venerdì 10 gennaio 2014

Secondo Scalfari papa Francesco ha abolito il peccato




Eugenio Scalari, fondatore di Repubblica, il giornale al momento più diffuso in Italia, ha dedicato un lungo editoriale, il 29 dicembre scorso, al piglio, secondo lui, rivoluzionario di papa Bergoglio, che sarebbe arrivato ad  abolire il peccato.
Scalari come è noto aveva fatto un autentico scoop giornalistico quando, mesi fa, era stato ricambiato del suo interesse per le cose religioso-spirituali, dalla concessione di una inusuale lunga intervista da  parte dello stesso papa Bergoglio, avvenua il 24 settembre dello scorso anno , che abbiamo commentata nel post del 25  ottobre 2013.
Personalmente continuo a vedere con grandissimo interesse il diffondersi  e l’approfondirsi di un dialogo serio fra intellettuali laici e cattolici.
Con l’apertura di questo dialogo l’Italia è finalmente uscita da un provincialismo clericale, che era,, unico caso in occidente, basato sulla volontaria chiusura in ghetti contrapposti, che cattolici e laici si erano auto-imposti da decenni.
Così facendo hanno procurato danni e ritardi incalcolabili  alle reciproche culture, che, senza dialogo rimanevano ingessate nella ripetizione stantia delle stesse vecchie tesi, senza produrre mai nulla di nuovo e di più consono coi tempi moderni.
Di Scalfari, per la verità, preferisco la versione giovanile, quando, come direttore di quell’Espresso degli anni 70, in bianco e nero e a pieno formato, aveva dato un punto di riferimento a tutti quegli intellettuali e lettori di sinistra, compresi quelli cattolici, che non si riconoscevano nel dogmatismo del PCI, spesso anche peggiore di quello clericale, dell’allora Cardinale Ottaviani, Prefetto di ferro del Sant’Uffizio.
Scalfari è tutt’ora una figura di primo piano e di indubbio spessore.
Il suo interesse, di uomo di cultura di formazione illuminista, verso il mondo spirituale, pur dichiarandosi ateo o agnostico è di grande rilievo.
L’interesse è autentico, ma non ha la profondità di una cultura teologica approfondita, che hanno altri intellettuali della medesima scuola di pensiero, come Floris D’Arcais o Odifreddi, che non per caso sono stati scelti a suo tempo, come interlocutori da papa Ratzinger.
La limitata cultura e informazione sul cattolicesimo di Scalari, per esempio in questo editoriale, lo hanno indotto a incorrere in due strafalcioni, che avrebbe potuto evitarsi, se avesse avuto l’umiltà di farsi “correggere il compito” da qualche competente editorialista del suo giornale, ma purtroppo l’uomo, pure validissimo, soffre come tanti suoi coetanei di un forte narcisismo.
Ha scritto che il dio biblico del vecchio testamento ebraico e cristiano, non contemplava una classe sacerdotale, ignorando evidentemente  l’esistenza del terzo libro della Bibbia, il Levitico, dedicato appunto tutto espressamente alla classe sacerdotale.
Ha scritto che papa Francesco avrebbe canonizzato sant’Ignazio, in realtà canonizzato nel 1600, come è stato poi costretto a rettificare.
Rimandiamolo a settembre, magari, ma non usiamo due strafalcioni per ignorare la straordinaria novità di un laico di prima grandezza che si entusiasma a leggere e a scrivere delle azioni del papa e delle sue conseguenze sul cattolicesimo.
Vi immaginate un Indro Montanelli a discettare di teologia? Purtroppo si era sempre arrogantemente  tenuto ben alla larga e non è un complimento per lui.
Il dialogo è iniziato ormai da anni, ma è singolare dover constatare che la base cattolica italiana  sembra che lo percepisca con difficoltà, se non addirittura con fastidio.
E’ molto probabile che questo avvenga perché il cattolico medio italiano, anche quando gode di una cultura professionale medio- alta, sia portato istintivamente  ad una reazione di fastidio, verso questo nuovo ruolo riconosciuto ai laici non credenti, per il fatto di essere costretto a rilevare che molti degli intellettuali laici sono oggi in grado di dialogare da pari a pari su temi teologici anche con il papa in persona, mentre loro  non si sono ancora dati nemmeno le nozioni di base di una preparazione teologica e quindi sono rimasti ancora al punto di sentire la necessità di andare dal prete della parrocchia “a farsi spiegare” il Vangelo o qualsiasi altra cosa di attinenza religiosa.  
E’ una pecca storica del cattolicesimo italiano, il fatto che continuino ad esserci credenti di alto livello nelle professioni, ma da asilo infantile quando a cultura teologica.
Pesano poi sui cattolici italiani  gli ultimi cinque decenni  di martellante propaganda religiosa integralista – fondamentalista, che ha favorito lo spirito gregario e la fuga dalle responsabilità personali.
Una delle conseguenze di questa arretratezza culturale è l’enorme diffusione in Italia del pregiudizio fra i credenti secondo il quale : “chi parla del cattolicesimo standone fuori non può capirne nulla”.
Questa litania,  viene spesso ripetuto da quell’importante intellettuale cattolico che è Vittorio Messori .
Messori era stato una penna efficace nel mondo cattolico, fino a quando, pur essendosi scelta la missione,  di per sé riduttiva, di apologeta del cattolicesimo, conservava un certo senso critico.
Poi si è invaghito del miracolismo e peggio ancora dell’Opus Dei e il livello delle sue argomentazioni è sceso in continuazione.
E’ diventato il portavoce della  mentalità del ghetto, da Concilio di Trento, contro tutto e in particolare contro il pensiero moderno, ed è un peccato, perché dispiace  veder sprecate delle intelligenze, come quella di Messori.
Al lungo editoriale di Scalari, del quale si parlava sopra, ha replicato ,sempre su Repubblica, il 3 gennaio successivo ,Vito Mancuso , tutt’oggi il più noto teologo progressista italiano e il dialogo si è fatto ancora più interessante.
Mancuso ha il suo stile estremamente pacato e corretto, ma ha contestato il pezzo di Scalari su tutta la linea e solo questo nel panorama della  stampa italiana è una notizia, perché non è affatto comune che una firma di riferimento di un giornale si permetta di contestare apertamente le tesi del fondatore (e azionista) dello stesso giornale.
Scalari, nel presentare la sua tesi sulla presunta abolizione del peccato,è stato forse un po’ troppo sul generico  e preso dalla foga di dare un titolo ad effetto, seguendo il suo istinto giornalistico,  ma è appunto un giornalista e glielo si può perdonare.
Mancuso è stato dall’altra parte un po’ troppo teologo.
E’ chiaro che è del tutto impossibile, per la Chiesa cattolica, rinunciare al concetto di peccato e nemmeno ha senso che lo si faccia, probabilmente quindi non era nemmeno questo quello che Scalari voleva dire.
E lo stesso Mancuso ,concludeva il suo pezzo dicendo che l’intuizione di Scalari è valida in quanto riferita alla rinuncia da parte della chiesa non certo al peccato, ma al rilevo prioritario che la tradizione gli assegnava, presentando così in modo distorto il cristianesimo come una morale che vieta tutto, un lungo elenco di  divieti.
Scalfari in effetti se la era presa e non a torto nel suo editoriale, con la posizione della legge mosaica nel vecchio testamento dove i comandamenti sono tutti formulati inziando con il “non” che da il senso a tutto quello che segue.
Nelle sue argomentazioni teologiche, Mancuso, cede spesso al vezzo del ricorso al greco per scrupolo di precisione e anche  in questa occasione ha sparato una parola pressoché incomprensibile  “amartiocentrismo”, che tradotto in italiano fa centralità del peccato.
Arriva così a delineare la vera materia sulla quale si era sviluppato il discorso di Scalari.
Che ha riproposto un  dibattito su questo tema, che non è certo una novità assoluta nell’ambito del mondo cattolico.
Ad esempio,se torniamo al clima culturale degli anni del Concilio, è facile ricordare che nell’ambito delle stesse organizzazioni cattoliche istituzionali di allora (Azione Cattolica, tanto per intenderci) si diceva che era venuto il momento di farla finita  con una presentazione del cattolicesimo come insieme di norme che vietano e condannano, per passare invece a una lettura in positivo che portasse alla trasmissione agli altri della gioia  evangelica.
Basta con l’evangelizzazione ridotta a imposizione di una morale cupa, basata sulla elencazione di tutti i casi di peccato, tanto cara ai moralisti del seicento.
L’evangelizzazione la si faccia con la testimonianza del proprio interesse e apertura per  i fratelli.
Questo si diceva e si dibatteva  ben cinquant’anni fa.
Scalfari probabilmente non lo ricorda perché a quel tempo, forse, non era ancora interessato al cattolicesimo, come lo è oggi, ma questo modo di ragionare allora era molto vivo e diffuso nel mondo cattolico, che viveva il concilio come una grande speranza.
Poi ci si è impantanati nella paura del nuovo e si è tornati al  fondamentalismo più inconcludente mentre il mondo correva per tutt’altre strade.
Non ha senso abolire il peccato.
Ha senso invece abolire le scomuniche, questo si.
Ha senso abolire il divieto della libertà di ricerca nel campo della teologia, dettato dal Codice di Diritto Canonico.
Mancuso, che la mancanza di questa libertà la vive tutti i giorni sulla propria pelle, nella sua replica ha giustamente subito posto questo tema, dicendo : aspettiamo un momento a plaudire a papa Francesco come ad un rivoluzionario, aspettiamo a vedere se verranno dei concreti atti di governo rivoluzionari e prima fra tutti la libertà di ricerca e di insegnamento della teologia.
Peccato che Scalfari abbia contro- replicato in tono piuttosto seccato delle critiche, senza rilevare che il problema vero in questione è proprio quello sollevato con lucidità da Mancuso e non la presunta abolizione del peccato.
Tra l’altro, tutto il processo di riforma della chiesa, se mai ci sarà veramente, è in questo solco che dovrebbe svolgersi, cioè nel riconoscimento dei propri peccati a cominciare da quello iniziale e fatale di allearsi al potere, per “inverare” il proprio messaggio con la forza della spada, invece che con la bontà delle proprie argomentazioni e della propria testimonianza.
In questa ottica è più che un buon segno quanto lo stesso papa Francesco ha detto agli ordini religiosi pochi giorni fa  : l’annuncio del Vangelo non va fatto con le bastonate, ma con dolcezza, fraternità e amore.
Sono ovviamente d’accordo con Mancuso nel chiedere realisticamente, che alle belle parole seguano dei fatti significativi di governo della chiesa.
Fortunatamente però credo si debba anche riconoscere, che questi atti cominciano a piovere fino a raggiungere quasi una cadenza da temporale, con nomine che ignorano sistematicamente le vecchie cordate di potere curiale e aprono a giovani vescovi di diocesi sconosciute, che però vantano titoli diversi da quello di essere dei fedeli “signor sì” e poco di più, come capitava fino a ieri.
Si veda il caso emblematico anche per il suo rilievo, della nomina del nuovo segretario della Cei, Mons. Nunzio Galantino ,vescovo di Cassano, una piccola diocesi sconosciuta, ma docente universitario di antropologia, una materia recente, che non ha mai fatto sconti al cattolicesimo ed alle religioni in genere, e non di “inchinologia vaticana”.
La calata del sipario sulle vecchie porpore è tanto avviata bene, da aver fatto dire a un noto gesuita, Padre Georg Sporschilll, in una lunga intervista al Corriere  del 31 dicembre scorso, una cosa semplicemente terribile : questo papa ora dovrà temere per la propria vita.
E se lo dice lui, qualche ragione ci sarà.
Il discorso del peccato di per sé è connaturato all’essenza del cattolicesimo, per la semplice ragione che si tratta di una categoria connaturata alla condizione umana.
Scalari dice che quello del peccato è un concetto teologico, ma è vero solo parzialmente, perché in realtà si tratta di una categoria antropologica.
E’ qualcosa di connaturato alla ambiguità umana.
E’ la cartina di tornasole che dimostra l’esistenza della libertà umana, che consente all’uomo sempre e comunque di fare la sua scelta fra bene e male, fra giusto e iniquo.
La vecchia dizione del catechismo di Pio X che definiva il peccato come offesa a dio, può benissimo essere tradotta nell’immaginifico e spesso fascinoso linguaggio di Mancuso  :”azione che produce una diminuzione del grado di ordine o di armonia”.
Non per niente la teologia di Mancuso è tutta basata sulla costruzione di una nuova e più adeguata cosmologia e questa definizione di peccato come attentato all’armonia ed all’ordine del cosmo  è bellissima e si  accorda tra l’altro con la visione del mondo delle filosofie orientali, con le quali occorrerà pure dialogare.
Ma si accorda anche con uno dei concetti  teologici chiave del cattolicesimo, quello (consentitemi di imitare Mancuso ricorrendo al greco) di "metanoia”, che significa cambiamento radicale della propria vita, che occorre fare per fare proprio il messaggio evangelico.
Senza questo ardua e impegnativa assunzione di impegno personale, il cristianesimo scompare.
Ma scompare anche l’umanesimo.
Il luogo d’incontro fra le due culture laica e cattolica non può essere che qui.
L’abolizione del peccato è uno slogan vuoto.
La cultura laica umanistica e illuminista, riconosce gran parte delle sue radici culturali nella filosofia dello stoicismo di Seneca, che nel rigore morale e nella morale della responsabilità personale ha una delle sue colonne (riprese dal cattolicesimo praticamente alla lettera).
Allora, lasciamo perdere, se vogliamo, il peccato come offesa a dio,ma  non possiamo certo ignorare il peccato inteso come offesa all’ordine dell’universo, come vuole Mancuso , o come offesa all’universale senso della giustizia, come lo intende ad esempio la filosofia laica Roberta De Monticelli.
Il dialogo serve a questo, non stupidamente per cercare di convertire l’altro ai propri dogmi o ai propri pregiudizi, ma per costruire una base più ampia di argomentazioni a concetti condivisi.
Per rimanere in argomento, il concetto di peccato come offesa a dio del vecchio catechismo è derivato dalla concezione secondo la quale una morale universale potrebbe esistere non per forza propria , ma solo per derivazione dall’autorità superiore di una rivelazione divina.
Senza di quella non si potrebbe avere una morale e il mondo cadrebbe nel caos.
Ebbene, questa concezione ha avuto ormai una dimostrazione del fatto che il suo presupposto è erroneo a livello praticamente di dimostrazione scientifica.
Infatti l’etnologo Frans DeWaal, che abbiamo citato nel post del 25 ottobre scorso,  ha recentemente pubblicato un lavoro nel quale dimostra che alcuni primati (i bonobo) dimostrano di rispondere ad alcuni principi, che hanno acquisito per via di evoluzione, che sono assimilabili ad alcuni valori elevati ed universali della cultura umana.
Principi che, quindi, non sono stati dati da nessun dio sul monte Sinai, ma si sono iscritti nel patrimonio genetico di questa specie per via di evoluzione ,al fine di migliorare la sua sopravvivenza e il suo miglioramento.
E questa base evolutiva spinge gli individui di quella specie a comportamenti non solo altruistici, ma addirittura altruistici senza reciprocità.
Quindi se vogliamo lasciar cadere il concetto di peccato come offesa a dio, poco male, basta intendersi su cosa si intende per dio, non cascano affatto i presupposti della morale e della giustizia come valori universali.
Il dialogo fra teologia, filosofia, scienza , culture e religioni ha tantissimo da dire per dare un fondamento più solido ai nostri valori condivisi.
E, come dicono giustamente sia Scalfari che Mancuso , stiamo parlando di qualcosa di più di reati e di legalità, come riconosciuti dagli ordinamenti giuridici.
Stiamo parlando di valori, di riferimenti universali.
Siamo ad Antigone e Creonte, al ricorso al concetto di giustizia universale, superiore a quello di mera legalità, in un certo momento ed in un certo luogo.
Sofocle parlava di questi concetti quattrocento anni prima di Cristo.
Il dialogo fra credenti e non credenti è quindi iscritto nella storia.
Papa Francesco ha tolto la chiesa da un lungo stallo, che la stava soffocando, ma come si vede non ha scoperto nulla.
Ha riscoperto valori e metodi , che , guarda caso, nel messaggio originale evangelico ci sono e sono coerenti con l’insieme della predicazione di Gesù di Nazaret.
Ed a quelli vuol fare ritornare la predicazione, cioè in termini ecclesiali, l’evangelizzazione.
La grande e rivoluzionaria novità di papa Francesco sta solo in parte nel nuovo discorso sul peccato, che si è fatto sopra.
La novità più grossa sta nel discorso sulla verità e questo sì che è puro discorso teologico e collide in modo irresolubile con la secolare tradizione della chiesa.
E’ il discorso sulla verità che papa Francesco ha fatto a Scalfari in quell’intervista e che lo stesso Scalfari ha capito benissimo che fosse una affermazione sconvolgente  quando il papa ha detto che dio non è cattolico, nel senso che ci sono nel mondo molteplici rappresentazioni di dio, perché ognuno di noi se ne fa una ed a quella si rapporta.
E’ come se il papa avesse detto : il papa della chiesa cattolica non ha una verità preconfezionata e definitiva da annunciare, ha una verità relativa, che si basa sì sulle intuizioni dei libri sacri, intesi però appunto come metafore, come intuizioni, per dare una risposta parziale dalla quale partire per allargare la base delle argomentazioni con l’aiuto e il dialogo dei non credenti e delle altre tradizioni religiose, filosofiche, culturali e confrontandosi con i dati della scienza.
Questo discorso sulla verità però è un rospo ,che una parte molto consistente della chiesa probabilmente non vorrà mai digerire, perché indottrinata da una falsa  teologia, che non sta in piedi, perché non è mai stata basata su qualcosa di sufficientemente  solido.
Un papa coraggioso, come papa Francesco è stretto fra due fuochi.
Se non fa nulla, come avevano fatto i suoi più diretti predecessori, la chiesa si estingue nell’irrilevanza.
Se fa la rivoluzione è difficile che possa tirarsi dietro la gran parte di un gregge già rimpicciolito e non attrezzato culturalmente per capire, che la novità, se pure rivoluzionaria, è molto più vicina al messaggio evangelico della chiesa  tradizionale, molti quindi non lo seguirebbero.
Un papa rivoluzionario, però, non potrebbe evitare di dire la verità alla gente e cioè che :
- la gran parte dei dogmi cattolici non sono mai stati in piedi e sono in larga parte stati elaborati nel corso dei secoli per essere formidabili strumenti di controllo delle coscienze e cioè  raffinati strumenti di potere e non hanno mai avuto una finalità e attinenza primaria con la presunta crescita spirituale dei credenti ;
- la bibbia non è mai stata la parola di dio, ma esegesi ed archeologia hanno da tempo dimostrato che è stata una raccolta di scritti  fatti da diversi autori in tempi diversi, assemblata a un certo momento della storia di Israele, per essere il supporto teorico alla credenza ideologica e politica  in un grande regno temporale.
Questo non toglie il fatto che sia in parte  una raccolta di saggezza antica , utile come metafora per intraprendere un percorso di comprensione del senso della vita, e quindi senza alcuna presunzione di reale e storica rivelazione divina.
- la chiesa è una istituzione millenaria ,che forse per essere credibile ai giorni nostri ,dovrebbe alleggerirsi in modo talmente deciso, da perdere le caratteristiche di una istituzione di potere.
E il ruolo stesso della casta ecclesiastica va completamente ripensato di  fronte ad una utenza religiosa altamente secolarizzata, che non ha realmente più bisogno di alcuna mediazione culturale.
Ancora meno ha bisogno di gestori dei “sacri misteri”,  termine, questo, che notoriamente per le giovani generazioni non ha alcun significato.
E’ quindi discutibile che la casta sacerdotale possa avere ancora un senso, almeno nel mondo sempre più secolarizzato dell’occidente.
Ed allora come farebbe  un papa, se pure coraggioso,ma con il limite fra l’altro nella sua stessa età ad andare a dire queste cose alla gente, da un giorno all’altro, se queste cose le pensa o le intuisce, come è probabile.
Quanto meno, fatto salvo il drappello degli entusiasti delle vie nuove e dei preti da strada, la maggioranza  probabilmente rimarrebbe di sasso e ragionerebbe così:
va bene che una parte della colpa è nostra, perché non abbiamo preso nella chiesa le nostre responsabilità, che consisterebbero prima di tutto nello studiare con metodo critico almeno i rudimenti della teologia e della storia della chiesa.
Se lo avessimo fatto, avremmo capito da soli quello che oggi dice il papa e che oggi ci sconvolge, e cioè che questa enorme costruzione teorica di dogmi non è mai stata in piedi.
Però il fatto è che ora apprendiamo che la chiesa, fino ad oggi, ci ha raccontato in pratica una montagna di fandonie, approfittando della nostra credulità e della nostra impreparazione culturale, usando anche metodi subdoli, come la propaganda religiosa, fatta quando eravamo bambini e quindi non in grado di recepire in modo critico e consapevole ,quello che ci veniva propinato come verità assoluta.
Questo è un fatto difficile da perdonare, anche perché rappresenta un tradimento, oltre che della nostra buona fede, anche della missione originaria della chiesa, che facendo quello che ci ha fatto non ha seguito affatto il messaggio del suo fondatore e non ce lo ha tramandato nella sua nudità e semplicità, ma ce lo ha presentato, sconvolto dalle sue interpretazioni teologiche e ideologiche elaborate a fini di potere.
Questo a mio avviso sarebbe la reazione più ovvia della maggioranza dei credenti, se il papa dicesse loro la verità.
E quindi  penso che non sarebbe né realistico, né sensato ,che il papa lo facesse , perché lo seguirebbero troppo in pochi, ammesso, che non gli venisse propinato prima un caffé al cianuro, perché la diffusione della verità comporterebbe la perdita di potere, benefici, ricchezze per una casta, che si è ridotta nel tempo ma che è ancora numerosa e soprattutto potente in termini di beni e potere.
E porterebbe uno sgradito sconvolgimento nella pigrizia e nei pregiudizi di chi ha trovato finora più comodo assumere nella chiesa un atteggiamento gregario, senza dover fare la fatica di pensare in proprio.
Come ho detto e ripetuto più volte in post precedenti la testimonianza benemerita dei tanti preti di strada o anche solo dei parroci  e curati, che si spendono senza riposo  per gli altri, o la testimonianza coraggiosa dei pochi teologi, che  non si sono lasciati imbalsamare c’è ed è una grande ricchezza per la società tutta, ma se non cambia radicalmente la istituzione chiesa, rischia di rimanere una foglia di fico, che  nasconde le vergogne e non risulta efficace come testimonianza pubblica.
Cioè giova a una società, che di ricchezze spirituali ne ha ben poche di altre, ma viene offuscata dalla chiesa istituzione, che va per tutt’ altre strade.
Nelle cose umane la dialettica, la contrapposizione almeno come prima fase di ogni cambiamento è inevitabile e questa interpretazione di chiesa che danno i preti da strada deve poter essere visibile e in contrapposizione aperta con quell’ altra ufficiale e fino ad oggi largamente prevalente nella chiesa istituzionale.
Queste degnissime persone, finora, non hanno avuto il coraggio di fare rete e presentarsi apertamente come una interpretazione della chiesa diversa da quella istituzionale.
Ma dovranno farlo o la loro testimonianza rimarrà un fatto privato, una forma di filantropia come tante altre, senza incidenza sulla chiesa come comunità.
Il nuovo papa ha quindi un suo esercito, piccolo ma già visibile, non ostante abbia subito una emarginazione, durata decenni.
La  via, allora, che realisticamente potrebbe percorrere, con qualche probabilità di successo, papa Francesco potrebbe essere  proprio quella già  da lui intrapresa.
Consistente nell’evitare di affrontare frontalmente il discorso dell’ abolizione di questo o quel dogma, sia perché i dogmi da abolire sono troppi, sia perché i fedeli rimasti non sono attrezzati culturalmente per capire seriamente di cosa  si starebbe parlando, se, se ne parlasse e quindi non gli sarebbero di grande aiuto.
Questa via, magari i suoi successori potrebbero non seguirla, ma è tale da ripresentare il semplice e originario messaggio evangelico, con semplicità e coerenza, lasciando che dogmi e consuetudini bislacche, che ai tempi moderni e soprattutto presso le giovani generazioni, non hanno più corso, divengano desueti e si estinguano da soli, come capita ,del resto, negli ordinamenti giuridici degli stati, dove, se certe norme non vengono più seguite sistematicamente, né vengono più sanzionate, in pratica è come se non esistessero più e vengono considerate decadute.
Forse ,a questo  punto,questa è l’unica strada realmente praticabile.
Per questo percorso la gente potrebbe seguirlo.




venerdì 3 gennaio 2014

Cercasi qualcuno capace di mettere in riga caste lobby e corporazioni Che sia un leader, ma non un duce




E’ inutile negarlo il fascismo non è stato un goccia d’acqua passeggera, ma è stato un qualcosa che ha toccato profondamente le coscienze collettive, ha modificato la storia e vi si è inserito in modo pressoché permanete, proprio perché ha richiamato una serie di sensibilità e di acquisizioni presenti profondamente nella storia d’Italia.
Siamo la bellezza di sessantanove anni dalla caduta di quel regime, ma ancora ne subiamo le conseguenze.
Per esempio, nei giorni scorsi, sulla stampa si è sviluppata una polemica proprio a proposito di un articolo di Eugenio Scalari, critico sul personaggio Renzi, che argomentava sulla maledizione tutta italiana per la quale si ha necessità assoluta di trovare un leader politico adeguato, ma si ha contemporaneamente una maledetta paura di ritrovarsi con un uomo solo al comando.
Distinguere fra leader e duce in Italia riesce ancora difficile.
Siamo nel periodo di un ritorno di interesse e di studi su uno dei fari della nostra cultura : Niccolò Macchiavelli.
Diversi politologi, interrogati inevitabilmente sull’argomento, hanno correttamente risposto che la qualità fondamentale del Principe, per quel nostro grande, era stata individuata nella capacità di pensare a un futuro, di avere un progetto a lungo periodo.
E’ antipatico ricorrere all’inglese, ma il termine  “vision” è perfettamente confacente.
Kennedy, Mandela, due personaggi dei quali si è tanto parlato di recente, avevano indiscutibilmente una vision ed è questa che li ha messi sul piedestallo della storia, hanno avuto un grande progetto, che ha ispirato la loro azione.
Non hanno rincorso gli eventi per conservare il potere, ma sono stati loro a creare gli eventi.
L’Italia ha passato vent’anni, ma molti dicono addirittura cinquant’anni, senza fare nulla, se non subire gli eventi e cercare di galleggiare.
Il timoniere sulla barca non c’era e se c’era nessuno se ne è accorto.
Cioè se aveva un programma a lungo periodo, e di questo è lecito dubitare, ha completamente fallito nel realizzarlo.
Ora dopo tanto tempo passato fra melma e palude si vorrebbe tornare su un terreno solido e rimettersi a camminare, per poi, possibilmente, fare anche qualche corsetta, come si aveva fatto per esempio negli anni sessanta.
Dopo tanti anni nella melma, è chiaro che di fango da spalare ce n’è una bella quantità.
Ma per sapere cosa fare non è necessario insediare una commissione di studio : occorre fare quello che dovevamo fare cinquant’anni fa e non abbiamo mai fatto.
E’ inutile tirare in ballo continuamente alchimie di leggi elettorali particolari o di riforme costituzionali, che risolverebbero tutto.
Tutti ricordiamo che Berlusconi era stato eletto a furor di popolo con una maggioranza parlamentare strabocchevole e non ha combinato assolutamente nulla, non ha riformato assolutamente nulla, non ha fatto assolutamente nulla né di liberale né di socialista.
Ha fatto e bene gli affari propri, nel senso che è arrivato al potere con le sue industrie quasi in bancarotta per il peso dei debiti, e se ne è andato seduto su una montagna di milioni.
E’ quindi inutile gingillarsi ricorrendo riforme istituzionali per dare più potere al capo del governo se poi il capo del governo non riesce o non vuole comandare per realizzare il bene comune.
Finita, ma fuori tempo massimo, l’infatuazione per Berlusconi, ora pare che siamo all’infatuazione per il sindaco di Firenze.
Giovane, simpatico,moderno e con un tocco di classe, come sola può dare la fama di una  città d’arte meravigliosa come Firenze.
Rispetto a Berlusconi, indiscutibilmente un bel passo avanti.
Ma anche Berlusconi nel ’94 era sembrato a molti l’uomo adeguato a portarci fuori dalla palude ed è finita come è finita, in questo caso, letteralmente, in un vistoso e imbarazzante bordello, che ha fatto ridere di noi il mondo intero.
Renzi, però, è stato incoronato dalle primarie del PD.
Ha cioè ricevuto una investitura popolare di tutto rispetto, ma ancora parziale, cioè le elezioni politiche deve ancora vincerle, quando la coalizione delle caste, delle lobby e delle  corporazioni, che non vuole cambiare nulla, si degnerà di lasciargliele fare.
Fino ad allora si troverà a comandare su un apparato di partito, con relativi gruppi parlamentari, che ha già fatto fuori, come uno schiacciasassi, personaggi del calibro di un Prodi.
E poi, per avere il livello adeguato di consensi per governare veramente, deve o recuperare alle elezioni politiche gran parte del suo elettorato, che ha abbandonato un PD screditato per voltarsi su Grillo e i 5Stelle, oppure riuscire a convincere i medesimi 5Stelle a entrare in coalizione con lui.
Due cose tutte e due di difficile realizzazione anche se non impossibili.
Poi deve dimostrare di avere veramente una vision, un progetto definito a lunga scadenza, cosa che francamente finora non ha dimostrato di avere, essendosi sempre nascosto dietro a linee programmatiche  generiche.
Come si vede sono tutt’altro che rose e fiori.
Che possiamo fare, facciamo gli auguri, a lui, ma anche  a Grillo, perché capiscano che da soli andrebbero solo a sbattere, perché né l’uno, né l’altro ha i numeri sufficienti e se insistono nel delirio narcisistico di perseguire tutto il potere solo per sé ,non afferreranno un bel nulla e noi rimarremo ancora nella palude.





venerdì 13 dicembre 2013

I forconi ex ceto medio ridotto a vivere con 700 € al mese



I cassintegrati, per chi non lo sapesse, devono vivere con 7/800 € al mese e sono molti  più del 1.500.000 registrato nel 2012.
I precari erano 3.300.000 nel 2012 e navigano con stipendi attorno ai 900 € al mese .  
I pensionati sono 16.700.000, la pensione media è di 860 € , il 17% è sotto ai 500 €
I disoccupati sono oltre il  12%.
I giovani disoccupati sono il 40% + il 20%, che sono quelli che non studiano e non cercano lavoro, e arriviamo al 60% di inattivi, è un dato impressionante.
Le donne inattive sono il 48%, il dato più alto della UE.
Lo stipendio medio degli  italiani è di 1.300 € , 900 per i neo assunti, 1.040 per le donne, 1.000 per gli stranieri.
Le partite Iva sono 7.000.000, ma oltre 2.000.000 sono inattive, e delle 5 milioni rimanenti, ce ne sono un mare a reddito appunto da 800€, anche se la media è di 1.400.

E’ antipatico snocciolare dati, ma occorre farlo per capire come siamo caduti in basso, in poco più di vent’anni.
Se una marea di gente deve vivere  con  800 € o poco più, occorre ricordare, che a Milano l’affitto di un monolocale costa più di 600 €, più spese di condominio , poi ci sono da pagare le bollette delle utenze, dopo di che o si va a mangiare alle mense della Caritas, o ci si fa aiutare da familiari, che magari sono anche loro al limite.
Con i dati sopra riportati, non c’è da stupirsi che ci siano per le strade quelli dei forconi a protestare un po’ su tutto, ma c’è da stupirsi che quella stessa gente, sia stata buona fino adesso, in quelle condizioni.
Con questi dati, i politici, che tentano di inserirsi nella protesta ,come Berlusconi, che ha governato l’Italia per 20 anni, o Salvini della Lega ,che ha co-governato, o i vari movimenti fascisti, sono addirittura patetici, talmente sono del tutto privi di una minima credibilità.
Che fanno, protestano contro sé stessi?
Le forze presunte di sinistra, sono ancora più penose, quando commentano irritate, che si tratta solo di fascisti, dimostrando di ignorare il problema.
Rimane Grillo, che non è compromesso col passato, ma che è chiamato a un compito, forse superiore alle sue capacità.
Se prima aveva un compito difficile, ora è costretto a camminare sulla corda senza tenda sotto.
Non è neanche un anno che i 5Stelle sono stati eletti.
Avevano assoluto bisogno di tempo per capirci qualcosa e fare un veloce corso di addestramento.
Hanno spesso preso atteggiamenti penosi.
Non si sono però compromessi e non si sono venduti.
Ma forse non basta.
C’è la novità di Renzi, segretario del PD, acclamato per mettere all’angolo i vari D’Alema e gli altri mandarini dell’ex PCI, che si sono in questi anni comportati peggio del peggiore democristiano.
Ma basterà Renzi?
Ha un programma nascosto nelle nebbie e quel poco che è venuto fuori è più che preoccupante, come l’andare a spogliare le pensioni in corso, di quello che percepiscono più dei contributi versati.
Per aspetti come questi è perfino peggio di Berlusconi, che oltre alle note buffonate si è limitato a governare facendo assolutamente nulla.
Per il resto è indubbio che se vincesse le elezioni lui sarebbe   meglio Renzi di Berlusconi.
Sinceramente però continuo a diffidare del modo di fare politica di Renzi.
Non vedo perché si debba essere costretti a firmare in  bianco la fiducia a un personaggio molto bravo nella comunicazione , ma che nemmeno si degna di proporre le sue idee guida strategiche.
Non mi piace la politica ridotta a un personaggio, personalizzata all’estremo.
Non mi piace la politica fatta in televisione.
Non mi piace uno che governa un partito, che dovrebbe essere di sinistra, ma che è chiaramente  ancorato a idee di politica economica liberista.
Non mi piace chi è tutto per il privato e niente per lo stato.
Non mi piace uno che ispira a Tony Blair, che è stato un gigantesco mentitore su un argomento pesantissimo come la guerra in Iraq.
Non mi piace chi gioca tutto sull’apparire.
Tutto questo mi richiamo troppo il berlusconismo.

Vedrei bene Renzi in un caso solo, se fosse capace di dialogare con i 5 Stelle, ma non ne ha neanche in mente, anzi considera i 5 Stelle il suo avversario da spolpare.

giovedì 12 dicembre 2013

Domani il futuro, un futuro di progresso tecnologico ineluttabile



Sta per finire un anno e cominciarne un altro.
Allora la gente, noi,  siamo portati a fare bilanci.
Ma non è di questo che vorrei parlare, anche perché, in crisi eravamo, ed oggi, siamo in una crisi ancora peggiore, nonostante le ripetute panzane, sparate dai nostri indegni governanti.
Mi interessa molto di più, invece, guardare al futuro, ma non nel senso di cosa farò io o cosa saremo noi l'anno prossimo.
Quello che mi interessa è guardare al futuro, nel senso di ineluttabile e straordinario progresso tecnologico.
Forse, è anche per questo che i governanti, appaiono così incerti,  e i politici, così terribilmente inadeguati.
Perché, se fossero anche onesti e preparati,  e non lo sono,  troverebbero ugualmente parecchio difficile star dietro al progresso esponenziale della tecnologia.
Ho detto senza volerlo “stare dietro”,  perché,  se è palesemente difficile,  star dietro,  governare questi fenomeni è quasi inverosimile per uomini, che sembrano rimasti indietro di troppo.
Eppure il compito della politica, con la P maiuscola, sarebbe proprio quello di governare, cioè di indirizzare i fenomeni,  non di lasciarsi trascinare da loro.
Ci sono appena stati  servizi televisivi e paginate di giornali per ricordare il mito positivo di John F. Kennedy e di Nelson Mandela.
Kennedy aveva  dato a vedere di voler fare proprio questo tipo di politica con la P maiuscola.
Il suo messaggio, in sintesi, era questo:  siamo la nazione più potente del mondo, abbiamo risorse materiali tecniche e umane impressionanti.
Se vogliamo, noi siamo, per la prima volta nella storia dell'umanità, nelle condizioni di poter risolvere i problemi, che né i nostri padri, né i nostri  progenitori consideravano risolvibili,  perché erano convinti che le discriminazioni fra razze, classi e persone fossero ineluttabili per natura.
Invece noi siamo nelle condizioni di poter vincere, per esempio, la povertà nel mondo e ridurre drasticamente la mortalità per malattie endemiche soprattutto nei paesi emergenti.
Siamo nelle condizioni di vincere l'ignoranza , anche dove non esiste un sistema scolastico adeguato.
Ognuno ci mette la sua parte di impegno.
Non chiedetevi mai cosa l'America può fare di voi,  ma cosa voi potete fare per l'America e per il mondo.
Nelson Mandela è stata un’altra formidabile  icona  di cosa rappresenta la politica con la P maiuscola, realizzando l’abolizione dell’apartheid senza fare la guerra civile, un’impresa quasi impossibile.
Questa, la politica vera ed alta, oggi può proporsi obiettivi ancora più ambiziosi se si propone di studiare, conoscere e capire le impressionanti potenzialità delle moderne tecnologie, per usarle a favore del progresso e per il bene dell'umanità.
Ecco, è di questo che conviene parlare ora, vicino all’inizio di un nuovo anno.
Perché qualunque sia il livello delle classi politiche nel mondo, la tecnologia andrà avanti.
Almeno questa è una grosso motivo di soddisfazione : la stupidità, l’ignoranza, la corruzione, i pregiudizi, i fondamentalismi e i dogmatismi non potranno farci nulla contro il potere della tecnologia che ormai avanza di forza propria,  piaccia o non piaccia.
Il progresso in atto nella tecnologia è semplicemente impressionante  e tale da prospettare scenari da fantascienza, per il domani prossimo.
Propongo tre esempi, che tutti probabilmente conoscono, per averne  letto o visto, come anticipazioni di stampa, tre fantascientifiche applicazioni, studiate dai gruppi industriali più all’avanguardia come Google e Amazon.

-  I Google Glass,  gli occhiali ,dotati di telecamera incorporata e di un piccolo schermo televisivo, che  viene proiettato sulla retina, ovviamente connessi col Web.
È uno strumento detto di “realtà aumentata”, che consente a chiunque li porti di poter fare foto e filmati dagli occhiali, in qualsiasi momento e situazione e di inviare poi quelle immagini via Web ad altri, sui loro computer, tablet,  telefonini o altri Google glass.
Si potranno dettare messaggi e spedirli, si potrà vedere un notiziario televisivo o un qualsiasi filmato, sempre camminando o in qualsiasi situazione ci si trovi, con gli occhiali sul naso, si intende.
Roba da fantascienza, indubbiamente, ma acquistabile in America da qui a poco, e in Europa, pare, nella primavera prossima.
Ma comunque in giro per il mondo ci sono già un sacco di questi strumenti,  per poter testare il prodotto.
E pare che abbiano riscosso un primo grande successo fra i chirurghi, che così possono rivedersi le operazioni e valutarsi.
Si pensi all'utilizzo di questo strumento, non come cosa bellissima,  ma da  classificare fra i beni superflui, quanto invece per cosa potranno diventare ad esempio per molti disabili.
I sordi potranno vedere scritto sullo schermo, proiettato nei loro occhi dagli occhiali, quello che gli altri dicono e che prima non potevano conoscere, usando software già comuni oggi.
Si pensi, poi, a tutti gli sviluppi possibili, ad esempio :  parlare nella propria lingua e fare in modo che gli altri sentano nella loro lingua, perché includendo questo aggeggio, praticamente, un piccolo computer, questo può far girare diversi programmi, compresi quelli di traduzione.

-  Come se non bastassero i Google glass, Google ha impegnato capitali ingenti sul progetto dell’auto, che viaggia  senza pilota.
L'auto che viaggia senza guidatore umano,  in prova ha già fatto un numero enorme di kilometri, senza causare alcun incidente ed è lecito prevedere che di qui a non molto apparirà sul mercato.

- Anche se Amazon ha sfruttato le foto del “drone Amazon”,  per consegnare i pacchi al posto del postino, al momento giusto, per poterlo usare ai fini della propaganda di vendita prenatalizia,  è assolutamente chiaro, che la tecnologia dei droni per uso civile (elicotteri in miniatura) è già in uso da tempo.
Ad esempio per monitorare lo stato dei ghiacciai; per monitorare lo stato dei monumenti storici o lo stato delle infrastrutture;  per portare viveri ai rifugiati in aree di guerra o siti difficilmente raggiungibili; per semplice uso cine-fotografico nei deserti o altri luoghi inospitali, eccetera, eccetera.

Ma al di là delle meraviglie tecnologiche di Google e Amazon , i due settori, che cambieranno in modo assolutamente radicale la nostra vita, nel prossimo futuro, sono probabilmente  la bionica e le nanotecnologie.
Tutti abbiamo sperimentato l'enorme aiuto, che ci possono dare i computer per fare cose. ma soprattutto per usarli come espansione del nostro cervello, sia per accumulare dati su supporti informatici, sia per cercare e usare i dati archiviati in tempi velocissimi.
Ora, facciamo un altro passo in avanti, e pensiamo a cosa saremo, quando alcuni dei componenti dei computer saranno materialmente inseriti nel nostro corpo per migliorarne e allargarne le prestazioni.
Questa è la parte più intrigante della bionica.
Avrà impieghi formidabili , e già ne ha parecchi,  innanzitutto per far sì che disabili non siano più disabili.
Per far vedere i ciechi, o per far funzionare perfettamente un arto artificiale, come se fosse di carne ed ossa.
Inutile ricordare le gambe bioniche di Oscar Pistorius, che gli hanno permesso di fare atletica ai massimi livelli.
Non da meno  sono le nanotecnologie.
Possono usare  componenti dei computer, su supporti tanto piccoli, da risultare invisibili, aprendo scenari ancora più importanti e inesplorati e non tutti, tali da non impensierirci.
Infatti, è noto che moltissimi laboratori stanno lavorando per studiare congegni per i più disparati usi militari.
Un altro campo nel quale si sta lavorando alacremente nel campo delle nanotecnologie è quello della fabbricazione di tessuti di tipo del tutto nuovo, ad esempio tessuti totalmente idrorepellenti.
O vernici o altri supporti da usarsi negli edifici per impedire in modo assoluto alla polvere ed allo sporco di fissarsi, renderli autopulenti.
Non parliamo poi,  dei possibili impieghi in campo medico diagnostico, dove è evidente, che usare congegni microscopici,  da ingerire o da inserire nel corpo, in grado di trasmettere dati di ogni genere, con tecniche totalmente non invasive, significa essere vicini a disporre di strumenti diagnostici, non solo a dolore zero, ma anche a disagio zero, per il paziente.
Questo è  un campo nel quale perfino il termine fantascienza appare inadeguato.
Se Kennedy, cinquant'anni fa, poteva dire quello che ha detto, ed essere considerato credibile, con la tecnica di oggi, enormemente più potente, 'l'umanità è già ora in grado di vincere le sue battaglie,  per la prima volta nella storia, allargando di molto i limiti dell'umano.
Siamo, in questi campi, talmente ai limiti dell’umano, che la politica, ma anche le religioni, sono messi di fronte a realtà, che le sorpassano talmente di tanto, da essere costrette ad annaspare e ad accampare vere o presunti dilemmi morali, quasi sempre  per mettersi di traverso alle sperimentazioni ed alla ricerca.
Non è un caso ad esempio, che i paesi europei, nei quali la ricerca sulle nanotecnologie è più trascurata, diciamo per resistenze ambientali, sono l’Italia e l’Irlanda, cioè i due paesi ritenuti teoricamente più cattolici degli altri.
Del resto, già da parecchi anni, il decano dei filosofi italiani, Emanuele Severino, aveva studiato in profondità la questione del potere della tecnica e aveva sostenuto, che, ineluttabilmente, la tecnica ha preso il posto di Dio e nessuno è più in grado di cambiare questo rapporto di forza.
La tecnica non è né buona né cattiva.
È però una forza enorme, che l'uomo, forse, come dicono i filosof, non è già più in grado di controllare, anche per i limiti del nostro cervello, che non può raddoppiare di velocità ogni tot anni, come fanno i computer, a seguito del progresso tecnico.
La nostra natura,  però, ci spinge a provarci, diversamente non saremmo più umani.
Non dimentichiamo, che le nostre radici culturali, assorbite dall’evoluzione, sono pur sempre negli immortali miti classici di Prometeo di Icaro e di Ulisse.
Come ci ricorda Dante nei celebri versi del Cap. XXVI dell’Inferno riferiti al mito di Ulisse :         
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”
La riflessione filosofica va sempre presa in considerazione con il massimo rispetto anche in questo caso.
Va detto però, che la visione sopra riportata di Severino, risulta  eccessivamente prigioniera di una cosmologia geocentrica.
Cioè, la tecnica si è impadronita dell'umanità sulla terra , ma la scienza ha una prospettiva molto più  ampia.
La scienza moderna parla infatti di un universo infinito ed eterno.
Margherita Hack, diceva, che noi umani siamo dalle formichine, che si agitano nell'infinita vastità del cosmo.
E quindi, la nostra tecnica, pur potentissima, non può fare altro che solletico all'universo.
E’ antipatico da dirsi e da metabolizzare, ma l’universo è totalmente indifferente a noi ed a quello che facciamo.
Se è lui dio, è un dio che non ci ama e nemmeno ci odia, ma che ci è estraneo.
Lasciamo pure perdere i miti religiosi di tutte le latitudini geografiche, tutte le teologie e tutte le dogmatiche, utili solo per suggerire intuizioni,  ma non certo per spiegare alcunché, e nemmeno più per consolare l’uomo moderno.
Rimane però il fatto, che chiunque coltivi interessi di carattere spirituale, usando le più varie discipline, lo fa anche perché non può non rilevare la sensazione, l’intuizione, chiamatela come volete, che quello che il senso comune intende come dio, sia soprattutto dentro di noi.
Tanto da rendere tutt’altro che inverosimile la famosa frase di Feurbach, condivisa poi da Nietzsche  : non sono gli dei, che hanno inventato o creato gli uomini, ma sono gli uomini che hanno inventato gli dei.
E quindi,  pur prendendo come punto di partenza, per qualsiasi ragionamento, le acquisizioni della scienza, che allo stato ci dicono, che il mondo appare governato dal caso, e che quello che chiamiamo spirito, anima, pensiero finisce al finire del cervello, che con le sinapsi fra i neuroni genera fisicamente il pensiero, niente ci impedisce di cercare con decisione vie che possano rendere verosimile quelle intuizioni di cui si diceva sopra, in base alle quali sia possibile rendere verosimile l’esistenza autonoma del pensiero e dello spirito.
L’immortalità del pensiero e dello spirito.
Lavorando quindi sull’ ipotesi, portata avanti dalla riflessione filosofica e dalla teologia più avvertita, secondo le quali, quello che chiamiamo spirito o  pensiero,  si possa considerare veramente qualcosa di più e di diverso del prodotto fisiologico materiale del funzionamento dei neuroni cerebrali e quindi risiedente autonomamente su qualche supporto, ancora ignoto.
L’enorme vantaggio, che la scienza ha sulle cattive teologie, imbalsamate nei loro dogmi, è il fatto che, per definizione, la scienza stessa è in continua evoluzione, e le neuroscienze in particolare ci aprono di continuo a nuove conoscenze.
La tecnica informatica, ad esempio, ci spinge a ipotizzare nuovi orizzonti a questo proposito.
Oggi la memoria dei computer ha fatto progressi talmente rapidi e clamorosi, che ci consente oggi di archiviare quantità assolutamente enormi di dati, per quantità quasi illimitate.
È quindi tecnicamente possibile archiviare quello che ogni singolo essere umano ha pensato nel corso di tutta la sua vita.
Riflettendo su questo fatto, per analogia, è difficile non andare a coltivare delle suggestioni affascinanti.
Per esempio, si potrebbe ipotizzare, che ci sia già tutto il pensiero, elaborato dall'umanità  nei 200.0000 anni, da quanto è comparso l’homo sapiens sulla terra, archiviato da qualche parte, che la scienza non ha ancora rivelato.
Le nanotecnologie, poi, ci inducono a coltivare altre suggestioni.

Infatti, se l’astrofisica ci consente, oggi, di conoscere l’universo come infinito ed eterno, il nostro orizzonte, probabilmente, si dovrà allargare ancora di più,  perché abbiamo di fronte a noi il campo, dove c’è quasi tutto ancora da scoprire, dell’ infinitamente piccolo, oltre al livello atomico e sub- atomico, che già ci ha rivelato le sorprese della meccanica quantistica, che ha rivoluzionato la nostra cosmologia e le nostre leggi fisiche, già una volta.

venerdì 6 dicembre 2013

Mandela è morto ma era già nel Panteon dell’umanità



Diversi anni fa ho letto la bellissima autobiografia di Nelson Mandela, sull’onda dell’euforia, derivante dalla possibilità di acquistare per la prima volta sul web libri nel circuito internazionale, senza sovra- costi di intermediari e con spedizione di una celerità sconosciuta, diversi anni prima della sua uscita in Italia.
Il personaggio era già un mito nella cerchia dei sessantottini e affini, anche se ne avevamo solo una conoscenza superficiale, ma era ben poco conosciuto dal più grande pubblico.
Purtroppo  in Italia ha avuto troppa poca eco anche la figura, che è stata vicinissima a Mandela nella fase della pacificazione nel dopo- apartheid, quella del vescovo anglicano Desmond Tutu.
La figura di Mandela risultava estremamente accattivante .
Come leader politico carismatico era anomalo per la sua epoca e per il suo continente, perché non era affatto un ideologo fanatico ed ancor meno era un sobillatore della lotta armata.
Per il mondo culturale nel quale è nata e cresciuta la mia generazione (quella dei non più giovani baby-boomers), Mandela risultava affine perché aveva più di qualcosa, che richiamava le figure austere e pulite del nostro Risorgimento.
A me, come a chissà quanti altri lettori, ha colpito il numero impressionante di anni che il nostro ha passato nella galera di quella piccola isola, che da lontano faceva intravedere il Sud Africa.
Ventisette anni, al primo colpo pensavo fosse un errore di stampa.
Per noi si tratta di un numero di anni di galera addirittura superiore a quello che in media passano gli ergastolani.
E’ molto interessante il modo come Mandela in quel libro descrive la sua lunghissima vita carceraria.
L‘impegno quotidiano, sistematico  e caparbio di dedicare tempo per istruirsi, tenersi al corrente e fare, nei limiti delle restrizioni carcerarie, scuola di politica con i suoi compagni.
Si era costruita una cultura anglosassone classica, e questo ovviamente lo favoriva nel cercare di capirsi con i suoi avversari del governo bianco Sud Africano, che pure erano di cultura anglosassone.
Con lo stesso impegno e caparbietà si dedicava con metodo all’esercizio fisico.
Sarà sempre uno sportivo appassionato, che del calcio e del rugby si servì anche come di strumenti potenti per fare aggregazione, al di là delle differenze di colore della pelle, di cultura e di lingua.
Di stirpe reale, in una piccola etnia di quella regione, si era trovato nella condizione di essere un africano, che sentiva di portarsi addosso la responsabilità per la sua gente.
Era un po’ nella condizione, che in Europa avevano quei cadetti di famiglie nobili, un tempo potenti e poi decadute, che però avevano nelle loro radici la cultura della nobiltà in senso positivo.
E poi la lunga preparazione, e infine la lotta per abolire l’apartheid, senza scatenare la guerra civile, cercando contemporaneamente di non cadere nella trappola dei contrapposti schieramenti geopolitici, in quegli anni di piena guerra fredda.
Ebbe successo, anche perché aveva la qualità principale del diplomatico di razza: cioè la capacità e la naturale inclinazione a fare lo sforzo intellettuale per mettersi nei panni dell’avversario, per cercare di individuare le sue esigenze  e possibilmente anche per entrare nei meandri delle loro motivazioni inconsce, passionali.
Ma la battaglia più grossa, perché più difficile  e coinvolgente sul piano umano l’ha dovuta combattere con le diverse componenti del suo schieramento, nel quale militavano molti compagni, troppo “compagni” nel senso di filo-comunisti.
Mosca era interessatissima ad inserirsi in quelle lotte e non badava a spese, cosa questa pericolosissima per quella congrega di intellettuali squattrinati.
La storia,   è lunga ed è andata a finire come sappiamo.
Mandela, primo presidente africano del Sud Africa ex bianco, anche se a stragrande maggioranza nera e premio Nobel per la pace.
Anche se questa è una storia bella e, una volta tanto, a lieto fine, non è però certo stata priva di ombre.
Anzi, soprattutto oggi, si vedono ambre molto fitte, costituite da una diffusa corruzione e da una impreparazione, a volte sorprendente di quella classe politica.
Madela era nato per volare alto e non per scendere nelle quotidiane grane dell’amministrazione e dell’economia.
Immaginiamoci, per fare un paragone, a noi più vicino, cosa sarebbe stato, se la sorte avesse voluto, che a fare l’unità d’Italia fosse riuscito non a Cavour, ma a Mazzini.
Ora Mandela è nel Panteon dell’umanità, perché è stato con umiltà e con sobrietà abbastanza grande da essere percepito come un eroe universale.
La lotta contro le discriminazioni di ogni tipo avranno sempre nella figura di Mandela il loro punto di riferimento.

Diversi anni fa ho letto la bellissima autobiografia di Nelson Mandela, sull’onda dell’euforia, derivante dalla possibilità di acquistare per la prima volta sul web libri nel circuito internazionale, senza sovra- costi di intermediari e con spedizione di una celerità sconosciuta, diversi anni prima della sua uscita in Italia.
Il personaggio era già un mito nella cerchia dei sessantottini e affini, anche se ne avevamo solo una conoscenza superficiale, ma era ben poco conosciuto dal più grande pubblico.
Purtroppo  in Italia ha avuto troppa poca eco anche la figura, che è stata vicinissima a Mandela nella fase della pacificazione nel dopo- apartheid, quella del vescovo anglicano Desmond Tutu.
La figura di Mandela risultava estremamente accattivante .
Come leader politico carismatico era anomalo per la sua epoca e per il suo continente, perché non era affatto un ideologo fanatico ed ancor meno era un sobillatore della lotta armata.
Per il mondo culturale nel quale è nata e cresciuta la mia generazione (quella dei non più giovani baby-boomers), Mandela risultava affine perché aveva più di qualcosa, che richiamava le figure austere e pulite del nostro Risorgimento.
A me, come a chissà quanti altri lettori, ha colpito il numero impressionante di anni che il nostro ha passato nella galera di quella piccola isola, che da lontano faceva intravedere il Sud Africa.
Ventisette anni, al primo colpo pensavo fosse un errore di stampa.
Per noi si tratta di un numero di anni di galera addirittura superiore a quello che in media passano gli ergastolani.
E’ molto interessante il modo come Mandela in quel libro descrive la sua lunghissima vita carceraria.
L‘impegno quotidiano, sistematico  e caparbio di dedicare tempo per istruirsi, tenersi al corrente e fare, nei limiti delle restrizioni carcerarie, scuola di politica con i suoi compagni.
Si era costruita una cultura anglosassone classica, e questo ovviamente lo favoriva nel cercare di capirsi con i suoi avversari del governo bianco Sud Africano, che pure erano di cultura anglosassone.
Con lo stesso impegno e caparbietà si dedicava con metodo all’esercizio fisico.
Sarà sempre uno sportivo appassionato, che del calcio e del rugby si servì anche come di strumenti potenti per fare aggregazione, al di là delle differenze di colore della pelle, di cultura e di lingua.
Di stirpe reale, in una piccola etnia di quella regione, si era trovato nella condizione di essere un africano, che sentiva di portarsi addosso la responsabilità per la sua gente.
Era un po’ nella condizione, che in Europa avevano quei cadetti di famiglie nobili, un tempo potenti e poi decadute, che però avevano nelle loro radici la cultura della nobiltà in senso positivo.
E poi la lunga preparazione, e infine la lotta per abolire l’apartheid, senza scatenare la guerra civile, cercando contemporaneamente di non cadere nella trappola dei contrapposti schieramenti geopolitici, in quegli anni di piena guerra fredda.
Ebbe successo, anche perché aveva la qualità principale del diplomatico di razza: cioè la capacità e la naturale inclinazione a fare lo sforzo intellettuale per mettersi nei panni dell’avversario, per cercare di individuare le sue esigenze  e possibilmente anche per entrare nei meandri delle loro motivazioni inconsce, passionali.
Ma la battaglia più grossa, perché più difficile  e coinvolgente sul piano umano l’ha dovuta combattere con le diverse componenti del suo schieramento, nel quale militavano molti compagni, troppo “compagni” nel senso di filo-comunisti.
Mosca era interessatissima ad inserirsi in quelle lotte e non badava a spese, cosa questa pericolosissima per quella congrega di intellettuali squattrinati.
La storia,   è lunga ed è andata a finire come sappiamo.
Mandela, primo presidente africano del Sud Africa ex bianco, anche se a stragrande maggioranza nera e premio Nobel per la pace.
Anche se questa è una storia bella e, una volta tanto, a lieto fine, non è però certo stata priva di ombre.
Anzi, soprattutto oggi, si vedono ambre molto fitte, costituite da una diffusa corruzione e da una impreparazione, a volte sorprendente di quella classe politica.
Madela era nato per volare alto e non per scendere nelle quotidiane grane dell’amministrazione e dell’economia.
Immaginiamoci, per fare un paragone, a noi più vicino, cosa sarebbe stato, se la sorte avesse voluto, che a fare l’unità d’Italia fosse riuscito non a Cavour, ma a Mazzini.
Ora Mandela è nel Panteon dell’umanità, perché è stato con umiltà e con sobrietà abbastanza grande da essere percepito come un eroe universale.

La lotta contro le discriminazioni di ogni tipo avranno sempre nella figura di Mandela il loro punto di riferimento.