Papa Bergoglio, pochi giorni fa, l’11 settembre,
ha mandato una lettera al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che
ovviamente ne ha fatto uno scoop, dedicandole le prime quattro pagine del suo giornale.
Si trattava di una risposta a diverse domande, che
Scalfari stesso gli aveva rivolto il precedente agosto dallo stesso giornale, ovviamente,
senza pensare che il nuovo papa si sarebbe preso la briga di rispondergli.
Sei mesi di pontificato sono pochissimi, eppure
sono già emersi segnali inequivocabili, che fanno pensare, che con questo papa molte
cose cambieranno.
Ma occupiamoci dello scambio epistolare con
Eugenio Scalfari, intellettuale laico ed ateo, se pure aperto e interessato al
mondo della spiritualità e della religione.
Dopo decenni di separazione radicale fra
intellettuali laici e cattolici in Italia, da tempo oramai il clima è
radicalmente cambiato.
Per intenderci, al tempo di Indro Montanelli, gli
intellettuali laici del suo calibro, erano soliti svicolare da qualsiasi problema teologico pensando di cavarsela con
un : ma io sono laico e non penso di intromettermi in cose, che non conosco.
Il guaio era, che quelle cose non le conoscevano davvero,
perché non vi avevano mai dedicato studio e interesse.
La cosa era un’ anomala tutta italiana, perché nel
resto dell’occidente, era costume secolare, che gli intellettuali non credenti
esprimessero il loto parere sulle cose e sulle posizioni dei cattolici, anche
perché chi parlava sapeva cosa diceva, anche perché la teologia era da secoli
una materia presente nelle università statali, con professori laici, che
andavano in cattedra con credenziali scientifiche e senza alcuna interferenza o
gradimento delle gerarchie ecclesiastiche.
Da noi non è così nemmeno adesso, non esistono
facoltà di teologia nelle università
pubbliche, esistono però nelle nostre università statali parecchi
studiosi laici di storia della chiesa e di esegesi biblica, che per vie
traverse, come si è usi fare in Italia, hanno messo il naso nella teologia
cattolica, usando i normali protocolli della ricerca scientifica e si sono
create così le condizioni per un dibattito ad armi quasi pari.
Contemporaneamente, parecchi intellettuali laici, da tempo, si
sono ben preparati in materia di teologia e di storia della chiesa, anche
grazie alle opere degli studiosi laici sopra citati, e intervengono sistematicamente su questi
problemi.
Dall’altra parte molti esponenti della gerarchia e
dell’intellighentia cattolica hanno da tempo accettato il confronto, che prima,
di fatto, rifiutavano.
Ad esempio, memorabile era stato il dibattito,
ovviamente pubblico, che si era tenuto al Teatro Quirino di Roma il 21
settembre 2000 fra il Cardinale Ratzinger, allora prefetto del Sant’Uffizio e
il filosofo, saggista ateo, Paolo Floris D’Arcais, moderato dall’ebreo Gad
Lerner.
Non è una novità quindi il fatto che ci sia un
confronto fra cattolici qualificati e laici qualificati in materia teologica.
Ma è un discorso che ancora non eccede la cerchia
degli addetti ai lavori e dei lettori più avvertiti.
Purtroppo il cittadino medio, ed anche il fedele
medio, sono stati abituati da sempre a confondere la ricerca teologica con la pura propaganda
religiosa.
I testi di teologia, con i terribili, così detti,
“libri di pietà” , scritti per suscitare non certo estasi mistiche, ma effimeri
momenti di emozione e di consolazione.
Purtroppo ancora si ragiona in termini di andare a
“farsi spiegare” le scritture dal clero.
Anche quando la chiesa, dopo il Vaticano II, ha
esortato i fedeli a leggere privatamente la scrittura, questa abitudine, prima
scoraggiata e vietata per secoli, è ben lungi dall’ essersi diffusa fra il
popolo cattolico e non.
Con questa abitudine, ancora non acquisita, c’è l’assoluto
non impegno del medesimo popolo a crearsi le basi anche minime di una cultura
teologico- storica.
La causa ovviamente è il perdurare dell’anacronistica e
diffusissima mentalità, sopra ricordata,
di lasciare la teologia solo ai preti, ai quali si può sempre ricorrere per
“farsi spiegare” o per farsi segnalare un libro si approfondimento.
Usare la propria testa, anche in materia di
religione, non è considerata ancora cosa buona e saggia.
In questo ambiente culturale, il fatto che un papa
decidesse di mostrare di scendere dal trono sacrale, sul quale è ancora visto
seduto, da una buona parte del popolo
cattolico, per dialogare con un ateo e per di più su un normale giornale laico,
di qualità, ma abbastanza schierato dalla parte sinistra, è un fatto nuovo di evidente
rilevanza.
Anzi il salto, la cesura col passato è tanto
forte, che, diciamo fra i più “semplici” fra i fedeli, lo stile di questo papa sta
creando sconcerto e dubbi.
Per molti non è così che si comporta un papa.
Dopo avere invocato invano per decenni l’avvento in Vaticano di una linea di
rinnovamento, non ci siamo resi conto che decenni di propaganda religiosa e di
indottrinamento a senso unico tradizionalista hanno plasmato lo scarso popolo rimasto in profondità, in modo da renderlo ostile a un vero
cambiamento.
La vita sarà probabilmente dura per papa Bergoglio
e forse più in casa sua che fuori.
Per sua fortuna, il papa guarda al modo e non all’Italia.
Nella lettera a Scalfari il papa ha parlato di
diversi argomenti.
La parte di maggior peso del discorso è stata
questa che merita di essere riportata per intero :
“ La questione per chi
non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza.
Il peccato, anche per
chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza.
Ascoltare e obbedire ad
essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito
come bene o come male.
E su questa decisione si
gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.
Il che significa, che
non è necessario essere cristiani per entrare nel regno di dio, ma è
sufficiente seguire i dettami di una coscienza retta e consapevole.
E’ il discorso del
“primato della coscienza”, che era emerso prepotentemente al Vaticano II e che
sembrava avesse potuto essere messo alla base, tra l’altro, di una nuova e
rinnovata etica sessuale, se l’improvvida “ Humanae Vitae” di un tardo e
irriconoscibile Paolo VI, non avesse bloccato tutto, (ma su questo argomento si
è parlato diffusamente nel post del 21 agosto scorso ed a quello rimando il
lettore interessato).
E’ un discorso che
avrebbe grandi ripercussioni in materia di bioetica , di diritti civili e nei
rapporti chiesa – stato.
E’ un discorso, che se
sviluppato, impatterebbe frontalmente con l’assetto attuale e secolare della
istituzione chiesa, perché metterebbe in discussione la funzione stessa del
prete.
Si vedrà.
Secondo punto di peso
molto rilevante quello su Verità- relativismo - pluralismo.
Riporto anche qui il testo così com’è :
“Per cominciare, io non
parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che
assoluto è ciò che è
slegato, ciò che è privo di ogni relazione.
Ora, la verità, secondo
la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo.
Dunque, la verità è una
relazione!
Tant’è vero che anche
ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua
storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc.
Ciò non significa che la
verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro.
Ma significa che essa si
dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita…..in altri termini la verità
essendo tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere
cercata, accolta ed espressa”.
In altre parole i
cristiani non possono pretendere di possedere per rivelazione una verità
completa e definitiva, data una volta per tutte, ma ne devono acquisire in una
vita quella parte che riescono, se si danno da fare per ricercarla.
Questo è un discorso
delicatissimo per la teologia cattolica
perché si scontra con una pretesa bimillenaria di rivelazione unica e
definitiva fatta direttamente da dio a un popolo eletto.
Per
farla breve, se interpretata ed espressa in modo tradizionale e ortodosso,
questa affermazione dogmatica non lascerebbe alcuno spazio ad alcuna delle idee
di modernità espresse dall’illuminismo e di conseguenza il dialogo chiesa -mondo
moderno, sarebbe portato avanti da una posizione di sostanziale malafede.
Perché
se una parte crede di possedere la verità intera e definitiva, non ha senso che
dialoghi, il suo atteggiamento non può che essere che quello, del resto portato
avanti nei secoli dalla chiesa , diretto alla pura e semplice conversione di
chi la pensasse diversamente.
La
formulazione espressa da papa Francesco, come sopra riportata se pure non
chiarissima, ha comunque delle espressioni nette come “io non parlerei nemmeno
per chi crede di verità assolute”.
Ancora
si tratta di un discorso fondamentale, che era risuonato per mesi nel Concilio
Vaticano II e sta alla base di qualunque sviluppo dei termini : dialogo,
pluralismo, tolleranza.
Va
benissimo, ma saremo costretti a renderci conto da qui in avanti che i
cinquant’anni trascorsi impiegati per demolire sistematicamente i risultati e
lo spirito di quel Concilio, hanno indottrinato il popolo cristiano, facendogli
acquisire nozioni, che ora il papa contesta.
Sarà
dura portare avanti questi discorsi all’interno della chiesa soprattutto
italiana.
Terzo
punto di notevole rilevanza.
Il
papa ha trattato il tema della singolarità del cristianesimo ,che rispetto agli
altri due monoteismi, non mette l’accento sull’assolutismo della figura di dio,
ma sulla sua incarnazione.
“la
singolarità di Gesù è per la comunicazione non per l’esclusione”
“per
chi vive la fede cristiana ciò (cioè la
fede cristiana stessa) non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsiasi egemonia, ma servizio all’uomo, a
tutto l’uomo e a tutti gli uomini a partire dalla periferia della storia…”.
E
siamo quindi arrivati alla riaffermazione della
“ scelta privilegiata per i poveri”, terzo tema e ancora, terzo elemento
fondamentale trattato al concilio Vaticano II.
Un
quarto punto è dedicato ai rapporti con gli ebrei e anche qui regolarmente
riappare l’affermazione degli ebrei come
“fratelli maggiori”, emersa per la prima volta al Vaticano II.
Un
quinto punto, dedicato indirettamente al rapporto fra cristianesimo e scienza.
Mi è sembrato forse l’unica risposta, nella quale
si ravvisa il ricorso ad argomentazioni deboli , che così come enunciate si
trovano obiettivamente in netto
contrasto con i dati della scienza moderna e che quindi si spera che vengano
ripresi successivamente da questo papa con maggiore ponderazione.
La
domanda di Scalfari era terribile per una religione tutta basata sull’al di là
ed era sostanzialmente questa : la dignità della persona umana è basata sulla facoltà
dell’ essere umano di essere l’unica
creatura sulla terra capace di esprimere un pensiero cosciente.
Però
il pensiero è prodotto dal cervello e di conseguenza , finito il cervello con
la morte individuale e ad un certo momento con l’estinzione del genere umano,
finirà anche la possibilità di concepire dio col pensiero e l’idea stessa di
dio finirà.
La
risposta del papa è quella tradizionale ed è tutt’altro che convincente.
Il
papa dice ,io credo che dio non sia un’idea, se pure elevatissima ma una realtà.
Su
che cosa basa questa affermazione ? Il papa dice che l’affermazione è basata
sulla sua esperienza e sulla rivelazione.
Ora
l’esperienza è un fatto soggettivo e quindi non può dimostrare niente e la
rivelazione è un dato di fede, cioè è un voler credere in una determinata
mitologia indimostrabile e quindi dimostra e spiega ancora meno.
D’altra
parte le moderne neuroscienze stanno approfondendo ogni giorno di più un
discorso nuovo e di enorme interesse sulle funzioni e sul ruolo della nostra
mente, ma, allo stato, portano a concludere, che finito il funzionamento del
cervello finisce anche il pensiero e la coscienza.
Ci
sono spiragli per futuri sviluppi, veramente da fantascienza, che potrebbero
arrivare a ipotizzare il persiste del pensiero in una sede esterna al cervello
deperito con la morte, ma al momento le cose stanno come detto sopra e quindi è
a questo che è sensato riferirsi.
Su
questo argomento purtroppo la chiesa è ancora in imbarazzo e balbettante.
Purtroppo
anche le correnti teologiche più innovative, non hanno risposte diverse o
proposte di nuove strade da battere per giungere a delle risposte più adeguate.
Eppure
il tema è assolutamente cruciale.
Certo
che una chiesa che ha elaborato con sicumera per due millenni una montagna di
definizioni dogmatiche, anche nelle questioni più minute, nell’illusione di
essere nella posizione di chi sa tutto e che quindi su tutto può esternare la
propria verità, si trova in grandissima difficoltà quando la scienza
contraddice in modo radicale qualcuno dei suoi presupposti dogmatici.
Forse
la risposta più sensata su questi argomenti è quella fornita da sempre dalle
tradizioni orientali, induista e buddista che affermano, senza paura di essere
sminuite nella loro credibilit, che la loro religione non è in grado di darle
quelle risposte.
Il
papa potrebbe anche su questi argomenti fare una scelta di maggiore umiltà,
come l’ha fatta su tutti gli altri temi sopra elencati.
Molti
sarebbero sconcertati e delusi, ma la verità alla gente a un certo momento
bisognerà dirla comunque.
La
verità vera è solo quella scientifica.
Si
parta da quella e su quella si innesti il discorso religioso, dicendo umilmente
non so, quando realmente non si sa.
Nel
mondo moderno non si può più pensare di indicare agli uomini secolarizzati le
narrazioni della propria mitologi religiosa come se fossero queste la risposta
ai problemi dell’umanità.
Le tradizioni
e le mitologie religiose sono di fatto, in realtà ,della metafore, delle
intuizioni spesso profonde e utili ,sulle quali lavorare per trovare risposte, ma
non sono loro le risposte.
Questa
è la via, che probabilmente prenderà la chiesa in futuro, se vorrà
sopravvivere, anche se c’è già oggi, chi, vedendo le difficoltà che questo papa
deve superare, dice che non ci sarà mai un Francesco II.
In
conclusione questa storica lettera di Francesco I è stata un bell’inizio di discorso e di dialogo col
mondo moderno.
Scalfari
non ne aveva fatto cenno esplicitamente, e il papa quindi non ne ha parlato
esplicitamente, ma in futuro sarà interessante
vedere se questo papa saprà impostare un dialogo rinnovato a proposito questi ulteriori elementi fondamentalissimi
per il mondo moderno :
-
come si pone la chiesa di fronte ai dati della scienza moderna, che hanno
rivoluzionato alla base la credibilità della cosmologia seguita finora dalla
chiesa stessa ?;
-
come si pone la chiesa nei confronti della filosofia?
Continuerà
con Tommaso a considerarla anacronisticamente “ancella della teologia” o la
considererà almeno alla pari?
-
come si pone la chiesa nei confronti delle altre tradizioni culturali e
religiose non cattoliche e soprattutto con quelle asiatiche, che sono fondate
su universi culturali del tutto diversi, rispetto a quelli dell’occidente, ma
non meno utili per guadagnare ulteriori “pezzi di verità”?
Concluso
il commento alla parte più significativa della lettera di papa Francesco,
consentitemi una annotazione più “leggera”.
Forse
Scalfari, intellettuale ateo interessato alle cose cattoliche ma probabilmente non
abbastanza navigato fra i complicati
meandri della teologia cattolica non aveva gli elementi per poterlo apprezzare,
ma, all’inizio della lettera il papa gli ha consegnato un esempio insigne di
sottile dialettica gesuitica.
Scalfari,
penso appunto per la sua non completa padronanza dell’universo cattolico, aveva
citato in una delle sue domande rivolte a papa Bergoglio ,l’enciclica “Lumen
fidei”,che il papa medesimo aveva firmato insieme al suo predecessore, senza
rendersi del tutto conto che co-firmare quella
enciclica è stata da parte di papa Bergoglio una pura espressione di cortesia e
di finezza di spirito verso il suo anziano predecessore, ma niente di più, in
quanto la consistenza dottrinale della stessa è modesta.
Ma
soprattutto la firma aggiunta dall’attuale pontefice è stata quello che si
direbbe un “atto formale dovuto” per
poterla rendere pubblica, dato che le
encicliche le scrivono solo i papi in carica e papa Bergoglio non voleva
togliere al suo predecessore, intellettuale di professione, la soddisfazione di
vedere pubblicata la sua ultima fatica intellettuale.
Di
conseguenza, diverse affermazioni, ivi contenute, sono in palese contrasto con
le vedute teologiche, che abbiamo appreso in questi primi sei mesi di
pontificato, sono propri dell’attuale papa.
Però
essendoci stata la citazione da parte di Scalfari, nella risposta del papa c’è
una inevitabile lode ai contenuti di
quell’enciclica, non disgiunta però dalla annotazione di passaggio, che la
maggior parte del contenuto è attribuibile solo a papa Ratzinger.
Ma
il bello viene dopo, quando papa Francesco entra nel merito.
Riporto il brano :”
Essa (l’enciclica) , infatti,
nell’intenzione del mio amato Predecessore,
Benedetto XVI, che l’ha
concepita e in larga misura redatta, e dal quale,
con gratitudine, l’ho
ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in
Gesù Cristo coloro che
in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un
dialogo sincero e
rigoroso con chi, come Lei, si definisce «un non credente da
molti anni interessato e
affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth».
Ora, nella teologia
cattolica, “Gesù Cristo” è una cosa e “Gesù di Nazaret” è tutt’altra cosa.
I normali fedeli non lo
sanno nemmeno, ma peggio per loro se non si istruiscono.
In poche e inevitabilmente
semplicistiche parole : le correnti teologiche tradizionalistiche (compreso
papa Ratzinger) si riferiscono a Gesù Cristo e non a Gesù di Nazaret, perché il
concetto di “Cristo” non è legato al Gesù storico, ma al Gesù ,così detto, “della
fede”.
Cioè è una costruzione filosofico-teologica
complessa attribuibile a Paolo, Giovanni e poi ad Agostino, ed è quindi qualcosa di costruito dopo e sopra al messaggio
storico originale di Gesù.
Le correnti teologiche
progressiste, si riferiscono invece, principalmente a Gesù di Nazaret, cioè al
Gesù storico, che ha vissuto in Palestina , a quello che ha detto e ha fatto,
operando un complesso lavoro di esegesi storica sui testi dei Vangeli, per
valutarne la fedeltà e la autenticità.
Carlo Maria Martini, ad
esempio, aveva dedicato la sua vita di studioso esattamente a questo lavoro. Queste
correnti teologiche valutano quindi di
importanza secondaria l’enorme costruzione dogmatica, che la chiesa istituzione
ci ha costruito sopra nei secoli, andando a volte per direzioni diverse o
addirittura contrarie ,rispetto a quel del messaggio originario e storico di
Gesù di Nazareth.
Ebbene, in quel brano
sopra citato, papa Bergoglio, si diceva con
raffinata dialettica gesuitica, volta disinvoltamente la frittata,
e cioè
parte dal Gesù Cristo dell’enciclica di Ratzinger, per arrivare a
tradurlo in Gesù di Nazareth e così presentarlo a Scalfari e mette la sua firma a questo Gesù di Nazaret
nel brano immediatamente successivo :
“Mi pare dunque sia
senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente, ma anche per la società in
cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la
fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù”.
Si noti “alla
predicazione ed alla figura di Gesù”, si parla quindi chiaramente del Gesù
storico, non di quello costruito poi dalla teologia dogmatica.
D’accordo che la
sottigliezza di queste questioni è purtroppo rilevabile solo dagli iniziati, ma
la scelta di campo del nuovo papa, anche in queste cose risulta evidente.
Si tratta di
sottigliezze solo sul piano teorico, che però nella realtà hanno conseguenze di grandissimo peso, anche nella storia concreta.
Del resto non è stata la
disputa, ben più di lana caprina, sul mettere o togliere nella dichiarazione
del Credo quell’apparentemente
insignificante parolina “filioque” ,che
si consumò lo scisma d’Oriente nel 1054?
E quello è stato solo il
primo.
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