domenica 29 settembre 2013

Un lontano tintinnar di manette ha indotto il Cavaliere a fare il primo, ma forse per lui, catastrofico scivolone



Inutile stare qui a ripetere che il berlusconismo si è retto per vent’anni soprattutto sulla pochezza degli avversari, che il Cavaliere si è trovato davanti e sulla diffusissima corruzione del sistema politico e civile italiano.
Occorre però riconoscere una abilità della persona che per lui è stata fondamentale.
Infatti in un panorama politico così modesto, comprendendo nella modestia generale, anche la stessa statura politica del Cavaliere, costui è riuscito praticamente in vent’anni a non commettere mai dei veri e propri errori.
In altre parole non ha quasi mai sbagliato una mossa.
Ho però sempre sostenuto e ribadisco, che in tutti questi anni nessuna delle grandi qualità che i giornaloni di opinione sbandieravano a suo favore ha mai avuto alcuna consistenza nella realtà.
Forse a furia di ripetere le solite tiritere, ci sì convinti col tempo che fossero vere.
Per esempio, che il personaggio sarebbe stato dotato di un grande carisma.
Prendiamo infatti dalla storia recente i personaggi, che sono stati considerati di grande carisma : da De Gaulle a Kennedy, o fra più vicini nel tempo da Tony Blaire a Obama.
Ebbene, il raffronto con  Berlusconi è obiettivamente del tutto improponibile.
Altra leggenda metropolitana : si è detto e ripetuto, che ci si sarebbe trovati davanti al grande comunicatore, forse equivocando sul fatto, che, essendo proprietario dei maggiori media italiani, avrebbe automaticamente dovuto per ciò stesso essere un grande mago della comunicazione.
Ma anche qui, facciamo la prova del nove : se confrontiamo i discorsetti o i monologhi televisivi del Cavaliere con i discorsi epocali dei personaggi elencati sopra, ci accorgiamo subito di trovarci a confrontare grandezze disomogenee fra di loro.
Si è parlato anche del grande industriale, che da solo avrebbe costruito un impero.
Purtroppo però, una cosa è produrre un qualunque bene reale, e un’altra è comprare vecchi filmetti americani per farli girare sul circuito nazionale, come contenitori talmente stipati di lucrosa pubblicità, da fare perdere qualsiasi senso alla “time line” della trama dei film, il tutto poi in regime di concessioni pubbliche, acquisite tutti sappiamo come.
Come si era detto di lui che ci trovavamo di fronte uno degli uomini più ricci del mondo, che avrebbe messo le abilità acquisite a fare ricchezza a favore della politica e cioè del bene pubblico.
Qui siamo al limite del grottesco, essendo ormai evidente anche alle pietre che l’uomo ha sempre  perseguito nella sua attività politica solo ed esclusivamente i suoi interessi personali e aziendali.
Tra l’altro su questo argomento si era più volte affrontato  su questo blog l’argomento di come altri e ben più ricchi del cavaliere, abbiano saputo interpretare in modo ben più degno il loro ruolo di super fortunati (19 maggio 2011 e 16 agosto 2013) investendo somme ingenti per opere filantropiche.
Del resto le cancellerie internazionali hanno unanimemente,  salvo la Russia di Putin ,la Libia di Gheddafi e l’ Uzbekistan di Nazarbayev, lo hanno definito un personaggio farsesco del tutto inadatto ad assumere ruoli politici.
La storia da qui a poco darà il suo giudizio, che non penso si possa discostare da quello sopra indicato.
Se c’è una reale qualità personale di questo personaggio, questa è una grande capacità di lavoro, un carattere molto determinato e caparbio, qualità tutte rilevanti, ma che come si sa possono essere usate sia in senso positivo che negativo.
Ma qualunque siano i suoi meriti e demeriti, il nocciolo del discorso è questo : in vent’anni quest’uomo, pur col vantaggio di correre praticamente da solo, stante la modestia dei suoi avversari, per di più quasi sempre pronti a condividere con lui affari, appalti e potere, di  mosse non ne ha veramente sbagliate quasi mai.
Ultimamente è stato ulteriormente avvantaggiato dal costante appoggio riscosso dalla figura istituzionale, che avrebbe dovuto essere l’arbitro e tutore  imparziale dell’equilibrio fra i poteri dello stato.
Evento penoso, del tutto inspiegabile e ingiustificabile, incomprensibile, sconcertante, che contribuisce in modo devastante a diffondere il discredito sulle istituzioni e sul sistema paese.
Non sono mai stato in passato portato a condividere il pregiudizio ideologico contro i comunisti, ma certo il comportamento attuale di questi ex mandarini comunisti si presenta alla storia con elementi per un giudizio estremamente severo.
Forse la storia riconoscerà che democristiani ed ex democristiani, pure portandosi sul groppone il peso di errori madornali e di una moralità a fisarmonica, probabilmente, hanno sempre avuto un ben maggiore senso dello stato, rispetto della cosa pubblica e delle istituzioni, anche per merito degli ideali e della coerenza dei loro maggiori, per quanto siano stati resi sbiaditi ed annebbiati dalla pochezza dei loro successori e liquidatori.
Ma veniamo alla cronaca.
Dopo la condanna definitiva di Berlusconi, il personaggio è andato letteralmente in tilt, nel senso che sembra aver perso completamente la lucidità di giudizio, che in passato l’ha sempre assistito.
Dopo mosse insignificante ed a vuoto, come il cambio di nome del partito, per evocare un passato ritenuto migliore e penose assemblee di solidarietà a comando, le vere mosse politiche sono state disastrose.
Le dimissioni fatte sottoscrivere, si dice, su moduli prestampati ai parlamentari, nominati col porcellum in barba all’art 67 della costituzione, che vieta il vincolo di mandato e quelle estorte ai ministri.
Ambedue seguendo percorsi irrituali ed istituzionalmente insensati e quindi per vie inspiegabili per chi si circonda di uno stuolo di avvocati e consulenti super pagati.
Questa è la dimostrazione che ci troviamo davanti a quello che gli psichiatri chiamano “stato di coscienza alterato” e che è probabilmente la situazione attuale nella quale versa il Cavaliere.
Questa condizione alterata lo ha portato ad essere vittima del primo scivolone, che probabilmente gli risulterà fatale.
Sembrava che tutto avrebbe seguito il solito consolidatissimo copione e che cioè che all’ultimo momento sarebbe spuntato il tanto richiesto e indecentissimo “salvacondotto giudiziario ad personam”.
E in pratica ci si era quasi arrivati con l’annuncio di una possibile amnistia-indulto, gabbata per provvedimento per svuotare parzialmente le carceri, ma in pratica fondamentale per stoppare le prossime scadenze nei processi pendenti a carico del Cavaliere.
Eppure, non ostante questo ennesimo episodio di svergognamento istituzionale, il Cavaliere ha deciso di rovesciare il tavolo.
E’ un atto, da parte sua, di pura follia, perché se c’era una cosa, che doveva temere come la peste era appunto mettersi nelle condizioni di consentire ai, anzi di obbligare i suoi pavidi compagni di avventura a mettere insieme una nuova maggioranza senza di lui.

A questo punto, non vedo proprio come possa sopravvivere.

mercoledì 25 settembre 2013

Papa Francesco parla a "Civiltà Cattolica". Meno male che c’è qualcuno che parla alto e ci fa così dimenticare la nullità dei politici italiani




Il mondo politico in Italia si sta avvolgendo  giorno dopo giorno in una spirale di un nichilismo auto distruttivo, che sta finendo per portare la politica alla assoluta irrilevanza.
Strano, che questi politici, seppure di così basso livello, non si rendano conto che di questo passo stanno tagliando le gambe alla democrazia.
Fortunatamente però non c'è solo la politica.
Incredibilmente, nel mondo del pensiero alto e cioè della filosofia, della scienza e della religione, si sono avuti in questi ultimi tempi, o addirittura in questi ultimi giorni tre eventi di importanza eccezionale.
Il primo è stata la lettera di papa Francesco, in risposta alle domande, che gli aveva rivolto l'ateo illuminista Scalfari, dalle colonne del suo giornale.
Il secondo evento, ancora più inatteso e ancora più scioccante, è stata la risposta del Papa emerito Benedetto XVI nientemeno che a Odifreddi, logico matematico, pure lui, ateo e illuminista, che aveva scritto un libro proponendo una serie di domande al papa, che mai si sarebbe aspettato,  che potessero avere  una risposta.
Un terzo evento, di non minore importanza, è stata l'intervista, che papà Francesco ha creduto di dare alla Civiltà Cattolica , la rivista teologico-culturale dei Gesuiti romani, intesa da sempre come voce ufficiosa della Santa Sede, nella quale si esprime a tutto campo.
Trascorsi  i primi sei mesi di pontificato, nei quali aveva fatto capire alla gente di essere aperto al nuovo, molto di più dei suoi predecessori, il papa ha avvertito la necessità di chiarire in modo inequivocabile  quello che è il Bergoglio pensiero.
Scegliendo lo strumento dell’intervista, il papa ha fatto una scelta di trasparenza eccezionale.
I suoi predecessori si erano sempre espressi o con lo strumento tradizionale della lettera enciclica o con  una serie di catechesi .
Questa è quindi una grossa novità, perché è un modo di far capire che questo Papa si sente figlio dei tempi ed in questi tempi vuole essere, per esercitare il suo ministero nel mondo moderno.
E’ apprezzabile la trasparenza, ed è apprezzabile il volere presentarsi come uomo moderno, che parla agli uomini moderni, ma questa intervista è anche un terribile atto di coraggio, perché sono  passati solamente sei mesi dall’elezione e, nei suoi panni, sarebbe stato difficile trovare qualcun altro disposto a scoprirsi in modo così evidente, dopo solamente così poco tempo.
Tutti sappiamo infatti, che la vita del Papa in un ambiente abbastanza terribile, come il Vaticano, non è affatto semplice e tranquilla, nel senso che si trova a governare una struttura, che semplicemente non sta né in cielo né in terra, essendo  basata su istituzioni e su procedure, che risalgono al Rinascimento e che niente hanno a che fare con i tempi moderni e, meno che meno, con le democrazie occidentali.
Sappiamo anche che la curia non è stata governata per niente negli ultimi anni, durante l'ultimo pontificato e soprattutto  siamo venuti sapere che quello è un ambiente in cui le diverse cordate si sfidano per la gestione del potere, usando tutti i mezzi leciti e non leciti.
Dato atto quindi del coraggio dimostrato da  papa Bergoglio nell’ affrontare di petto la questione ,vediamo qual è il Bergoglio pensiero.
La prima cosa che si coglie, ed è estremamente interessante,  è  che in  tutto il corso dell'intervista, il papa ha dimostrato di avere le idee chiarissime, perché ovunque fa riferimento diretto alla spiritualità ignaziana,  cioè quella della compagnia, dell'ordine, al quale appartiene.
Quell’ordine dei gesuiti, che è forse il più austero, o comunque  fra i più rigidi o fra quelli che richiedono una selezione più dura, per potervi appartenere.
Non è infatti  una novità, che il livello culturale dei gesuiti sia probabilmente il più elevato in assoluto da sempre.
Non è infine di secondaria importanza notare, che i recenti scandali, sia sul piano della pedofilia, sia sul piano della corruzione, nel senso di uso scorretto e distorto del denaro, non siano arrivati ad interessare mai, personalità della compagnia.
Nell'intervista, papa Bergoglio, questa spiritualità ignaziana  la definisce in questi tre elementi  : disciplina, comunità, missionarietà.
Ed enuncia, subito dopo, il metodo di lavoro del gesuita, consistente nell’'uso continuo del discernimento, che significa : incarnare i grandi principi nello spazio e nel tempo e nelle persone.
Moltissimo spazio dell'intervista infatti è dedicato a spiegare questo principio per cui la montagna della dogmatica viene intesa come di secondaria importanza, rispetto  all'incarnare i principi  nelle situazioni concrete e soprattutto nelle persone concrete.
Il gesuita viene descritto come una persona in perenne tensione, che si mette metaforicamente a lavorare sempre in periferia e che è sempre in ricerca.
Il modo complesso e intellettuale di esprimersi dei gesuiti è stato spesso male interpretato, e per gesuitismo si è sempre voluto stigmatizzare un modo di parlare nel quale si intende dire cose spiacevoli, presentandole in un modo non spiacevole, cioè, in altre parole, si è spesso imputato popolarmente ai gesuiti un esercizio abile della furbizia.
Mi è venuto inevitabilmente di pensare a questo aspetto, quando ho letto in questa intervista dell’auto- descrizione, che papa Francesco fa di sé, quando  era stato nominato giovanissimo superiore provinciale a un'età, che normalmente non viene considerata adeguata a una carica di tale importanza.
E qui il Papa, probabilmente, non senza un filo di malizia, dice che forse, proprio a causa della età  troppo giovane, ha esercitato il suo ministero di superiore provinciale servendosi di poche consultazioni, usando  un piglio decisamente autoritario.
Non credo che sia sfuggito al Papa il fatto che mettere nero su bianco questa  caratteristica del suo carattere, provocherà sicuramente qualche seria preoccupazione negli uomini di curia, che pensavano di potere bloccare la carica innovativa di questo Papa, vendendolo come un ingenuo populista, che non avrebbe osato più di tanto.
Ora però è emersa in modo lampante la sua volontà  determinata di presentarsi come un uomo moderno, che parla agli uomini moderni, prendendo volutamente a usare  dei termini assolutamente mai sentiti sulla bocca di un Papa.
Per esempio, in quest'intervista il Papa dice apertamente : io non sono mai stato di destra : presa di posizione questa estremamente ardita, pur essendo una scelta di sincerità assoluta, che fa piazza pulita di tanti miseri tentativi, messi in atto in questi mesi di battezzarlo come tifoso di movimenti e gruppi, chiaramente estranei alla sua cultura teologica attuale.
Usa perfino  la parola “casino”, che il suo predecessore Giovanni Paolo II, educato nel mondo vecchio e stantio del cattolicesimo polacco, avrebbe sicuramente considerato puro e semplice turpiloquio.
Ma veniamo alle affermazioni di grande peso, dal punto di vista dottrinale e quindi sicuramente foriere di cambiamenti di grande rilievo.
E non mi riferisco alla solita solfa delle unioni gay, della comunione  ai divorziati, della cosiddetta bioetica, argomenti che sono stati inflazionati per decenni nella chiesa di Wojtyla, di Ruini e di Benedetto XVI, che  ha dato l’impressione di non sapere  parlare d'altro, mostrando alla gente della Chiesa prima di tutto e quasi esclusivamente l'aspetto precettistico.
Papa Francesco ribalta completamente questo modo di vedere.
Vediamo alcune significative frasi che compaiono in questa intervista.
Nessuno si salva da solo, senza relazioni interpersonali.
La Chiesa è la casa di tutti, non una piccola cappella per poche persone selezionate, non è un nido protettore della nostra mediocrità.
La Chiesa è invece come un ospedale da campo e in un ospedale da campo ci sono delle priorità .
Prima di tutto occorre  curare immediatamente le ferite, gli esami del sangue , il colesterolo e tutto questo genere di cose verranno dopo.
La Chiesa cioè deve essere madre e pastora, la sua organizzazione è secondaria.
La Chiesa prima di tutto deve trovare le parole per riscaldare il cuore delle persone.
Occorre trovare nuove strade da percorrere, con audacia e con coraggio.
L'ingerenza spirituale nella vita delle persone non è possibile.
A proposito di aborto, bioetica eccetera, il Papa dice che bisogna parlarne sempre solo in un contesto,  perché il cattolicesimo non è una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza.
L'annuncio cristiano si deve concentrare sull'essenziale, che qualcosa, che deve fare ardere il cuore.
Occorre trovare un nuovo equilibrio.
Negli ordini monastici, come nei gesuiti, la profezia inevitabilmente si contrappone alla Chiesa gerarchica, fa chiasso, fa casino, perché deve essere lievito.
I dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei vescovi,  delle chiese particolari e delle conferenze episcopali, devono essere strumenti e occasioni di aiuto, non di censura.
A questo punto ho il Papa fa quasi una confidenza, che lascia veramente scioccati, quando dice di essersi stupito della quantità impressionante di denunce che arrivano in Vaticano.
Denunce della presunta mancanza di ortodossia rivolta a chierici o a laici cattolici.
Questo fatto è  abbastanza terribile, perché fa capire, che la gestione teologica tradizionale dei decenni scorsi ha seminato male e ha raccolto ancora peggio.
Perché se la gente non va più  in chiesa, ma quei pochi rimasti, invece che essere animati da carità verso i fratelli, esprimono tutto il  proprio livore e dedicano tempo a denunciare all'inquisizione il fratello, questa Chiesa è veramente messa peggio di quello che si possa credere.
Arriva infine una affermazione di grande peso ,come quella sulla collegialità, che va ripensata.
E poi una affermazione ancora  più pesante : la donna deve essere presente là dove si prendono le decisioni importanti nella Chiesa.
Questa sola frase è terribilmente innovativa , anche se non segue  una analisi approfondita e al contrario il Papa rimanda a una teologia della donna che deve essere riscritta.
Certamente però la frase è assolutamente inequivoca.
Quando poi gli viene chiesto cosa ne pensa del Vaticano secondo e della sua attuazione, il Papa dice quello che non era mai stato detto prima,  parlando   di linee ermeneutiche di continuità e di discontinuità.
I suoi  predecessori  , anche sotto tortura, non avrebbero mai e poi mai pronunciato la parola discontinuità, che è sempre stata considerata semplicemente impronunciabile.
Cioè in tutto il magistero precedente si è sempre voluto sostenere ,ontro l’evidenza storica, e cioè che la Chiesa non avrebbe  mai contraddetto se stessa e quindi sarebbe  impossibile rilevare elementi di discontinuità.
Si dice poi che occorre attualizzare il messaggio cristiano all’oggi.
Mentre  vedere il mondo moderno, come presunto barbaro, e la Chiesa come pura conservazione è assolutamente sbagliato, perché Dio va incontrato nell'oggi, nel tempo, nei processi in corso nella storia. Occorre trovare le dinamiche nuove, con un atteggiamento contemplativo e con una sensibilità spirituale.
E poi : se uno ha la risposta a tutte le domande, Dio non è con lui è un falso profeta.
Nella chiesa ci sono stati atteggiamenti restaurazionisti e legalisti, si sono cercate soluzioni disciplinari per salvare un passato perduto.
Al primo posto, invece, va messa la speranza cristiana, che è ben più dell'ottimismo, che è solo un atteggiamento psicologico.
La fede cristiana è un cammino, nel senso che è una fede storica, perché Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte.
Quella cristiana non è una fede da laboratorio, dove si portano i problemi per verniciarli e addomesticarli, fuori dal loro contesto.
Per parlare all'uomo moderno occorre capire che l'uomo moderno sta interpretando se stesso in modo diverso da come si interpretava nel passato, con categorie diverse, non solo a causa dei mutamenti storici intervenuti, ma anche a causa di un più ampio studio di se stesso.
Il dogma, deve progredire, svilupparsi .
E poi, forse la cosa più grossa da un punto di vista dottrinale, la dice quando gli viene posta una domanda per indurlo a dare una definizione del rapporto fra il “depositum fidei”  e il tempo, quando risponde dicendo che per rivolgersi all'uomo, bisogna fare come l'uomo, che va nel corso della sua vita attraverso a un ciclo biologico.
La coscienza dell'uomo si approfondisce, cambia, e il Papa per sottolineare l’evoluzione che nella storia ha avuto la sensibilità umana fa l'esempio dell’accettazione in altri tempi,( non lontani di molto),  della schiavitù e della pena di morte.
Ci vuole evoluzione nella crescita, per fare questo  ci vogliono esegeti e teologi, ma anche altre scienze e la loro evoluzione.
Ci sono norme e precetti ecclesiali secondari, che non sono più efficaci. che hanno perso valore.
A questo punto il Papa arriva addirittura a fare una affermazione veramente incredibile per un Papa quando confessa in modo trasparente : purtroppo ho studiato teologia su un manuale del tomismo decadente.
Se i suoi predecessori avessero avuto la stessa consapevolezza di avere studiato su manuali di tomismo decadente, la storia della Chiesa sarebbe stata diversa e il Nord ed Est Europa non sarebbero già persi.
Conclude quindi l'intervista, una affermazione profondissima, sulla quale sarebbe utile che i cristiani meditassero.
Quando gli viene chiesto cos'è per lui da preghiera e come interpreta lui la preghiera , il Papa nella sostanza risponde, che dopo aver fatto meditazione e aver  fatto  ricorso alle sue memorie e ai suoi ricordi, si concentra su una domanda : cosaho fatto io per Cristo ?
La preghiera  per chiedere cose, per chiedere grazie, tutti i grandi della fede lo hanno sempre detto, è superstizione, non è religione.
Eppure il popolo cristiano rimasto su questo punto non c’è, non ha una nemmeno una sufficiente cultura teologica per capirlo.
Se invece di occuparsi di politica o fare gli impiegati,  i preti torneranno  a fare quello che dovrebbe essere la loro missione, questo è uno dei punti fondamentali sui quali lavorare.
Questa lunga intervista è molto di più di un'enciclica, perché non tratta un tema solo, ma tratta un ventaglio di cose, nel quale sono compresi i temi più importanti.
Il Papa ha  usato volutamente uno strumento diverso da quelli usuali, non solo perché l'intervista è uno strumento moderno, mentre l’enciclica  non è uno strumento moderno.
Il Papa ha scelto questo nuovo strumento, penso soprattutto, perché gli ha consentito di definire il suo pensiero e  un definito programma di pontificato.
I gesti e gli atteggiamenti, seppure estremamente nuovi e significativi, con i quali  Papa Francesco aveva parlato alla gente fino ad oggi, sono stati i utili e indispensabili per fare capire, che ci si avviava per una strada completamente nuova e diversa.
Che poi non è altro, che la   pura e semplice  riproposizione del Vaticano secondo.
Il Papa ha  fatto bene a parlare ,non con parole, ma soprattutto con dei gesti all'inizio:
prima di tutto perché è un Papa e quindi conosce benissimo il significato dei simboli nella religione e sa che i gesti non sono cose di per sé, ma sono appunto  simboli, sono icone, sono metafore di un universo molto più profondo, che la gente intuisce senza bisogno di tante  spiegazioni.
I potentati della curia e i  tradizionalisti in genere, da questi gesti avevano capito benissimo che aria tirava, e hanno cercato non direttamente, come usano fare  loro, di squalificare fin dall'inizio questo Papa come un populista, che poi non sarebbe stato capace di portare avanti niente di sostanziale.
Ora dai gesti si è passati all'elencazione diretta di un pensiero, che risulta essere  coerente e profondo.
Il Papa ha fatto benissimo a presentarsi come se stesso, cioè come un gesuita,  incarnato nella spiritualità  ignaziana.
Dicevamo che  il suo pensiero non è altro che quello espresso nel Vaticano secondo,  teniamo conto però che dal Vaticano secondo ad oggi, sono passati cinquant'anni e che in questi cinquant'anni si è cercato quel concilio di farlo dimenticare.
Se ho capito bene il Bergoglio pensiero, non penso che il Papa si lancerà in un innovazioni  formali, lasciandosi invischiare nelle procedure vaticane, cioè non penso che si parlerà, almeno non a breve, di nuovi concili, o di cose del genere.

Mi sembra  più probabile che il Papa continui a parlare  con dei fatti,  più che con delle encicliche ed altri atti formali tradizionali.

giovedì 19 settembre 2013

Povero papa Francesco : molto più facile confrontarsi con l'ateo Scalfari, che dice quello che pensa, che con il falsamente ossequioso Don Carron di CL.



Ho letto su Repubblica di ieri 18 settembre con vera fastidiosa irritazione il commento del successore di Don Giussani alla guida di CL Don Julian Carron, alla famosa lettera del papa a Eugenio Scalfari, della quale si era parlato nel post precedente.
In quel post si era detto delle idee innovative di questo papa, che cinquant’anni dopo ripropone le tesi e le idee del concilio Vaticano II, attivamente contrastate dalla gerarchia ecclesiastica a lui precedente e dai così detti movimenti, più attivi nella vita pubblica, come appunto CL.
Si era concluso che sta benissimo il fatto, che sia giunto finalmente un papa capace, e convinto della opportunità di rilanciare quelle idee, ma anche altre due cose :
1- che al di la della buona volontà del nuovo papa, il ritardo con il quale la chiesa cerca ora di parlare al mondo moderno è probabilmente incolmabile, perché nel frattempo la gente si è convinta della incapacità della chiesa stessa di dire cose credibili al mondo di oggi;
2- che i cinquant’anni di attiva propaganda anti- conciliare (il Concilio Ecumenico Vaticano II si è chiuso nel 1965) seguiti a quel concilio, condotti da una gerarchia, che giudicava quelle posizioni pericolose per la chiesa e quindi le aveva contrastate, hanno  purtroppo indottrinato i fedeli rimasti con le idee opposte a quelle del concilio, e che quindi ora il papa si trova a predicare idee contrastate prima di tutto dal suo popolo.
Il commento di Carron alla lettera del papa, fa veramente cadere le braccia e fa capire quanto sarà difficile, se non impossibile a questo papa cambiare strutture e prassi anacronistiche e impresentabili, rimaste ferme per troppo tempo.
Prima di tutto lo stile di Carron è veramente irritante e anacronistico, una volta si diceva  gesuitico o farisaico.
Per affermare la validità delle sue tesi, che sono diametralmente opposte a quelle del papa, si lancia nella lode sperticata del dialogo aperto dal papa.
Puntualizza però immediatamente all’inizio, con una buona dose di veleno, che il papa ha parlato in quella lettera : “senza mettere in campo altra autorità, che non sia la sua personale esperienza”.
Benissimo, siccome diceva cose, che evidentemente non gli andavano a genio, allora il papa ha parlato da privato cittadino.
Comincia bene il dialogo all’interno della chiesa!
Almeno non nasconde tutto il suo trattenuto disgusto per ” i lumi della razionalità” e per l’uomo moderno “così fiero della sua autonomia , della sua ragione”.
Carron, presumendo evidentemente di essere il prefetto ombra del Sant’Uffizio, delinea severamente i termini nei quali soli, secondo lui, un papa può dialogare con un illuminista, quale Scalfari : “non sul piano del confronto dialettico ,ma nell’incontro di due esperienze umane”.
Si presume quindi che lo sesso Carron sarà stato molto disturbato quando ben 13 anni fa, l’allora vero Prefetto del Sant’Uffizio, il Card. Ratziger, passò due ore di serrato confronto dialettico con l’ateo Paolo Floris d’Arcais, in una sede ancora meno consona di un giornale e cioè al teatro Quirino di Roma, come si era ricordato nel post precedente.
E se non si può fare un confronto dialettico, che senso ha la parola dialogo?
Dopo una illustrazione del passo nel quale il papa  rispondeva a Scalfari sul tema della originalità del cristianesimo, nel quale più che commentare, Carron  riassume il testo, arriva, in un clima di  profonda foschia, qualche traccia del suo pensiero, che trae, guarda caso, dalla “Lumen fidei”, firmata Francesco, ma scritta da Benedetto, come pure si era detto nel post precedente.
Gli piace molto contrapporre la “luce della fede” ,all’”uomo che non vuole rinunciare a niente della sua ragione e della sua libertà”, quando tutta la credibilità residua della chiesa nel mondo di oggi è tutta legata proprio alla possibilità o meno di conciliare e di declinare insieme le due cose e non a contrapporle.
Compito del cristiano secondo Carron è quindi testimoniare di avere in sé quella luce, come diceva Don Giussani.
Per la verità, prima di lui la stessa cosa l’avevano detta e ripetuta per secoli tutta la schiera degli apologisti dei primi secoli, medievali eccetera, ma concediamogli la citazione di prammatica del fondatore della sua “Fraternità di CL”.
L’invito alla testimonianza è un’espressione semplicemente ovvia per chi si dice cristiano.
Il problema però non è farneticare, che i cristiani animati dalla luce, si distinguerebbero in giro per le strade, perché lavati più bianchi degli altri, come sembra ipotizzare Carron, ma piuttosto trovare le forme e la capacità di presentarsi in modo credibile e convincente agli uomini del nostro tempo.
Papa Francesco ci aveva provato nella sua lettera enunciando quattro indirizzi nuovi e in cesura coi cinquant’anni passati :
-primato della coscienza individuale;
-opzione preferenziale per i poveri;
-la verità non è assoluta nemmeno per i credenti;
-ha più rilevanza l’individuazione dell’originario messaggio storico di Gesù di Nazaret, che la montagna della teologia dogmatica;
-la fede cristiana non significa ricerca di qualsivoglia egemonia
Carron non fa un minimo accenno ad uno solo di questi punti.
Ed allora come si farà a dialogare all’interno della chiesa se uno si rifiuta addirittura di vedere quello che ha scritto o ha detto l’altro, anche se questo è addirittura il papa?
Ecco una ulteriore terribile prova che attende papa Francesco.
Nella chiesa da decenni non si dialoga affatto, non si è dialogato affatto dopo il Vaticano II.
Coperte dall’improvvida, anacronistica cultura teologica di Papa Woytila, le gerarchie hanno inteso la vita della chiesa come un movimento a senso rigorosamente unico, come accadeva nei tempi dell’Assolutismo.
Chi la pensava diversamente o era  condannato esplicitamente, senza avere la possibilità di difendersi ed esporre le proprie idee in condizioni decenti almeno fra i suoi pari, o comunque era censurato e il suo pensiero non aveva il minimo spazio nella pure ancora vasta rete dei mezzi di comunicazione cattolici, lautamente finanziati dallo stato, prima di tutto, con l’8 per mille.
Sciocco sarebbe, se chi è stato silenziato per cinquant’anni , ora che il vento in Vaticano ha completamente cambiato direzione, se ne approfittasse e ritenesse venuto il momento di continuare con gli stessi metodi barbari di prima e quindi godrebbe a vedere mettere la museruola a Carron ed amici.
E’ invece venuto il momento di dare trasparentemente la parola a tutte le correnti di pensiero all’interno della chiesa.
In questo modo, chi ora la pensa molto diversamente dal papa regnante come  Carron, essendo tutti noi usciti e da parecchio, dal medio evo, non sarebbe più tenuto a ritenersi obbligato a contraddire il papa su tutta la linea, dicendo che è completamente d’accordo.
Si impari dagli atei : Scalfari non ha  ritenuto di inventarsi di essere devoto a Padre Pio, per parlare col papa, ha detto solo quello che pensava, come si usa nel mondo moderno.
A un certo momento bisognerà fare così anche all’interno della chiesa, anche se questo sarà molto più difficile di quello che sembra.
Perché le cattive procedure, diventate abitudini consolidate, costringono anche le persone più istruite e intelligenti, come è di sicuro Don Carron, a esprimere il proprio pensiero in modo tortuoso e scorretto.
Le cose saranno veramente cambiate nella sostanza, quando vedremo i Don Carron scrivere lettere argomentate di critica all’operato o agli scritti del papa, se pure con tono di più o meno filiale correttezza.
Del resto Don Carron è sempre la stessa persona, che dopo l’elezione di papa Ratzinger, della quale si riteneva evidentemente sponsor di rilievo, aveva mandato la cambiale all’incasso e aveva scritto con arrogante sicumera al Nunzio in Italia, nel marzo 2011.
In quella lettera aveva formulanto l’elenco delle presunte eresie, nelle quali sarebbero incorsi per trent’anni i Cardinali Martini e Tettamanzi nella gestione della diocesi di Milano e aveva chiesto  l’elezione di un arcivescovo, che riportasse tutto all’indietro, cioè per lui all’ortodossia, raccomandando quindi l’elezione a Milano dell’allora Patriarca di Venezia, Angelo Scola (se ne era parlato diffusamente nel post del 28 giugno 1912,  citando i documenti riportati dal famoso libro di Gianluigi Nuzzi :”Sua Santità : le carte segrete di Benedetto XVI”).

Allora il coraggio di dire apertamente quello che pensava Don Carron lo aveva trovato, perché si sentiva coperto, ora probabilmente ha paura che sia arrivato per lui il momento della quaresima.

mercoledì 18 settembre 2013

Pregiatissimo Dr.Scalfari……firmato Francesco



Papa Bergoglio, pochi giorni fa, l’11 settembre, ha mandato una lettera al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che ovviamente ne ha fatto uno scoop, dedicandole le prime quattro pagine del suo giornale.
Si trattava di una risposta a diverse domande, che Scalfari stesso gli aveva rivolto il precedente agosto dallo stesso giornale, ovviamente, senza pensare che il nuovo papa si sarebbe preso la briga di rispondergli.
Sei mesi di pontificato sono pochissimi, eppure sono già emersi segnali inequivocabili, che fanno pensare, che con questo papa molte cose cambieranno.
Ma occupiamoci dello scambio epistolare con Eugenio Scalfari, intellettuale laico ed ateo, se pure aperto e interessato al mondo della spiritualità e della religione.
Dopo decenni di separazione radicale fra intellettuali laici e cattolici in Italia, da tempo oramai il clima è radicalmente cambiato.
Per intenderci, al tempo di Indro Montanelli, gli intellettuali laici del suo calibro, erano soliti svicolare da qualsiasi  problema teologico pensando di cavarsela con un : ma io sono laico e non penso di intromettermi in cose, che non conosco.
Il guaio era, che quelle cose non le conoscevano davvero, perché non vi avevano mai dedicato studio e interesse.
La cosa era un’ anomala tutta italiana, perché nel resto dell’occidente, era costume secolare, che gli intellettuali non credenti esprimessero il loto parere sulle cose e sulle posizioni dei cattolici, anche perché chi parlava sapeva cosa diceva, anche perché la teologia era da secoli una materia presente nelle università statali, con professori laici, che andavano in cattedra con credenziali scientifiche e senza alcuna interferenza o gradimento delle gerarchie ecclesiastiche.
Da noi non è così nemmeno adesso, non esistono facoltà di teologia nelle università  pubbliche, esistono però nelle nostre università statali parecchi studiosi laici di storia della chiesa e di esegesi biblica, che per vie traverse, come si è usi fare in Italia, hanno messo il naso nella teologia cattolica, usando i normali protocolli della ricerca scientifica e si sono create così le condizioni per un dibattito ad armi quasi pari.
Contemporaneamente,  parecchi intellettuali laici, da tempo, si sono ben preparati in materia di teologia e di storia della chiesa, anche grazie alle opere degli studiosi laici sopra citati,  e intervengono sistematicamente su questi problemi.
Dall’altra parte molti esponenti della gerarchia e dell’intellighentia cattolica hanno da tempo accettato il confronto, che prima, di fatto, rifiutavano.
Ad esempio, memorabile era stato il dibattito, ovviamente pubblico, che si era tenuto al Teatro Quirino di Roma il 21 settembre 2000 fra il Cardinale Ratzinger, allora prefetto del Sant’Uffizio e il filosofo, saggista ateo, Paolo Floris D’Arcais, moderato dall’ebreo Gad Lerner.
Non è una novità quindi il fatto che ci sia un confronto fra cattolici qualificati e laici qualificati in materia teologica.
Ma è un discorso che ancora non eccede la cerchia degli addetti ai lavori e dei lettori più avvertiti.
Purtroppo il cittadino medio, ed anche il fedele medio, sono stati abituati da sempre a confondere  la ricerca teologica con la pura propaganda religiosa.
I testi di teologia, con i terribili, così detti, “libri di pietà” , scritti per suscitare non certo estasi mistiche, ma effimeri momenti di emozione e di consolazione.
Purtroppo ancora si ragiona in termini di andare a “farsi spiegare” le scritture dal clero.
Anche quando la chiesa, dopo il Vaticano II, ha esortato i fedeli a leggere privatamente la scrittura, questa abitudine, prima scoraggiata e vietata per secoli, è ben lungi dall’ essersi diffusa fra il popolo cattolico e non.
Con questa abitudine, ancora non acquisita, c’è l’assoluto non impegno del medesimo popolo a crearsi le basi anche minime di una cultura teologico- storica.
La causa ovviamente  è il perdurare dell’anacronistica e diffusissima  mentalità, sopra ricordata, di lasciare la teologia solo ai preti, ai quali si può sempre ricorrere per “farsi spiegare” o per farsi segnalare un libro si approfondimento.
Usare la propria testa, anche in materia di religione, non è considerata ancora cosa buona e saggia.
In questo ambiente culturale, il fatto che un papa decidesse di mostrare di scendere dal trono sacrale, sul quale è ancora visto seduto,  da una buona parte del popolo cattolico, per dialogare con un ateo e per di più su un normale giornale laico, di qualità, ma abbastanza schierato dalla parte sinistra, è un fatto nuovo di evidente rilevanza.
Anzi il salto, la cesura col passato è tanto forte, che, diciamo fra i più “semplici” fra i fedeli, lo stile di questo papa sta creando sconcerto e dubbi.
Per molti non è così che si comporta un papa.
Dopo avere invocato invano per  decenni l’avvento in Vaticano di una linea di rinnovamento, non ci siamo resi conto che decenni di propaganda religiosa e di indottrinamento a senso unico tradizionalista hanno plasmato lo  scarso popolo rimasto in profondità,  in modo da renderlo ostile a un vero cambiamento.
La vita sarà probabilmente dura per papa Bergoglio e forse più in casa sua che fuori.
Per sua fortuna, il papa guarda al  modo e non all’Italia.
Nella lettera a Scalfari il papa ha parlato di diversi argomenti.
La parte di maggior peso del discorso è stata questa che merita di essere riportata per intero :
“ La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza.
Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza.
Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito
come bene o come male.
E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.
Il che significa, che non è necessario essere cristiani per entrare nel regno di dio, ma è sufficiente seguire i dettami di una coscienza retta e consapevole.
E’ il discorso del “primato della coscienza”, che era emerso prepotentemente al Vaticano II e che sembrava avesse potuto essere messo alla base, tra l’altro, di una nuova e rinnovata etica sessuale, se l’improvvida “ Humanae Vitae” di un tardo e irriconoscibile Paolo VI, non avesse bloccato tutto, (ma su questo argomento si è parlato diffusamente nel post del 21 agosto scorso ed a quello rimando il lettore interessato).
E’ un discorso che avrebbe grandi ripercussioni in materia di bioetica , di diritti civili e nei rapporti chiesa – stato.
E’ un discorso, che se sviluppato, impatterebbe frontalmente con l’assetto attuale e secolare della istituzione chiesa, perché metterebbe in discussione la funzione stessa del prete.
Si vedrà.
Secondo punto di peso molto rilevante quello su Verità- relativismo - pluralismo.
Riporto anche qui  il testo così com’è :
“Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che
assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione.
Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo.
Dunque, la verità è una relazione!
Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc.
Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro.
Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita…..in altri termini la verità essendo tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa”.
In altre parole i cristiani non possono pretendere di possedere per rivelazione una verità completa e definitiva, data una volta per tutte, ma ne devono acquisire in una vita quella parte che riescono, se si danno da fare per ricercarla.
Questo è un discorso delicatissimo  per la teologia cattolica perché si scontra con una pretesa bimillenaria di rivelazione unica e definitiva fatta direttamente da dio a un popolo eletto.
Per farla breve, se interpretata ed espressa in modo tradizionale e ortodosso, questa affermazione dogmatica non lascerebbe alcuno spazio ad alcuna delle idee di modernità espresse dall’illuminismo e di conseguenza il dialogo chiesa -mondo moderno, sarebbe portato avanti da una posizione di  sostanziale malafede.
Perché se una parte crede di possedere la verità intera e definitiva, non ha senso che dialoghi, il suo atteggiamento non può che essere che quello, del resto portato avanti nei secoli dalla chiesa , diretto alla pura e semplice conversione di chi la pensasse diversamente.
La formulazione espressa da papa Francesco, come sopra riportata se pure non chiarissima, ha comunque delle espressioni nette come “io non parlerei nemmeno per chi crede di verità assolute”.
Ancora si tratta di un discorso fondamentale, che era risuonato per mesi nel Concilio Vaticano II e sta alla base di qualunque sviluppo dei termini : dialogo, pluralismo, tolleranza.
Va benissimo, ma saremo costretti a renderci conto da qui in avanti che i cinquant’anni trascorsi impiegati per demolire sistematicamente i risultati e lo spirito di quel Concilio, hanno indottrinato il popolo cristiano, facendogli acquisire nozioni, che ora il papa contesta.
Sarà dura portare avanti questi discorsi all’interno della chiesa soprattutto italiana.
Terzo punto di notevole rilevanza.
Il papa ha trattato il tema della singolarità del cristianesimo ,che rispetto agli altri due monoteismi, non mette l’accento sull’assolutismo della figura di dio, ma sulla sua incarnazione.
“la singolarità di Gesù è per la comunicazione non per l’esclusione”
“per chi vive la fede cristiana ciò (cioè la fede cristiana stessa) non significa fuga dal mondo o ricerca di  qualsiasi egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini a partire dalla periferia della storia…”.
E siamo quindi arrivati alla riaffermazione della  “ scelta privilegiata per i poveri”, terzo tema e ancora, terzo elemento fondamentale trattato al concilio Vaticano II.
Un quarto punto è dedicato ai rapporti con gli ebrei e anche qui regolarmente riappare l’affermazione degli ebrei come  “fratelli maggiori”, emersa per la prima volta al Vaticano II.
Un quinto punto, dedicato indirettamente al rapporto fra cristianesimo e scienza.
Mi  è sembrato forse l’unica risposta, nella quale si ravvisa il ricorso ad argomentazioni deboli , che così come enunciate si trovano obiettivamente  in netto contrasto con i dati della scienza moderna e che quindi si spera che vengano ripresi successivamente da questo papa con maggiore ponderazione.
La domanda di Scalfari era terribile per una religione tutta basata sull’al di là ed era sostanzialmente questa : la dignità della persona umana è basata sulla facoltà dell’ essere umano di essere   l’unica creatura sulla terra capace di esprimere un pensiero cosciente.
Però il pensiero è prodotto dal cervello e di conseguenza , finito il cervello con la morte individuale e ad un certo momento con l’estinzione del genere umano, finirà anche la possibilità di concepire dio col pensiero e l’idea stessa di dio finirà.
La risposta del papa è quella tradizionale ed è tutt’altro che convincente.
Il papa dice ,io credo che dio non sia un’idea, se pure elevatissima ma una realtà.
Su che cosa basa questa affermazione ? Il papa dice che l’affermazione è basata sulla sua esperienza e sulla rivelazione.
Ora l’esperienza è un fatto soggettivo e quindi non può dimostrare niente e la rivelazione è un dato di fede, cioè è un voler credere in una determinata mitologia indimostrabile e quindi dimostra e spiega ancora meno.
D’altra parte le moderne neuroscienze stanno approfondendo ogni giorno di più un discorso nuovo e di enorme interesse sulle funzioni e sul ruolo della nostra mente, ma, allo stato, portano a concludere, che finito il funzionamento del cervello finisce anche il pensiero e la coscienza.
Ci sono spiragli per futuri sviluppi, veramente da fantascienza, che potrebbero arrivare a ipotizzare il persiste del pensiero in una sede esterna al cervello deperito con la morte, ma al momento le cose stanno come detto sopra e quindi è a questo che è sensato riferirsi.
Su questo argomento purtroppo la chiesa è ancora in imbarazzo e balbettante.
Purtroppo anche le correnti teologiche più innovative, non hanno risposte diverse o proposte di nuove strade da battere per giungere a delle risposte più adeguate.
Eppure il tema è assolutamente cruciale.
Certo che una chiesa che ha elaborato con sicumera per due millenni una montagna di definizioni dogmatiche, anche nelle questioni più minute, nell’illusione di essere nella posizione di chi sa tutto e che quindi su tutto può esternare la propria verità, si trova in grandissima difficoltà quando la scienza contraddice in modo radicale qualcuno dei suoi presupposti dogmatici.
Forse la risposta più sensata su questi argomenti è quella fornita da sempre dalle tradizioni orientali, induista e buddista che affermano, senza paura di essere sminuite nella loro credibilit, che la loro religione non è in grado di darle quelle risposte.
Il papa potrebbe anche su questi argomenti fare una scelta di maggiore umiltà, come l’ha fatta su tutti gli altri temi sopra elencati.
Molti sarebbero sconcertati e delusi, ma la verità alla gente a un certo momento bisognerà dirla comunque.
La verità vera è solo quella scientifica.
Si parta da quella e su quella si innesti il discorso religioso, dicendo umilmente non so, quando realmente non si sa.
Nel mondo moderno non si può più pensare di indicare agli uomini secolarizzati le narrazioni della propria mitologi religiosa come se fossero queste la risposta ai problemi dell’umanità.
Le tradizioni e le mitologie religiose sono di fatto, in realtà ,della metafore, delle intuizioni spesso profonde e utili ,sulle quali lavorare per trovare risposte, ma non sono loro le risposte.
Questa è la via, che probabilmente prenderà la chiesa in futuro, se vorrà sopravvivere, anche se c’è già oggi, chi, vedendo le difficoltà che questo papa deve superare, dice che non ci sarà mai un Francesco II.
In conclusione questa storica lettera di Francesco I è stata  un bell’inizio di discorso e di dialogo col mondo moderno.
Scalfari non ne aveva fatto cenno esplicitamente, e il papa quindi non ne ha parlato esplicitamente, ma in futuro sarà interessante  vedere se questo papa saprà impostare un dialogo rinnovato a proposito  questi ulteriori elementi fondamentalissimi per il mondo moderno :
- come si pone la chiesa di fronte ai dati della scienza moderna, che hanno rivoluzionato alla base la credibilità della cosmologia seguita finora dalla chiesa stessa ?;
- come si pone la chiesa nei confronti della filosofia?
Continuerà con Tommaso a considerarla anacronisticamente “ancella della teologia” o la considererà almeno alla pari?
- come si pone la chiesa nei confronti delle altre tradizioni culturali e religiose non cattoliche e soprattutto con quelle asiatiche, che sono fondate su universi culturali del tutto diversi, rispetto a quelli dell’occidente, ma non meno utili per guadagnare ulteriori “pezzi di verità”?
Concluso il commento alla parte più significativa della lettera di papa Francesco, consentitemi una annotazione più “leggera”.
Forse Scalfari, intellettuale ateo interessato alle cose cattoliche ma probabilmente non  abbastanza navigato fra i complicati meandri della teologia cattolica non aveva gli elementi per poterlo apprezzare, ma, all’inizio della lettera il papa gli ha consegnato un esempio insigne di sottile dialettica gesuitica.
Scalfari, penso appunto per la sua non completa padronanza dell’universo cattolico, aveva citato in una delle sue domande rivolte a papa Bergoglio ,l’enciclica “Lumen fidei”,che il papa medesimo aveva firmato insieme al suo predecessore, senza rendersi del tutto conto che  co-firmare quella enciclica è stata da parte di papa Bergoglio una pura espressione di cortesia e di finezza di spirito verso il suo anziano predecessore, ma niente di più, in quanto la consistenza dottrinale della stessa è modesta.
Ma soprattutto la firma aggiunta dall’attuale pontefice è stata quello che si direbbe un “atto formale  dovuto” per poterla rendere  pubblica, dato che le encicliche le scrivono solo i papi in carica e papa Bergoglio non voleva togliere al suo predecessore, intellettuale di professione, la soddisfazione di vedere pubblicata la sua ultima fatica intellettuale.
Di conseguenza, diverse affermazioni, ivi contenute, sono in palese contrasto con le vedute teologiche, che abbiamo appreso in questi primi sei mesi di pontificato, sono propri dell’attuale papa.
Però essendoci stata la citazione da parte di Scalfari, nella risposta del papa c’è una inevitabile  lode ai contenuti di quell’enciclica, non disgiunta però dalla annotazione di passaggio, che la maggior parte del contenuto è attribuibile solo a papa Ratzinger.
Ma il bello viene dopo, quando papa Francesco entra nel merito.
Riporto il brano :” Essa (l’enciclica) , infatti, nell’intenzione del mio amato Predecessore,
Benedetto XVI, che l’ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale,
con gratitudine, l’ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in
Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un
dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce «un non credente da
molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth».
Ora, nella teologia cattolica, “Gesù Cristo” è una cosa e “Gesù di Nazaret” è tutt’altra cosa.
I normali fedeli non lo sanno nemmeno, ma peggio per loro se non si istruiscono.
In poche e inevitabilmente semplicistiche parole : le correnti teologiche tradizionalistiche (compreso papa Ratzinger) si riferiscono a Gesù Cristo e non a Gesù di Nazaret, perché il concetto di “Cristo” non è legato al Gesù storico, ma al Gesù ,così detto, “della fede”.
Cioè è una costruzione filosofico-teologica complessa attribuibile a Paolo, Giovanni e poi ad Agostino, ed è quindi  qualcosa di costruito dopo e sopra al messaggio storico originale di Gesù.
Le correnti teologiche progressiste, si riferiscono invece, principalmente a Gesù di Nazaret, cioè al Gesù storico, che ha vissuto in Palestina , a quello che ha detto e ha fatto, operando un complesso lavoro di esegesi storica sui testi dei Vangeli, per valutarne la fedeltà e la autenticità.
Carlo Maria Martini, ad esempio, aveva dedicato la sua vita di studioso esattamente a questo lavoro. Queste correnti teologiche  valutano quindi di importanza secondaria l’enorme costruzione dogmatica, che la chiesa istituzione ci ha costruito sopra nei secoli, andando a volte per direzioni diverse o addirittura contrarie ,rispetto a quel del messaggio originario e storico di Gesù di Nazareth.
Ebbene, in quel brano sopra citato, papa Bergoglio, si diceva con  raffinata dialettica gesuitica, volta disinvoltamente la frittata, e  cioè  parte dal Gesù Cristo dell’enciclica di Ratzinger, per arrivare a tradurlo in Gesù di Nazareth e così presentarlo a Scalfari e  mette la sua firma a questo Gesù di Nazaret nel brano immediatamente successivo :
“Mi pare dunque sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente, ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù”.
Si noti “alla predicazione ed alla figura di Gesù”, si parla quindi chiaramente del Gesù storico, non di quello costruito poi dalla teologia dogmatica.
D’accordo che la sottigliezza di queste questioni è purtroppo rilevabile solo dagli iniziati, ma la scelta di campo del nuovo papa, anche in queste cose risulta evidente.
Si tratta di sottigliezze solo sul piano teorico, che però nella realtà hanno conseguenze  di grandissimo peso, anche nella storia concreta.
Del resto non è stata la disputa,  ben più di lana caprina,  sul mettere o togliere nella dichiarazione del  Credo quell’apparentemente insignificante parolina  “filioque” ,che si consumò lo scisma d’Oriente nel 1054?
E quello è stato solo il primo.







venerdì 13 settembre 2013

La lettera pastorale di Scola. Qualche inaspettata apertura c'è. Ma nelle terapie indicate non c'è proprio nulla di nuovo.





Il cardinale arcivescovo di Milano si fa perfino apprezzare per lo sforzo visibile che fa di cercare di affrontare i tempi nuovi.
Difficile però che riesca a mettersi a correre, se non riesce a sbarazzarsi delle palle al piede che ci si trova legate.
Per esempio la cultura teologica, che ha acquisito da adolescente e da prete in Cl, non gli è certo d'aiuto ed è terribilmente difficile sbarazzarsi della propria formazione culturale quando questa è sbagliata, perché si teme di tagliare le proprie radici, alle quali si è affezionati.
Pochi ci riescono.
È molto più facile scaricare come ha fatto, vecchi amici come Formigoni ,che sono diventati nel frattempo impresentabili.
La sua lettera pastorale, uscita in questi giorni è comunque interessante, perché testimonia uno sforzo di cambiamento e che questo sforzo è percepito come indispensabile.
Positiva è la parte che si potrebbe dire dedicata alla diagnosi.
E infatti i giornali si sono buttati a capofitto nel riportare quella parte, che, maliziosamente potremmo dire, è la prima, facendoci quindi dubitare, che quei giornalisti abbiano letto tutto il resto della pastorale.
In queste diagnosi, si diceva, c'è finalmente il riconoscimento esplicito del fatto che la crisi della chiesa ambrosiana è molto pesante.
Per descrivere questa crisi Scola ha usato il termine immaginifico di "ateismo anonimo", diffuso anche fra i cristiani  abituali frequentatori delle messe domenicali.
Non è però riportata alcuna citazione che documenti di dati delle analisi sociologiche in proposito, forse perché il riportarli  sarebbe stato eccessivamente scoraggiante per il grande pubblico  (partecipazione alle messe, matrimoni civili, unioni di fatto, l'adesione all'ora di religione, svuotamento dei seminari eccetera).
Ma il termine usato "ateismo anonimo" per di più  riferito anche a gran parte dei cristiani residuali ,abituali frequentatori della messa domenicale è di per sé scioccante e perfino impietosa.
C'è poi una puntualizzazione importante, l'allontanamento si è verificato soprattutto nella fascia di età più produttiva ,quella fra i 24 e i 50 anni di età.
Un po' sbrigativa ,ma abbastanza indicativa ,la spiegazione di questo termine "ateismo anonimo",  in base alla quale si va a messa e si crede in un Dio, ma quale Dio ?, un Dio dell'aldilà, utile per chi ritiene di crederci a risolvere il problema esistenziale dell'angoscia della morte e del senso della vita.
Nell' al di qua invece Dio non c'è, la gente non lo sente più come entità necessaria per orientare la vita nell'al di qua.
E quindi nella realtà di tutti i giorni la gente si muove come se Dio non ci fosse.
La sostanza del problema è così abbastanza centrata.
La diagnosi quindi è abbastanza buona, ma è terribilmente tardiva, perché non è altro che l'enunciazione di quella secolarizzazione ,definita nei dettagli ,come tutti sanno, dal teologo filosofo statunitense  nella sua opera "The secular City"  del 1965.
Da allora sono passati cinquant'anni, è un po' tardi per accorgersene e parlarne ora.
Purtroppo però, dopo aver dato quella  frustata dell'ateismo anonimo, che fa mettere i piedi per terra, Scola indulgere a considerazioni consolatorie di ben poco peso.
Il cattolicesimo Ambrosiano sarebbe ancora ,secondo lui, un cattolicesimo popolare, cioè diffuso e cita a dimostrazione la partecipazione ai Grest, cioè agli oratori estivi, cita un alto numero ancora di battezzati, e cita infine l'oltre il 70% di europei, che si dicono cattolici,
Quest'ultimo dato però costituisce una vera e propria manipolazione statistica,e quindi  una autentica scorrettezza, che una persona di quella levatura, avrebbe dovuto evitare.
Perché tutti sanno, che le analisi demoscopiche formulano la domanda sulla religione di appartenenza, intendendola nel senso di inquadramento in tradizioni culturali, etniche, geografiche e cioè che uno si dice cattolico nel senso di non musulmano, di non buddista, di non indù, ma non nel senso di credente nei dogmi cattolici o di fedele praticante.
Scola sa benissimo che nella sua metropoli quel dato va retrocesso dal 70% al 5%, dato che, peraltro, si ritrova scritto nero su bianco in diversi documenti della sua stessa curia, e tanto valeva allora dirlo apertamente, invece che nascondersi dietro al "latinorum" dell'ateismo anonimo.
Purtroppo ancora,  il sito Web della diocesi di Milano riporta un pessimo riassunto della lettera che fra parentesi è acquisibile in versione integrale solo a pagamento, e questo non è usuale e non è certamente bello.
Questo riassunto, semplicemente cancella incredibilmente tutte le parti di critica, di diagnosi,  proprio quelle parti che sono finite nei titoloni di tutta la stampa e questo rende ancora più ridicolo e maldestro questo tentativo di censura.
Abbiamo detto, tardiva ,se non fuori tempo massimo la diagnosi, che però finalmente è stata espressa, seppure ingenuamente edulcorata.
Però tutte le debolezze del documento si manifestano quando vengono proposte delle terapie.
Anche qui è apprezzabile qualche tentativo di autocritica e di novità.
Ci sono cioè alcuni spunti di critica alla linea della passata gestione pluridecennale della Chiesa italiana Ruini bertone Cgil.
Ci sono questi spunti sugli errori passati.
Ma non ci sono affatto i riferimenti ai loro autori ,cosa che forse sarebbe stato chiedere troppo.
Gli autori bisogna intuirli e dedurli.
Gli addetti ai lavori capiscono benissimo lo stesso, ma tutti gli altri non capiscono proprio, e questo è pur sempre un limite di perdurante farisaismo.
"Non dobbiamo costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani".
L'allusione è evidentemente diretta al mondo di CL, teniamo conto però, che lo stesso Scola è cresciuto e ha fatto carriera in questo mondo, .... Equindi, un cenno di onesta autocritica non avrebbe fatto male.
"Occorre testimoniare la coerenza del singolo con alcuni comportamenti ,ma questo "dare l'esempio" non basta ,occorre anche poter comunicare di essere diventati un'altra persona ... il testimone fa spazio all'interlocutore, non è un ripetitore di dottrine cristallizzate.
I cristiani non cercano la vittoria della propria parte, al di là degli errori commessi lungo la storia".
C'è poi qualche accenno, che sembra parlare del berlusconismo, ma anche qui per vaga allusione.
"Si ha l'impressione che il moltiplicarsi delle opportunità di divertimento invece che ricaricare l'io finisce per esaurirlo"
"Si eviti di cedere alle logiche commerciali ed efficientistiche".
Va bene certo, ma anche qui, un piccolo accenno autocritico all'appoggio dato scopertamente anche da Scola a quel berlusconismo, che è stato per decenni il grande sacerdote di modi di vita basati sull'apparire e sull'evasione, come principali obiettivi di vita non avrebbe guastato.
In conclusione, quindi, c'è qualche riconoscimento della serietà della crisi della Chiesa nel tempo presente, c'è qualche accenno di diagnosi azzeccata sugli errori commessi fino a ieri dalla Chiesa italiana.
Ma si tratta di riconoscimenti parziali, tardivi e probabilmente fuori tempo massimo.
Prova ne è che la terapia proposta è vecchia e inefficace.
In poche parole come terapia, il Cardinale propone ai cristiani della diocesi di riscoprire quella "chiesa in stato di missione"  e quella "pastorale d'ambiente", che assomiglia moltissimo alla "missione di Milano"  lanciata dall'allora arcivescovo Montini molti decenni fa e che fu molto utile per mobilitare i quadri, allora come oggi, sonnecchianti del mondo cattolico, ma che fu universalmente considerata un fiasco assoluto, come sforzo per convincere la gente ad avvicinarsi al cristianesimo.
Andare nei posti di lavoro e lì manifestarsi come cristiani e riconoscersi con gli altri cristiani.
Ma non si era detto che i cristiani non devono fare setta a parte?.
Se queste sono le terapie...
Un giornale ha maliziosamente titolato all'uscita della pastorale : la gente lascia Scola, non la chiesa.

Temo che abbia avuto ragione.