mercoledì 27 maggio 2015

Papa Francesco intervistato dalla “Voz del Pueblo”, solo il titolo della testata è un programma



Ieri i giornali hanno dato ampio risalto alla intervista che papa Francesco ha dato al quotidiano argentino “la  voz del pueblo” inusualmente lunga ,nella quale il papa medesimo quasi si dimentica di  essere papa e abbandona completamente ogni preoccupazione di  diplomazia ed ogni cautela istituzionale.
Ne viene fuori uno splendido  ritratto di quello che lui stesso qualifica addirittura come “un pover’uomo” al quale è capitato di  divenire papa.
Anche papa Giovanni aveva avuto  la capacità di parlare alla gente come uno di loro e per questo è stato  amatissimo dal popolo cristiano e non, e ci è riuscito facendo ricorso  alla sua sensibilità personale ed alla cultura della civiltà contadina, nella quale era cresciuto.
Papa Bergoglio va oltre.
Perché a differenza di papa Giovanni,  dispone del bagaglio solido e consistente della formazione del suo ordine, che è il maggior fornitore di intellettuali per il clero cattolico, ma ha contemporaneamente  la straordinaria capacità naturale di prende la vita e la sua  missione con assoluto genuino spirito evangelico, senza essere immobilizzato dal peso di dogmi, e orpelli e calcoli di potere.
Era quello che è mancato ai suoi diretti predecessori, che dai dogmi e  dagli orpelli di potere sono stati paralizzati.
Per verificare l’enorme distanza fra un Ratizinger o un Woytila e papa Francesco, ho provato a pensare quali tipi di risposta avrebbero dato loro ai quesiti che l’intervistatore delle “voz” ha rivolto a papa Francesco.
Già la scelta del giornale fa sobbalzare.
Chi è stato ammaliato dai miti  del ’68 solo a leggere quel  titolo “la voz del pueblo” sobbalzava perché non poteva  non sentire l’assonanza con i  testi delle canzoni- inno degli Inti Illimani.
Figuriamoci chi nel ’68 si trovava sulla sponda opposta, che reazione può avere avuta.
Certo nessuno dei papi immediati predecessori di papa Francesco avrebbe mai e poi mai risposto che una delle cose che desidererebbe di più sarebbe  andarsene tranquillamente la sera a mangiarsi una pizza in pizzeria, confuso fra la gente.
Se poi andiamo indietro nel tempo, vi immaginate un imbarazzassimo Paolo VI o tanto meno un etereo  Pio XII , che sogna una serata in pizzeria, confuso fra la gente?
Eppure i precedenti ci sono, lo faceva come tutti sanno ,il mitico Papa Sisto nel 500, che amava girare per Roma di notte, sotto mentite spoglie ,ma per tutt’altri scopi, quasi tutti di potere, cioè di verifica del suo potere, usando il più elementare dei mezzi per avere una informazione diretta e immediata.
Ecco che l’andamento del discorso ci ha portato ad uno dei punti più interessanti  di quell’intervista a papa Francesco, e che verte proprio su cosa fa il papa per informarsi.
Nella sua posizione e di fronte a realtà estremamente complesse una buona informazione conta parecchio.
Ma che fa il papa?
Dice all’intervistatore di non vedere la televisione addirittura da quasi vent’anni.
Dice di leggere alla mattina solo “Repubblica”, ma di non andare oltre a un passaggio a volo d’uccello di dieci minuti.
Dice di non avere l’abitudine di “navigare” per web.
Sembrano cose non solo minimaliste,ma quasi strampalate, stante la valanga di informazioni dalle quali siamo tutti bombardati da mattina a sera.
Ma riflettiamoci un momento, dietro a queste scelti del papa, indubbiamente radicali, c’è ovviamente non il caso, ma una precisa scelta filosofica.
Noi tutti siamo bombardati da un ronzare continuo di notizie, per nostra scelta, scelta talmente abituale da essere divenuta quasi inconsapevole.
E’ da vedere se quel ronzio ci aiuta o ci stressa, senza procurarci gran che.
Comunque è interessante constatare che il papa ha fatto una scelta diversa e non ne è affatto pentito.
Il papa, come qualsiasi personaggio arrivato a gestire responsabilità al vertice è in qualche modo prigioniero dell’istituzione che dirige.
Le notizie gli arrivano inevitabilmente filtrate.
E di conseguenza trova più difficoltà di qualsiasi comune mortale a muoversi per verificarne l’attendibilità.
Si pensi alle tragicomiche vicende di Papa Ratzinger, quando si è trovato succube delle scelte di una rassegna stampa predisposta dallo staff della segreteria di stato, allora diretta dal Card. Bertone, che gli propinava un pastone mal fatto, costruito per fargli ignorare, quello che qualcuno voleva che ignorasse.
Ne sono seguite gaffes a ripetizione e infine quel papa ha preteso una rassegna stampa un po’ più professionale.
Certo che il papa renda pubblico il fatto di leggere  un solo giornale e che quel giornale sia dichiaratamente progressista è un fatto destinato a procurare mal di pancia soprattutto in quel mondo cattolico italiano pigro e sonnacchioso, ma forse per questo, orientato più altrove che verso il progressismo e la modernità.
E quindi le lamentele raccolte da Vittorio Feltri sul Giornale di ieri sono scontate.
Ma la confessione del papa è un fatto nuovo e importante che strappa il velo di ipocrisia che ha sempre in passato nascosto la vita diciamo privata dei papi.
E infatti le cronache ci avevano informato negli anni scorsi che papa Ratzinger leggeva e ,a quanto s legge tutt’ora quotidianamente la   FAZ, cioè la Frankfurter Allgemeine Zeitung, giornale tedesco, famoso per essere dichiaratamente conservatore.
Questo significa che i papi, di fatto, si sono sempre scelti, come tutti i mortali, i giornali più vicini alle proprie vedute, ma che evitavano di dirlo per paura delle reazioni.
Questa oggidì però è avvertita come ipocrisia, non come prudenza.
Molo simpatica la confessione del papa nella medesima intervista di  non avere il tempo di vedersi le partite di calcio del suo paese, ma di avere una guardia svizzera che si preoccupa di passargli un bigliettino con su scritto i risultati.
Altro elemento che ci dipinge un papa, uomo come noi, proprio come lo vorremmo.
La scelta radicale di papa  Francesco, di distaccarsi volutamente dal ronzio dei media, è una scelta diretta ad essere più libero e meno influenzato.
Del resto, lui stesso nella medesima intervista riconosce di essere  sottoposto a continue pressioni.
In una giornata il papa parla con talmente tanta gente da non rischiare certo di non essere informato.
Ecco, mi ha colpito particolarmente anche questo.
Papa Francesco è  stato capace di fare una scelta personale tanto radicale e singolare  su televisione, giornali e web.
Ma risulta dall’intervista che continua a portare il peso, molto oneroso,  degli impegni istituzionali di routine.
Lui stesso dice di sentirsi stanco dalla mole di questi impegni, come un qualsiasi scolaro che si trova alla fine della scuola a giugno.
Presumo che un papa “decisionista” e di polso come è Francesco, avrà messo già parecchio del suo per orientare la macchina burocratico- istituzionale vaticana, secondo le sue vedute, ma da lui mi aspetterei qualcosa di più radicale e clamoroso, come la scelta che ha fatto su tv, giornali e web.
Mi aspetterei una scelta meditata, ispirata alla sua filosofia evangelica.
Un papa può parlare ed apparire molto meno.
Ed in seguito a questo può tagliare dimettere la “collaborazione” di molti apparati che girano a vuoto come tutte le burocrazie di questo mondo.
Risulta dai Vangeli che Gesù Cristo ha fatto e detto tutto quello che sappiamo, senza bisogno nemmeno di un segretario.
Papa Francesco è molto probabile che accarezzi il sogno di fare liquefare la Curia.
Il Concilio di Trento, cinque e rotti secoli fa, ha deliberato su tutto, proprio tutto, ma ha sempre rinviato la discussione sul ruolo della Curia.
Oggi forse   il tempo è maturo.
Che bello sarebbe se papa Francesco potesse passare alla storia per mettere e chiudere negli armadi della storia tutte quelle rinascimentali vesti color porpora e tutto quelle che ronza loro intorno.

Sarebbe il segno evidente della riconquistata ispirazione evangelica.
Non si può fare la chiesa dei poveri con quelle porpore, è una contraddizione.
Ma metterle in naftalina è come superare la lobby dei tassisti, nessuno c’è ancora riuscito.





venerdì 22 maggio 2015

I politici non hanno la minima idea di come affrontare il problema dei migranti



Chiudiamo le frontiere.
Questa è di fatto l’unica proposta di senso compiuto che una forza politica (la Lega) avanza.
Fratelli d’Italia, Forza Italia e il resto della destra con probabilmente anche una parte dei 5Stelle, hanno posizioni ambigue, ma in sostanza molto vicine a quella drastica della Lega.
Gli altri balbettano proposte confuse, dimostrando solo di non avere elaborato alcuna soluzione seria e compiuta.
Tutti sanno che la gran parte degli italiani, lungi da essere quei buonisti , animati da elevati ideali evangelici, che esistono solo nella fantasia, non hanno affatto un atteggiamento positivo ed aperto nei confronti degli immigrati e ne farebbero volentieri a meno.
Questo almeno è quello che emerge da tempo dai sondaggi di opinione in proposito.
Non stupisce quindi che i partiti più abituati a solleticare le scelte politiche “di pancia” o populiste, siano impegnati, almeno a parole, ad ostacolare il flusso dei migranti, che con la stagione estiva rischia di diventare di proporzioni ingestibili.
Non stupisce pure il fatto che le medesime forze politiche, diciamo “anti- immigrati”, siano le medesime che si proclamano anti Euro o perlomeno Euro scettiche.
E questo perché c’è un problemino che molti esponenti politici di destra fanno finta di non vedere, e che consiste nel fatto che quei medesimi politici oggi anti- euro , euro-scettici ed anti- immigrati, ieri, quando erano al governo con Berlusconi, avevano sottoscritto trattati capestro proprio in materia di immigrazione come il regolamento di Dublino, che impone al paese che accoglie lo sbarco di “richiedenti asilo” di tenerseli, puramente e semplicemente.
C’è poi il vincolo della Convenzione di Ginevra del 1951 che definisce il diritto di chiunque di emigrare e chiedere che gli sia riconosciuto lo status di richiedente asilo, se proviene da un paese nel quale i diritti umani non sono anche parzialmente riconosciuti e il medesimo soggetto può dimostrare di avere subito discriminazioni.
Quindi ,in poche parole, chi proviene da un paese retto da una dittatura o in guerra può emigrare e chiedere asilo.
E va bene quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra, costituendo di fatto niente di più che una specificazione dei diritti umani.
Va bene cioè che sia riconosciuto il diritto per chi si trova discriminato o sottoposto a violazioni dei suoi sacrosanti diritti umani ad emigrare liberamente nel resto del mondo.
Non va invece affatto bene quanto stabilito in sede Unione Europea a Dublino, che accolla al paese ricevente l’onere di tenersi i richiedenti asilo, perché questo penalizza in modo folle l’Italia, che a causa della sua posizione geografica costituisce di fatto la porta di ingresso dell’Unione Europea.
La Spagna, senza dare nell’occhio, di fatto ha praticamente chiuso le frontiere con ostacoli fisici a Gibilterra e nelle sue enclaves di Ceuta e Melilla, sulla costa Marocchina.
La Grecia, nelle condizioni in cui versa non viene certo biasimata se non riceve un gran che, Malta e Cipro, sono troppo piccole per incidere sul problema e la Francia ha coste troppo lontane dal Nord Africa per essere cercata dai migranti.
Recentissimamente, la Francia, il paese che vanta l’eredità culturale dei diritti umani, elaborati dalla rivoluzione del 1789, ha per la prima volta, prima per bocca del primo Ministro Valls , poi confermata dal presidente Hollande, fatto esplicitamente una distinzione fra migranti per ragioni economiche e migranti richiedenti asilo, facendo capire che il loro paese tende ad orientarsi verso il respingimento almeno di una parte dei migranti per sole ragioni economiche.
La Germania ,come al solito, ha già fatto abbondantemente la sua parte, ospitando il maggior numero di migranti e quindi non può certo essere biasimata di nicchiare sulle quote.
I sordi della situazione sono i paesi dell’Est e parte dei nordici.
E’ anche vero che un trattato internazionale è simile a un contratto, soggetto, come tutti i contratti a modifiche, ma in questo caso stiamo parlando non di due contraenti ma di 27 contraenti, e quindi modificare il regolamento di Dublino non sarà uno scherzo.
La verità è che siamo in un bel pasticcio.
Se poi aggiungiamo il fatto che proposte serie e articolate per affrontare il problema dalle forze politiche non escono proprio, salvo il “chiudiamo le frontiere” della Lega, che finge di ignorare le ritorsioni devastanti che gli stati nostri partners, ci scaglierebbero contro se lo facessimo, e che quindi è una pura presa per i fondelli dei suoi elettori, perché assolutamente impraticabile.
Ma ancora peggio è dover rilevare che i singoli esponenti politici, sembrano ignorare del tutto i dati di fatto.
E un dato di fatto pesante come un macigno è il fatto secondo il quale, oltre la metà dei migranti tutt’ora non sono affatto identificati e quindi potrebbero essere chiunque, compresi i peggiori terroristi.
E qui non si capisce fin dove c’entri l’ignoranza e l’impreparazione, di questa classe politica, e dove cominci invece l’atavica furbizia italica forse usata a ragion veduta da qualcuno, per far finta di non sapere e di non vedere, lasciando che buona parte degli ospiti dei centri di accoglienza- detenzione- identificazione, se ne vada dove gli pare (Germania e Nord Europa), senza essere identificati.
Se uno si rifiuta di porgere il ditino sullo scanner per rilevare le impronte digitali, lo può fare e quindi lo fa, punto e basta.
Se è verosimilmente vero che i terroristi non arrivano nei barconi, mischiati agli altri, lo è solo perché la tattica attuale del califfato non contempla per ora tali infiltrazioni, essendo altre le loro priorità.
Ma che il sistema in vigore permetterebbe l’ingresso in Europa di decine o centinaia di terroristi camuffati è altrettanto del tutto evidente.
Se poi si tiene conto della situazione di caos assoluto presente in Libia, il quadro già fosco, diventa veramente preoccupante.
Occorrerebbe una qualche politica.
Ma per elaborare una qualche politica, occorrerebbe una classe politica almeno un po’ informata e capace di farsi venire una qualche idea.
E’ qualche decennio che manca proprio questo : un po’ di idee nuove per affrontare i tempi nuovi.

Speriamo bene.

lunedì 4 maggio 2015

Le devastazioni dei black bloc viste da un sessantottino : allora la polizia era più credibile e persuasiva



La sorte ha voluto che mi laureassi nel mitico sessantotto e che quindi abbia vissuto in diretta un buon numero di episodi di guerriglia urbana.
E’ quindi inevitabile per me rivedere nella memoria quegli episodi e confrontarli con quanto è successo tre giorni fa a Milano.
Inutile dire che non c’è nulla in comune nelle motivazioni che allora spinsero una buona parte dei giovani soprattutto intellettuali a “fare il sessantotto” e le presumibili motivazioni dei teppisti di oggi, che tra l’altro non hanno nemmeno fatto la fatica di spiegarcele, anche perché probabilmente non sono chiare nemmeno a loro stessi.
Significativo il fermo immagine del giovanotto nero vestito, colto dall’obiettivo l’altro giorno nelle vie di Milano con al polso un Rolex da diverse migliaia di Euro.
Significativo anche il fatto che quelli di oggi sono in buon numero stranieri, venuti in trasferta.
Questa volta però, le devastazioni sono riuscite, ma l’obiettivo vero dei Black Bloc che era la ricerca delle telecamere per suscitare delle emozioni a loro favore, è stato radicalmente mancato.
Uno dei più noti esperti di “media”, Aldo Grasso ha scritto oggi sul Corriere che l’effetto ricercato dagli incappucciati è stato non solo mancato, ma è passato un sentimento emozionale a loro fortemente contrario.
La gagliarda reazione dei milanesi, nata in modo spontaneo e immediato, ha poi del tutto surclassato e squalificato l’operato dei ragazzi in nero.
Sono stati estromessi come un corpo estraneo.
Non hanno capito che se mai hanno avuto delle ragioni, questa volta le loro “ragioni” erano del tutto fuori tempo e fuori logica.
La gente è stremata da anni di crisi economica e sta vivendo l’Expo come una occasione formidabile per cambiare rotta e spingere psicologicamente una ripresa che pure si ingravede all’orizzonte.
L’economia, come tutte le attività umane è fortemente influenzata dalla percezione più che dallo stato delle cose.
Se il consumatore esce psicologicamente dalla paura del futuro e vede la luce alla fine del tunnel, la smette di mettere i soldi che gli rimangono sotto il materasso e torna a comprare.
Quando questo succede il gioco è fatto, il sistema riprende e l’economia ricomincia a girare.
I black bloc hanno dimostrato di essere corpi estranei proprio perché non hanno capito che il sentimento della gente era avverso a loro ed alle loro “ragioni”.
Ma non basta perché non hanno capito nemmeno che se in Italia Renzi sta per essere incoronato re per un lungo periodo di regno è perché la gente, cioè noi, sentiamo una grande nostalgia della parola “disciplina”.
Qui occorre mettere ordine fare ordine e pulizia.
Questi poveri black bloc sono risultati quindi del tutto fuori tempo.
Buon per noi e peggio per loro, sperando che se ne accorgano e trovino delle attività più sensate nelle quali esercitarsi.
Ma torniamo al parallelo con gli episodi di guerriglia urbana del sessantotto.
Lasciamo perdere l’analisi politica e sociologica e limitiamoci alla pura tecnica di contrasto usata dalla polizia allora ed oggi.
E’ quasi patetico rivedere nella memoria le orrende e incongrue divise grigio verdi degli agenti di allora.
Non parliamo degli elmetti e dei moschetti in dotazione, anni luce lontani, rispetto alle funzionali divise anti-sommossa, imbottite dove necessario, e a tutto l’armamentario connesso, in uso oggi.
Ma la enorme diversità fra l’allora e l’oggi, sta proprio in questo paradosso.
Quegli uomini dei reparti celeri di allora, pur così male in arnese rispetto a quelli di oggi erano paradossalmente più credibili e quindi esercitavano una migliore funzione di dissuasione proprio perché non caricavano coi manganelli, ma con i moschetti tenuti per la canna.
Chi si beccava addosso un colpo col calcio del fucile, se lo ricordava per un bel pezzo, anche se obiettivamente il mezzo non era affatto “politicamente corretto”.
La guerriglia urbana nel sessantotto era condotta nel significato etimologico del termine, cioè era basata sul movimento di piccoli gruppi.
C’erano gruppi di giovani in eskimo con sacche a tracolla per portarsi dietro le molotov , tirasassi e biglie nonchè limoni usati per contrastare l’effetto dei lacrimogeni, inseguiti da piccoli gruppi di agenti che cercavano il contrasto per almeno identificare i “lottatori continui”, dopo averli “menati” senza buone maniere.
Oggi usa invece la guerra di trincea, basata sulle zone rosse.
Va bene, questa nuova tattica ha un senso, quello di impedire assolutamente l’accesso a determinate zone, ma risulta estremamente carente, se non verrà affiancata dall’impiego di piccole pattuglie di reparti mobili, capaci di inseguire e fermare un congruo numero di black bloc.
Si tratta oggi ,lo abbiamo visto chiaramente nei giorni scorsi di un fenomeno divenuto ormai internazionale.
Ma allora a maggior ragione occorre trovare una tattica per identificare e schedare queste poche centinaia di violenti che si presentano oggi a Milano, ieri e Francoforte e domani chissà.
Non basta garantire che gli eventi pianificati possano tenersi, impiegando cordoni di polizia coi nervi saldi per instaurare le trincee delle zone rosse.
Occorre questi teppisti che verosimilmente sono sempre gli stessi, beccarli e schedarli in modo da bloccarli nei paesi di residenza prima che partano in trasferta per compiere le loro non gloriose imprese.
Occorre poi che in Italia le leggi fortemente garantiste in vigore in materia di ordine pubblico, vengano ripensate sulla base dell’esperienza di oggi, non di ieri.
In base alla normativa vigente, perché il giudice confermi un fermo di polizia fatto sul terreno degli scontri, occorre che la polizia fornisca la prova , foto o testimonianza diretta che certifichi che il Tizio fermato ha lanciato la molotov o ha preso a martellate la vetrina.
E questa è la ragione per la quale i black bloc si mascherano di nero e poi lasciano sul campo sia le divise nere, sia gli “attrezzi”, sia addirittura le scarpe, per impedire di essere identificati.

Visto che la situazione è questa, occorrono leggi che consentano il fermo semplicemente per chi si trovava in quei luoghi in quel momento e non perché stava andando a comprare il latte o a fare altra spesa, diversamente il magistrato è tenuto a rilasciare il fermato e così il lavoro della polizia viene reso vano e i teppisti domano potranno ricomparire tranquillamente, più pericolosi di prima, perché potranno contare su quanto ha insegnato loro l’esperienza.

mercoledì 29 aprile 2015

Europa si, ma occorre ridarle un’anima



Renzi è senza dubbio un ottimo piazzista che riuscirebbe anche a vendere i famosi frigoriferi agli Esquimesi e infatti è stato l’unico che si è cimentato nel tentativo di fare apparire come un successo e una grossa novità il vertice europeo sull’immigrazione, che tutti i media hanno giudicato fra il deludente e il fiasco completo.
Quest’Europa purtroppo sta perdendo tutte le occasioni per cercare di darsi un senso.
E’ singolare che la quasi totalità dei governanti europei (quasi tutti di centro- destra) siano terrorizzati di fare cose che potrebbero favorire la propaganda dei partiti e movimenti xenofobi e di destra estrema, che esistono da tempo e che stanno crescendo in ogni paese.
Di conseguenza contraddicono regolarmente l’ispirazione liberale idealmente alta, alla quale i loro partiti storici si ispirano e prendono posizioni che non possano dispiacere alla solita “pancia” della loro opinione pubblica.
Verso i migranti quindi danno una adesione di facciata agli impegni umanitari e di apertura ai richiedenti asilo, perché non potrebbero fare diversamente, dati gli impegni di diritto internazionale che hanno a suo tempo sottoscritto.
Quando c’è da mettere mano al portafoglio, si attengono rigorosamente alle strettissime limitazioni di spesa che hanno imposto a tutti, compresi sé stessi, come se quei principi avessero la sacralità dei dieci comandamenti e qualsiasi cosa succeda.
Sono anni ormai che gli economisti che la pensano diversamente da loro, che sono soprattutto, ma non solo, oltre oceano, come Krugman, premio Nobel e opinionista del New York Times , affermano che la politica europea di austerità è una follia e che occorre cambiare rotta riapplicando le classiche ricette di politica economica Keynsiana di forti investimenti pubblici per trainare l’economia privata.
Ora dopo quasi un decennio di crisi nera ,con relativa stagnazione, parlano con ancora più decisione e autorevolezza, perché le loro tesi sono state validate dalla storia di questi anni : la politica di austerità ha prodotto stagnazione con conseguente disoccupazione e niente sviluppo.
Non serve a nulla rifare quadrare i bilanci in deficit, se questa operazione non rilancia lo sviluppo, perché in questo caso i sacrifici fatti si rivelano vani, inutili.
Niente da fare, sull’ispirazione ideale e sul buon senso, lasciano che prevalga la politica di breve periodo, l’occhio alle elezioni ed ai successi dei movimenti alla loro destra dei quali sentono fortemente la concorrenza.
Il risultato è una rincorsa al peggio, agli egoismi piccolo borghesi.
Manca l’anima. La solidarietà, che non va confusa col vuoto buonismo, ma che consiste in una doverosa visione di lungo respiro.
Una visione di lungo periodo farebbe capire anche al politico più modesto alcuni parametri fondamentali del nostro tempo.
1)- per l’elementare “principio del Bertoldo” dopo quasi dieci anni di stagnazione sarà inevitabile che riappaia la ripresa a livello mondiale
2)-i paesi più sviluppati da anni riscontrano una tendenza demografica costantemente diretta verso il calo delle nascite e l’aumento dell’età della popolazione e questo significa in prospettiva una tendenza alla carenza di mano d’opera.
3)-ne consegue che solo un forte tasso di assorbimento di immigrazione potrà consentire ai nostri paesi di
essere protagonisti della ripesa, che verosimilmente è ormai vicina.
Le considerazioni sopra esposte sono assolutamente ovvie, ma i politici europei hanno paura a raccontare la verità ai loro popoli.
E preferiscono rincorrere sul loro medesimo terreno i partiti xenofobi alla loro destra:
Così fanno una politica cattiva e controproducente, che non è nemmeno nel loro ristretto interesse di partito, perché se l’Europa sempre più senza un’anima non appare appetibile ai cittadini, nel caso in cui i governi si vedessero costretti ad andare a referendum sull’Europa, la loro gente boccerebbe “questa” Europa, ma così facendo porterebbero alla dissoluzione tutto il meccanismo e si tornerebbe alla competizione fra stati nazionali troppo piccoli per contare qualcosa nel mondo di oggi globalizzato.
Se si adottasse una strategia orientata ad una visione di lungo periodo che contempli la solidarietà sociale ed almeno una “politica compassionevole” seguita perfino da W. Bush, si guarderebbe non al 3% di deficit ad al’60% di debito, ma primariamente alle condizioni della gente, che sono sottese a quelle scelte di politica economica.
L’uomo, la persona, visto che il termine compagno non è più di moda, chissà che non si torni al più radicale ed atavico termine fratello.
Pensare al fratello prima che al pareggio di bilancio, diversamente la contabilità corretta non serve a nulla.
Papa Francesco ce la sta mettendo tutta per buttare alle ortiche quante più porpore e ammennicoli di potere e di strapotere possibile, per riportare alla luce i principi di fondo del cristianesimo.
La politica fa tanto starnazzare, ma poi finirà per ridursi a seguire la società.
E’ per questo che i buoni maestri e i leader di opinione, come papa Francesco non si devono stancare di predicare anche quando la situazione appare scoraggiante.

















martedì 21 aprile 2015

Primo : colpire gli scafisti, secondo : occuparsi delle guerre che espellono milioni di disperati, compresi quelli che li pagano per salire sulle loro carrette



E’ un po’ umiliante per la nostra umanità assistere agli onnipresenti talk show televisivi per assistere al solito teatrino che mette in scena Salvini e soci contro Renzi e soci ,allestito anche per trattare problemi di portata ben più ampia dell’Italicum o altre diatribe casalinghe.
Se c’è da parlare delle tragedie del mondo come l’annegamento di migliaia di persone in fuga dalle guerre, ci vorrebbero programmi di informazione televisiva di vero e serio approfondimento, come fa la BBC, France 24H eccetera, ma non Rai,Mesiaset,la7, eccetera.
Dove si vedono reportage di inchiesta e il commento spetta ad accademici o esperti di alto livello, e i politici nemmeno si intravedono.
Per i politici ci sono (poche) tavole rotonde, ma non approfondimento, che è un’altra cosa.
Perché da noi c’è sempre l’occasione per avvertire questo ritardo, rispetto ai nostri cugini meglio attrezzati?
Perché siamo ignoranti o perché non abbiamo soldi?
Assolutamente no, il fenomeno si verifica perché le nostre stazioni televisive dipendono da consigli di amministrazione nominati o posseduti più o meno direttamente dai politici, che si sentono eternamente in dovere di rendere favori al barone di riferimento.
Usciremo mai da questo medioevo dell’informazione?
Per la Rai, per la prima volta si sta parlando di una vera riforma, speriamo bene.
Ma torniamo all’argomento di fondo.
Discutere delle tragedie come quella immane di domenica scorsa usando come canovaccio quello dei talk show non è solo demoralizzante, ma è anche sviante.
Perché ci impedisce di capire realmente quale è il nocciolo del problema.
Per gli schieramenti politici di maniera da una parte cii sono i buonisti ,gran parte del PD, che dicono che anche fossero milioni, dobbiamo accogliere tutti e dall’altra ci sono i duri alla Salvini che dicono che bisogna distruggere i barconi quando sono a casa loro, stoppare i clandestini eccetera.
Va bene è intuitivo che la prima cosa da fare nell’immediato è trova
re vie tecniche umanamente accettabili per bloccare o frenare i traffici impedendo le partenze.
Ma fatta la prima cosa si è solo preso un po di tempo affrontare il problema vero, che non sono gli scafisti, ma la delocalizzazione di milioni di persone a causa di guerre ,delle quali siamo assolutamente disinteressati anche perché ancor peggio informati.
A che serve parlare di scafisti se si trasura il fatto che siamo davanti a una delle più bibliche migrazioni della storia?
Dalla sola Siria gli esperti parlano di una delocalizzazione già avvenuta di 8 milioni di persone, poi c’è la Somalia, l’Eritrea, il Sudan, la Nigeria, l’Iraq e non è finita.
Alla delocalizzazione forzata per guerre in corso, si aggiunge la più “normale” ondata migratoria causata dalle sacche di povertà che affliggono molti paesi emergenti.
Disgraziatamente le proporzioni bibliche di questi fenomeni geo-politici sono dovuti al fatto, confermato dai demografi, che povertà va sempre d’accordo con alti tassi di natalità, anche se la cosa sembra una contraddizione di termini.
E così non c’è la minima probabilità che questi fenomeni possano calare in futuro.
A meno che, invece di blaterare a vuoto e tenere un bel lucchetto sul portafoglio, non ci si decida a tutti i livelli ad occuparsi seriamente del problema.
Della Siria, devastata da una sanguinosissima guerra civile ora degenerata in guerra fra mille frazioni interne e di potentati locali e regionali, nonché di aspetti di guerra di religione, Sunniti contro Sciiti e tutti contro i cristiani, chi se ne occupa?
Della Somalia pure devastata da guerra di fazioni da decenni e da decenni in una situazione di caos, chi se ne occupa?
I poliziotti del mondo, gli americani, dopo i fatti finiti nel film “black hawk down”, relativi all’abbattimento da parte dei guerriglieri locali di elicotteri Usa da combattimento ai tempi di Clinton, se ne sono andati e tanti saluti.
In Libia, dopo il fattaccio dell’assalto imprevisto all’Ambasciata Usa, con relativa uccisione dell’ambasciatore, gli americani se ne sono andati e tanti saluti.
Negli altri paesi caldi dell’Africa, il saggio Obama, abituato a ponderare molto, si rifiuta da tempo probabilmente giustamente di fornire armi pesanti o elicotteri, perché non si fida minimamente degli attuali governanti.
Intanto però Boko Haram e le altre sigle estremiste più o meno collegate con l’Isis stanno facendo i loro comodi ,arricchendosi sempre di più.
Di tutte queste situazioni occorre occuparsi al più presto.
Il problema scafisti è la parte finale di una procedura che ha inizio in Siria, Somalia e tutti gli altri paesi sopra menzionati.
E’ in quelle guerre che non si può fare a meno di mettere il naso, soldi, armi e se necessario soldati.
Papa Francesco, spesso criticato come pecorella sacrificale e imbelle, è forse l’unica autorità mondiale che da tempo cerca di svegliare la politica internazionale parlando esplicitamente di guerra mondiale in atto formata da tutti i focolai che da locali e regionali, arrivano nelle nostre case sotto forma di emigranti forzati in cerca d’asilo.

Occorre prendere coscienza della estrema serietà del fenomeno in corso che è ben lungi dall’affievolirsi.