare la visione tradizionale di un dio persona e avvicinarsi invece alla visione delle filosofie e religioni orientali, molto più antiche del cristianesimo, basate appunto su una concezione di dio come  impersonale.
Se si pensa a questi orizzonti, la vedo dura per i pochi fedeli rimasti, che stando alle indagini in materia sono sopravvissuti perché si sono assemblati una loro teologia personale e quindi sono impermeabili alle mille incongruenze della teologia tradizionale.
Non è un caso che le agenzie religiose, che oggi hanno maggior successo e sviluppo nel mondo , cioè quelle evangeliche, si presentino senza riferimenti dogmatici- teologici, ma accentuando gli aspetti esistenziali di esperienza.
Nelle loro celebrazioni cercano l’effetto della seduta psicanalitica, la liberazione dell’inconscio.
Al di là degli aspetti esteriori a volte folcloristici o dello sfruttamento anche economico a volte operato da furbastri pastori (come è sempre accaduto del resto, anche in casa cattolica) non è detto, che queste tendenze non seguano delle linee, che meriterebbero un serio approfondimento, cioè che non siano più vicini loro a una  proposta del rapporto con dio adatto all’uomo moderno ,che non quello delle agenzie tradizionali, forse ormai decotte.
E i fedeli?
Mi sembra che la cosa funzioni come in politica, se si documentassero un po di più, si accorgerebbero che oggi sono più liberi ed hanno più opzioni, che anni fa nemmeno si sognavano.
Con un po’ di pregiudizi in meno e molti strumenti in più vivrebbero meglio, o almeno questo è il mio parere personale.

martedì 7 maggio 2013

Il Divo Giulio, fra Richelieu e Belzebù. Difficile interpretare in modo più inquietante l’ambiguità del potere




Nessuna intenzione di associarmi al coro delle beatificazioni postume in favore di Andreotti.
Ma trovo doveroso dire per prima cosa che di fronte all’attuale teatrino della politica sul quale recitano da vent’anni  personaggi penosamente mediocri, Andreotti navigava su un altro pianeta.
A mio parere per capire chi era questo singolare personaggio, occorre situarlo principalmente negli anni ‘60/’70, quando la DC non era al potere, era il potere, tutto il potere.
E lui ne era il Gran Sacerdote.
Il potere senza aggettivi richiede la celebrazione di riti e liturgie che lo pongano ben al di sopra del teatrino quotidiano della politica.
E lui infatti era più di chiunque altro di casa nel tempio.
Era l’uomo del Vaticano per antonomasia, nel senso che, anche se non portava formalmente la porpora, era accolto come un pari al di là del Tevere.
Cosa questo significhi nel senso di potere in quegli anni è facile dedurlo.
Ma in quegli stessi anni il potere reale si reggeva su un’altra colonna ancora più potente oltre al Vaticano.
E infatti lui era di casa anche a Washington.
Non sapeva praticamente pronunciare una frase in inglese, ma nessuno era ben visto in America come lui, era il loro uomo, sicuro e affidabile.
Da oltre atlantico arrivavano di conseguenza anche i dollari del finanziamento per le attività della Balena Bianca e anche questo era un elemento non trascurabile.
Come tutti i grandi cultori e gestori del potere, Andreotti sapeva usare e coltivare sistematicamente le tecniche appropriate.
Si governa solo con una “rete”, come si dice oggi, continuamente.
La rete di relazioni tessuta da Andreotti era solidissima.
Era noto che il nostro conoscesse bene il segreto, che faceva la potenza dei Fouchez, il ministro di polizia passato dalla Rivoluzione a Napoleone senza problemi di coscienza, come dei “ministri di polizia” di tutti i tempi : l’archivio.
Un archivio smisurato ed aggiornato, con tante schedine contenenti vita, morte e miracoli di tutti, sui quali poter trovare elementi per ricattare o più semplicemente per riscuotere il dovuto a seguito dei favori elargiti.
L’archivio privato di Andreotti era leggendario e temuto.
Per stare in argomento, la gestione del potere comportava la frequentazione che Andreotti aveva con particolare gusto con i servizi segreti e con le persone con le greche sulle spalline, tanto che ogniqualvolta si materializzava uno dei tanti “misteri d’Italia” il suo nome come quello di chi ci poteva starci dietro era il primo ad essere nominato.
Il suo culto del potere era talmente palpabile, che è passato per decenni, gestendo le massime cariche dello stato, senza avere quello che nella logica democristiana era il titolo per potere essere in quei posti, infatti la sua corrente all’interno della DC c’era ma non contava quasi nulla sul piano dei numeri.
Altro elemento che lo rendeva non comparabile con i politici di oggi è il fatto che pur essendo uomo di potere era contemporaneamente uomo di cultura solida, e intellettuale per passione, come testimoniano i suoi libri e i suoi articoli, il nostro era infatti giornalista di professione.
Il suo bagaglio intellettuale veniva fuori nelle sue proverbiali manifestazioni di una arguzia molto singolare, battute al vetriolo, che nascondevano il fatto di avere assimilato quella tipica cultura popolare romanesca.
Aveva però la capacità di pronunciarle con la medesima non chalance con la quale ci si scambiano battute fra gentlemen nei club inglesi.
Abbiamo elencato fin qui le qualità possedute dal Richelieu, ma in Andreotti era indubbiamente anche intrecciata la compresenza di Belzebù, diversamente non sarebbe mai stato  Andreotti, così diverso da tutti gli altri.
L’assassinio del giornalista di inchiesta Mino Pecorelli, la contiguità con la banda della Magliana, la contiguità con la mafia.
Era stato accusato di cose semplicemente orrende per decenni.
Per questo si è creato nel tempo quel fascino torbido intorno al suo personaggio.
Il potere è ben noto è la più potente delle droghe.
Non si riesce a spiegare diversamente se non come quell’inebriamento del potere, che impedisce di essere razionali, il suo vezzo di frequentare anche gente assolutamente infrequentabile, da romano fino al midollo aveva voluto conoscere anche la Suburra.
Ha occupato per decenni il potere, ma si sarà arricchito in proporzione come si riterrebbe ovvio oggi?
Se si giudicasse dal suo stile di vita, notoriamente più che sobrio , si direbbe che anche se i soldi li avesse fatti, non se ne sarebbe fatto certo un gran chè.
Eppure il suo nome compare fra quelli poco raccomandabili dei correntisti dello IOR, e così  la leggenda nera continua ad alimentarsi.








lunedì 6 maggio 2013

Il presidentissimo starebbe coltivando discretamente un disegno di lungo periodo in grado di mettere insieme una DC più forte di prima




Ieri Antonio Padellaro, sul Fatto che dirige, ha lanciato questa ipotesi interessante.
A prima vista sembra inverosimile, ma non lo è se solo si pensa alla storia e alle caratteristiche del Presidente, infatti dire che Napolitano è un ex comunista è estremamente riduttivo e  non descrive per  niente la sua storia politica.
Occorre aggiungere che nella storia del PCI prima era stato amendoliano e poi migliorista, cioè sempre aveva aderito all’ala destra del PCI, quindi per circostanze tipicamente italiane, è stato il più a destra dei comunisti, assomigliando più a un democristiano di centro- destra che ai suoi compagni.
Ben inteso in tutto questo non c’è nulla di cui vergognarsi.
Si tratta solo di una posizione al limite, rispettabile come le altre.
Specularmente ed all’opposto è esistita per esempio nel PCI la pattuglia dei cattolici- comunisti, anche questi assolutamente al limite e più che rispettabili.
In ogni caso occorre ancora riconoscere che se veramente il presidentissimo fosse guidato da questo disegno strategico, solo per elaborarlo occorrerebbe un’intelligenza politica di qualità e soprattutto la capacità di fare progetti a lungo termine, cosa quasi inesistente in questa classe politica.
In che cosa consisterebbe questa strategia e soprattutto perché potrebbe essere del tutto verosimile?
La prima ragione sta nel fatto che il pentolone della politica italiana ha fatto saltare il coperchio. Cioè stiamo vivendo un momento politico in cui tutto è possibile mentre nel ventennio o trentennio precedente tutto era rimasto ingessato e immobile, nel senso che alle elezioni che si succedevano i movimenti, gli spostamenti fra le  forze politiche erano dell’ordine dell’1,2 %, il 3% era considerato un terremoto.
Il secondo elemento di verosimiglianza sta nel fatto che uno dei partiti cardine del sistema politico attuale, il PD è esploso al punto che praticamente non esiste più come forza unitaria e nessuno sa come andrà a finire, cioè se tutto si chiarirà in una scissione con centro destra interno (da Fioroni a Veltroni a D’Alema a Renzi) da una parte e centro sinistra interno (prodiani e ex sinistra PCI) dall’altra. 
O, molto più probabilmente, una divisone trasversale giovani- vecchia guardia, senza più rispecchiare le vecchie componenti ex sinistra Dc ed ex PCI.
Dall’altra parte c’è il partito di Berlusconi, il PDL, un PDL, in crescita che ha recuperato, stando si sondaggi, probabilmente soprattutto recuperando gli ex elettori andati a Monti-Casini-Riccardi ed ora delusi.
E’ chiaro a tutti, o perlomeno a chi sappia guardare alle cose con un minimo di distacco e di razionalità, che la leadership di Berlusconi è per mille ragioni a fine corsa, soprattutto per fatto che in quel partito c’è una generazione di mezzo scalpitante, che non è assolutamente di qualità, ma che ne farebbe anche a meno di dover leccare il capo alla mattina, al pomeriggio ed alla sera ed è da tempo in attesa di un’occasione per potere liberarsene, tanto più che nel settore destra –moderata non hanno al momento concorrenti credibili.
Anzi può essere loro di aiuto il fatto che sia attualmente in corso all’interno di quel partito un movimento di chiarificazione nel settore della destra- destra , dove i fascisti ed ex fascisti, che numericamente  sono molto consistenti, soprattutto a livello di presenza territoriale, si stanno riorganizzando per dare vita a una forza autonoma, ritenuta da loro più dignitosa e producente della sottomissione al vecchio satrapo.
Il PD, lo abbiamo detto è al momento in uno stato confusionale assoluto e questa è l’unica ragione per la quale il governo Letta può avere un ragionevole periodo di vita, se pure breve.
Alla nomenclatura del PD, anche se parzialmente rinnovata dalle primarie, andrebbe bene tutto purché si conservino poltrone e relative prebende, tant’è che sono tutti andati in questo governo con Berlusconi che fino a tre giorni prima avevano qualificato come indecente e improponibile.
Ma non essendo del tutto deficienti non possono non sapere che la base sul territorio è in rivolta aperta, i quadri dei circoli nelle varie province,  sanno benissimo che se i vertici nazionali vanno con Berlusconi gli elettori del partito spariscono.
Il gioco quindi non paga più, a che servirebbe conservare le poltrone nazionali, con la prospettiva che alla prima tornata elettorale quando vai in un circolo o in una piazza se non ti menano i tuoi che hai fatto infuriare, sei già fortunato?
E’ chiaro che comunque vadano le cose, nel PD la vecchia classe dirigente è fuori.
I 101 conigli che alle elezioni presidenziali hanno lanciato il sasso, ma non hanno da allora avuto il coraggio di dire : siamo stati noi,  sono la pietra tombale di una nomenclatura.
Anche perché qualsiasi presunto furbo non può violentare l’aritmetica e tutti sappiamo almeno fare di conto.
Il conto dice che se allora i Renziani hanno apertamente votato Chiamparino e quelli del Sel hanno trovato il loro trucco per farsi riconoscere, all’appello mancano solo di dalemiani e quindi quei 101 non possono essere che loro.
Ecco perché il piano strategico del presidentissimo, ammesso che ci sia davvero, sembra verosimile e destinato probabilmente ad avere successo.
Perché c’è questo gregge di vecchie figure calanti e di giovani rampanti, che hanno tanta voglia di arrivare, ma non sanno dove andare a parare e quindi se si trovano una autorevolissima e ovviamente solo confidenziale  indicazione, comincerebbero a farci sopra i loro piani e la cosa si avvia.
La strategia sarebbe questa : in prospettiva mettere insieme il centro destra del PD e la generazione di mezzo del PDL, con aggiunta dei residui montiani-casini-riccardiani.
Verrebbe fuori qualcosa di vistosamente corposo e competitivo, senz’altro candidabile al governo come forza di maggioranza relativa.
E’ più che ovvio che in questo disegno il posto per Berlusconi semplicemente non c’è.
Forse le procure hanno più fans dietro  le quinte di quanto appaia al di fuori.
Sarebbe una operazione storica : restituire al centro destra la sua dignità e centralità, dopo tutto l’infangamento, che ha subito dalla anomala parentesi del berlusconismo, principale responsabile del declino italiano, che non è solo economico, ma è anche declino morale come calo di dignità.
Per finire mi preme riportare un’altra indicazione importante, che ho afferrato in una trasmissione economica di stamattina sempre a proposito del futuro della nostra situazione politica.
La comunità del business internazionale da tempo non vuole neanche più sentire parlare di Berlusconi , non per le ragioni di politica italiana, alle quali è del tutto disinteressata, ma ovviamene per ragioni di business.
Il ragionamento è questo:  l’Italia è il terzo paese al mondo per valore di bond statali sul mercato e il mercato come è noto vuole stabilità ed aborre elementi di disturbo.
Berlusconi al governo è una mina vagante per i mercati ,come dimostra la sua conduzione politica precedente e quindi se gli italiani riescono a toglierselo dai piedi bene, diversamente la comunità del business, cioè le multinazionali, faranno da sole con i propri potentissimi mezzi, basta che tolgano  da Mediaset la pubblicità dei loro grandi gruppi e Berlusca è finito.
Interessante.


venerdì 3 maggio 2013

Il Governo Letta ha tre giorni ma fa già pena. Se va avanti così la democrazia rischia.




Il governo delle larghe intese, che gran parte degli italiani considera il governo dell’inciucio con l’impresentabile Berlusconi, il responsabile del declino italiano, è sembrato a prima vista che fosse stato  assemblato in modo furbo da un abile nipotino della balena bianca, quale è Enrico Letta.
Purtroppo però l’elenco dei sottosegretari è un tale concentrato di personaggi decotti o impresentabili ,che basta quello a far capire che questa classe politica non ha ancora capito cosa sta bollendo in pentola nel paese reale.
Come se non bastasse sono arrivati subito due micidiali ultimatum del domatore del circo, l’aulico Berlusca : l’abolizione dell’ Imu subito e senza storie  ,come fosse la priorità assoluta e la bicamerale per rifare la costituzione ,che deve essere presieduta beninteso dal PDL e cioè sempre dal solito domatore.
Letta è stato incauto a non voler capire che fare un governo ,che di fatto è presieduto da Berlusconi era una follia.
Se andrà avanti così ,come è probabile, sarà uno spettacolo penoso quello che dovremo sorbirci, e pericolosissimo  in una situazione sociale, come quella attuale ,nella quale la rabbia sociale potrebbe esplodere ormai in qualsiasi momento.
Non pare che nemmeno l’opinione pubblica si sia resa conto appieno, che se i dati ufficiali certificano una disoccupazione giovanile al 40% come media nazionale, questo significa che al sud si viaggia intorno a un 60% e queste sono cifre che fotografano un disastro che è già in atto.
Non parliamo di quanto indica la Caritas sull’aumento esponenziale della povertà fra ceti che solo poco tempo fa erano classe media.
Licenziati, esodati, cassintegrati, partite IVA in perdita cronica sono un esercito già ora e sta crescendo a vista d’occhio.
La gente, queste cose le soffre, le sa per esperienza o se le sente raccontare e poi vede in televisione il solito teatrino di politici ,che saranno anche stati scelti in parte con le primarie, ma che vengono avvertiti come lontanissimi dai problemi reali del paese.
Un governo già nato male e una opposizione, che per ora non è in grado di rappresentare una alternativa credibile di governo sono elementi, che indeboliscono di per sè la democrazia.
Purtroppo l’elenco di quello che non va non è ancora finito perché va valutato un’altro elemento importante oltre al marasma economico, sociale e politico.
Si tratta del fatto che da oltre un anno stiamo sperimentando e per di più con insuccesso, forme politiche che sono già di emergenza.
Era di emergenza il ricorso al “governo dei tecnici” e non dei politici di Mario Monti; è di emergenza il ricorso al “governo delle larghe intese” attuale, è di emergenza la rielezione alla massima carica dello stato di un presidente parecchio anziano ,per la prima volta nella storia trattenuto per  un secondo mandato, ed è di emergenza il modo con il quale il medesimo presidente ha gestito il suo ruolo in questi ultimi anni cioè tirando fuori ed al limite tutti i possibili elementi da repubblica presidenziale, che la nostra costituzione consente.
Formalmente non siamo ancora usciti dal quadro costituzionale, ma siamo già da tempo al limite estremo.
La costituzione dei paesi democratici non prevede, che in caso di impasse politico totale si possa ricorrere a un commissario straordinario.
Giustamente non è considerato compatibile con gli ordinamenti democratici, per la semplice ragione che la democrazia è una macchina dotata di marcia indietro, mentre le dittature la marcia indietro non ce l’hanno, quando ci sono non ci si esce con un voto che non c’è più o che è truccato.
Gli antichi romani in questi casi ricorrevano al “dictator”, ma come suona male per fortuna questa parola oggi.
Non c’è nella storia un solo caso di dittatura salvabile ad una analisi storico- razionale, ma si sa che ci si può cascare ugualmente.
Alle scorse elezioni ci siamo giocati forse l’ultima carta, quella di Grillo.
Grillo è realmente il nuovo non compromesso col passato.
Temo però che gli manchi una cosa purtroppo essenziale : il tempo.
Grillo sembra non aver capito che vanno anche bene tutte le cose che propone, va bene il suo personale politico giovane,nuovo e pulito.
Purtroppo però oggi la situazione è drammatica, quando il paese è pieno di disoccupati non c’è il tempo materiale per fare campi scuola per le matricole, occorre incidere subito perché può saltare tutto.
Le carte nell’ambito della democrazia ce le  siamo giocate tutte, abbiamo detto, ma non è vero, perché in realtà le abbiamo giocate tutte meno una.
Quella che la costituzione attuale indica come la strada maestra.
La costituzione attuale infatti prevede come unico strumento in caso di impasse politico il ricorso al voto ad oltranza.
Il Presidente attuale, incensato da tutti i media, come se fossimo già sotto a un regime a pensiero unico, ha ritenuto di non farvi ricorso,assumendosi una grave responsabilità.
E’ assurdo però pensare di rischiare il caos dopo una serie di espedienti di emergenza,senza almeno provare ad imboccare la strada maestra.
Se andiamo avanti così la democrazia deperisce , perde credibilità ed a un certo punto non viene più avvertita come indispensabile.
Andare a votare ora ? ripetono i nostri tromboni negli editoriali di tutti indistintamente i giornali,salvo quello di Travaglio,  ma cosa ne sarebbe del PD ?
E chi se ne frega del PD, sarebbe trattato come si è meritato, il paese è più importante del PD.
Vincerebbe Berlusconi.
Forse, è possibile, ma non è affatto certo  e se fosse anche così, meglio  che si prenda direttamente le sue responsabilità l’originale, che l’imitazione mascherata dalle foglie di fico col governicchio Letta.
Questa è la democrazia, se la vogliamo ancora e la vogliamo a oltranza.

giovedì 2 maggio 2013

Democrazia rappresentativa o democrazia diretta? Partecipare o essere solo spettatori del teatrino?




Tutti ce l’abbiamo giustamente con la casta dei politici ,che da decenni non combinano nulla di buono e si mangiano anche le gambe dei tavoli.
Per questa ragione quasi nessuno aveva pianto dopo la fine della DC, del PCI e del PSI e incautamente si era data fiducia alla discesa in campo del primo Berlusconi, che aveva saputo sfruttare bene appunto questo risentimento della gente verso un classe politica corrotta e incapace.
Berlusconi si presentava come il non politico, l’uomo della società civile, che  era stato capace di creare un business di successo  e che si degnava di scendere in politica per realizzare il buon governo.
Contemporaneamente nasceva il movimento della Lega, che pure si proponeva di farla finita con la “Roma ladrona” dei vecchi partiti, puntando sulla valorizzazione delle regioni del  Nord.
Poi Berlusconi ha sgovernato per vent’anni ed ha asciato naufragare la sua credibilità nel bunga-  bunga.
Il Movimento leghista è stato fatto naufragare dal penoso entourage di Bossi, dedito ad un costume di peggiore corruttela di quello della Roma ladrona.
Ed infine è arrivato il Movimento 5Stelle di Grillo, sempre sull’onda dell’indignazione popolare contro la casta dei vecchi politici.
Sono ormai passati vent’anni di anti- politica militante, che al momento non ha prodotto praticamente alcun risultato, nel senso che non ha affatto creato alcuna novità sostanziale nel nostro sistema e costume politico.
Grillo appare come il più coerente rappresentante dell’ anti- politica, perché ha una visione radicale di superamento del partito politico come mediatore fra cittadino e potere, usando come strumento di partecipazione la rete internet, strumento nuovo e realmente potentissimo.
Mi viene in mente però l’interessantissimo filmato trasmesso da Santoro nel  quale è stato ripreso il dialogo improvvisato fra diversi parlamentari dei 5Stelle e la gente che era in strada.
In uno di questi scambi un cittadino alla fine del suo intervento dice : ma dovete capire che le mie zie su internet non ci andranno mai.
Prima obiezione difficile da confutare : c’è una fetta di società che su internet non va e probabilmente non ci andrà mai.
E’ anche vero però che il progresso di queste tecnologie è talmente impressionante da rendere vana qualsiasi previsione, si pensi ad esempio alle “smart TV” , cioè al nuovo tipo di televisori, che stanno per soppiantare i vecchi e che hanno di nuovo proprio il collegamento a internet, che permetterà anche alle zie di quel cittadino sopra menzionato di “navigare” dal proprio televisore, senza passare attraverso alcun computer.
Sarà un passo decisivo per tagliare il “digital divide” ,il distacco che in Italia abbiamo nell’uso delle nuove tecnologie rispetto gli altri paesi.
Adesso però che abbiamo acquisito con Grillo anche il “nuovo vero”, cioè un movimento politico che ha una visione ideologico - strategica realmente diversa da tutte le precedenti, che ha  un carattere molto orientato alla modernità ed al futuro, ed abbiamo sperimentato il fallimento del “nuovo finto”, cioè quello di  tutti coloro, che in questi vent’anni si sono proposti come “diversi” e non lo erano, come anti- partiti e non lo erano, occorre chiederci cosa nei partiti tradizionali va buttato e cosa va conservato perché è indispensabile alla vita della democrazia.
Grillo teorizza apertamente il superamento del concetto stesso di rappresentanza politica (elezione di rappresentanti della propria opinione)  per realizzare un sistema di democrazia diretta, perché dice che l’uso di internet oggi consentirebbe di acquisire in qualsiasi momento la volontà popolare su un determinato problema ,attraverso una specie di referendum “on line”.
Fantasia o realtà?
Dal punto di vista puramente tecnico niente da dire, la cosa è possibile, ma non è così semplice come sembra, occorre prima produrre i programmi giusti, testarli e vedere come funzionano per fare referendum in internet con una qualche garanzia.
Grillo ha aperto la strada ma ora sta affrontando inevitabilmente i seri problemi annessi e connessi.
Faccio qualche esempio :
- io, cittadino Giuseppe Rossi mi iscrivo ai 5Stelle, benissimo, occorre però trovare un sistema sicuro perché il Mov. 5Stelle sia sicuro che io sia io e non sia un goliardone in vena di scherzi o peggio ancora un berlusconiano che si iscrive per orientare il movimento secondo le convenienze del suo capo;
- chi nei 5Stelle è preposto a distinguere  le iscrizioni buone rispetto a quelle fasulle, potrebbe fare il furbo e accettare le iscrizioni delle persone che dalle informazioni reperibili sul web sono più fedeli ai capi e cassare le altre e questo ovviamente non sarebbe democratico;
Accettata l’iscrizione che consente di votare su internet si ripresenta anche nella democrazia diretta il problema dell’informazione.
Non è un caso che questo sistema ha finora trovato applicazione soprattutto a livello locale in piccole comunità (tutti abbiamo notizia della tradizione svizzera a questo proposito) perché a questo livello si da per scontato, che il cittadino elettore sia bene informato sul problema in votazione.
E’ pacifico che la scelta politica del cittadino sarà più responsabile e consapevole, nella misura in cui il cittadino stesso è bene informato su quello che deve decidere con il suo voto.
Se cambiamo solo il sistema tecnico di voto dalle cabine elettorali ad internet e basta, risolviamo solo una piccola parte del problema.
Questo non basterebbe ancora perché la scelta del cittadino anche su internet può essere viziata :
- non solo da  disinformazione, ma   da anche
- da pregiudizi culturali,
- o anche solo da semplice da ignoranza, che non gli consenta di capire quale siano i termini del problema. Non andiamo lontano, perché è fallito a suo  il referendum sull’abolizione della legge  sulla fecondazione assistita, se non a causa del fatto che la gente non era in grado di capire veramente quale fosse il problema in discussione, troppo complicato, troppo indefinito.
Quando il 5Stelle ha inserito nel programma elettorale il referendum sull’euro autorevoli economisti hanno sostenuto che sarebbe stato un disastro fare votare la gente su un problema così complesso da essere praticamente non affrontabile dal cittadino medio.
Anche questo è un problema nuovo, bisogna riconoscere che oggi ci sono problemi tecnicamente molto complessi che non sono alla portata del cittadino medio e che secondo molti politologi e filosofi non lo sono nemmeno per i politici.
E’ questo un grosso problema per la democrazia, che bisognerà pure affrontare.
- o da un coinvolgimento emozionale in risposta ad una propaganda fatta bene che manipola la sua volontà, senza che lui se ne renda nemmeno conto al momento.
E qui pensiamo ad esempio al genio per la propaganda (oggi si direbbe comunicazione) manifestato a suo tempo da Mussolini nell’uso delle nuove tecnologie, che allora erano la radio e i notiziari cinematografici dell’Istituto luce, nella efficace retorica della “mistica fascista”, con i suoi rituali coinvolgenti dal punto di vista emozionale ed identitario, nell’uso propagandistico del corpo del capo ecc.
Berlusconi ha riproposto in salsa moderna le stesse tecniche e la gente c’è ricaduta come allora e questa è la misura della loro efficacia tecnica, ma anche della loro  pericolosità.
La democrazia diretta realizzata usando internet non supera per nulla i pericoli insiti dell’uso spregiudicato delle tecniche subliminali di propaganda, anzi, rischia di amplificarli.
Si pensi alla polemica intorno alla figura del cofondatore del Mov. 5Stelle Gian Roberto Casaleggio, che è un grande esperto del settore, tanto che vive del più che lecito business fondato sull’applicazione di queste tecniche a scopi commerciali, cioè per vendere alle aziende gli strumenti per convincere i consumatori a comprare i loro prodotti, invece che quelli delle ditte concorrenti.
Sul web queste tecniche di propaganda commerciale o politica possono essere usate in spazi molto grigi, dove il lecito e l’ illecito o il corretto e lo scorretto sono difficili da distinguere.
Purtroppo infatti i social media fondati sul   “mi piace”, accordato con un fugace clic del mouse a un prodotto, una foto o una affermazione,  sono molto facili da manipolare per fare apparire apprezzatissima una cosa rispetto ad un’altra.
Trasportare queste debolezze tecniche dal settore del marketing alla politica non promette nulla di buono.
D’altra parte che i vecchi partiti con strutture burocratiche non siano più in grado di dare più nulla o quasi è un fatto appurato da tempo.
Però, come sempre, attenzione a buttar via il bambino con l’acqua calda.
I vecchi partiti con le loro vecchie strutture arrivavano a dare le seguenti cose che sono ancora indispensabili alla democrazia :
- luoghi di incontro e di scambi di opinioni politiche;
- scuole di formazione non solo per i quadri per prepararli alle cariche pubbliche (non si può andare a fare il consigliere o il sindaco se non si ha un’idea di cosa sia il bilancio, come si compila una delibera, se non sia ha un’idea della legislazione urbanistica e di tutela dell’ambiente ecc.) ma anche formazione diretta agli iscritti.
Chi non si è mai degnato di partecipare alla vita politica ed oggi è regolarmente vittima dei populismi di turno non lo sa, ma I partiti e i sindacati tradizionali hanno esercitato un’ opera pedagogica essenziale per fare crescere la democrazia in Italia.
Una struttura democratica e trasparente, garantita da precise norme statutarie, che garantissero nei dettagli ad esempio il rispetto delle minoranze, senza le quali non esiste democrazia deve essere una scuola di democrazia.
Il Mov. 5Stelle, sia il benvenuto per le strutture e la strategia veramente nuova che propone, ma è chiaro che ha da risolvere tutti i problemi sopra accennati e non sono cosette da poco.
L’ideologo Casaleggio dei 5Stelle, tanto odiato dagli eternamente conformisti media italiani, nel proporre la sua visione del futuro, ha tra l’altro avanzata un’idea che trova sempre più credito nel dibattito fra cultori della scienza politica e cioè che il superamento vero e radicale dei partiti, come li conosciamo, si realizzerà per il fatto che l’esigenza della gente oggi è quello di aggregarsi non più sulla base di ideolgie omnicomprensive identitarie come in passato, ma più concretamente per risolvere problemi concreti e trasversali.
Che si parta dai problemi e su quella base si costruisca l’aggregatore politico.
Se  voglio realizzare, che so io, la fine della cementificazione e dell’inquinamento con gli inceneritori per bruciare immondizie, mi aggrego con chi condivide questo modo di risolvere il problema.
Se voglio mettere in discussione la politica di austerità e voglio realizzare il salario di cittadinanza per i giovani disoccupati ho la necessità di aggregarmi con chi la pensa nello stesso modo.
Se voglio l’abolizione del concordato e una politica di laicità, ho bisogno di aggregarmi con chi la pensa come me.
Dall’ideologia in futuro si passerà al merito dei problemi.
Questa è molto verosimile che sia la linea di tendenza del futuro anche prossimo ed è innegabile che internet sia in grado di offrire i mezzi e le opportunità per potere realizzare queste aggregazioni meglio dei partiti tradizionali.
Però occorre tenere ben presente che sia che ci si trovi nel tradizionale sistema di democrazia rappresentativa che conosciamo, sia che ci si trovi nei campi ora tutti da esplorare della democrazia diretta il problema capitale è quello della partecipazione dei cittadini.
Se i cittadini non sentono la responsabilità di partecipare ad orientare le scelte politiche, la democrazia langue e rischia la sopravvivenza, qualsiasi sia il sistema politico.
Partecipare vuol dire essere attivi e non solo recipienti pronti a riempirsi con la propaganda del regime di turno.
E’ su questo piano che si gioca la partita ed è quindi su questo piano che chi propone vie e idee nuove deve dare il meglio per dimostrare la superiorità delle soluzioni che propone.
Internet cioè non cambia nulla se la gente non sente la necessità di attivarsi.
Internet però è realmente una realtà che  ha i mezzi tecnici per offrire a tutti i cittadini i mezzi per farsi sentire, molto di più e molto più  facilmente dei mezzi tradizionali.