giovedì 19 settembre 2013

Povero papa Francesco : molto più facile confrontarsi con l'ateo Scalfari, che dice quello che pensa, che con il falsamente ossequioso Don Carron di CL.



Ho letto su Repubblica di ieri 18 settembre con vera fastidiosa irritazione il commento del successore di Don Giussani alla guida di CL Don Julian Carron, alla famosa lettera del papa a Eugenio Scalfari, della quale si era parlato nel post precedente.
In quel post si era detto delle idee innovative di questo papa, che cinquant’anni dopo ripropone le tesi e le idee del concilio Vaticano II, attivamente contrastate dalla gerarchia ecclesiastica a lui precedente e dai così detti movimenti, più attivi nella vita pubblica, come appunto CL.
Si era concluso che sta benissimo il fatto, che sia giunto finalmente un papa capace, e convinto della opportunità di rilanciare quelle idee, ma anche altre due cose :
1- che al di la della buona volontà del nuovo papa, il ritardo con il quale la chiesa cerca ora di parlare al mondo moderno è probabilmente incolmabile, perché nel frattempo la gente si è convinta della incapacità della chiesa stessa di dire cose credibili al mondo di oggi;
2- che i cinquant’anni di attiva propaganda anti- conciliare (il Concilio Ecumenico Vaticano II si è chiuso nel 1965) seguiti a quel concilio, condotti da una gerarchia, che giudicava quelle posizioni pericolose per la chiesa e quindi le aveva contrastate, hanno  purtroppo indottrinato i fedeli rimasti con le idee opposte a quelle del concilio, e che quindi ora il papa si trova a predicare idee contrastate prima di tutto dal suo popolo.
Il commento di Carron alla lettera del papa, fa veramente cadere le braccia e fa capire quanto sarà difficile, se non impossibile a questo papa cambiare strutture e prassi anacronistiche e impresentabili, rimaste ferme per troppo tempo.
Prima di tutto lo stile di Carron è veramente irritante e anacronistico, una volta si diceva  gesuitico o farisaico.
Per affermare la validità delle sue tesi, che sono diametralmente opposte a quelle del papa, si lancia nella lode sperticata del dialogo aperto dal papa.
Puntualizza però immediatamente all’inizio, con una buona dose di veleno, che il papa ha parlato in quella lettera : “senza mettere in campo altra autorità, che non sia la sua personale esperienza”.
Benissimo, siccome diceva cose, che evidentemente non gli andavano a genio, allora il papa ha parlato da privato cittadino.
Comincia bene il dialogo all’interno della chiesa!
Almeno non nasconde tutto il suo trattenuto disgusto per ” i lumi della razionalità” e per l’uomo moderno “così fiero della sua autonomia , della sua ragione”.
Carron, presumendo evidentemente di essere il prefetto ombra del Sant’Uffizio, delinea severamente i termini nei quali soli, secondo lui, un papa può dialogare con un illuminista, quale Scalfari : “non sul piano del confronto dialettico ,ma nell’incontro di due esperienze umane”.
Si presume quindi che lo sesso Carron sarà stato molto disturbato quando ben 13 anni fa, l’allora vero Prefetto del Sant’Uffizio, il Card. Ratziger, passò due ore di serrato confronto dialettico con l’ateo Paolo Floris d’Arcais, in una sede ancora meno consona di un giornale e cioè al teatro Quirino di Roma, come si era ricordato nel post precedente.
E se non si può fare un confronto dialettico, che senso ha la parola dialogo?
Dopo una illustrazione del passo nel quale il papa  rispondeva a Scalfari sul tema della originalità del cristianesimo, nel quale più che commentare, Carron  riassume il testo, arriva, in un clima di  profonda foschia, qualche traccia del suo pensiero, che trae, guarda caso, dalla “Lumen fidei”, firmata Francesco, ma scritta da Benedetto, come pure si era detto nel post precedente.
Gli piace molto contrapporre la “luce della fede” ,all’”uomo che non vuole rinunciare a niente della sua ragione e della sua libertà”, quando tutta la credibilità residua della chiesa nel mondo di oggi è tutta legata proprio alla possibilità o meno di conciliare e di declinare insieme le due cose e non a contrapporle.
Compito del cristiano secondo Carron è quindi testimoniare di avere in sé quella luce, come diceva Don Giussani.
Per la verità, prima di lui la stessa cosa l’avevano detta e ripetuta per secoli tutta la schiera degli apologisti dei primi secoli, medievali eccetera, ma concediamogli la citazione di prammatica del fondatore della sua “Fraternità di CL”.
L’invito alla testimonianza è un’espressione semplicemente ovvia per chi si dice cristiano.
Il problema però non è farneticare, che i cristiani animati dalla luce, si distinguerebbero in giro per le strade, perché lavati più bianchi degli altri, come sembra ipotizzare Carron, ma piuttosto trovare le forme e la capacità di presentarsi in modo credibile e convincente agli uomini del nostro tempo.
Papa Francesco ci aveva provato nella sua lettera enunciando quattro indirizzi nuovi e in cesura coi cinquant’anni passati :
-primato della coscienza individuale;
-opzione preferenziale per i poveri;
-la verità non è assoluta nemmeno per i credenti;
-ha più rilevanza l’individuazione dell’originario messaggio storico di Gesù di Nazaret, che la montagna della teologia dogmatica;
-la fede cristiana non significa ricerca di qualsivoglia egemonia
Carron non fa un minimo accenno ad uno solo di questi punti.
Ed allora come si farà a dialogare all’interno della chiesa se uno si rifiuta addirittura di vedere quello che ha scritto o ha detto l’altro, anche se questo è addirittura il papa?
Ecco una ulteriore terribile prova che attende papa Francesco.
Nella chiesa da decenni non si dialoga affatto, non si è dialogato affatto dopo il Vaticano II.
Coperte dall’improvvida, anacronistica cultura teologica di Papa Woytila, le gerarchie hanno inteso la vita della chiesa come un movimento a senso rigorosamente unico, come accadeva nei tempi dell’Assolutismo.
Chi la pensava diversamente o era  condannato esplicitamente, senza avere la possibilità di difendersi ed esporre le proprie idee in condizioni decenti almeno fra i suoi pari, o comunque era censurato e il suo pensiero non aveva il minimo spazio nella pure ancora vasta rete dei mezzi di comunicazione cattolici, lautamente finanziati dallo stato, prima di tutto, con l’8 per mille.
Sciocco sarebbe, se chi è stato silenziato per cinquant’anni , ora che il vento in Vaticano ha completamente cambiato direzione, se ne approfittasse e ritenesse venuto il momento di continuare con gli stessi metodi barbari di prima e quindi godrebbe a vedere mettere la museruola a Carron ed amici.
E’ invece venuto il momento di dare trasparentemente la parola a tutte le correnti di pensiero all’interno della chiesa.
In questo modo, chi ora la pensa molto diversamente dal papa regnante come  Carron, essendo tutti noi usciti e da parecchio, dal medio evo, non sarebbe più tenuto a ritenersi obbligato a contraddire il papa su tutta la linea, dicendo che è completamente d’accordo.
Si impari dagli atei : Scalfari non ha  ritenuto di inventarsi di essere devoto a Padre Pio, per parlare col papa, ha detto solo quello che pensava, come si usa nel mondo moderno.
A un certo momento bisognerà fare così anche all’interno della chiesa, anche se questo sarà molto più difficile di quello che sembra.
Perché le cattive procedure, diventate abitudini consolidate, costringono anche le persone più istruite e intelligenti, come è di sicuro Don Carron, a esprimere il proprio pensiero in modo tortuoso e scorretto.
Le cose saranno veramente cambiate nella sostanza, quando vedremo i Don Carron scrivere lettere argomentate di critica all’operato o agli scritti del papa, se pure con tono di più o meno filiale correttezza.
Del resto Don Carron è sempre la stessa persona, che dopo l’elezione di papa Ratzinger, della quale si riteneva evidentemente sponsor di rilievo, aveva mandato la cambiale all’incasso e aveva scritto con arrogante sicumera al Nunzio in Italia, nel marzo 2011.
In quella lettera aveva formulanto l’elenco delle presunte eresie, nelle quali sarebbero incorsi per trent’anni i Cardinali Martini e Tettamanzi nella gestione della diocesi di Milano e aveva chiesto  l’elezione di un arcivescovo, che riportasse tutto all’indietro, cioè per lui all’ortodossia, raccomandando quindi l’elezione a Milano dell’allora Patriarca di Venezia, Angelo Scola (se ne era parlato diffusamente nel post del 28 giugno 1912,  citando i documenti riportati dal famoso libro di Gianluigi Nuzzi :”Sua Santità : le carte segrete di Benedetto XVI”).

Allora il coraggio di dire apertamente quello che pensava Don Carron lo aveva trovato, perché si sentiva coperto, ora probabilmente ha paura che sia arrivato per lui il momento della quaresima.

mercoledì 18 settembre 2013

Pregiatissimo Dr.Scalfari……firmato Francesco



Papa Bergoglio, pochi giorni fa, l’11 settembre, ha mandato una lettera al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che ovviamente ne ha fatto uno scoop, dedicandole le prime quattro pagine del suo giornale.
Si trattava di una risposta a diverse domande, che Scalfari stesso gli aveva rivolto il precedente agosto dallo stesso giornale, ovviamente, senza pensare che il nuovo papa si sarebbe preso la briga di rispondergli.
Sei mesi di pontificato sono pochissimi, eppure sono già emersi segnali inequivocabili, che fanno pensare, che con questo papa molte cose cambieranno.
Ma occupiamoci dello scambio epistolare con Eugenio Scalfari, intellettuale laico ed ateo, se pure aperto e interessato al mondo della spiritualità e della religione.
Dopo decenni di separazione radicale fra intellettuali laici e cattolici in Italia, da tempo oramai il clima è radicalmente cambiato.
Per intenderci, al tempo di Indro Montanelli, gli intellettuali laici del suo calibro, erano soliti svicolare da qualsiasi  problema teologico pensando di cavarsela con un : ma io sono laico e non penso di intromettermi in cose, che non conosco.
Il guaio era, che quelle cose non le conoscevano davvero, perché non vi avevano mai dedicato studio e interesse.
La cosa era un’ anomala tutta italiana, perché nel resto dell’occidente, era costume secolare, che gli intellettuali non credenti esprimessero il loto parere sulle cose e sulle posizioni dei cattolici, anche perché chi parlava sapeva cosa diceva, anche perché la teologia era da secoli una materia presente nelle università statali, con professori laici, che andavano in cattedra con credenziali scientifiche e senza alcuna interferenza o gradimento delle gerarchie ecclesiastiche.
Da noi non è così nemmeno adesso, non esistono facoltà di teologia nelle università  pubbliche, esistono però nelle nostre università statali parecchi studiosi laici di storia della chiesa e di esegesi biblica, che per vie traverse, come si è usi fare in Italia, hanno messo il naso nella teologia cattolica, usando i normali protocolli della ricerca scientifica e si sono create così le condizioni per un dibattito ad armi quasi pari.
Contemporaneamente,  parecchi intellettuali laici, da tempo, si sono ben preparati in materia di teologia e di storia della chiesa, anche grazie alle opere degli studiosi laici sopra citati,  e intervengono sistematicamente su questi problemi.
Dall’altra parte molti esponenti della gerarchia e dell’intellighentia cattolica hanno da tempo accettato il confronto, che prima, di fatto, rifiutavano.
Ad esempio, memorabile era stato il dibattito, ovviamente pubblico, che si era tenuto al Teatro Quirino di Roma il 21 settembre 2000 fra il Cardinale Ratzinger, allora prefetto del Sant’Uffizio e il filosofo, saggista ateo, Paolo Floris D’Arcais, moderato dall’ebreo Gad Lerner.
Non è una novità quindi il fatto che ci sia un confronto fra cattolici qualificati e laici qualificati in materia teologica.
Ma è un discorso che ancora non eccede la cerchia degli addetti ai lavori e dei lettori più avvertiti.
Purtroppo il cittadino medio, ed anche il fedele medio, sono stati abituati da sempre a confondere  la ricerca teologica con la pura propaganda religiosa.
I testi di teologia, con i terribili, così detti, “libri di pietà” , scritti per suscitare non certo estasi mistiche, ma effimeri momenti di emozione e di consolazione.
Purtroppo ancora si ragiona in termini di andare a “farsi spiegare” le scritture dal clero.
Anche quando la chiesa, dopo il Vaticano II, ha esortato i fedeli a leggere privatamente la scrittura, questa abitudine, prima scoraggiata e vietata per secoli, è ben lungi dall’ essersi diffusa fra il popolo cattolico e non.
Con questa abitudine, ancora non acquisita, c’è l’assoluto non impegno del medesimo popolo a crearsi le basi anche minime di una cultura teologico- storica.
La causa ovviamente  è il perdurare dell’anacronistica e diffusissima  mentalità, sopra ricordata, di lasciare la teologia solo ai preti, ai quali si può sempre ricorrere per “farsi spiegare” o per farsi segnalare un libro si approfondimento.
Usare la propria testa, anche in materia di religione, non è considerata ancora cosa buona e saggia.
In questo ambiente culturale, il fatto che un papa decidesse di mostrare di scendere dal trono sacrale, sul quale è ancora visto seduto,  da una buona parte del popolo cattolico, per dialogare con un ateo e per di più su un normale giornale laico, di qualità, ma abbastanza schierato dalla parte sinistra, è un fatto nuovo di evidente rilevanza.
Anzi il salto, la cesura col passato è tanto forte, che, diciamo fra i più “semplici” fra i fedeli, lo stile di questo papa sta creando sconcerto e dubbi.
Per molti non è così che si comporta un papa.
Dopo avere invocato invano per  decenni l’avvento in Vaticano di una linea di rinnovamento, non ci siamo resi conto che decenni di propaganda religiosa e di indottrinamento a senso unico tradizionalista hanno plasmato lo  scarso popolo rimasto in profondità,  in modo da renderlo ostile a un vero cambiamento.
La vita sarà probabilmente dura per papa Bergoglio e forse più in casa sua che fuori.
Per sua fortuna, il papa guarda al  modo e non all’Italia.
Nella lettera a Scalfari il papa ha parlato di diversi argomenti.
La parte di maggior peso del discorso è stata questa che merita di essere riportata per intero :
“ La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza.
Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza.
Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito
come bene o come male.
E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.
Il che significa, che non è necessario essere cristiani per entrare nel regno di dio, ma è sufficiente seguire i dettami di una coscienza retta e consapevole.
E’ il discorso del “primato della coscienza”, che era emerso prepotentemente al Vaticano II e che sembrava avesse potuto essere messo alla base, tra l’altro, di una nuova e rinnovata etica sessuale, se l’improvvida “ Humanae Vitae” di un tardo e irriconoscibile Paolo VI, non avesse bloccato tutto, (ma su questo argomento si è parlato diffusamente nel post del 21 agosto scorso ed a quello rimando il lettore interessato).
E’ un discorso che avrebbe grandi ripercussioni in materia di bioetica , di diritti civili e nei rapporti chiesa – stato.
E’ un discorso, che se sviluppato, impatterebbe frontalmente con l’assetto attuale e secolare della istituzione chiesa, perché metterebbe in discussione la funzione stessa del prete.
Si vedrà.
Secondo punto di peso molto rilevante quello su Verità- relativismo - pluralismo.
Riporto anche qui  il testo così com’è :
“Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che
assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione.
Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo.
Dunque, la verità è una relazione!
Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc.
Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro.
Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita…..in altri termini la verità essendo tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa”.
In altre parole i cristiani non possono pretendere di possedere per rivelazione una verità completa e definitiva, data una volta per tutte, ma ne devono acquisire in una vita quella parte che riescono, se si danno da fare per ricercarla.
Questo è un discorso delicatissimo  per la teologia cattolica perché si scontra con una pretesa bimillenaria di rivelazione unica e definitiva fatta direttamente da dio a un popolo eletto.
Per farla breve, se interpretata ed espressa in modo tradizionale e ortodosso, questa affermazione dogmatica non lascerebbe alcuno spazio ad alcuna delle idee di modernità espresse dall’illuminismo e di conseguenza il dialogo chiesa -mondo moderno, sarebbe portato avanti da una posizione di  sostanziale malafede.
Perché se una parte crede di possedere la verità intera e definitiva, non ha senso che dialoghi, il suo atteggiamento non può che essere che quello, del resto portato avanti nei secoli dalla chiesa , diretto alla pura e semplice conversione di chi la pensasse diversamente.
La formulazione espressa da papa Francesco, come sopra riportata se pure non chiarissima, ha comunque delle espressioni nette come “io non parlerei nemmeno per chi crede di verità assolute”.
Ancora si tratta di un discorso fondamentale, che era risuonato per mesi nel Concilio Vaticano II e sta alla base di qualunque sviluppo dei termini : dialogo, pluralismo, tolleranza.
Va benissimo, ma saremo costretti a renderci conto da qui in avanti che i cinquant’anni trascorsi impiegati per demolire sistematicamente i risultati e lo spirito di quel Concilio, hanno indottrinato il popolo cristiano, facendogli acquisire nozioni, che ora il papa contesta.
Sarà dura portare avanti questi discorsi all’interno della chiesa soprattutto italiana.
Terzo punto di notevole rilevanza.
Il papa ha trattato il tema della singolarità del cristianesimo ,che rispetto agli altri due monoteismi, non mette l’accento sull’assolutismo della figura di dio, ma sulla sua incarnazione.
“la singolarità di Gesù è per la comunicazione non per l’esclusione”
“per chi vive la fede cristiana ciò (cioè la fede cristiana stessa) non significa fuga dal mondo o ricerca di  qualsiasi egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini a partire dalla periferia della storia…”.
E siamo quindi arrivati alla riaffermazione della  “ scelta privilegiata per i poveri”, terzo tema e ancora, terzo elemento fondamentale trattato al concilio Vaticano II.
Un quarto punto è dedicato ai rapporti con gli ebrei e anche qui regolarmente riappare l’affermazione degli ebrei come  “fratelli maggiori”, emersa per la prima volta al Vaticano II.
Un quinto punto, dedicato indirettamente al rapporto fra cristianesimo e scienza.
Mi  è sembrato forse l’unica risposta, nella quale si ravvisa il ricorso ad argomentazioni deboli , che così come enunciate si trovano obiettivamente  in netto contrasto con i dati della scienza moderna e che quindi si spera che vengano ripresi successivamente da questo papa con maggiore ponderazione.
La domanda di Scalfari era terribile per una religione tutta basata sull’al di là ed era sostanzialmente questa : la dignità della persona umana è basata sulla facoltà dell’ essere umano di essere   l’unica creatura sulla terra capace di esprimere un pensiero cosciente.
Però il pensiero è prodotto dal cervello e di conseguenza , finito il cervello con la morte individuale e ad un certo momento con l’estinzione del genere umano, finirà anche la possibilità di concepire dio col pensiero e l’idea stessa di dio finirà.
La risposta del papa è quella tradizionale ed è tutt’altro che convincente.
Il papa dice ,io credo che dio non sia un’idea, se pure elevatissima ma una realtà.
Su che cosa basa questa affermazione ? Il papa dice che l’affermazione è basata sulla sua esperienza e sulla rivelazione.
Ora l’esperienza è un fatto soggettivo e quindi non può dimostrare niente e la rivelazione è un dato di fede, cioè è un voler credere in una determinata mitologia indimostrabile e quindi dimostra e spiega ancora meno.
D’altra parte le moderne neuroscienze stanno approfondendo ogni giorno di più un discorso nuovo e di enorme interesse sulle funzioni e sul ruolo della nostra mente, ma, allo stato, portano a concludere, che finito il funzionamento del cervello finisce anche il pensiero e la coscienza.
Ci sono spiragli per futuri sviluppi, veramente da fantascienza, che potrebbero arrivare a ipotizzare il persiste del pensiero in una sede esterna al cervello deperito con la morte, ma al momento le cose stanno come detto sopra e quindi è a questo che è sensato riferirsi.
Su questo argomento purtroppo la chiesa è ancora in imbarazzo e balbettante.
Purtroppo anche le correnti teologiche più innovative, non hanno risposte diverse o proposte di nuove strade da battere per giungere a delle risposte più adeguate.
Eppure il tema è assolutamente cruciale.
Certo che una chiesa che ha elaborato con sicumera per due millenni una montagna di definizioni dogmatiche, anche nelle questioni più minute, nell’illusione di essere nella posizione di chi sa tutto e che quindi su tutto può esternare la propria verità, si trova in grandissima difficoltà quando la scienza contraddice in modo radicale qualcuno dei suoi presupposti dogmatici.
Forse la risposta più sensata su questi argomenti è quella fornita da sempre dalle tradizioni orientali, induista e buddista che affermano, senza paura di essere sminuite nella loro credibilit, che la loro religione non è in grado di darle quelle risposte.
Il papa potrebbe anche su questi argomenti fare una scelta di maggiore umiltà, come l’ha fatta su tutti gli altri temi sopra elencati.
Molti sarebbero sconcertati e delusi, ma la verità alla gente a un certo momento bisognerà dirla comunque.
La verità vera è solo quella scientifica.
Si parta da quella e su quella si innesti il discorso religioso, dicendo umilmente non so, quando realmente non si sa.
Nel mondo moderno non si può più pensare di indicare agli uomini secolarizzati le narrazioni della propria mitologi religiosa come se fossero queste la risposta ai problemi dell’umanità.
Le tradizioni e le mitologie religiose sono di fatto, in realtà ,della metafore, delle intuizioni spesso profonde e utili ,sulle quali lavorare per trovare risposte, ma non sono loro le risposte.
Questa è la via, che probabilmente prenderà la chiesa in futuro, se vorrà sopravvivere, anche se c’è già oggi, chi, vedendo le difficoltà che questo papa deve superare, dice che non ci sarà mai un Francesco II.
In conclusione questa storica lettera di Francesco I è stata  un bell’inizio di discorso e di dialogo col mondo moderno.
Scalfari non ne aveva fatto cenno esplicitamente, e il papa quindi non ne ha parlato esplicitamente, ma in futuro sarà interessante  vedere se questo papa saprà impostare un dialogo rinnovato a proposito  questi ulteriori elementi fondamentalissimi per il mondo moderno :
- come si pone la chiesa di fronte ai dati della scienza moderna, che hanno rivoluzionato alla base la credibilità della cosmologia seguita finora dalla chiesa stessa ?;
- come si pone la chiesa nei confronti della filosofia?
Continuerà con Tommaso a considerarla anacronisticamente “ancella della teologia” o la considererà almeno alla pari?
- come si pone la chiesa nei confronti delle altre tradizioni culturali e religiose non cattoliche e soprattutto con quelle asiatiche, che sono fondate su universi culturali del tutto diversi, rispetto a quelli dell’occidente, ma non meno utili per guadagnare ulteriori “pezzi di verità”?
Concluso il commento alla parte più significativa della lettera di papa Francesco, consentitemi una annotazione più “leggera”.
Forse Scalfari, intellettuale ateo interessato alle cose cattoliche ma probabilmente non  abbastanza navigato fra i complicati meandri della teologia cattolica non aveva gli elementi per poterlo apprezzare, ma, all’inizio della lettera il papa gli ha consegnato un esempio insigne di sottile dialettica gesuitica.
Scalfari, penso appunto per la sua non completa padronanza dell’universo cattolico, aveva citato in una delle sue domande rivolte a papa Bergoglio ,l’enciclica “Lumen fidei”,che il papa medesimo aveva firmato insieme al suo predecessore, senza rendersi del tutto conto che  co-firmare quella enciclica è stata da parte di papa Bergoglio una pura espressione di cortesia e di finezza di spirito verso il suo anziano predecessore, ma niente di più, in quanto la consistenza dottrinale della stessa è modesta.
Ma soprattutto la firma aggiunta dall’attuale pontefice è stata quello che si direbbe un “atto formale  dovuto” per poterla rendere  pubblica, dato che le encicliche le scrivono solo i papi in carica e papa Bergoglio non voleva togliere al suo predecessore, intellettuale di professione, la soddisfazione di vedere pubblicata la sua ultima fatica intellettuale.
Di conseguenza, diverse affermazioni, ivi contenute, sono in palese contrasto con le vedute teologiche, che abbiamo appreso in questi primi sei mesi di pontificato, sono propri dell’attuale papa.
Però essendoci stata la citazione da parte di Scalfari, nella risposta del papa c’è una inevitabile  lode ai contenuti di quell’enciclica, non disgiunta però dalla annotazione di passaggio, che la maggior parte del contenuto è attribuibile solo a papa Ratzinger.
Ma il bello viene dopo, quando papa Francesco entra nel merito.
Riporto il brano :” Essa (l’enciclica) , infatti, nell’intenzione del mio amato Predecessore,
Benedetto XVI, che l’ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale,
con gratitudine, l’ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in
Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un
dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce «un non credente da
molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth».
Ora, nella teologia cattolica, “Gesù Cristo” è una cosa e “Gesù di Nazaret” è tutt’altra cosa.
I normali fedeli non lo sanno nemmeno, ma peggio per loro se non si istruiscono.
In poche e inevitabilmente semplicistiche parole : le correnti teologiche tradizionalistiche (compreso papa Ratzinger) si riferiscono a Gesù Cristo e non a Gesù di Nazaret, perché il concetto di “Cristo” non è legato al Gesù storico, ma al Gesù ,così detto, “della fede”.
Cioè è una costruzione filosofico-teologica complessa attribuibile a Paolo, Giovanni e poi ad Agostino, ed è quindi  qualcosa di costruito dopo e sopra al messaggio storico originale di Gesù.
Le correnti teologiche progressiste, si riferiscono invece, principalmente a Gesù di Nazaret, cioè al Gesù storico, che ha vissuto in Palestina , a quello che ha detto e ha fatto, operando un complesso lavoro di esegesi storica sui testi dei Vangeli, per valutarne la fedeltà e la autenticità.
Carlo Maria Martini, ad esempio, aveva dedicato la sua vita di studioso esattamente a questo lavoro. Queste correnti teologiche  valutano quindi di importanza secondaria l’enorme costruzione dogmatica, che la chiesa istituzione ci ha costruito sopra nei secoli, andando a volte per direzioni diverse o addirittura contrarie ,rispetto a quel del messaggio originario e storico di Gesù di Nazareth.
Ebbene, in quel brano sopra citato, papa Bergoglio, si diceva con  raffinata dialettica gesuitica, volta disinvoltamente la frittata, e  cioè  parte dal Gesù Cristo dell’enciclica di Ratzinger, per arrivare a tradurlo in Gesù di Nazareth e così presentarlo a Scalfari e  mette la sua firma a questo Gesù di Nazaret nel brano immediatamente successivo :
“Mi pare dunque sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente, ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù”.
Si noti “alla predicazione ed alla figura di Gesù”, si parla quindi chiaramente del Gesù storico, non di quello costruito poi dalla teologia dogmatica.
D’accordo che la sottigliezza di queste questioni è purtroppo rilevabile solo dagli iniziati, ma la scelta di campo del nuovo papa, anche in queste cose risulta evidente.
Si tratta di sottigliezze solo sul piano teorico, che però nella realtà hanno conseguenze  di grandissimo peso, anche nella storia concreta.
Del resto non è stata la disputa,  ben più di lana caprina,  sul mettere o togliere nella dichiarazione del  Credo quell’apparentemente insignificante parolina  “filioque” ,che si consumò lo scisma d’Oriente nel 1054?
E quello è stato solo il primo.







venerdì 13 settembre 2013

La lettera pastorale di Scola. Qualche inaspettata apertura c'è. Ma nelle terapie indicate non c'è proprio nulla di nuovo.





Il cardinale arcivescovo di Milano si fa perfino apprezzare per lo sforzo visibile che fa di cercare di affrontare i tempi nuovi.
Difficile però che riesca a mettersi a correre, se non riesce a sbarazzarsi delle palle al piede che ci si trova legate.
Per esempio la cultura teologica, che ha acquisito da adolescente e da prete in Cl, non gli è certo d'aiuto ed è terribilmente difficile sbarazzarsi della propria formazione culturale quando questa è sbagliata, perché si teme di tagliare le proprie radici, alle quali si è affezionati.
Pochi ci riescono.
È molto più facile scaricare come ha fatto, vecchi amici come Formigoni ,che sono diventati nel frattempo impresentabili.
La sua lettera pastorale, uscita in questi giorni è comunque interessante, perché testimonia uno sforzo di cambiamento e che questo sforzo è percepito come indispensabile.
Positiva è la parte che si potrebbe dire dedicata alla diagnosi.
E infatti i giornali si sono buttati a capofitto nel riportare quella parte, che, maliziosamente potremmo dire, è la prima, facendoci quindi dubitare, che quei giornalisti abbiano letto tutto il resto della pastorale.
In queste diagnosi, si diceva, c'è finalmente il riconoscimento esplicito del fatto che la crisi della chiesa ambrosiana è molto pesante.
Per descrivere questa crisi Scola ha usato il termine immaginifico di "ateismo anonimo", diffuso anche fra i cristiani  abituali frequentatori delle messe domenicali.
Non è però riportata alcuna citazione che documenti di dati delle analisi sociologiche in proposito, forse perché il riportarli  sarebbe stato eccessivamente scoraggiante per il grande pubblico  (partecipazione alle messe, matrimoni civili, unioni di fatto, l'adesione all'ora di religione, svuotamento dei seminari eccetera).
Ma il termine usato "ateismo anonimo" per di più  riferito anche a gran parte dei cristiani residuali ,abituali frequentatori della messa domenicale è di per sé scioccante e perfino impietosa.
C'è poi una puntualizzazione importante, l'allontanamento si è verificato soprattutto nella fascia di età più produttiva ,quella fra i 24 e i 50 anni di età.
Un po' sbrigativa ,ma abbastanza indicativa ,la spiegazione di questo termine "ateismo anonimo",  in base alla quale si va a messa e si crede in un Dio, ma quale Dio ?, un Dio dell'aldilà, utile per chi ritiene di crederci a risolvere il problema esistenziale dell'angoscia della morte e del senso della vita.
Nell' al di qua invece Dio non c'è, la gente non lo sente più come entità necessaria per orientare la vita nell'al di qua.
E quindi nella realtà di tutti i giorni la gente si muove come se Dio non ci fosse.
La sostanza del problema è così abbastanza centrata.
La diagnosi quindi è abbastanza buona, ma è terribilmente tardiva, perché non è altro che l'enunciazione di quella secolarizzazione ,definita nei dettagli ,come tutti sanno, dal teologo filosofo statunitense  nella sua opera "The secular City"  del 1965.
Da allora sono passati cinquant'anni, è un po' tardi per accorgersene e parlarne ora.
Purtroppo però, dopo aver dato quella  frustata dell'ateismo anonimo, che fa mettere i piedi per terra, Scola indulgere a considerazioni consolatorie di ben poco peso.
Il cattolicesimo Ambrosiano sarebbe ancora ,secondo lui, un cattolicesimo popolare, cioè diffuso e cita a dimostrazione la partecipazione ai Grest, cioè agli oratori estivi, cita un alto numero ancora di battezzati, e cita infine l'oltre il 70% di europei, che si dicono cattolici,
Quest'ultimo dato però costituisce una vera e propria manipolazione statistica,e quindi  una autentica scorrettezza, che una persona di quella levatura, avrebbe dovuto evitare.
Perché tutti sanno, che le analisi demoscopiche formulano la domanda sulla religione di appartenenza, intendendola nel senso di inquadramento in tradizioni culturali, etniche, geografiche e cioè che uno si dice cattolico nel senso di non musulmano, di non buddista, di non indù, ma non nel senso di credente nei dogmi cattolici o di fedele praticante.
Scola sa benissimo che nella sua metropoli quel dato va retrocesso dal 70% al 5%, dato che, peraltro, si ritrova scritto nero su bianco in diversi documenti della sua stessa curia, e tanto valeva allora dirlo apertamente, invece che nascondersi dietro al "latinorum" dell'ateismo anonimo.
Purtroppo ancora,  il sito Web della diocesi di Milano riporta un pessimo riassunto della lettera che fra parentesi è acquisibile in versione integrale solo a pagamento, e questo non è usuale e non è certamente bello.
Questo riassunto, semplicemente cancella incredibilmente tutte le parti di critica, di diagnosi,  proprio quelle parti che sono finite nei titoloni di tutta la stampa e questo rende ancora più ridicolo e maldestro questo tentativo di censura.
Abbiamo detto, tardiva ,se non fuori tempo massimo la diagnosi, che però finalmente è stata espressa, seppure ingenuamente edulcorata.
Però tutte le debolezze del documento si manifestano quando vengono proposte delle terapie.
Anche qui è apprezzabile qualche tentativo di autocritica e di novità.
Ci sono cioè alcuni spunti di critica alla linea della passata gestione pluridecennale della Chiesa italiana Ruini bertone Cgil.
Ci sono questi spunti sugli errori passati.
Ma non ci sono affatto i riferimenti ai loro autori ,cosa che forse sarebbe stato chiedere troppo.
Gli autori bisogna intuirli e dedurli.
Gli addetti ai lavori capiscono benissimo lo stesso, ma tutti gli altri non capiscono proprio, e questo è pur sempre un limite di perdurante farisaismo.
"Non dobbiamo costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani".
L'allusione è evidentemente diretta al mondo di CL, teniamo conto però, che lo stesso Scola è cresciuto e ha fatto carriera in questo mondo, .... Equindi, un cenno di onesta autocritica non avrebbe fatto male.
"Occorre testimoniare la coerenza del singolo con alcuni comportamenti ,ma questo "dare l'esempio" non basta ,occorre anche poter comunicare di essere diventati un'altra persona ... il testimone fa spazio all'interlocutore, non è un ripetitore di dottrine cristallizzate.
I cristiani non cercano la vittoria della propria parte, al di là degli errori commessi lungo la storia".
C'è poi qualche accenno, che sembra parlare del berlusconismo, ma anche qui per vaga allusione.
"Si ha l'impressione che il moltiplicarsi delle opportunità di divertimento invece che ricaricare l'io finisce per esaurirlo"
"Si eviti di cedere alle logiche commerciali ed efficientistiche".
Va bene certo, ma anche qui, un piccolo accenno autocritico all'appoggio dato scopertamente anche da Scola a quel berlusconismo, che è stato per decenni il grande sacerdote di modi di vita basati sull'apparire e sull'evasione, come principali obiettivi di vita non avrebbe guastato.
In conclusione, quindi, c'è qualche riconoscimento della serietà della crisi della Chiesa nel tempo presente, c'è qualche accenno di diagnosi azzeccata sugli errori commessi fino a ieri dalla Chiesa italiana.
Ma si tratta di riconoscimenti parziali, tardivi e probabilmente fuori tempo massimo.
Prova ne è che la terapia proposta è vecchia e inefficace.
In poche parole come terapia, il Cardinale propone ai cristiani della diocesi di riscoprire quella "chiesa in stato di missione"  e quella "pastorale d'ambiente", che assomiglia moltissimo alla "missione di Milano"  lanciata dall'allora arcivescovo Montini molti decenni fa e che fu molto utile per mobilitare i quadri, allora come oggi, sonnecchianti del mondo cattolico, ma che fu universalmente considerata un fiasco assoluto, come sforzo per convincere la gente ad avvicinarsi al cristianesimo.
Andare nei posti di lavoro e lì manifestarsi come cristiani e riconoscersi con gli altri cristiani.
Ma non si era detto che i cristiani non devono fare setta a parte?.
Se queste sono le terapie...
Un giornale ha maliziosamente titolato all'uscita della pastorale : la gente lascia Scola, non la chiesa.

Temo che abbia avuto ragione.

venerdì 6 settembre 2013

Dare una lezione ad Assad è un rischio grave, ma stare a vedere senza far nulla è eticamente inaccettabile





Devo confessare  che sono stato molto colpito dal vedere tutti quei filmati, che le televisioni satellitari ci hanno mostrato, per documentare le imprese della resistenza al regime di Assad in  Siria.
Tutti quei guerrieri barbuti, armati fino ai denti e con la fascia della Jihad a cingere la fronte, che dopo avere concluso una impresa in modo positivo o negativo, ripetono in modo insensato, per decine di volte e senza stancarsi la stessa frase : Allah akbar!, Allah akbar!  e sembrano obiettivamente dei drogati un po’ per l’orgasmo adrenalinico, conseguente ad una sanguinosa azione militare, un po’ a seguito del loro esasperato fanatismo religioso.
Colpisce il fatto che la stessa cosa la facciano quando sono stati bombardati, nel qual caso è difficile capire la ragione per la quale ringraziano dio, ma lo fanno.
Non è obiettivamente un bello spettacolo e inducono lo spettatore a non nutrire troppa simpatia per loro.
Sembra di tornare ai tempi dei crociati, quando predicatori fanatici, ma evidentemente efficaci, come  Pietro l’Eremita riuscivano a fanatizzare delle folle e spingerle al massacro.
Come dicevo, confesso che la prima reazione che ho avuto dopo aver visto per mesi questi i filmati è stata la tentazione di dare una risposta, di come si dice volgarmente, ma efficacemente, “di pancia”. Ma se questa è la resistenza ad Assad, mi è venuto da pensare, tanto vale tenersi Assad ,che  sarà, anzi è un tiranno, che ne fa di tutti i colori ,però se questi suoi oppositori andassero al potere  al suo posto, non sarebbero sicuramente meno sanguinari di lui ,né meno ferocemente nemici dell'Occidente.
Anzi probabilmente lo sarebbero di più e quindi da un punto di vista strategico -geopolitico noi saremmo più in pericolo di prima.
Questa sopra esposta, in termini terra- terra, è la cosiddetta linea della “real politique”.
Temo che questa sia  la linea di pensiero, che viene più spontanea alla mente, e infatti è quella più condivisa.
Questa linea spontanea è stata in questi giorni enormemente rafforzata dalla decisa presa di posizione dell'attuale pontefice, il quale senza mezzi termini ha chiamato il popolo cristiano a una posizione di difesa assoluta della pace e quindi ha assunto una linea di contrarietà intransigente a qualsiasi tipo di intervento armato.
La grande stampa nei suoi editoriali ha così trovato una ragione in più per sposare questa linea.
Oltre agli editorialisti, gli esperti di strategia militare hanno messo in evidenza l'estrema difficoltà di trovare la prova, che fosse il regime di Assad, l'autore dell'uso delle armi chimiche.
Posizione questa ,magari tecnicamente ineccepibile, ma inevitabilmente un po' populista, nel senso che la gente non può non avere in mente il segretario di Stato di W.Bush che all'Onu reggeva in mano la fialetta, che avrebbe dovuto contenere quelle sostanze chimiche di distruzione di massa, che si accusava Saddam di possedere e di fabbricare.
Allora l'America e l'Inghilterra, per giustificare l’invasione dell’Iraq , avevano fatto una indegna operazione di teatro portando in guerra i loro due paesi, dopo essersi fabbricate delle prove, che assolutamente non c'erano, tant'è che quando l’Iraq è stato invaso, l'esercito americano è stato molto sorpreso di non trovare assolutamente nulla, né gli impianti, né i depositi di armi di distruzione di massa, che avrebbero dovuto essere invece la motivazione per la loro entrata in guerra.
E purtroppo il fare del teatro, cioè mettere in scena con estremo cinismo e gusto dell'orrore le situazioni più terribili per demonizzare l’avversario, non è stato un modo di agire solo di alcuni governi dell'Occidente, ma è stato sfruttato ampiamente del tiranno Saddam, che come è noto, faceva raccogliere cadaveri ridotti nelle condizioni più orribili negli obitori , li faceva depositare in una luogo qualunque e poi invitava le troupe televisive del mondo a filmare il tutto ,addebitando l'orrore naturalmente agli invasori americani e alleati.
Questo per dire, che le scene, di per sé orribili ,dei bambini uccisi ,probabilmente effettivamente dalle armi chimiche di Assad, che ci sono state propinate in questi giorni, ci lasciano non meno indignati, ma ci lasciano comunque anche un certo margine di sospetto, perché ormai siamo stati abituati a vedere di tutto, scene falsificate e fabbricate dalla propaganda comprese.
L’argomento più forte sostenuto dai fautori del non intervento è quello che invita a riflettere  sugli  enormi pericoli, che rischierebbe il mondo, nel caso di una guerra in Medio Oriente, per una serie di ragioni assolutamente evidenti e cioè ,prima di tutto, che una ulteriore destabilizzazione del regime di Assad, provocherebbe una situazione di caos, nella quali le armi chimiche da lui possedute, potrebbero essere prese dalle milizie islamiche e usate in qualsiasi altro posto, comprese le nostre città.
Questa ipotesi è purtroppo verosimile e probabile, perché è noto che la Siria, al momento, è il paese che dispone del più grande arsenale in tonnellate di sostanze chimiche letali, pronte per essere infilate in missili o proiettili d'aereo, per essere usate prontamente.
Gli esperti di cose militari ci hanno spiegato che è escluso che i raid aerei americani possono essere diretti contro i depositi di armi chimiche, perché  provocherebbero immediatamente la diffusione incontrollabile di queste pestilenze.
Un altro argomento a favore del non intervento è quello legato a considerazioni di equilibrio geopolitico.
Si sa infatti che  i rapporti degli americani con la Russia e con la Cina ,  in questo momento, sono al punto di maggiore frizione, che si sia mai verificata in questi ultimi tempi.
Noi in Europa, ce ne rendiamo poco conto, ma basta occuparsi di cose americane per rendersi conto che questa amministrazione di Obama, ha un atteggiamento di ostilità quasi patologica nei confronti della Cina.
Perché l'uomo è razionale, ma è anche spesso indifeso nei confronti delle reazioni emotive.
E per gli americani, la sensazione di non essere più la prima potenza mondiale e che invece la Cina sia destinata a soppiantare il loro ruolo storico, ormai in breve  tempo, li porta a reagire pericolosamente e irrazionalmente spingendoli a cercare di costruire una impossibile grande muraglia politica di contenimento intorno alle Cina.
Ma è insensato pensare che gli orologi dalla storia si possono mettere a girare all'incontrario.
Le dimensioni della Cina e dell’Asia, sono tali per cui è giocoforza che gli americani facciano quello che hanno fatto a suoi tempo saggiamente gli inglesi, quando si sono rassegnati a perdere l'impero britannico.
L'America è destinata a perdere la sua posizione imperiale e bisogna che se ne faccia una ragione, senza mostrare isterismi.
Ha giocato a lungo la parte dello sceriffo del mondo, ma oggi rifare questo è sempre meno possibile.
E poi a favore della linea del non intervento, c’è la considerazione realistica di cosa accadrebbe subito dopo un attacco aereo americano.
Assad giocherebbe quasi sicuramente la carta della ritorsione su Israele, paese tra l’altro, con il quale non ha mai firmato un trattato di pace.
Ritorsione ,che potrebbe concretarsi in un attacco da parte di  Assad, con lanci di missili su Israele, direttamente dalla Siria e anche dal Libano, per interposta persona, da parte degli Hezbollah, le milizie, che controllano tutto il Sud Libano, foraggiate e armate da Siria ed Iran.
Questo è l'aspetto sicuramente più delicato e più pericoloso perché l'Occidente, dopo la Shoah, ha un atteggiamento nei riguardi di Israele volto a coprirsi gli occhi ,quando i governanti di Israele vanno fuori misura e difendono quel paese ,a prescindere, cioè, qualsiasi cosa faccia o subisca, per evitare il rischio di una seconda Shoa.
Non bisogna, poi,trascurare il fatto, che purtroppo Israele  è da tempo governata da una coalizione di destra, alla quale partecipa in posizione di forza il partito dei coloni e  i partiti religiosi e quindi un attacco alla Siria rischierebbe non solo la reazione da parte di Assad, che a un certo momento non avrebbe più nulla da perdere, ma rischierebbe anche di convincere Netanyahu ,che non è affatto un moderato, di cogliere l'occasione tanto attesa, per togliersi tutti sassolini dalle scarpe contro la Siria ,contro il Libano e gli Hezbollah, ma soprattutto contro l’Iran e i suoi impianti nucleari.
Lo scenario quindi potrebbe in poche mosse diventare  catastrofico a livello geopolitico, perché l'Iran , sfruttando  la sua posizione geografica , avrebbe la possibilità di chiudere lo stretto di Hormuz, il che significa chiudere il rubinetto del petrolio per l'Occidente e per il mondo.
Quel mondo, che è in crisi economica dal 2008 e comincia a intravedere segni di ripresa solo in questo momento , ma che, di fronte a alla chiusura del rubinetto del  petrolio ,si ritroverebbe in una crisi ancora più nera, con conseguenze devastanti.
Se si guardano le cose tenendo conto di tutte queste considerazioni ,che sono appoggiate su dati di fatto e non da elucubrazioni ideologiche, la tesi  del non intervento sembrerebbe quella assolutamente più sensata e più da appoggiare.
Fa riflettere però, che questa tesi sia sostenuta nel modo più  convinto e deciso dall'estrema destra di tutto il mondo.
Sarah Palin ,ex candidata alla presidenza americana e governatrice di estrema destra dell’Alaska, ha immediatamente dichiarato : ma che si scannino fra di loro e se la veda Allah, a noi che importa?
Altra leader dell'estrema destra , questa volta europea, che condivide queste stesse idee, Marine Lepen,  leader del Fronte Nationale francese, ha ribadito la sua linea di assoluta non ingerenza e nei comizi la linea razzista del lasciare che gli arabi si scambiano fra di loro è quella che va per la maggiore, come era facilmente prevedibile.
Gli intellettuali impegnati più o meno di sinistra, che cercano di fare il loro mestiere ,che è sempre stato quello di cercare di orientare l'opinione pubblica, appoggiandosi su degli argomenti razionali e non di propaganda preconcetta, guarda caso, sono tutti schierati invece dalla parte opposta.
Le ragioni di questa parte opposta , cioè a favore di un intervento, sono queste.
La crisi siriana dura all'incirca da due anni e mezzo ed è assolutamente inconfutabile il fatto che l'Occidente, in questo periodo lungo, non abbia fatto assolutamente nulla e anzi abbia lasciato che la guerra civile in Siria producesse il numero attualmente già enorme di due 2 milioni di profughi, riversati in Giordania e Turchia.
La Siria stessa è attualmente un paese in condizioni tali di distruzione, da rendere assolutamente impensabile la possibilità che  possa tornare alla situazioni precedente.
Cioè oggi la Siria in pratica non c’è più.
Non esiste più come paese unitario e tanto meno moderno.
Gran parte delle sue città  sono distrutte, così come sono distrutte le infrastrutture di base.
E’ distrutto il tessuto sociale.
E’ distrutto l'avvenire, nel senso che non si può più andare a scuola, perché gran parte degli edifici scolastici  non ci sono proprio più materialmente e lo stesso dicasi per gran parte degli insegnanti.
Di fronte all'assoluta inerzia dell'Occidente, il dittatore ha pensato di poter fare tutto quello che voleva, perché così era nella logica delle cose se nessuno osava stopparlo.
Stoppare prima di ricorrere alle armi, vuol dire usare i vari milioni di tonalità di grigio disponibili nelle varie opzioni, ma  non è stato fatto assolutamente nulla.
Questo atteggiamento dell’Occidente è stato didatticamente disastroso, perché ha fatto in modo che la resistenza  ad Assad, che inizialmente era costituite da persone di una delle classi media più istruite ed evolute del Medio Oriente, e che erano sostanzialmente amiche dell'Occidente, si è persa d'animo e ha dovuto lasciare la leadership del campo ai tagliagole islamisti, pervenuti  da tutti gli scenari di guerra del mondo.
D'altra parte Assad si è convinto che se nessuno interveniva, voleva dire che lui aveva semaforo verde.
Il discorso sintetizzato da Obama ,con lo slogan della “linea rossa” da non lasciare sorpassare impunemente, non è un’ingenuità da idealista, ma sta a significare che l'Occidente per non contraddire sé stesso non può non imporsi ad un certo punto di feramare la barbarie.
Perché l’Occidente è quello che è storicamente, cioè
- il depositario dei valori liberali nel senso dei diritti umani ,
- l’ erede del lascito culturale dell'Illuminismo e della rivoluzione francese e della conseguente modernità;
- il custode degli ideali a base degli scopi di guerra, che erano che erano stati elencati dagli  Alleati come motivazioni  per entrare nella seconda guerra mondiale e sconfiggere la barbarie nazi-fascista.
L’Occidente non può contraddire sé stesso lasciando che qualsiasi tiranno si avviti in un'escalation di orrore , scendendo tutte le volte di un gradino verso una forma di barbarie più cupa.
Un atteggiamento di questo tipo sarebbe il disconoscimento impossibile dei valori sui quali si regge l'Occidente, compresi i valori cristiani, in base ai quali non è possibile assistere alla barbarie e reagire solamente con delle buone parole, perché questo atteggiamento crea un'escalation di barbarie.
Di conseguenza il discorso : dobbiamo dare una lezione al dittatore, che mette in atto delle azioni sempre più barbare è un discorso che richiede di essere preso con la massima attenzione.
Purtroppo non esiste un governo mondiale e soprattutto non esiste una forza militare o di polizia mondiale, che serva a rendere effettive delle sanzioni contro i comportamenti barbari, ma questo non significa però che si debbano chiudere gli occhi .
In base a queste considerazioni  la posizione degli interventisti appare  quella più appoggiata da ragioni ideali e da argomenti razionali:
Il problema che inquieta, però ,non è tanto il fatto dell’intervento in sé, quanto  la sensazione, che tutt’ora hanno dato i paesi chi si fanno battistrada a favore dell'intervento e per la punizione di Assad, e cioè che siano animati dalle giuste intenzioni, ma che non siano tutt’ora in grado di spiegare alla gente, come è obbligo fare in democrazia, quali siano i suoi scopi né immediati ,né a lungo periodo .
Cioè appare abbastanza insensato dire : andiamo a dare  una lezione ad Assad ,ma il nostro scopo non è quello di abbattere il regime di Assad.
Con tutta probabilità gli americani e i francesi dicono questa cosa, che è una pura e semplice sciocchezza, solamente per ragioni diplomatiche, cioè per non arrivare immediatamente a uno scontro frontale da guerra fredda con la Russia  e   i cinesi.
Però resta il fatto che sia indispensabile per avere il consenso della gente di essere  in grado di dire   chi o cosa si pensa di mettere al posto di Assad.
Siamo abituati, in situazioni del genere, a vedere spuntare almeno una parvenza di governo provvisorio all'estero o di esponenti di spicco della opposizione, che siano in grado di presentare il loro programma per il futuro del loro paese.
Nel caso specifico, purtroppo però, la maggiore debolezza dell'opposizione ad Assad consiste proprio in questo, che la posizione di forza fra gli oppositori sia quella degli islamisti, abbondantemente armati e foraggiati dal punto di vista finanziario dall'Arabia Saudita ,dal Qatar e in parte anche dalla Turchia, cioè da tutto il fronte sunnita, schierato contro il fronte sciita.
In questa situazione diventa allora indispensabile sì stoppare Assad,ma contemporaneamente fare di tutto per trovare un marchingegno per costringere i suoi oppositori a mettersi in fila e farsi vedere.
Li dobbiamo conoscere e dobbiamo costringere chi sta loro dietro a prendersi le loro responsabilità.
In questa ottica la posizione apparentemente coerente di papà Francesco lascerebbe  perplessi ,se si limitasse alle belle parole.
E’ sperabile che non sia così e che alle parole seguano proposte concrete, come pare sia nello stile di questo papa, che spesso anzi, fa precedere i fatti alle parole.
E’ tantissimo tempo che la chiesa direttamente o più probabilmente dei cristiani qualificati non si siano cimentati in operazioni di mediazione internazionale.
Dai lontani tempi dei “colloqui mediterranei” promossi da La Pira a Firenze per far parlare fra di loro colonizzatori e colonizzati c’è stato poi il solo concreto episodio per altro di peso della mediazione della Comunità di sant’Egidio per dare un futuro al Mozambico.
Non contiamo l’azione fortissima di papa Woytila a favore di Solidarnosh, perché questa aveva una valenza nazionalistica e quindi poco c’entra con un’opera di mediazione internazionale,che è credibile solo se chi la esercita è percepibile come terza parte, del tutto indipendente e in grado di rappresentarsi le ragioni e gli interessi di tutte le parti in conflitto.
Sarebbe bello se questo papa fosse capace di promuovere qualcosa del genere.
Ad esempio la richiesta di una data per attuare il cessate il fuoco e la messa a disposizione di una struttura indipendente come luogo prima per incontri informali e poi per una conferenza internazionale.
Il Vaticano ha i mezzi, le strutture e la presenza a livello geopolitico per realizzare tutto questo, se lo volesse, direttamente o indirettamente.



domenica 1 settembre 2013

Un’eminenza e un’eccellenza di primissimo piano escono di scena quasi contemporaneamente




Il Cardinale Tarcisio Bertone,  Segretario di Stato Vaticano e Silvio Berlusconi,  più volte Presidente del Consiglio italiano, per uno strana coincidenza della storia, sono costretti a uscire di scena, tutti e due nell’ottobre 2014, non certo nel modo in cui avrebbero voluto o che avevano sognato.
Si conoscevano abbastanza bene, e soprattutto si erano molto apprezzati reciprocamente.
Tanto che fra i maggiori errori che vengono addebitati a Bertone e che quindi è stata una concausa e non delle ultime, del  benservito che ora subisce, è proprio l’appoggio forte e deciso, che aveva imposto alla chiesa di dare al berlusconismo, in cambio di esenzioni, finanziamenti, privilegi ecc., che non profumano proprio né di spiritualità, né di incenso.
Bertone si era guadagnato la incondizionata fiducia prima del Card. Ratzinger, Prefetto del Sant’Uffizio, e poi del papa Benedetto XVI, è universalmente riconosciuto,  non perché sapesse esprimere brillanti intuizioni teologiche, ma perché era un grigio, ma efficiente e soprattutto fedele Yes-man.
L’errore forse più catastrofico di papa Ratzinger è stato proprio quello di nominare all’inizio del suo pontificato  alla più alta carica della curia il suo grigio segretario, che non parlava una parola di inglese, che non aveva avuto né alcuna istruzione , né esperienza in diplomazia a capo della diplomazia vaticana.
Ratzinger, che uomo strano.
Dal molto che è stato scritto su di lui si deduce che era riuscito da Cardinale nella impresa teoricamente impossibile di vivere decenni lavorando quotidianamente ,dentro le mura leonine ,ma significativamente abitando appena fuori, senza quasi occuparsi dei giochi di curia.
Si vedeva come intellettuale di professione e quindi non nascondeva di essere disinteressato e annoiato da quello che stava fuori dai suoi studi, che lo prendevano tutto.
E’ incredibile che una volta eletto ed avere accettato di essere papa si fosse illuso di potere andare avanti con lo stesso schema.
Per poterlo fare aveva bisogno si uno che facesse la percentuale del lavoro di un papa che a lui non andava di fare.
Già questa allocazione di compiti è parecchio originale e difficilmente avrebbe potuto funzionare anche con un uomo molto più dotato di Bertone, ma  scegliere Bertone per un  compito così gravoso è stato il primo segno importante che Ratzinger non  aveva le doti più elementari per fare il leader.
Tutti sanno che quanto più è importante l’azienda o l’istituzione  , tanto più è importante che il capo sappia scegliere i collaboratori più dotati , più preparati e con significativa esperienza specifica.
Non sto a ripetere la sequela di figuracce che Bertone ha fatto fare a Ratzinger  (ne avevamo parlato nei post del 20-3-2009; 4 -9-2009), ripeto solo che erano stati talmente plateali, che non era sembrato verosimile che fossero accaduti a quel livello per imperizia o infortunio e quindi quasi tutti si esercitarono allora a ricercare chi ci fosse dietro che nella corte vaticana, che stesse remando contro il papa.
A distanza di anni è probabile che si possa concludere  che si era trattato proprio di semplice imperizia…..del Segretario di Stato.
A parziale scagione di Bertone è giusto aggiungere che anche il papa ci aveva messo del suo.
Diamine se inciampi una volta,  perché chi doveva istruire gli atti aveva commesso errori clamorosi, e poi ci ricaschi una seconda, una terza volta e così via, non ti puoi permettere di fare finta di non capire.
Certo che anche il Bertone quando vedeva i danni che causava al suo papa a causa della sua poco perizia, non poteva arrivarci a pensare che per stare ancora in quel posto gli sarebbero occorsi collaboratori che avessero quelle qualità che mancavano a lui?
E invece pare che l’unico criterio visibile che guidasse le sue nomine era quello di riempire le sedie importanti di yes man come lui e in maggioranza provenienti dal suo stesso ordine salesiano.
Potere e fedeltà finalizzata alla conservazione del potere.
Un brutto spettacolo durato troppo.
Archiviata con poco onore l’eminenza, che dire dell’eccellenza Berlusconi?
Di quest’ eccellenza si è già detto assolutamente troppo anche in questo blog.
La statura umana, morale e politica dell’uomo, non è stata probabilmente più elevata del suo attuale compagno di sventura in abito color porpora.
Una serie di circostanze casuali, di inganni ben riusciti, l’uso spregiudicato dei mezzi più moderni per orientare e indottrinare la gente e, diciamolo pure la volenterosa dabbenaggine di chi gli ha sempre creduto, come se fosse stato l’apostolo Paolo di Tarso e non un furbastro di periferia, lo hanno fatto diventare quello che proprio  non poteva essere : uno statista.
Si volti pagina.
Facile sarà dimenticarsi dell’Eminenza, anche perché in Vaticano comanda ora uno che ha chiaro , a quanto pare , il concetto fondamentale per un vero capo e che consiste nel sapere dire di no, non certo sapere dire di sì, che è facile a tutti.
Molto più problematico sarà dimenticarsi dell’eccellenza.
Perché sul colle corrispondente al Vaticano siede un canuto politico, molto navigato, ma più incline a dire dei si che dei no.