mercoledì 18 settembre 2013

Pregiatissimo Dr.Scalfari……firmato Francesco



Papa Bergoglio, pochi giorni fa, l’11 settembre, ha mandato una lettera al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che ovviamente ne ha fatto uno scoop, dedicandole le prime quattro pagine del suo giornale.
Si trattava di una risposta a diverse domande, che Scalfari stesso gli aveva rivolto il precedente agosto dallo stesso giornale, ovviamente, senza pensare che il nuovo papa si sarebbe preso la briga di rispondergli.
Sei mesi di pontificato sono pochissimi, eppure sono già emersi segnali inequivocabili, che fanno pensare, che con questo papa molte cose cambieranno.
Ma occupiamoci dello scambio epistolare con Eugenio Scalfari, intellettuale laico ed ateo, se pure aperto e interessato al mondo della spiritualità e della religione.
Dopo decenni di separazione radicale fra intellettuali laici e cattolici in Italia, da tempo oramai il clima è radicalmente cambiato.
Per intenderci, al tempo di Indro Montanelli, gli intellettuali laici del suo calibro, erano soliti svicolare da qualsiasi  problema teologico pensando di cavarsela con un : ma io sono laico e non penso di intromettermi in cose, che non conosco.
Il guaio era, che quelle cose non le conoscevano davvero, perché non vi avevano mai dedicato studio e interesse.
La cosa era un’ anomala tutta italiana, perché nel resto dell’occidente, era costume secolare, che gli intellettuali non credenti esprimessero il loto parere sulle cose e sulle posizioni dei cattolici, anche perché chi parlava sapeva cosa diceva, anche perché la teologia era da secoli una materia presente nelle università statali, con professori laici, che andavano in cattedra con credenziali scientifiche e senza alcuna interferenza o gradimento delle gerarchie ecclesiastiche.
Da noi non è così nemmeno adesso, non esistono facoltà di teologia nelle università  pubbliche, esistono però nelle nostre università statali parecchi studiosi laici di storia della chiesa e di esegesi biblica, che per vie traverse, come si è usi fare in Italia, hanno messo il naso nella teologia cattolica, usando i normali protocolli della ricerca scientifica e si sono create così le condizioni per un dibattito ad armi quasi pari.
Contemporaneamente,  parecchi intellettuali laici, da tempo, si sono ben preparati in materia di teologia e di storia della chiesa, anche grazie alle opere degli studiosi laici sopra citati,  e intervengono sistematicamente su questi problemi.
Dall’altra parte molti esponenti della gerarchia e dell’intellighentia cattolica hanno da tempo accettato il confronto, che prima, di fatto, rifiutavano.
Ad esempio, memorabile era stato il dibattito, ovviamente pubblico, che si era tenuto al Teatro Quirino di Roma il 21 settembre 2000 fra il Cardinale Ratzinger, allora prefetto del Sant’Uffizio e il filosofo, saggista ateo, Paolo Floris D’Arcais, moderato dall’ebreo Gad Lerner.
Non è una novità quindi il fatto che ci sia un confronto fra cattolici qualificati e laici qualificati in materia teologica.
Ma è un discorso che ancora non eccede la cerchia degli addetti ai lavori e dei lettori più avvertiti.
Purtroppo il cittadino medio, ed anche il fedele medio, sono stati abituati da sempre a confondere  la ricerca teologica con la pura propaganda religiosa.
I testi di teologia, con i terribili, così detti, “libri di pietà” , scritti per suscitare non certo estasi mistiche, ma effimeri momenti di emozione e di consolazione.
Purtroppo ancora si ragiona in termini di andare a “farsi spiegare” le scritture dal clero.
Anche quando la chiesa, dopo il Vaticano II, ha esortato i fedeli a leggere privatamente la scrittura, questa abitudine, prima scoraggiata e vietata per secoli, è ben lungi dall’ essersi diffusa fra il popolo cattolico e non.
Con questa abitudine, ancora non acquisita, c’è l’assoluto non impegno del medesimo popolo a crearsi le basi anche minime di una cultura teologico- storica.
La causa ovviamente  è il perdurare dell’anacronistica e diffusissima  mentalità, sopra ricordata, di lasciare la teologia solo ai preti, ai quali si può sempre ricorrere per “farsi spiegare” o per farsi segnalare un libro si approfondimento.
Usare la propria testa, anche in materia di religione, non è considerata ancora cosa buona e saggia.
In questo ambiente culturale, il fatto che un papa decidesse di mostrare di scendere dal trono sacrale, sul quale è ancora visto seduto,  da una buona parte del popolo cattolico, per dialogare con un ateo e per di più su un normale giornale laico, di qualità, ma abbastanza schierato dalla parte sinistra, è un fatto nuovo di evidente rilevanza.
Anzi il salto, la cesura col passato è tanto forte, che, diciamo fra i più “semplici” fra i fedeli, lo stile di questo papa sta creando sconcerto e dubbi.
Per molti non è così che si comporta un papa.
Dopo avere invocato invano per  decenni l’avvento in Vaticano di una linea di rinnovamento, non ci siamo resi conto che decenni di propaganda religiosa e di indottrinamento a senso unico tradizionalista hanno plasmato lo  scarso popolo rimasto in profondità,  in modo da renderlo ostile a un vero cambiamento.
La vita sarà probabilmente dura per papa Bergoglio e forse più in casa sua che fuori.
Per sua fortuna, il papa guarda al  modo e non all’Italia.
Nella lettera a Scalfari il papa ha parlato di diversi argomenti.
La parte di maggior peso del discorso è stata questa che merita di essere riportata per intero :
“ La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza.
Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza.
Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito
come bene o come male.
E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.
Il che significa, che non è necessario essere cristiani per entrare nel regno di dio, ma è sufficiente seguire i dettami di una coscienza retta e consapevole.
E’ il discorso del “primato della coscienza”, che era emerso prepotentemente al Vaticano II e che sembrava avesse potuto essere messo alla base, tra l’altro, di una nuova e rinnovata etica sessuale, se l’improvvida “ Humanae Vitae” di un tardo e irriconoscibile Paolo VI, non avesse bloccato tutto, (ma su questo argomento si è parlato diffusamente nel post del 21 agosto scorso ed a quello rimando il lettore interessato).
E’ un discorso che avrebbe grandi ripercussioni in materia di bioetica , di diritti civili e nei rapporti chiesa – stato.
E’ un discorso, che se sviluppato, impatterebbe frontalmente con l’assetto attuale e secolare della istituzione chiesa, perché metterebbe in discussione la funzione stessa del prete.
Si vedrà.
Secondo punto di peso molto rilevante quello su Verità- relativismo - pluralismo.
Riporto anche qui  il testo così com’è :
“Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che
assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione.
Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo.
Dunque, la verità è una relazione!
Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc.
Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro.
Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita…..in altri termini la verità essendo tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa”.
In altre parole i cristiani non possono pretendere di possedere per rivelazione una verità completa e definitiva, data una volta per tutte, ma ne devono acquisire in una vita quella parte che riescono, se si danno da fare per ricercarla.
Questo è un discorso delicatissimo  per la teologia cattolica perché si scontra con una pretesa bimillenaria di rivelazione unica e definitiva fatta direttamente da dio a un popolo eletto.
Per farla breve, se interpretata ed espressa in modo tradizionale e ortodosso, questa affermazione dogmatica non lascerebbe alcuno spazio ad alcuna delle idee di modernità espresse dall’illuminismo e di conseguenza il dialogo chiesa -mondo moderno, sarebbe portato avanti da una posizione di  sostanziale malafede.
Perché se una parte crede di possedere la verità intera e definitiva, non ha senso che dialoghi, il suo atteggiamento non può che essere che quello, del resto portato avanti nei secoli dalla chiesa , diretto alla pura e semplice conversione di chi la pensasse diversamente.
La formulazione espressa da papa Francesco, come sopra riportata se pure non chiarissima, ha comunque delle espressioni nette come “io non parlerei nemmeno per chi crede di verità assolute”.
Ancora si tratta di un discorso fondamentale, che era risuonato per mesi nel Concilio Vaticano II e sta alla base di qualunque sviluppo dei termini : dialogo, pluralismo, tolleranza.
Va benissimo, ma saremo costretti a renderci conto da qui in avanti che i cinquant’anni trascorsi impiegati per demolire sistematicamente i risultati e lo spirito di quel Concilio, hanno indottrinato il popolo cristiano, facendogli acquisire nozioni, che ora il papa contesta.
Sarà dura portare avanti questi discorsi all’interno della chiesa soprattutto italiana.
Terzo punto di notevole rilevanza.
Il papa ha trattato il tema della singolarità del cristianesimo ,che rispetto agli altri due monoteismi, non mette l’accento sull’assolutismo della figura di dio, ma sulla sua incarnazione.
“la singolarità di Gesù è per la comunicazione non per l’esclusione”
“per chi vive la fede cristiana ciò (cioè la fede cristiana stessa) non significa fuga dal mondo o ricerca di  qualsiasi egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini a partire dalla periferia della storia…”.
E siamo quindi arrivati alla riaffermazione della  “ scelta privilegiata per i poveri”, terzo tema e ancora, terzo elemento fondamentale trattato al concilio Vaticano II.
Un quarto punto è dedicato ai rapporti con gli ebrei e anche qui regolarmente riappare l’affermazione degli ebrei come  “fratelli maggiori”, emersa per la prima volta al Vaticano II.
Un quinto punto, dedicato indirettamente al rapporto fra cristianesimo e scienza.
Mi  è sembrato forse l’unica risposta, nella quale si ravvisa il ricorso ad argomentazioni deboli , che così come enunciate si trovano obiettivamente  in netto contrasto con i dati della scienza moderna e che quindi si spera che vengano ripresi successivamente da questo papa con maggiore ponderazione.
La domanda di Scalfari era terribile per una religione tutta basata sull’al di là ed era sostanzialmente questa : la dignità della persona umana è basata sulla facoltà dell’ essere umano di essere   l’unica creatura sulla terra capace di esprimere un pensiero cosciente.
Però il pensiero è prodotto dal cervello e di conseguenza , finito il cervello con la morte individuale e ad un certo momento con l’estinzione del genere umano, finirà anche la possibilità di concepire dio col pensiero e l’idea stessa di dio finirà.
La risposta del papa è quella tradizionale ed è tutt’altro che convincente.
Il papa dice ,io credo che dio non sia un’idea, se pure elevatissima ma una realtà.
Su che cosa basa questa affermazione ? Il papa dice che l’affermazione è basata sulla sua esperienza e sulla rivelazione.
Ora l’esperienza è un fatto soggettivo e quindi non può dimostrare niente e la rivelazione è un dato di fede, cioè è un voler credere in una determinata mitologia indimostrabile e quindi dimostra e spiega ancora meno.
D’altra parte le moderne neuroscienze stanno approfondendo ogni giorno di più un discorso nuovo e di enorme interesse sulle funzioni e sul ruolo della nostra mente, ma, allo stato, portano a concludere, che finito il funzionamento del cervello finisce anche il pensiero e la coscienza.
Ci sono spiragli per futuri sviluppi, veramente da fantascienza, che potrebbero arrivare a ipotizzare il persiste del pensiero in una sede esterna al cervello deperito con la morte, ma al momento le cose stanno come detto sopra e quindi è a questo che è sensato riferirsi.
Su questo argomento purtroppo la chiesa è ancora in imbarazzo e balbettante.
Purtroppo anche le correnti teologiche più innovative, non hanno risposte diverse o proposte di nuove strade da battere per giungere a delle risposte più adeguate.
Eppure il tema è assolutamente cruciale.
Certo che una chiesa che ha elaborato con sicumera per due millenni una montagna di definizioni dogmatiche, anche nelle questioni più minute, nell’illusione di essere nella posizione di chi sa tutto e che quindi su tutto può esternare la propria verità, si trova in grandissima difficoltà quando la scienza contraddice in modo radicale qualcuno dei suoi presupposti dogmatici.
Forse la risposta più sensata su questi argomenti è quella fornita da sempre dalle tradizioni orientali, induista e buddista che affermano, senza paura di essere sminuite nella loro credibilit, che la loro religione non è in grado di darle quelle risposte.
Il papa potrebbe anche su questi argomenti fare una scelta di maggiore umiltà, come l’ha fatta su tutti gli altri temi sopra elencati.
Molti sarebbero sconcertati e delusi, ma la verità alla gente a un certo momento bisognerà dirla comunque.
La verità vera è solo quella scientifica.
Si parta da quella e su quella si innesti il discorso religioso, dicendo umilmente non so, quando realmente non si sa.
Nel mondo moderno non si può più pensare di indicare agli uomini secolarizzati le narrazioni della propria mitologi religiosa come se fossero queste la risposta ai problemi dell’umanità.
Le tradizioni e le mitologie religiose sono di fatto, in realtà ,della metafore, delle intuizioni spesso profonde e utili ,sulle quali lavorare per trovare risposte, ma non sono loro le risposte.
Questa è la via, che probabilmente prenderà la chiesa in futuro, se vorrà sopravvivere, anche se c’è già oggi, chi, vedendo le difficoltà che questo papa deve superare, dice che non ci sarà mai un Francesco II.
In conclusione questa storica lettera di Francesco I è stata  un bell’inizio di discorso e di dialogo col mondo moderno.
Scalfari non ne aveva fatto cenno esplicitamente, e il papa quindi non ne ha parlato esplicitamente, ma in futuro sarà interessante  vedere se questo papa saprà impostare un dialogo rinnovato a proposito  questi ulteriori elementi fondamentalissimi per il mondo moderno :
- come si pone la chiesa di fronte ai dati della scienza moderna, che hanno rivoluzionato alla base la credibilità della cosmologia seguita finora dalla chiesa stessa ?;
- come si pone la chiesa nei confronti della filosofia?
Continuerà con Tommaso a considerarla anacronisticamente “ancella della teologia” o la considererà almeno alla pari?
- come si pone la chiesa nei confronti delle altre tradizioni culturali e religiose non cattoliche e soprattutto con quelle asiatiche, che sono fondate su universi culturali del tutto diversi, rispetto a quelli dell’occidente, ma non meno utili per guadagnare ulteriori “pezzi di verità”?
Concluso il commento alla parte più significativa della lettera di papa Francesco, consentitemi una annotazione più “leggera”.
Forse Scalfari, intellettuale ateo interessato alle cose cattoliche ma probabilmente non  abbastanza navigato fra i complicati meandri della teologia cattolica non aveva gli elementi per poterlo apprezzare, ma, all’inizio della lettera il papa gli ha consegnato un esempio insigne di sottile dialettica gesuitica.
Scalfari, penso appunto per la sua non completa padronanza dell’universo cattolico, aveva citato in una delle sue domande rivolte a papa Bergoglio ,l’enciclica “Lumen fidei”,che il papa medesimo aveva firmato insieme al suo predecessore, senza rendersi del tutto conto che  co-firmare quella enciclica è stata da parte di papa Bergoglio una pura espressione di cortesia e di finezza di spirito verso il suo anziano predecessore, ma niente di più, in quanto la consistenza dottrinale della stessa è modesta.
Ma soprattutto la firma aggiunta dall’attuale pontefice è stata quello che si direbbe un “atto formale  dovuto” per poterla rendere  pubblica, dato che le encicliche le scrivono solo i papi in carica e papa Bergoglio non voleva togliere al suo predecessore, intellettuale di professione, la soddisfazione di vedere pubblicata la sua ultima fatica intellettuale.
Di conseguenza, diverse affermazioni, ivi contenute, sono in palese contrasto con le vedute teologiche, che abbiamo appreso in questi primi sei mesi di pontificato, sono propri dell’attuale papa.
Però essendoci stata la citazione da parte di Scalfari, nella risposta del papa c’è una inevitabile  lode ai contenuti di quell’enciclica, non disgiunta però dalla annotazione di passaggio, che la maggior parte del contenuto è attribuibile solo a papa Ratzinger.
Ma il bello viene dopo, quando papa Francesco entra nel merito.
Riporto il brano :” Essa (l’enciclica) , infatti, nell’intenzione del mio amato Predecessore,
Benedetto XVI, che l’ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale,
con gratitudine, l’ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in
Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un
dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce «un non credente da
molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth».
Ora, nella teologia cattolica, “Gesù Cristo” è una cosa e “Gesù di Nazaret” è tutt’altra cosa.
I normali fedeli non lo sanno nemmeno, ma peggio per loro se non si istruiscono.
In poche e inevitabilmente semplicistiche parole : le correnti teologiche tradizionalistiche (compreso papa Ratzinger) si riferiscono a Gesù Cristo e non a Gesù di Nazaret, perché il concetto di “Cristo” non è legato al Gesù storico, ma al Gesù ,così detto, “della fede”.
Cioè è una costruzione filosofico-teologica complessa attribuibile a Paolo, Giovanni e poi ad Agostino, ed è quindi  qualcosa di costruito dopo e sopra al messaggio storico originale di Gesù.
Le correnti teologiche progressiste, si riferiscono invece, principalmente a Gesù di Nazaret, cioè al Gesù storico, che ha vissuto in Palestina , a quello che ha detto e ha fatto, operando un complesso lavoro di esegesi storica sui testi dei Vangeli, per valutarne la fedeltà e la autenticità.
Carlo Maria Martini, ad esempio, aveva dedicato la sua vita di studioso esattamente a questo lavoro. Queste correnti teologiche  valutano quindi di importanza secondaria l’enorme costruzione dogmatica, che la chiesa istituzione ci ha costruito sopra nei secoli, andando a volte per direzioni diverse o addirittura contrarie ,rispetto a quel del messaggio originario e storico di Gesù di Nazareth.
Ebbene, in quel brano sopra citato, papa Bergoglio, si diceva con  raffinata dialettica gesuitica, volta disinvoltamente la frittata, e  cioè  parte dal Gesù Cristo dell’enciclica di Ratzinger, per arrivare a tradurlo in Gesù di Nazareth e così presentarlo a Scalfari e  mette la sua firma a questo Gesù di Nazaret nel brano immediatamente successivo :
“Mi pare dunque sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente, ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù”.
Si noti “alla predicazione ed alla figura di Gesù”, si parla quindi chiaramente del Gesù storico, non di quello costruito poi dalla teologia dogmatica.
D’accordo che la sottigliezza di queste questioni è purtroppo rilevabile solo dagli iniziati, ma la scelta di campo del nuovo papa, anche in queste cose risulta evidente.
Si tratta di sottigliezze solo sul piano teorico, che però nella realtà hanno conseguenze  di grandissimo peso, anche nella storia concreta.
Del resto non è stata la disputa,  ben più di lana caprina,  sul mettere o togliere nella dichiarazione del  Credo quell’apparentemente insignificante parolina  “filioque” ,che si consumò lo scisma d’Oriente nel 1054?
E quello è stato solo il primo.







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