Dai tempi di Garibaldi non sono passate tante generazioni da rendere incomprensibili quegli anni, basta tornare al bisnonno.
E’ vero che nel frattempo di cose ne sono successe veramente tante, ma con un po’ di senso storico non è poi così difficile cercare di immedesimarsi in quei tempi.
Proviamoci. La differenza più vistosa, lo vediamo subito non è che allora non c’era la televisione e la gente era più povera e meno istruita, la differenza fondamentale è nel modo di sentire le cose.
Probabilmente oggi abbiamo tanto di più ma è abbastanza evidente che non siamo all’altezza di Garibaldi.
Che di fronte alle rivoluzioni odierne in Medio Oriente un Garibaldi sarebbe già partito con altri volenterosi per andare ad aiutare chi sta combattendo per conquistare la libertà del suo popolo ci sono pochi dubbi.
Oggi al massimo si trova qualche giovane disposto a partire per qualche organizzazione umanitaria, ma non è concepibile ritrovare lo spirito dei Garibaldi.
Eppure fino alla guerra di Spagna (1936), non un secolo fa, c’erano gli Hemingway pronti a partire per combattere a favore della Repubblica Spagnola o sul fronte opposto giovani convinti degli ideali propagandati dal fascismo che sono partiti per sostenere i Franchisti.
Poco dopo ci sono stati i giovanissimi volontari arruolatisi per la seconda guerra mondiale e poi il fenomeno tutt’altro che marginale della Resistenza da una parte e dei giovani di Salò dall’altra.
In tutti questi casi si andava a mettere in gioco la propria vita per ideali sentiti e vissuti come alti, si era quindi pienamente nel solco dello spirito dei Garibaldi.
Ora quello spirito pare scomparso dalla faccia della terra.
Fatta questa constatazione non è facile giudicare fino a che punto è un bene e fino a che punto è un male, che oggi le cose stiano in questi termini.
Oggi i diritti umani sono molto ma molto più diffusi e difesi rispetto ad allora.
In pura teoria quindi dovrebbe essere più sviluppato lo spirito garibaldino del quale si parlava e invece questo oggi è scomparso.
Va anche detto che certi elementi dello spirito garibaldino nel senso di slancio dannunziano, di culto dell’atto eroico là dove tendono a rasentare il fanatismo, portano con sé anche elementi tutt’altro che positivi.
Ed allora la riprovazione che oggi comportano gli atti ad esempio dei fanatici religiosi è da accogliere come un fatto positivo.
Nello spirito di allora vi era anche un forte, forse troppo forte senso dell’onore.
Pensiamo ad esempio lo scherzo che questo senso dell’onore, nobile se razionalmente confortato da verifiche sulla situazione alla quale applicarlo, ha giocato a tanti “ragazzi di Salò” che sulla spinta di questo sentimento non hanno saputo valutare quanto quel regime fosse nato privo di ogni legittimazione e fosse fuori dalla realtà.
E’ nobile essere fedeli ai patti ed ai giuramenti di fedeltà, ma attenzione, patti e giuramenti hanno come controparte l’istituzione stato, nazione , patria ecc.questa solo permane nel tempo, non la persona fisica che pro-tempore e solo pro- tempore li rappresenta se e fin quando ne ha la legittimità.
Garibaldi , bisogna dargliene atto, era stato ancora più moderno di questi nobili giovani del nostro passato recente, e suoi posteri, che in parte ne avevano ereditato lo spirito.
Era stato ancora più moderno perché il suo spirito era sì animato dagli stessi ideali di difesa dell’onore della patria , ma aveva saputo andare anche oltre, ponendo questi ideali e sentimenti al servizio di principi razionali e filosofici universali molto vicini per intenderci a quelli dell’illuminismo, che poi sono diventati il fondamento delle dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo.
Garibaldi è spesso ricordato superficialmente come un leader carismatico facile ad infiammarsi, perfino un po folcloristico, ma questo contrasta con le solide basi filosofiche che ne hanno ispirato l’azione.
Garibaldi non era stato facile preda dei sentimenti giovanili, perché aveva saputo i sentimenti metterli al vaglio di una valutazione razionale legata ai suo principi.
L’enorme modernità delle idee che hanno ispirato la Repubblica Romana del 49 ne sono testimonianza.
Oggi quei principi sono dati per acquisiti in tutto l’Occidente (un po meno solo in Italia dove imperversa ancora ma forse per poco uno residuo di clericalismo altrove del tutto scomparso).
Qualcosa dello spirito garibaldino lo si può trovare nel coraggio civile di chi si spende in difficili e pericolose trincee per puro spirito umanitario, che sia animato da ideali religiosi ,come un Don Ciotti e molti altri “preti da strada”, o del tutto laici come un Gino Strada.
Oggi ha preso piede un forte spirito pacifista, ben giustificato dagli immani disastri vissuti nel secolo scorso.
Questo è senza dubbio un fatto positivo, perché essendo questo sentimento largamente diffuso a nessun governante può venire in mente di trascinare il paese in guerre di conquista come è capitato in passato.
A volte mi chiedo però cosa succederebbe nella eventualità di dover andare alle armi per fronteggiare una aggressione esterna.
L’eventualità è fortunatamente molto remota, ma non è certo inverosimile.
Garibaldi è stato per lunghi anni adottato dalle parti politiche di sinistra.
Oggi queste stesse forze politiche versano in una crisi senza precedenti che coinvolge la confusione delle idee sulla loro stessa identità culturale, che da tempo nelle espressioni più radicali, contempla un pacifismo assoluto, che tra l’altro è in contrasto stridente con il loro passato.
Ancora oggi facendo passare i commenti sulle vicende libiche che vede la sinistra radicale compattamente schierata contro l’intervento militare, viene da pensare cosa avrebbe fatto questa sinistra da salotto ai tempi della resistenza, avrebbe combattuto i repubblichini con le postole ad acqua?
Lo spirito di Garibaldi non è sopravvissuto nelle sue forme originarie lo abbiamo visto , è durato nel tempo poi si è trasformato in spirito umanitario perdendo del tutto la disponibilità di menar le mani, se necessario.
Per molti versi è un fatto positivo, purchè non vengano tempi che richiedano azioni più estreme.
lunedì 21 marzo 2011
venerdì 4 marzo 2011
Finalmente qualcosa comincia a muoversi all’interno del Berlusconismo
Il giornale Libero diretto da Feltri e Belpietro, che ne hanno acquisito recentemente la proprietà, sta da qualche tempo, prima cautamente, ora in modo più diretto preparando la base a un Berlusconismo senza Berlusconi.
E’ cominciata con una inusuale libertà di linguaggio nei riguardi del premier che negli editoriali di Belpietro è stato indicato ormai senza complessi di inferiorità come “il vecchio porco”, corroborata dalla pubblicazione integrale sul sito e quasi sul giornale delle famose 350 pagine della procura di Milano sul caso Ruby.
Poi con l’espicita richiesta fatta con il titolone di prima pagina : “via tutti” di andare subito alle urne, richiesta corredata da una elencazione impietosa di tutti i recenti interventi di Berlusconi per pretendere le elezioni, subito seguite dai più recenti :“contr’ordine compagni” “ il voto sarebbe pericoloso per il paese, ora bisogna governare”.
Poi sono cominciate le frecciatine a “quegli sciocchini del Giornale”, che devono suonare per forza la campana padronale.
Bossi e Tremonti sempre messi in buona luce anche se con discrezione.
Le procure criticate per la loro tendenza a debordare, ma senza più difendere l’indifendibile posizione del premier sul piano della credibilità.
Poi Belpietro ha scelto l’espediente mediaticamente riuscito di fare una specie di gioco delle parti mettendo in prima pagina diverse volte un editoriale doppio , uno firmato da Pansa abbastanza apertamente critico nei riguardi di Berlusconi , affiancato da uno dello stesso Belpietro, che ribadiva la fiducia in Berlusconi, però riconoscendo quello che la propaganda del Pdl voleva non fosse mai riconosciuto cioè che le serate di Arcore erano tutt’altro che eleganti, che le leggi ad personam, erano leggi ad personam, che le balle raccontate dal capo erano realmente balle ecc.
Infine trascorsi i tre mesi di sospensione, comminati a Feltri dall’Ordine dei Giornalisti per i suoi articoli sul caso Boffo è venuto ieri il suo lungo editoriale per riprendere il timone del giornale, che non lascia dubbi ed indica esplicitamente in punti articolati la linea del giornale.
Riporto titolo e sottotitoli perché riassumono il discorso : Gli errori del Cav Silvio, è ancora in sella ma è all’ultima spiaggia. Le sue colpe:
non ha ripristinato l’immunità parlamentare,
non ha gestito bene la nascita del Pdl e
non ha tagliato la spesa pubblica.
Poco dopo l’incipit il discorso diventa una impietosa requisitoria :
perché il Cavaliere avendone la possibilità non ha risolto neanche uno dei problemi che gli impediscono di lavorare?
Così facendo “prende schiaffoni anche dai suoi amici” e non riesce a governare. “Non cede ma agonizza”.
Poi arrivano le contestazioni precise e articolate :
1- perché invece di architettare assurde leggi ad personam per difendersi dai processi non ha reintrodotto l’immunità parlamentare ? Ora invocando il conflitto di attribuzione fra poteri dello stato si è messo in mano alla Consulta che è una pura follia.
2- perché pur essendo stato più volte parlamentare europeo non ha di nuovo seguito quella strada che gli avrebbe garantito una immunità a prova di bomba del resto già sperimentata da D’Alema, Di Pietro e DeMagistris?
E qui dietro a una argomentazione apparentemente tecnica, viene la prima bomba : non avrebbe potuto fare il Presidente del Consiglio per incompatibilità fra le due cariche, ma che problema è?
Sarebbe stato ugualmente il dominus della politica italiana come capo del suo partito, che ne avrebbe tratto solo vantaggio diventando così un vero partito invece che un comitato elettorale, non in grado di competere con la Lega che è invece un vero partito e per questo è radicata territorialmente come il Pdl non si sogna nemmeno.
A Palazzo Chigi ci sarebbe stato benissimo Gianni Letta come suo delegato.
3- Quando fu fondato il Pdl fra i due cofondatori avrebbe dovuto sorgere un patto chiaro e un progetto articolato, che invece non ci furono e quindi la rottura è venuta per responsabilità di tutte e due le parti.
4- non ostante tutto il governo non ha fallito e il paese ha retto, non ha fatto la fine di Grecia e Irlanda, ma le dimensioni del suo debito fanno sì che giri da tempo la voce che la Ue imporrà all’Italia una patrimoniale per rientrare in una dimensione più accettabile per i partner più virtuosi.
E qui viene la seconda bomba, ancora più micidiale della prima : nessuno è riuscito a ridurre il deficit nemmeno in tempo di ripresa, immaginiamoci adesso, ci vuole altro che la “sferzata” annunciata.
Questo governo ha perso la sua occasione storica di cavalcare lo shock della crisi per attuare riforme sistemiche:
-dall’aumento dell’età pensionabile ;
-alla riduzione degli sprechi della sanità (2/3 dei pazienti non ritirano i referti degli esami dimostrando che i medici se ne fregano dei conti);
-alla drastica riduzione di chi vive di politica (1 milione e trecentomila persone);
-al blocco dei finanziamenti a pioggia dati a imprese che esistono solo sulla carta;
-alla cancellazione degli enti inutili;
-alle liberalizzazioni vere.
Se si dimostrasse che si fa veramente sul serio la gente sarebbe disposta a fare dei sacrifici in via straordinaria, ma in mancanza (terza bomba e questa è un’atomiaca) Tremonti sarà costretto fra un anno a portare i libri in tribunale e Berlusconi perderebbe il consenso, se ne rende conto?
Fantastico! Dopo anni di delusioni e di pure “balle” agli elettori del centro- destra viene presentata la verità nuda e cruda.
Peccato che non esista una opposizione come in tutti paesi civili e che il partito di maggioranza, esattamente come era capitato a suo tempo con la Dc, sia costretto a fare anche la parte dell’opposizione di fronte a una situazione politica incartata.
Non lo si dice apertamente ma da tutto il discorso di Feltri traspare una evidente sfiducia sul fatto che possa essere lo stesso Berlusconi a raddrizzare la baracca.
Non lo si dice apertamente ma il senso del discorso appare diretto al centro destra nel suo insieme, esortando chi nel suo ambito ha responsabilità politica a tirare fuori quegli attributi che finora il timore reverenziale per il capo-padrone ha impedito che ne fosse notata l’esistenza.
Finora l’hanno fatto solo due persone : la ex moglie dello stesso Berlusconi e Vittorio Feltri, complimenti a tutti e due, ma ora sotto a chi tocca, o vogliono morire politicamente sotterrati dalla loro mediocrità?
E’ cominciata con una inusuale libertà di linguaggio nei riguardi del premier che negli editoriali di Belpietro è stato indicato ormai senza complessi di inferiorità come “il vecchio porco”, corroborata dalla pubblicazione integrale sul sito e quasi sul giornale delle famose 350 pagine della procura di Milano sul caso Ruby.
Poi con l’espicita richiesta fatta con il titolone di prima pagina : “via tutti” di andare subito alle urne, richiesta corredata da una elencazione impietosa di tutti i recenti interventi di Berlusconi per pretendere le elezioni, subito seguite dai più recenti :“contr’ordine compagni” “ il voto sarebbe pericoloso per il paese, ora bisogna governare”.
Poi sono cominciate le frecciatine a “quegli sciocchini del Giornale”, che devono suonare per forza la campana padronale.
Bossi e Tremonti sempre messi in buona luce anche se con discrezione.
Le procure criticate per la loro tendenza a debordare, ma senza più difendere l’indifendibile posizione del premier sul piano della credibilità.
Poi Belpietro ha scelto l’espediente mediaticamente riuscito di fare una specie di gioco delle parti mettendo in prima pagina diverse volte un editoriale doppio , uno firmato da Pansa abbastanza apertamente critico nei riguardi di Berlusconi , affiancato da uno dello stesso Belpietro, che ribadiva la fiducia in Berlusconi, però riconoscendo quello che la propaganda del Pdl voleva non fosse mai riconosciuto cioè che le serate di Arcore erano tutt’altro che eleganti, che le leggi ad personam, erano leggi ad personam, che le balle raccontate dal capo erano realmente balle ecc.
Infine trascorsi i tre mesi di sospensione, comminati a Feltri dall’Ordine dei Giornalisti per i suoi articoli sul caso Boffo è venuto ieri il suo lungo editoriale per riprendere il timone del giornale, che non lascia dubbi ed indica esplicitamente in punti articolati la linea del giornale.
Riporto titolo e sottotitoli perché riassumono il discorso : Gli errori del Cav Silvio, è ancora in sella ma è all’ultima spiaggia. Le sue colpe:
non ha ripristinato l’immunità parlamentare,
non ha gestito bene la nascita del Pdl e
non ha tagliato la spesa pubblica.
Poco dopo l’incipit il discorso diventa una impietosa requisitoria :
perché il Cavaliere avendone la possibilità non ha risolto neanche uno dei problemi che gli impediscono di lavorare?
Così facendo “prende schiaffoni anche dai suoi amici” e non riesce a governare. “Non cede ma agonizza”.
Poi arrivano le contestazioni precise e articolate :
1- perché invece di architettare assurde leggi ad personam per difendersi dai processi non ha reintrodotto l’immunità parlamentare ? Ora invocando il conflitto di attribuzione fra poteri dello stato si è messo in mano alla Consulta che è una pura follia.
2- perché pur essendo stato più volte parlamentare europeo non ha di nuovo seguito quella strada che gli avrebbe garantito una immunità a prova di bomba del resto già sperimentata da D’Alema, Di Pietro e DeMagistris?
E qui dietro a una argomentazione apparentemente tecnica, viene la prima bomba : non avrebbe potuto fare il Presidente del Consiglio per incompatibilità fra le due cariche, ma che problema è?
Sarebbe stato ugualmente il dominus della politica italiana come capo del suo partito, che ne avrebbe tratto solo vantaggio diventando così un vero partito invece che un comitato elettorale, non in grado di competere con la Lega che è invece un vero partito e per questo è radicata territorialmente come il Pdl non si sogna nemmeno.
A Palazzo Chigi ci sarebbe stato benissimo Gianni Letta come suo delegato.
3- Quando fu fondato il Pdl fra i due cofondatori avrebbe dovuto sorgere un patto chiaro e un progetto articolato, che invece non ci furono e quindi la rottura è venuta per responsabilità di tutte e due le parti.
4- non ostante tutto il governo non ha fallito e il paese ha retto, non ha fatto la fine di Grecia e Irlanda, ma le dimensioni del suo debito fanno sì che giri da tempo la voce che la Ue imporrà all’Italia una patrimoniale per rientrare in una dimensione più accettabile per i partner più virtuosi.
E qui viene la seconda bomba, ancora più micidiale della prima : nessuno è riuscito a ridurre il deficit nemmeno in tempo di ripresa, immaginiamoci adesso, ci vuole altro che la “sferzata” annunciata.
Questo governo ha perso la sua occasione storica di cavalcare lo shock della crisi per attuare riforme sistemiche:
-dall’aumento dell’età pensionabile ;
-alla riduzione degli sprechi della sanità (2/3 dei pazienti non ritirano i referti degli esami dimostrando che i medici se ne fregano dei conti);
-alla drastica riduzione di chi vive di politica (1 milione e trecentomila persone);
-al blocco dei finanziamenti a pioggia dati a imprese che esistono solo sulla carta;
-alla cancellazione degli enti inutili;
-alle liberalizzazioni vere.
Se si dimostrasse che si fa veramente sul serio la gente sarebbe disposta a fare dei sacrifici in via straordinaria, ma in mancanza (terza bomba e questa è un’atomiaca) Tremonti sarà costretto fra un anno a portare i libri in tribunale e Berlusconi perderebbe il consenso, se ne rende conto?
Fantastico! Dopo anni di delusioni e di pure “balle” agli elettori del centro- destra viene presentata la verità nuda e cruda.
Peccato che non esista una opposizione come in tutti paesi civili e che il partito di maggioranza, esattamente come era capitato a suo tempo con la Dc, sia costretto a fare anche la parte dell’opposizione di fronte a una situazione politica incartata.
Non lo si dice apertamente ma da tutto il discorso di Feltri traspare una evidente sfiducia sul fatto che possa essere lo stesso Berlusconi a raddrizzare la baracca.
Non lo si dice apertamente ma il senso del discorso appare diretto al centro destra nel suo insieme, esortando chi nel suo ambito ha responsabilità politica a tirare fuori quegli attributi che finora il timore reverenziale per il capo-padrone ha impedito che ne fosse notata l’esistenza.
Finora l’hanno fatto solo due persone : la ex moglie dello stesso Berlusconi e Vittorio Feltri, complimenti a tutti e due, ma ora sotto a chi tocca, o vogliono morire politicamente sotterrati dalla loro mediocrità?
mercoledì 2 marzo 2011
La rivoluzione in Libia la stanno facendo i giovani ma il paese ha una struttura sociale arcaica
In Libia è in corso una rivoluzione vera e propria animata dal popolo dei giovani come è successo in Tunisia in Egitto e in altri stati arabi e islamici , ma la situazione libica è del tutto particolare, perché la Libia ha avuto una storia diversa da quella dei suoi vicini.
Gheddafi, dopo aver preso il potere 41 anni fa, ha fatto una scelta particolare inventandosi un sistema politico che avrebbe dovuto essere di democrazia diretta ben delineato nel famoso (non Italia dove non ne esiste una traduzione italiana) Libretto Verde.
Il sistema politico descritto nel Libretto Verde ha una sua coerenza logica e una sua consistenza e quindi ritengo che meriti di essere trattato in un apposito post, però per farla breve è necessario dare almeno un cenno su di che cosa si tratta altrimenti risulta praticamente impossibile capire cosa è la Libia.
Secondo il Libretto Verde il sistema liberale rappresentativo, nato in Europa, sarebbe tutto un inganno che in realtà non consentirebbe affatto al popolo di governarsi.
Lo stesso sistema europeo si fonda sull’idea di rappresentanza gestita poi in pratica da diversi partiti, che dovrebbero fare gli interessi degli elettori, ma che in realtà non lo farebbero affatto ed anzi essendo in continuo litigio fra di loro impedirebbero di governare.
Ed allora che fare? L’idea del Colonnello è stata quella di costruire un sistema di democrazia diretta fondata non sulla elezione di rappresentanti del popolo, ma di assemblee popolari che a livello di base (villaggio, paese, quartiere di città) designano un Comitato Popolare, che non deve essere un rappresentante ma solo un organismo che presieda ai lavori dell’assemblea, la quale prende direttamente le decisioni.
Il Comitato Popolare, dice il Libretto Verde, una volta prese le decisioni dall’assemblea popolare deve solo far le funzioni di “postino” e portare quelle decisioni ad analoghi organi di livello territorialmente superiori.
Per fare un esempio, il Comitato Popolare di Municipio coordina le decisioni prese dalle varie assemblee popolari suddividendosi in Comitato popolare per l’Istruzione, per la Sanità ecc.
Le assemblee, denominate Congressi del Popolo, alle quali ogni cittadino partecipa in quanto “socio” si riuniscono a scadenza annuale.
Salendo di livello territoriale il Segretario Generale del Congresso Generale del Popolo corrisponde al capo dello stato ; il Comitato Popolare per le varie sezioni esecutive corrisponde al governo.
Attenzione però perché corrisponde solo vagamente se si tiene conto che non dovrebbe fare altro che coordinare decisioni che non prende lui, ma che sono già state prese e definite dai vari Congressi del popolo.
Questo è il sistema come avrebbe dovuto essere.
Limitiamoci a constatare non tanto quello che è a tutti evidente e cioè che quel sistema ambizioso è miseramente fallito, ma soprattutto che la pretesa di mettere in atto quel particolare sistema ha di fatto consentito a Gheddafi di costruirsi un sistema di potere personale unico al mondo per il semplice fatto che in Libia non esistono strutture statali come le intendiamo comunemente, parlamento, governo ecc., perché le strutture corrispondenti per analogia non sono la stessa cosa.
Quando il colonnello dichiara di non essere il presidente di nessuno stato non sta vaneggiando, come si è portati a credere ,stante anche il ben noto carattere eccentrico del personaggio, ma esprime quello che dovrebbe essere formalmente.
Di fatto il sistema politico, il regime è stato qualcosa di non facilmente definibile.
E’ stato una dittatura personale fondata su un clan familiare, ma non solo.
Uno degli inviati del Sole 24 ore ha osservato ieri che per capire qualcosa della Libia sarebbe utile rimettere mano a quell’aureo libretto (aureo per ricchezza di informazioni) che il Reale Touring Club aveva redatto all’epoca fascista e andare a ripassarsi la struttura tribale della società libica, perché la consistenza reale di chi detiene il potere in Libia si misura soprattutto usando questo metro, di quale gruppo tribale è espressione e come questo gruppo è schierato al momento, con quali alleanze.
Il medesimo giornalista, per rendere l’idea, faceva osservare che essere generale in Libia oggi non significa pressoché nulla se non si tiene conto del rango della tribù di appartenenza, essendo questo particolare che determina il reale livello del potere detenuto.
Le tribù hanno diversa consistenza numerica ,i Warfala sono i più numerosi pare un milione su cinque, altre meno Zintan, Rojahan, Orfella, Riaina, al Farjane, al Zuwayya, Tuareg Maqariha ,i Qadhadhifa sono la tribù di Gheddafi.
I Qadhadhfia sono poco numerosi, ma con i Maqariha pare che detengano tutti i posti di potere più importanti.
Gheddafi all’inizio pare che avesse inventato il suo singolare sistema politico proprio pensando di poter così emarginare i notabili delle tribù, ma poi a poco a poco ha dovuto prendere atto che la società libica era fondata prima di tutto sulla struttura tribale e da buon medio orientale si è giocato le tribù mettendole una contro l’altra o comprandone la fedeltà, con una complicata rete di alleanze.
La situazione oggi sul campo però delinea una importante linea di demarcazione fra le tribù più vicine a Gheddafi e quelle storicamente avversarie, perché legate alla confraternita senussita, che aveva espresso il precedente regime del re Idris territorialmente proveniente dalla Cirenaica.
Non è certamente un caso che oggi i “territori liberati” dal regime di Gheddafi in Cirenaica abbiano issato la precedente bandiera monarchica.
Il nostro ministro degli esteri si è lasciato scappare l’osservazione che il nostro governo in Libia conosce praticamente solo Gheddafi, se fosse così sarebbe un bel guaio, si spera che la diplomazia parallela dell’Eni sia più forte di quella ufficiale.
Non risulta però che nemmeno gli altri governi si siano preoccupati di tenere i contatti con le tribù libiche e questo sarà un problema.
In Libia non esistono partiti, nemmeno clandestini, non esistono giornali o altri media indipendenti, non esiste per ora una figura di anti-Gheddafi.
In queste condizioni è difficile capirci qualcosa.
Se vogliamo essere sinceri l’impressione che si trae dalla lettura dei giornali anche specializzati è che della Libia non se sappia abbastanza praticamente in nessun settore e questo è veramente sorprendente se si pensa che geograficamente con la Libia praticamente confiniamo.
Bisognerà umilmente fare dei corsi serali di aggiornamento per evitare di prendere delle cantonate macroscopiche, tenendo comunque presente che le caratteristiche pariticolari della Libia fanno sì che la soluzione del problema richederà comunuque tempi lunghi,anche per evidenti problemi logistici (da Tripoli a Bengasi c'è più o meno la distanza Milano- Palermo).
Gheddafi, dopo aver preso il potere 41 anni fa, ha fatto una scelta particolare inventandosi un sistema politico che avrebbe dovuto essere di democrazia diretta ben delineato nel famoso (non Italia dove non ne esiste una traduzione italiana) Libretto Verde.
Il sistema politico descritto nel Libretto Verde ha una sua coerenza logica e una sua consistenza e quindi ritengo che meriti di essere trattato in un apposito post, però per farla breve è necessario dare almeno un cenno su di che cosa si tratta altrimenti risulta praticamente impossibile capire cosa è la Libia.
Secondo il Libretto Verde il sistema liberale rappresentativo, nato in Europa, sarebbe tutto un inganno che in realtà non consentirebbe affatto al popolo di governarsi.
Lo stesso sistema europeo si fonda sull’idea di rappresentanza gestita poi in pratica da diversi partiti, che dovrebbero fare gli interessi degli elettori, ma che in realtà non lo farebbero affatto ed anzi essendo in continuo litigio fra di loro impedirebbero di governare.
Ed allora che fare? L’idea del Colonnello è stata quella di costruire un sistema di democrazia diretta fondata non sulla elezione di rappresentanti del popolo, ma di assemblee popolari che a livello di base (villaggio, paese, quartiere di città) designano un Comitato Popolare, che non deve essere un rappresentante ma solo un organismo che presieda ai lavori dell’assemblea, la quale prende direttamente le decisioni.
Il Comitato Popolare, dice il Libretto Verde, una volta prese le decisioni dall’assemblea popolare deve solo far le funzioni di “postino” e portare quelle decisioni ad analoghi organi di livello territorialmente superiori.
Per fare un esempio, il Comitato Popolare di Municipio coordina le decisioni prese dalle varie assemblee popolari suddividendosi in Comitato popolare per l’Istruzione, per la Sanità ecc.
Le assemblee, denominate Congressi del Popolo, alle quali ogni cittadino partecipa in quanto “socio” si riuniscono a scadenza annuale.
Salendo di livello territoriale il Segretario Generale del Congresso Generale del Popolo corrisponde al capo dello stato ; il Comitato Popolare per le varie sezioni esecutive corrisponde al governo.
Attenzione però perché corrisponde solo vagamente se si tiene conto che non dovrebbe fare altro che coordinare decisioni che non prende lui, ma che sono già state prese e definite dai vari Congressi del popolo.
Questo è il sistema come avrebbe dovuto essere.
Limitiamoci a constatare non tanto quello che è a tutti evidente e cioè che quel sistema ambizioso è miseramente fallito, ma soprattutto che la pretesa di mettere in atto quel particolare sistema ha di fatto consentito a Gheddafi di costruirsi un sistema di potere personale unico al mondo per il semplice fatto che in Libia non esistono strutture statali come le intendiamo comunemente, parlamento, governo ecc., perché le strutture corrispondenti per analogia non sono la stessa cosa.
Quando il colonnello dichiara di non essere il presidente di nessuno stato non sta vaneggiando, come si è portati a credere ,stante anche il ben noto carattere eccentrico del personaggio, ma esprime quello che dovrebbe essere formalmente.
Di fatto il sistema politico, il regime è stato qualcosa di non facilmente definibile.
E’ stato una dittatura personale fondata su un clan familiare, ma non solo.
Uno degli inviati del Sole 24 ore ha osservato ieri che per capire qualcosa della Libia sarebbe utile rimettere mano a quell’aureo libretto (aureo per ricchezza di informazioni) che il Reale Touring Club aveva redatto all’epoca fascista e andare a ripassarsi la struttura tribale della società libica, perché la consistenza reale di chi detiene il potere in Libia si misura soprattutto usando questo metro, di quale gruppo tribale è espressione e come questo gruppo è schierato al momento, con quali alleanze.
Il medesimo giornalista, per rendere l’idea, faceva osservare che essere generale in Libia oggi non significa pressoché nulla se non si tiene conto del rango della tribù di appartenenza, essendo questo particolare che determina il reale livello del potere detenuto.
Le tribù hanno diversa consistenza numerica ,i Warfala sono i più numerosi pare un milione su cinque, altre meno Zintan, Rojahan, Orfella, Riaina, al Farjane, al Zuwayya, Tuareg Maqariha ,i Qadhadhifa sono la tribù di Gheddafi.
I Qadhadhfia sono poco numerosi, ma con i Maqariha pare che detengano tutti i posti di potere più importanti.
Gheddafi all’inizio pare che avesse inventato il suo singolare sistema politico proprio pensando di poter così emarginare i notabili delle tribù, ma poi a poco a poco ha dovuto prendere atto che la società libica era fondata prima di tutto sulla struttura tribale e da buon medio orientale si è giocato le tribù mettendole una contro l’altra o comprandone la fedeltà, con una complicata rete di alleanze.
La situazione oggi sul campo però delinea una importante linea di demarcazione fra le tribù più vicine a Gheddafi e quelle storicamente avversarie, perché legate alla confraternita senussita, che aveva espresso il precedente regime del re Idris territorialmente proveniente dalla Cirenaica.
Non è certamente un caso che oggi i “territori liberati” dal regime di Gheddafi in Cirenaica abbiano issato la precedente bandiera monarchica.
Il nostro ministro degli esteri si è lasciato scappare l’osservazione che il nostro governo in Libia conosce praticamente solo Gheddafi, se fosse così sarebbe un bel guaio, si spera che la diplomazia parallela dell’Eni sia più forte di quella ufficiale.
Non risulta però che nemmeno gli altri governi si siano preoccupati di tenere i contatti con le tribù libiche e questo sarà un problema.
In Libia non esistono partiti, nemmeno clandestini, non esistono giornali o altri media indipendenti, non esiste per ora una figura di anti-Gheddafi.
In queste condizioni è difficile capirci qualcosa.
Se vogliamo essere sinceri l’impressione che si trae dalla lettura dei giornali anche specializzati è che della Libia non se sappia abbastanza praticamente in nessun settore e questo è veramente sorprendente se si pensa che geograficamente con la Libia praticamente confiniamo.
Bisognerà umilmente fare dei corsi serali di aggiornamento per evitare di prendere delle cantonate macroscopiche, tenendo comunque presente che le caratteristiche pariticolari della Libia fanno sì che la soluzione del problema richederà comunuque tempi lunghi,anche per evidenti problemi logistici (da Tripoli a Bengasi c'è più o meno la distanza Milano- Palermo).
lunedì 14 febbraio 2011
Berlusconi è sempre meno credibile ma anche le procure sembrano avere in mano pressoché nulla
Qualsiasi persona seria anche se ha votato per il Cavaliere perché ha creduto in buona fede nel suo progetto politico in quanto nel ’94 questo era credibile non può non provare disagio e disappunto arrivati a questo punto.
- Trecento cinquanta deputati della Repubblica, precettati a certificare col loro voto che Berlusconi sarebbe stato convinto che Ruby era nipote di Mubarak, cioè una pura sciocchezza è uno spettacolo semplicemente grottesco e umiliante per le istituzioni;
- ministri rispettabili e credibili per il lavoro che hanno fatto come Gelmini e Frattini, che si vedono costretti, si presume dalla previa telefonata del premier, a fare dichiarazioni alla stampa per difendere l’indifendibile con argomentazioni da asilo infantile;
-il direttore di Libero (e prima del Giornale) che per due o tre settimane parla del cavaliere definendolo “il vecchio porco” e tesse lodi aperte a Giulio Tremonti, presentandolo come la ovvia alternativa più credibile del Cavaliere e poi improvvisamente fulminato dallo strapotere economico del capo si vede costretto a scrivere umilianti editoriali di segno opposto e puramente propagandistici;
-lo stesso premier che sistematicamente oggi dice bianco (elezioni ) e domani il contrario, come se fosse obbligatorio credergli, indipendentemente dal senso di quello che dice;
-i commenti dei giornali stranieri che dopo essersi chiesti negli ultimi due anni : ma come è possibile che gli italiani sopportino al governo una persona che si comporta come un buffone ormai si sono data la risposta : perché sono dei buffoni;
-Napoli sommersa dai rifiuti ,L’Aquila che ha perso la fiducia nelle istituzioni, le inchieste sulla corruzione della “cricca” dei costruttori del G8 hanno ormai chiarito che quel poco che era stato fatto dall’ “uomo del fare” era costruito su un mare di porcherie molto peggiori di quelle delle allegre serate di Arcore;
- non ha detto la verità agli italiani sulla situazione economica e sui sacrifici che l’Unione Europea ci impone di fare “mettendo le mani nelle nostre tasche” con nuove tasse inevitabilmente per iniziare un percorso di riduzione del debito se vorremo rimanere in Europa;
- il rosario che il premier ripete ossessivamente : “è un golpe fermare chi è voluto dal popolo” si dimentica di dire che per “popolo” si intende dieci o quindici parlamentari, raccattati evidentemente in cambio di qualcosa in schieramenti votati dal popolo perché si opponessero a Berlusconi, che tutti coloro che conoscono l’aritmetica applicata al Parlamento sanno essere esattamente la metà del numero che servirebbe per avere la maggioranza nelle commissioni dove si svolge il lavoro quotidiano e quindi la verità è che questo governo non ha una maggioranza per governare, ha solo i numeri per bloccare ogni attività del parlamento;
-e via di questo passo.
Siamo incartati ma non abbiamo ancora il coraggio civile di riconoscere che Berlusconi ci ha provato, che all’inizio aveva un programma credibile, che probabilmente valeva la pena di metterlo alla prova, ma che ora continua a sbattere la faccia contro il muro e che quindi con lui non si può più andare da nessuna parte, perché non è più in grado di governare.
Non c’è alternativa si dice.
E no, e no, attenzione a non dire cose che dimostrino che stiamo perdendo la bussola della democrazia.
In democrazia l’alternativa c’è sempre e sono le elezioni.
Purtroppo però se il problema fosse solo Berlusconi le cose andrebbero ancora bene.
Purtroppo non è così.
Purtroppo il coraggio civile ci dovrebbe anche spingere non sono a riconoscere che Berlusconi non è più in grado di governare, ma anche che le procure stanno usando i media con la stessa arroganza e spregiudicatezza di Berlusconi per farci credere di avere trovato dopo sedici anni di inchieste a vuoto il famoso “firing gun” la prova definitiva per incastrare la causa di tutti i mali italiani, ma questo non è vero. Non è così.
Ma dove siamo finiti se da una parte continuiamo ad essere creduloni al punto da continuare ad avere fede contro ogni evidenza in questo venditore di tappeti, abile come venditore, ma molto modesto come politico , e dall’altra siamo altrettanto creduloni da prender per buone le “prove schiaccianti” della procura di Milano che non provano un bel nulla sul piano dei presunti reati?
Ma da quando in qua una telefonata di raccomandazione di un potente può essere portata in tribunale sostenendo l’accusa di concussione? In Italia dove di telefonate del genere ne vengono fatte migliaia al giorno dal consigliere comunale al membro del governo?
Certo che nemmeno il più sprovveduto dei politici di provincia sarebbe stato tanto infantile da tirare in ballo Mubarak, come ha fatto il premier, quando era più che sufficiente dire il suo nome per ottenere quello che voleva, senza dovere aggiungere stupidaggini come quelle.
Da una parte un premier che ormai è solo fonte di imbarazzo, non governa più nulla e blocca il parlamento, dall’altra una magistratura inquirente che si sente investita della missione di salvare l’Italia dai politici usando forze e metodi spropositati rispetto alla fattispecie ed alla tipologia dei reati ipotizzati.
Anche qui stiamo attenti a scandalizzarci solo quando c’è da prendersela contro il grande satana nazionale e a non vedere i pericoli per la tutela delle libertà individuali se non quando il bargello dovesse suonare il nostro campanello alle sei del mattino per rovistare e sequestrare inseguendo piste per lo meno discutibili, come a fatto nelle case di quelle poverette “ragazze di spettacolo” frequentatrici delle eleganti notti di Arcore.
E’ una balla clamorosa la storia della nipote, come è verosimilmente una balla altrettanto clamorosa la storia della eleganza delle notti di Arcore, l’uno e l’altra sono un insulto al buon senso.
Ma cosa dire di una Procura che mette in scena una vicenda teatrale ad elevatissima copertura mediatica per esercitare l’azione penale su una raccomandazione telefonica del premier ad un funzionario dello stato per indurlo a dare la famosa Ruby non in affidamento ad una comunità ma sempre in affidamento ad una sua conoscente, formalmente ben titolata ,con l’accusa di concussione :” farsi dare o farsi promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale abusando della propria posizione”, quando l’Italia nell’indice stilato da Transparency International è quotata per un livello di corruzione superiore a quelli di Tunisia ed Egitto, dove i governanti sono appena stati cacciati a furor di popolo?
Ma in quale pianeta vivono i procuratori che fingono di non sapere che i quasi mille membri del Parlamento italiano usano quotidianamente la carta intestata del ramo del Parlamento al quale appartengono per chiedere a funzionari dello stato di mandare avanti pratiche di pensione di assunzine ecc. ecc. con tanto di firma in calce ed alla luce del sole : tutti casi di concussione?
D’accordo che giunti a questo punto sarebbe ancora più offensivo del comune buon senso pensare che la persona adatta a fare la riforma della giustizia potesse essere lo stesso Berlusconi, ma dopo di lui qualcuno dovrà pur farla, se la macchina della giustizia gira in questo modo.
A questo punto di sputtanamento generalizzato di tutto e di tutti, di conflitto fra le istituzioni, di stallo degli organi costituzionali decisionali occorre uscire dal marasma con elezioni al più presto, ma dato che siamo nella situazione di marasma e stallo che abbiamo appena descritto non si può fare nemmeno questo perché il Capo dello Stato non può sciogliere le camere se il Presidente del Consiglio non controfirma il decreto e Berlusconi non controfirma.
Ed allora? Allora l’ultraottantenne Presidente dovrebbe accollarsi il compito ingrato e politicamente scorrettissimo, secondo la vulgata attuale, di fare veramente l’arbitro della partita e trasferirsi a palazzo dei Marescialli nella sua veste di Presidente dell’Organo di autogoverno della Magistratura ad esercitare direttamente il potere che la costituzione gli affida convocando il Procuratore Capo di Milano ovviamente in seduta riservata per fare con lui i discorsi del caso.
Nessuno lo ha mai fatto prima ma il caso presente è eccezionale ed il Presidente è l'unico che ha quel potere costituzionale ,per quanto la materia sia delicata.
Non ritiene di potere arrivare a tanto?
Allora nomini Berlusconi senatore a vita, come è pure suo potere e promuova il ritorno dell’immunità parlamentare, del resto prevista dai costituenti, che non erano dei dilettanti come i loro successori.
Non riesce a fare neanche questo?
Allora invii un messaggio alle Camere ex art 87 ,usando della forma più solenne che la Costituzione gli affida per farsi sentire proponendo quello che i suoi consiglieri giuridici gli possono indicare per un caso che non ha precedenti, ma occorre uscire dall’angolo il più presto possibile senza aspettare che si manifestino focolai di guerra civile.
E’ chiaro però se non vogliano prenderci in giro che una soluzione qualunque sia ha dei costi e contrasta sia con la vulgata dei berlusconiani fanatici sia degli anti berlusconiani fanatici.
Cioè non esiste una soluzione sensata che non sia diretta a concedere qualcosa a Berlusconi nel senso di metterlo al riparo dal bargello almeno per un po’ di anni dandogli una onorevole via di uscita, che a questo punto è nell’interesse del paese trovargli.
Ricordiamoci però che gli italiani non sono minchioni come vengono descritti e che quindi sono disposti a vedere Berlusconi che esce onorevolmente di scena, ma non per cadere dalle notti di Arcore all’incubo di risvegli all’alba per le allegre inchieste delle procure.
Gli Italiani sono probabilmente disposti a lasciare ormai Berlusconi al suo destino di onorevole pensionato, solo se avessero la garanzia che con lui finirebbe anche contemporaneamente il teatrino delle procure.
Non è difficile capire che se dovessero scegliere fra una “ mignottocrazia” disdicevole fin che si vuole e una molto più pericolosa repubblica delle procure, sceglierebbero ancora la prima , purché vada avanti a non far nulla, evitando così il rischio che faccia danni.
Non facciamo finta di non capire che la commedia delle procure che salvano la patria è ora in scena per la seconda volta dopo la prima di tangentopoli diciannove anni fa che ha sconvolto la geografia parlamentare per via extraparlamentare e che l’Italia nella classifica della corruzione dopo la cura Borrelli Di Pietro sta peggio di allora.
Le riforme anche in senso moralizzatore le fa la politica, non la magistratura in democrazia.
- Trecento cinquanta deputati della Repubblica, precettati a certificare col loro voto che Berlusconi sarebbe stato convinto che Ruby era nipote di Mubarak, cioè una pura sciocchezza è uno spettacolo semplicemente grottesco e umiliante per le istituzioni;
- ministri rispettabili e credibili per il lavoro che hanno fatto come Gelmini e Frattini, che si vedono costretti, si presume dalla previa telefonata del premier, a fare dichiarazioni alla stampa per difendere l’indifendibile con argomentazioni da asilo infantile;
-il direttore di Libero (e prima del Giornale) che per due o tre settimane parla del cavaliere definendolo “il vecchio porco” e tesse lodi aperte a Giulio Tremonti, presentandolo come la ovvia alternativa più credibile del Cavaliere e poi improvvisamente fulminato dallo strapotere economico del capo si vede costretto a scrivere umilianti editoriali di segno opposto e puramente propagandistici;
-lo stesso premier che sistematicamente oggi dice bianco (elezioni ) e domani il contrario, come se fosse obbligatorio credergli, indipendentemente dal senso di quello che dice;
-i commenti dei giornali stranieri che dopo essersi chiesti negli ultimi due anni : ma come è possibile che gli italiani sopportino al governo una persona che si comporta come un buffone ormai si sono data la risposta : perché sono dei buffoni;
-Napoli sommersa dai rifiuti ,L’Aquila che ha perso la fiducia nelle istituzioni, le inchieste sulla corruzione della “cricca” dei costruttori del G8 hanno ormai chiarito che quel poco che era stato fatto dall’ “uomo del fare” era costruito su un mare di porcherie molto peggiori di quelle delle allegre serate di Arcore;
- non ha detto la verità agli italiani sulla situazione economica e sui sacrifici che l’Unione Europea ci impone di fare “mettendo le mani nelle nostre tasche” con nuove tasse inevitabilmente per iniziare un percorso di riduzione del debito se vorremo rimanere in Europa;
- il rosario che il premier ripete ossessivamente : “è un golpe fermare chi è voluto dal popolo” si dimentica di dire che per “popolo” si intende dieci o quindici parlamentari, raccattati evidentemente in cambio di qualcosa in schieramenti votati dal popolo perché si opponessero a Berlusconi, che tutti coloro che conoscono l’aritmetica applicata al Parlamento sanno essere esattamente la metà del numero che servirebbe per avere la maggioranza nelle commissioni dove si svolge il lavoro quotidiano e quindi la verità è che questo governo non ha una maggioranza per governare, ha solo i numeri per bloccare ogni attività del parlamento;
-e via di questo passo.
Siamo incartati ma non abbiamo ancora il coraggio civile di riconoscere che Berlusconi ci ha provato, che all’inizio aveva un programma credibile, che probabilmente valeva la pena di metterlo alla prova, ma che ora continua a sbattere la faccia contro il muro e che quindi con lui non si può più andare da nessuna parte, perché non è più in grado di governare.
Non c’è alternativa si dice.
E no, e no, attenzione a non dire cose che dimostrino che stiamo perdendo la bussola della democrazia.
In democrazia l’alternativa c’è sempre e sono le elezioni.
Purtroppo però se il problema fosse solo Berlusconi le cose andrebbero ancora bene.
Purtroppo non è così.
Purtroppo il coraggio civile ci dovrebbe anche spingere non sono a riconoscere che Berlusconi non è più in grado di governare, ma anche che le procure stanno usando i media con la stessa arroganza e spregiudicatezza di Berlusconi per farci credere di avere trovato dopo sedici anni di inchieste a vuoto il famoso “firing gun” la prova definitiva per incastrare la causa di tutti i mali italiani, ma questo non è vero. Non è così.
Ma dove siamo finiti se da una parte continuiamo ad essere creduloni al punto da continuare ad avere fede contro ogni evidenza in questo venditore di tappeti, abile come venditore, ma molto modesto come politico , e dall’altra siamo altrettanto creduloni da prender per buone le “prove schiaccianti” della procura di Milano che non provano un bel nulla sul piano dei presunti reati?
Ma da quando in qua una telefonata di raccomandazione di un potente può essere portata in tribunale sostenendo l’accusa di concussione? In Italia dove di telefonate del genere ne vengono fatte migliaia al giorno dal consigliere comunale al membro del governo?
Certo che nemmeno il più sprovveduto dei politici di provincia sarebbe stato tanto infantile da tirare in ballo Mubarak, come ha fatto il premier, quando era più che sufficiente dire il suo nome per ottenere quello che voleva, senza dovere aggiungere stupidaggini come quelle.
Da una parte un premier che ormai è solo fonte di imbarazzo, non governa più nulla e blocca il parlamento, dall’altra una magistratura inquirente che si sente investita della missione di salvare l’Italia dai politici usando forze e metodi spropositati rispetto alla fattispecie ed alla tipologia dei reati ipotizzati.
Anche qui stiamo attenti a scandalizzarci solo quando c’è da prendersela contro il grande satana nazionale e a non vedere i pericoli per la tutela delle libertà individuali se non quando il bargello dovesse suonare il nostro campanello alle sei del mattino per rovistare e sequestrare inseguendo piste per lo meno discutibili, come a fatto nelle case di quelle poverette “ragazze di spettacolo” frequentatrici delle eleganti notti di Arcore.
E’ una balla clamorosa la storia della nipote, come è verosimilmente una balla altrettanto clamorosa la storia della eleganza delle notti di Arcore, l’uno e l’altra sono un insulto al buon senso.
Ma cosa dire di una Procura che mette in scena una vicenda teatrale ad elevatissima copertura mediatica per esercitare l’azione penale su una raccomandazione telefonica del premier ad un funzionario dello stato per indurlo a dare la famosa Ruby non in affidamento ad una comunità ma sempre in affidamento ad una sua conoscente, formalmente ben titolata ,con l’accusa di concussione :” farsi dare o farsi promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale abusando della propria posizione”, quando l’Italia nell’indice stilato da Transparency International è quotata per un livello di corruzione superiore a quelli di Tunisia ed Egitto, dove i governanti sono appena stati cacciati a furor di popolo?
Ma in quale pianeta vivono i procuratori che fingono di non sapere che i quasi mille membri del Parlamento italiano usano quotidianamente la carta intestata del ramo del Parlamento al quale appartengono per chiedere a funzionari dello stato di mandare avanti pratiche di pensione di assunzine ecc. ecc. con tanto di firma in calce ed alla luce del sole : tutti casi di concussione?
D’accordo che giunti a questo punto sarebbe ancora più offensivo del comune buon senso pensare che la persona adatta a fare la riforma della giustizia potesse essere lo stesso Berlusconi, ma dopo di lui qualcuno dovrà pur farla, se la macchina della giustizia gira in questo modo.
A questo punto di sputtanamento generalizzato di tutto e di tutti, di conflitto fra le istituzioni, di stallo degli organi costituzionali decisionali occorre uscire dal marasma con elezioni al più presto, ma dato che siamo nella situazione di marasma e stallo che abbiamo appena descritto non si può fare nemmeno questo perché il Capo dello Stato non può sciogliere le camere se il Presidente del Consiglio non controfirma il decreto e Berlusconi non controfirma.
Ed allora? Allora l’ultraottantenne Presidente dovrebbe accollarsi il compito ingrato e politicamente scorrettissimo, secondo la vulgata attuale, di fare veramente l’arbitro della partita e trasferirsi a palazzo dei Marescialli nella sua veste di Presidente dell’Organo di autogoverno della Magistratura ad esercitare direttamente il potere che la costituzione gli affida convocando il Procuratore Capo di Milano ovviamente in seduta riservata per fare con lui i discorsi del caso.
Nessuno lo ha mai fatto prima ma il caso presente è eccezionale ed il Presidente è l'unico che ha quel potere costituzionale ,per quanto la materia sia delicata.
Non ritiene di potere arrivare a tanto?
Allora nomini Berlusconi senatore a vita, come è pure suo potere e promuova il ritorno dell’immunità parlamentare, del resto prevista dai costituenti, che non erano dei dilettanti come i loro successori.
Non riesce a fare neanche questo?
Allora invii un messaggio alle Camere ex art 87 ,usando della forma più solenne che la Costituzione gli affida per farsi sentire proponendo quello che i suoi consiglieri giuridici gli possono indicare per un caso che non ha precedenti, ma occorre uscire dall’angolo il più presto possibile senza aspettare che si manifestino focolai di guerra civile.
E’ chiaro però se non vogliano prenderci in giro che una soluzione qualunque sia ha dei costi e contrasta sia con la vulgata dei berlusconiani fanatici sia degli anti berlusconiani fanatici.
Cioè non esiste una soluzione sensata che non sia diretta a concedere qualcosa a Berlusconi nel senso di metterlo al riparo dal bargello almeno per un po’ di anni dandogli una onorevole via di uscita, che a questo punto è nell’interesse del paese trovargli.
Ricordiamoci però che gli italiani non sono minchioni come vengono descritti e che quindi sono disposti a vedere Berlusconi che esce onorevolmente di scena, ma non per cadere dalle notti di Arcore all’incubo di risvegli all’alba per le allegre inchieste delle procure.
Gli Italiani sono probabilmente disposti a lasciare ormai Berlusconi al suo destino di onorevole pensionato, solo se avessero la garanzia che con lui finirebbe anche contemporaneamente il teatrino delle procure.
Non è difficile capire che se dovessero scegliere fra una “ mignottocrazia” disdicevole fin che si vuole e una molto più pericolosa repubblica delle procure, sceglierebbero ancora la prima , purché vada avanti a non far nulla, evitando così il rischio che faccia danni.
Non facciamo finta di non capire che la commedia delle procure che salvano la patria è ora in scena per la seconda volta dopo la prima di tangentopoli diciannove anni fa che ha sconvolto la geografia parlamentare per via extraparlamentare e che l’Italia nella classifica della corruzione dopo la cura Borrelli Di Pietro sta peggio di allora.
Le riforme anche in senso moralizzatore le fa la politica, non la magistratura in democrazia.
domenica 13 febbraio 2011
L'anomalia tutta italiana della gestione cesarista di alcuni partiti politici
L’Italia soffre di un deficit di democrazia nella struttura e nella gestione dei partiti a torto riferita solo alla singolare gestione “padronale” del Pdl da parte di Berlusconi.
Non c’è dubbio che la gestione definita variamente padronale, personalistica o cesarista di Berlusconi sia una anomalia che crea danno al paese, ma purtroppo non è affatto l’unico esempio esistente nel panorama politico.
Si pensi alla gestione altrettanto personalistica e gerontocratica di Pannella sul Partito radicale.
A seconda sei punti di vista si potrà ritenere Pannella un leader politico di ben altra caratura rispetto a Berlusconi, probabilmente a ragione se si tiene conto del fatto che il Partito Radicale fa parte della tipologia classica del partito di opinione e non di massa e questo è di mostrato dal fatto che in certe iniziative referendarie ha raccolto consensi enormemente superiori alla sua consistenza parlamentare ed anche in talune elezioni ha ottenuto percentuali molto superiori all’abituale 2/3%.
Altrettante volte però la gestione cesarista del leader storico, insanabile narciso, ha portato il partito a sostenere iniziative fallimentari perché basate su valutazioni superficiali (si pensi alla mobilitazione per gli aiuti ai paesi africani ai tempi di Craxi che creato un mostruoso carrozzone utile solo per alimentare la corruzione politica italiana , somala ecc. sperperando miliardi di lire) o a sostenere iniziative fra il folcloristico e il goliardico come i posti di deputato donati a Cicciolina o ad altri personaggi dubbi.
Pannella dicono i suoi che oltre a non avere guadagnato nulla da tutta la sua carriera politica ci avrebbe rimesso tutti i beni di famiglia girati al partito per sostenerlo in momenti di grave difficoltà e questo probabilmente è vero ed è assolutamente singolare e rimarchevole nel panorama politico italiano.
Pur tuttavia la gestione personalistica conduce per esempio a “salti della quaglia” che in un partito gestito in modo non personalistico non sarebbero possibili.
Non meno dannosa è la tendenza del leader a intestardirsi nel coniare e ripetere da decenni slogan di dubbia sensatezza da lui inventati come :”il partito transnazionale, transpartito “ o l’insistenza sulla necessità di una lotta prioritaria alla “partitocrazia” che non salverebbe nessuno e nessuna istituzione salvo lo stesso partito radicale, unico puro.
Non manca il vezzo veramente cesarista di Pannella di occupare Radio Radicale tutte le domeniche con una sua prolusione fluviale sostanzialmente a monologo che non ha nulla da invidiare alle analoghe prolusioni un tempo di Fidel Castro e oggi di Chavez in Venezuela.
E’ sperabile che Berlusconi non l’ascolti e quindi non si metta in mente ulteriori cattive idee, sull’uso dei media.
L’unico risultato che questi comportamenti ottengono al Partito Radicale è quello di avere fatto scendere la sua quota elettorale, già molto bassa, dal tradizionale 2/3% a meno dell’1%.
Qualsiasi altro partito si sarebbe disfatto di un tale leader, ma un partito sempre gestito in modo cesarista non riesce a farlo, nonostante la presenza fra i radicali di molti giovani motivati e dedicati alle iniziative radicali in modo disinteressato.
Ma non è finita, cioè non ci sono solo Berlusconi e Pannella , c’è anche Di Pietro che gestisce il partito con lo stesso stile. E impietoso evidenziarlo, ma i recenti episodi di parlamentari del partito di Di Pietro transitati politicamente dalla parte opposta hanno messo in evidenza con quale leggerezza il capo aveva scelto il personale politico. Sul partito di Di Pietro si era anche scritto di confusione fra la gestione finanziaria del partito e di una fondazione a lui risalente. La cosa era talmente poco presentabile che ora probabilmente le cose sono state messe a posto. Il leader cesarista non sopporta mai comprimari o delfini.
Pochi anni fa era toccato a Veltri di dover lasciare Di Pietro, ora si pone il problema De Magistris.
Abbiamo parlato del Partito Radicale e dell’Italia dei Valori, due partiti significativi, ma piccoli.
Un problema più serio può essere la Lega che a un certo momento dovrà pure lei risolvere le sue contraddizioni di partito largamente popolare , ma guidata con una accentuazione sulla autorità del leader storico per certi aspetti tutt’altro che limpida.
Mi chiedo cosa avranno pensato gli esponenti più significativi della Lega da Maroni e Calderoli ,che tra l’altro si sono guadagnati sul campo una larga reputazione come uomini di governo e che quindi aspirano alla successione del capo storico, quando hanno sentito dire dal capo che il suo delfino è il figlioletto denominato “trota”, come se fossimo in una monarchia ereditaria.
La Lega tra l’altro adotta dalla fondazione una singolare procedura di affiliazione che non è certo il massimo della trasparenza e della democraticità. Cioè per intenderci se al Pci poteva anche iscriversi Gianni Agnelli purché avesse la faccia di dichiarare che condivideva gli ideali e la linea del partito ,alla Lega no .Alla Lega si fa una sorta di preiscrizione di prova che non da nessun diritto di voto per l’elezione negli organismi del partito e l’iscrizione vera e propria seguirà solo quando il partito avrà testato la corrispondenza del candidato alle sue esigenze.
Ora, purtroppo nel sistema italiano i partiti politici sono giuridicamente nel limbo delle “associazioni non riconosciute” pari alla “Canottieri Lambro” non c’è uno schema di statuto tipo al quale uniformarsi né tanto meno uno schema di bilancio da fare certificare come per una qualsiasi azienda, per la qual cosa ogni partito può strutturarsi e gestirsi come crede con solo gli ovvi limiti della legge penale.
Però anche con questa ampia e probabilmente eccessiva libertà della quale godono stante la loro funzione istituzionale si pretenderebbe qualcosa di più come coerenza ad un sistema democratico.
Anche nella Lega sembra finora prevalere qualcosa di simile al vecchio e deprecato “centralismo democratico” che vietava la formazione palese di correnti interne.
E’ vero che le correnti troppo strutturate hanno portato in passato i partiti che le avevano in certi periodi alla paralisi decisionale, ma ciò non toglie che senza una visibile dialettica interna in un partito le idee non circolano e si continua a riproporre sempre la stessa minestra riscaldata.
La Lega finora ha usufruito di anni felici di crescita continua e di un costante radicamento territoriale occupando gli spazi lasciati vuoti dal suicidio di Dc e Pci e di conseguenza ha a poco a poco schierato una classe di giovani amministratori completamente nuova.
Ora però che i posti istituzionali occupati sono diventati uno schieramento considerevole è venuto anche per lei il momento del passaggio dalla fase “eroica” degli inizi alla normale gestione del potere che porta con sé rischi di corruzione e involuzione clientelare che vanno contrastati appunto con una più ampia e trasparente democrazia interna.
E quindi il “cattivo esempio” della gestione berlusconiana del suo partito non è affatto un caso unico come abbiamo visto anche se questa constatazione non ci porta alcun sollievo.
L’Italia ha bisogno di tutto meno che di ribadire anomalie rispetto agli altri paesi di democrazia occidentale, anzi, dato che gli indicatori di qualità e di efficienza ci mettono sempre di più agli ultimo posti sarebbe ora di metterci in regola e di finirla di pensare di potere fare i furbi senza pagare il conto.
Non c’è dubbio che la gestione definita variamente padronale, personalistica o cesarista di Berlusconi sia una anomalia che crea danno al paese, ma purtroppo non è affatto l’unico esempio esistente nel panorama politico.
Si pensi alla gestione altrettanto personalistica e gerontocratica di Pannella sul Partito radicale.
A seconda sei punti di vista si potrà ritenere Pannella un leader politico di ben altra caratura rispetto a Berlusconi, probabilmente a ragione se si tiene conto del fatto che il Partito Radicale fa parte della tipologia classica del partito di opinione e non di massa e questo è di mostrato dal fatto che in certe iniziative referendarie ha raccolto consensi enormemente superiori alla sua consistenza parlamentare ed anche in talune elezioni ha ottenuto percentuali molto superiori all’abituale 2/3%.
Altrettante volte però la gestione cesarista del leader storico, insanabile narciso, ha portato il partito a sostenere iniziative fallimentari perché basate su valutazioni superficiali (si pensi alla mobilitazione per gli aiuti ai paesi africani ai tempi di Craxi che creato un mostruoso carrozzone utile solo per alimentare la corruzione politica italiana , somala ecc. sperperando miliardi di lire) o a sostenere iniziative fra il folcloristico e il goliardico come i posti di deputato donati a Cicciolina o ad altri personaggi dubbi.
Pannella dicono i suoi che oltre a non avere guadagnato nulla da tutta la sua carriera politica ci avrebbe rimesso tutti i beni di famiglia girati al partito per sostenerlo in momenti di grave difficoltà e questo probabilmente è vero ed è assolutamente singolare e rimarchevole nel panorama politico italiano.
Pur tuttavia la gestione personalistica conduce per esempio a “salti della quaglia” che in un partito gestito in modo non personalistico non sarebbero possibili.
Non meno dannosa è la tendenza del leader a intestardirsi nel coniare e ripetere da decenni slogan di dubbia sensatezza da lui inventati come :”il partito transnazionale, transpartito “ o l’insistenza sulla necessità di una lotta prioritaria alla “partitocrazia” che non salverebbe nessuno e nessuna istituzione salvo lo stesso partito radicale, unico puro.
Non manca il vezzo veramente cesarista di Pannella di occupare Radio Radicale tutte le domeniche con una sua prolusione fluviale sostanzialmente a monologo che non ha nulla da invidiare alle analoghe prolusioni un tempo di Fidel Castro e oggi di Chavez in Venezuela.
E’ sperabile che Berlusconi non l’ascolti e quindi non si metta in mente ulteriori cattive idee, sull’uso dei media.
L’unico risultato che questi comportamenti ottengono al Partito Radicale è quello di avere fatto scendere la sua quota elettorale, già molto bassa, dal tradizionale 2/3% a meno dell’1%.
Qualsiasi altro partito si sarebbe disfatto di un tale leader, ma un partito sempre gestito in modo cesarista non riesce a farlo, nonostante la presenza fra i radicali di molti giovani motivati e dedicati alle iniziative radicali in modo disinteressato.
Ma non è finita, cioè non ci sono solo Berlusconi e Pannella , c’è anche Di Pietro che gestisce il partito con lo stesso stile. E impietoso evidenziarlo, ma i recenti episodi di parlamentari del partito di Di Pietro transitati politicamente dalla parte opposta hanno messo in evidenza con quale leggerezza il capo aveva scelto il personale politico. Sul partito di Di Pietro si era anche scritto di confusione fra la gestione finanziaria del partito e di una fondazione a lui risalente. La cosa era talmente poco presentabile che ora probabilmente le cose sono state messe a posto. Il leader cesarista non sopporta mai comprimari o delfini.
Pochi anni fa era toccato a Veltri di dover lasciare Di Pietro, ora si pone il problema De Magistris.
Abbiamo parlato del Partito Radicale e dell’Italia dei Valori, due partiti significativi, ma piccoli.
Un problema più serio può essere la Lega che a un certo momento dovrà pure lei risolvere le sue contraddizioni di partito largamente popolare , ma guidata con una accentuazione sulla autorità del leader storico per certi aspetti tutt’altro che limpida.
Mi chiedo cosa avranno pensato gli esponenti più significativi della Lega da Maroni e Calderoli ,che tra l’altro si sono guadagnati sul campo una larga reputazione come uomini di governo e che quindi aspirano alla successione del capo storico, quando hanno sentito dire dal capo che il suo delfino è il figlioletto denominato “trota”, come se fossimo in una monarchia ereditaria.
La Lega tra l’altro adotta dalla fondazione una singolare procedura di affiliazione che non è certo il massimo della trasparenza e della democraticità. Cioè per intenderci se al Pci poteva anche iscriversi Gianni Agnelli purché avesse la faccia di dichiarare che condivideva gli ideali e la linea del partito ,alla Lega no .Alla Lega si fa una sorta di preiscrizione di prova che non da nessun diritto di voto per l’elezione negli organismi del partito e l’iscrizione vera e propria seguirà solo quando il partito avrà testato la corrispondenza del candidato alle sue esigenze.
Ora, purtroppo nel sistema italiano i partiti politici sono giuridicamente nel limbo delle “associazioni non riconosciute” pari alla “Canottieri Lambro” non c’è uno schema di statuto tipo al quale uniformarsi né tanto meno uno schema di bilancio da fare certificare come per una qualsiasi azienda, per la qual cosa ogni partito può strutturarsi e gestirsi come crede con solo gli ovvi limiti della legge penale.
Però anche con questa ampia e probabilmente eccessiva libertà della quale godono stante la loro funzione istituzionale si pretenderebbe qualcosa di più come coerenza ad un sistema democratico.
Anche nella Lega sembra finora prevalere qualcosa di simile al vecchio e deprecato “centralismo democratico” che vietava la formazione palese di correnti interne.
E’ vero che le correnti troppo strutturate hanno portato in passato i partiti che le avevano in certi periodi alla paralisi decisionale, ma ciò non toglie che senza una visibile dialettica interna in un partito le idee non circolano e si continua a riproporre sempre la stessa minestra riscaldata.
La Lega finora ha usufruito di anni felici di crescita continua e di un costante radicamento territoriale occupando gli spazi lasciati vuoti dal suicidio di Dc e Pci e di conseguenza ha a poco a poco schierato una classe di giovani amministratori completamente nuova.
Ora però che i posti istituzionali occupati sono diventati uno schieramento considerevole è venuto anche per lei il momento del passaggio dalla fase “eroica” degli inizi alla normale gestione del potere che porta con sé rischi di corruzione e involuzione clientelare che vanno contrastati appunto con una più ampia e trasparente democrazia interna.
E quindi il “cattivo esempio” della gestione berlusconiana del suo partito non è affatto un caso unico come abbiamo visto anche se questa constatazione non ci porta alcun sollievo.
L’Italia ha bisogno di tutto meno che di ribadire anomalie rispetto agli altri paesi di democrazia occidentale, anzi, dato che gli indicatori di qualità e di efficienza ci mettono sempre di più agli ultimo posti sarebbe ora di metterci in regola e di finirla di pensare di potere fare i furbi senza pagare il conto.
Iscriviti a:
Post (Atom)