lunedì 24 maggio 2021

Francesco Zambon : il pesce piccolo, una storia di virus e segreti – Recensione

 





Confesso di essere da sempre un fan del giornalismo di inchiesta condotto da Report su Rai 3 prima da Milena Gabanelli ed ora da Sigfrido Ranucci.

E quindi come altre migliaia di connazionali sono sobbalzato sulla poltrona quando la puntata dell’11 maggio 2020 e quindi in piena epidemia Covid 19 già dal titolo faceva capire la portata dell’inchiesta che sarebbe stata trasmessa: “Disorganizzazione mondiale” cominciando a mettere sotto tiro la controversa figura del numero uno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Agenzia dell’Onu con sede a Ginevra.

Stiamo parlando di Tedros Ghebreyesus, proveniente dall’Etiopia dove era stato ministro della Sanità e degli Esteri, biologo ma non medico, dirigente del Fronte Popolare per la Liberazione del Tigrè, si dice molto vicino al Partito Comunista Cinese.

Questo personaggio ci viene detto nel corso del libro è stato eletto a suo tempo per elezione diretta dei paesi membri dell’Organizzazione Mondiale, partendo dalla solida base elettorale che gli avevano garantito i numerosi Paese del suo continente l’Africa.

Nell’esplicare il suo mandato ci dice sempre il libro, Tedros non ha mancato di incorrere in gaffes clamorose come quando ha fatto eleggere a una carica importantissima il dittatore dello Zimbawe, per poi doversi rimangiare quella nomina che come è ovvio aveva suscitato l’indignazione di mezzo mondo, o quando all’inizio dell’epidemia aveva snobbato l’uso delle mascherine.

Ma dopo aver bersagliato Tedros, ben presto Ranucci girò i riflettori sul nostro paese andando subito al sodo.

Il Ministero della Salute deve disporre di un piano pandemico nazionale che contenga tra l’altro le indicazioni delle misure da mettere in atto qualora si verifichi una pandemia.

Il Piano ovviamente c’è.

Il problema è che secondo la trasmissione l’Italia tanto per fare un esempio pratico non avrebbe stoccato per tempo mascherine né altri presidi di protezione o di intervento per la semplice ragione che quel famoso piano sarebbe stato redatto ben quindici anni prima, senza avere avuto adeguati aggiornamenti se non semplici copia e incolla dalla redazione originaria.

La bomba che Report fece esplodere consisteva nel fatto che l’attuale numero due dell’OMS è l’italiano Ranieri Guerra, che il caso vuole, sottolineò la trasmissione, avesse ricoperto per alcuni anni la carica di Direttore Generale del nostro Ministero della Salute proprio nel settore responsabile della redazione del famoso Piano Pandemico.

Ad illustrare la propria tesi i servizi messi in onda contemplavano anche un’intervista all’autore del nostro libro : Francesco Zambon ,dirigente dell’Ufficio dell’Oms in Italia dalla sede di Venezia, che dopo lo scoppio dell’epidemia era stato nominato dalla sua Organizzazione dirigente delle attività dell’Oms a supporto delle regioni italiane nel contrasto al Covid 19.

Lo stesso Zambon nel libro del quale stiamo parlando ci dice che con quell’incarico aveva avuto il mandato oltre che di effettuare la raccolta dei dati e tenere i contatti con un numero elevato di addetti ai lavori, sopratutto di illustrare la situazione italiana tramite una pubblicazione ad hoc, con lo scopo di poter fornire agli altri paesi che di lì poco avrebbero dovuto affrontare il medesimo problema notizie sulla diffusione e le misure che si rivelavano utili per contenere e combattere l’epidemia.

Infatti la cronologia della diffusione della pandemia aveva voluto che appena dopo la Cina, l’Italia si fosse trovata suo malgrado ad essere il primo paese occidentale a dover fronteggiare l’epidemia medesima con il numero più elevato di decessi.

Ecco, qui siamo arrivati al dunque perché il libro è tutto costruito da Zambon per parlarci del caso di questa pubblicazione dell’Oms, che l’autore ci dice sia stata redatta a tempo di record da un team di professionisti di alto livello, raccogliendo il plauso dei molti addetti ai lavori che avevano avuto l’opportunità di vederlo compreso le gerarchie ai vari livelli della stessa Oms.

Bene ma allora il libro di Zambon è un modo per autoelogiarsi per avere coordinato quella pubblicazione?

Niente affatto, il libro descrive invece una vicenda amara che avrà perfino sviluppi giudiziari anche seri data l’estrema gravità della materia trattata.

E si, perché questa è una storia quanto meno strana perché la famosa pubblicazione dell’Oms che il team di Zambon aveva redatto ,aveva a suo dire anche superato tutta la trafila dei controlli per essere approvata dall’Organizzazione, ma finì in un aborto, dato che dopo essere stata pubblicata e messa sul web con tanto di logo dell’Oms è stata ritirata immediatamente dalla stessa Organizzazione che incredibilmente ne ha disconosciuta la paternità anche se come abbiamo appena detto riportava in copertina il suo logo.

Zambon dice che prima del blocco ufficiale, la pubblicazione era stata ampiamente scaricata dal web ed era arrivata ai molti addetti ai lavori ai quali lui l’aveva mandata e che tutt’ora sarebbe reperibile facendo una ricerca su Google ovviamente su qualche sito terzo che l’aveva fatta rimbalzare.

Come mai?

Beh, è ovvio, perché il numero due dell’Oms ci dice il libro (e Report) non avrebbe gradito di essere additato come il o comunque uno dei responsabili di quello che viene definito dal libro di Zambon il non aggiornamento del piano pandemico nazionale italiano, cioè del paese occidentale che più è stato colpito dall’epidemia.

In poche parole la pubblicazione sarebbe stata ritirata per volontà dello stesso numero due dell’Organizzazione che non voleva fare una figuraccia.

Zambon ci dice che il numero due dell’Oms per questa vicenda sarebbe stato sentito dalla autorità giudiziaria prima come informato dei fatti e poi come indagato.

La vicenda è ricostruita nei minimi particolari dal libro di Zambon ed è stata ripresa dalle successive puntate di Report, che ne aveva tratto un autentico scoop a livello mondiale se si pensa alla risonanza che la vicenda ha avuto sui media di tutto il mondo.

Ne esce malissimo l’agenzia dell’Onu e ne escono malissimo i suoi vertici e non proprio bene il nostro Ministro e Ministero.

Ultimata la lettura del libro mi sono trovato in seria difficoltà a dare un mio giudizio personale sulla figura umana di questo Zambon, che dalle puntate di Report avevo già dovuto individuare come un personaggio estremamente determinato e per niente intimidito dall’essere finito stritolato da un ingranaggio più grande di lui, che gli è costato tra l’altro le dimissioni forzate da quella un tempo prestigiosa organizzazione che lui stesso ci confessa tra l’altro paga profumatamente i suoi dipendenti.

Dalla lettura del libro ne esce la figura di un professionista di alto livello, di elevata cultura e di indiscusso prestigio, prima che la vicenda in questione lo relegasse come lui stesso dice nell’elenco degli appestati.

La vicenda comunque sia ,nelle sue linee generali è abbastanza ben delineata e lascia comunque l’amaro in bocca perché alla fin fine si risolve in un grido di dolore per tutte le omissioni, bassezze, inadeguatezze , errori imperdonabili che ne vengono fuori lasciando non risposto il tragico interrogativo : quante vite si sarebbero salvate se ……

Sinceramente però anche se sono portato a vedere con simpatia la figura umana di questo Zambon per il suo essere stato un Davide contro Golia, non sono del tutto convinto della bontà della sua assoluta intransigenza.

Trovo infatti un po’ lunare , astrattamente siderale il comportamento di uno che redige una pubblicazione che riporta se pure poche righe che così come sono messe denunciano un irreparabile

errore della organizzazione per la quale lavora ,imputabile al suo supremo dirigente in seconda del quale è connazionale e a quanto pare in ottimi rapporti professionali .

Diavolo, rimaniamo sulla terra, come poteva pensare Zambon che quel supremo dirigente approvasse e pubblicasse un documento che lo avrebbe svergognato a livello mondiale?

Non sempre è possibile salvare capra e cavoli, ma non si può nemmeno pretendere che un proprio superiore si metta alla gogna spontaneamente e allegramente.

Ci sono vie di mezzo nel mondo reale, che è lecito ed anche etico percorrere prima di buttare tutto nel burrone.

Non mi riesce di capire come l’ultra intransigente Zambon non abbia realizzato quanto sarebbe stato poco produttivo per tutti fare deflagrare il disastro che ne è scaturito.

Alla fine forse tutti ci hanno rimesso o ci rimetteranno.

Cui prodest?










venerdì 21 maggio 2021

Vito Mancuso : a proposito del senso della vita – recensione

 






Chi segue questo blog Vito Mancuso lo ha già trovato come autore almeno una decina di volte, essendo il mio filosofo-teologo-pensatore spirituale di riferimento da un bel pezzo, per il semplice motivo che per puro caso,come capita tanto spesso nella vita, il suo percorso di pensiero si è venuto a sovrapporre all’evoluzione del mio personale modo di pensare .

Da una giovanile totale adesione al cattolicesimo a una visione critica sempre più serrata fino all’abbandono definitivo, per approdare a una spiritualità che supera la sottomissione al dio di una qualunque religione con la sua autorità assoluta del tutto arbitraria.

Ma che spiritualità rimane, arricchita anzi dalla libertà e dalla responsabilità, al di fuori da fantasiosi testi sacri narranti le più svariate mitologie. sulle quali sono state costruite altrettanto arbitrarie teologie dogmatiche, a favore di gerarchie sacerdotali autoreferenziali, regolarmente col fine effettivo di sostenere un qualche potere politico.

Si tratta di un piccolo saggio ci dice Mancuso nato dal testo di una conferenza poi arricchito.

Un’ottantina di pagine molto dense.

Nella recensione di un thriller nessuno sarebbe così sprovveduto dal rivelare subito al lettore il nome del colpevole, ma qui siamo nel campo della filosofia e della spiritualità e quindi mi azzardo a dire subito che Mancuso al quesito se la vita ha un senso da una risposta convintamente positiva.

Non è scontato perché lo sesso Mancuso cita adesempio alcune frasi sferzanti tratte dai libri dello storico israeliano Harari ,divenuti bestseller, (ampliamene presenti anche su questo Blog) che altrettanto convintamente sostiene la tesi opposta.

Fin nella breve premessa Mancuso dice una cosa molto bella e cioè che il suo pensiero è tutto teso ad offrire al lettore una visione del mondo “che sia in costante relazione con la realtà e con gli esseri umani che la vivono”.

Come dire che una visione del mondo deve essere utile a chi la adotta , non mettere il medesimo al servizio o peggio in sottomissione ad altri e nemmeno a un Altro con la a maiuscola.

Direi che secondo Mancuso il concetto chiave per rispondere al quesito sul senso della vita sta proprio in questo, cioè nel rivendicare la necessità assoluta di trovarsi una valida visione del mondo.

Uno potrebbe legittimamente individuare come suoi riferimenti il conseguimento della triade ricchezza-piacere e potere.

E sarebbe un desiderio tanto legittimo da essere perseguito dalla maggioranza della nostra specie.

Ma uno potrebbe anche non essere affatto appagato dal porsi questi obiettivi.

L’insoddisfazione del nostro esistere ci porta innanzi tutto a ricercare una nostra identità, un nostro posto nel mondo.

Per la innata costituzione della nostra psiche si è portati in prima battuta a individuare la nostra identità con la ricerca di un nemico.

Socrate- Sofisti; Gesù - autorità religiose e politiche; adolescenti- genitori.

Quandanchè poi riuscissimo a superare questa fase primordiale che ci offre si immediata identità ma immettendo nella nostra vita rancori ed odio, ci troveremo a dover affrontare un ulteriore bivio.

Il senso del nostro essere lo cerchiamo e lo troviamo cercando di soddisfare il nostro sé individuale o arriviamo a capire che ci darebbe maggiore appagamento conseguire un ideale più grande del nostro interesse individuale?

Arriveremo a capire che l’uomo non è un’isola e che se si trova appunto isolato non ne trae alcuna soddisfazione?

Tutta la costruzione di pensiero di Vito Mancuso è indirizzata a suggerire al lettore che il senso dell’uomo sta nella “relazione” perché l’uomo è anzitutto relazione.

L’uomo moderno ha acquisito la propria autonomia quando lo sviluppo del pensiero filosofico nel secolo scorso è pervenuto al concetto della “morte di Dio”.

Si proprio del Dio Padre “dichiarato morto perché non più in grado di infondere senso alle esistenze umane”.

Con la morte di dio però la modernità ci ha lasciato anche la morte delle ideologie politiche e sociali, lasciandoci senza visione senza un’idea madre.

A questo punto del ragionamento Mancuso fa un’osservazione terribilmente azzeccata.

Quandanche fossimo orfani di padre, non saremmo affatto anche orfani di madre, cioè della natura, ed allora non stanchiamoci di ricercare, di ritrovare un legame forte con quella, col nostro stesso corpo.

Del resto perfino la teologia cattolica era arrivata all’intuizione che “dio è in noi”.

Cioè che tutto quel mondo concettuale che la nostra tradizione culturale denominava dio ,va ricercata al nostro interno.

E si torna al “gnosis au ton” conosci tè stesso di Socrate, non a caso uno dei quattro Maestri indicati nella precedente opera dello stesso Mancuso.

La natura è li ad indicarci l’armonia come “punto di appoggio a cui aggrapparci”.

Qui siamo a Confucio e Buddha ovviamente, ma anche a Lucrezio e Seneca e Marco Aurelio, non meno amati dal nostro autore.

Natura è anche lo “struggle for Life” per l’evoluzione della specie individuato da Darwin.

Ma non basta nel senso che potrebbe voler dire anche semplicemente legge della giungla, homo hominis lupus.

Ci appaga questa prospettiva?

La volontà di potenza di Nietzsche?

Secondo il pensiero oggi dominante, osserva Mancuso, si.

Oggi il pensiero dominante è il “darwinismo sociale” che ci ha portato a un mondo dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Ma se le nostre domande esistenziali si limitano di fatto al “quanto guadagno-cosa posso comperare?” significa, dice Mancuso, che siamo degradati da Homo Sapiens a Homo Faber.

Il mondo delle disuguaglianze è fondato su una montagna di sofferenze e questo non può appagarci.

Come elementi indotti di questo pensiero dominante c’è lo spegnimento della coscienza,lo spirito gregario, l’intruppamento.

Mancuso non vede differenze fra i moderni sacerdoti del darwinismo sociale che sono gli influencer sul web che ci inducono a comprare quello che vogliono loro e le gerarchie sacerdotali delle religioni tradizionali che ci vorrebbero vendere come prodotti la loro versione di “senso della vita” che sta nel sottomettersi acriticamente a loro.

Bisogna uscirne.

Noi siamo gli unici esseri “non determinati” in senso filosofico, come sono invece le pietre le piante e gli animali.

Loro sono fedeli perché devono esserlo non hanno altra scelta.

Noi siamo determinati nel senso che in certi aspetti siamo prevedibili ,come sanno le persone che ci sono più vicine, ma siamo anche liberi cioè capaci di creatività e di novità.

E quindi siamo responsabili del senso della nostra vita.

Questo senso siamo noi che dobbiamo darcelo, che dobbiamo scegliercelo.

Non c’è un senso valido universalmente ed a priori.

Ognuno di noi vive della sua costruzione mentale, del suo vissuto.

Sta a noi costruirci la nostra Weltanschauung, visione del mondo.

La biografia essenziale dell’autore posta all’inizio del libro ci dice che Mancuso attualmente insegna all’Università di Udine “Meditazione e neuroscienze”

Formidabile.




venerdì 14 maggio 2021

Simone Pieranni : Red Mirror Il nostro futuro si scrive in Cina – recensione

 





Dopo avere letto e recensito il ponderoso libro del sinologo Adriano Madaro, che con una lucida trattazione sistematica mi aveva fissato le nozioni fondamentali sul pianeta Cina, desideravo mettere mano a un agile trattazione giornalistica come questa del Pieranni che mi confermasse o meno quello che avevo appreso.

Fortunatamente la conferma è stata puntuale e completa pur provenendo da una fonte di tutt’altra inclinazione ideologica.

Non vorrei banalizzare ma se il sinologo Madaro ha scritto per una vita sul Gazzettino, giornale non particolarmente di sinistra, Pieranni scrive sul Manifesto e collabora all’Ispi.

Il fatto che le narrazioni dei due finiscano per essere perfettamente omogenee è un elemento più che significativo.

Chiariamo subito che il Pieranni ha materialmente vissuto in Cina per otto anni e che quindi le cose che racconta sono narrazioni di prima mano.

Lo sviluppo storico del Dragone in Pieranni è appena accennato per sommi capi ma richiama ugualmente gli elemento essenziali,

Consentitemi una battuta se vi capitasse di leggere da qualche parte che Mao in Cina è un capitolo chiuso e superato, non esitate a buttare subito nel cestino quella pagina, significa inequivocabilmente che siete incappati in una fonte inaffidabile.

Per farla breve Mao ha fatto il miracolo di salvare capra e cavoli nel senso che è riuscito con la rivoluzione vittoriosa non solo a liberare il suo immenso paese dai colonialisti stranieri ma a restaurare l’onore degno di una civiltà parallela a quella dell’impero romano.

E’ riuscito contemporaneamente a fare la rivoluzione culturale che al di là dei ben noti eccessi ha sradicato l’oscurantismo che aveva causato la dissoluzione dell’impero.

Non è certo stato un restauratore del Confucianesimo, ma di quella religione, attenzione ,che è una religione laica, ha conservato i punti fondamentali che oggi sono pienamente riemersi.

Consiglierei a chi volesse approfondire questo passaggio fondamentale per capire la Cina la lettura del capitolo dedicato a Confucio de “I Quattro Maestri” di Vito Mancuso pure già recensito su questo Blog.

Confucio li chiamava “i riti” ma si trattava di para liturgie civiche, che sono nelle radici della civiltà cinese familiare e politica, cose che si contemperano per arrivare a un unico corpo.

Anche Pieranni accenna se pure in modo meno diretto e circostanziato di Madaro al fatto che c’è una radicale differenza nei due mondi : Occidente e Cina dovuta a radicali diversi riferimenti ideologici.

La base di partenza è una differenza di filosofie.

L’Occidente si riferisce al primato assoluto dell’individuo ed ai suoi diritti, l’Oriente cinese al primato assoluto della società, del bene comune, dell’armonia di quel tutto.

Se vogliamo metterla sul piano delle teorie e tipologie di scienza politica la Cina ha al fondo una concezione politica di tipo organicistico.

In questo senso eminentemente ideologico e astratto la Cina è sempre stata “comunista”.

Chi in Occidente pensa ingenuamente che ragionando in questo modo i Cinesi manchino del passaggio attraverso il liberalismo, per acquisire i diritti umani, temo non abbiano capito nulla, non lo faranno mai nel senso che noi intendiamo perché hanno altre radici filosofiche.

Gli Usa potranno esportare la Coca Cola ma non certo il liberalismo individualista in Cina.

Gli elementi che fanno cozzare frontalmente Cina e Occidente che sono Taiwan, Hong Kong e lo Xinjiang degli Uiguri non si sposteranno di un millimetro se non saremo capaci di affrontarli prima di tutto partendo dai diversi punti di vista filosofici, che non è detto debbano essere confliggenti, ma bisogna prima conoscerli e studiarli.

Ovviamente non è vestendo alla Western un contendente da sceriffo e l’altro da bandito che si può combinare qualcosa, occorre cercare di capire i punti di vista molto diversi e liberarsi dai condizionamenti di pura propaganda politico-mediatica che ci affliggono, vendendoci narrazioni semplicistiche per fatti estremamente complessi.

Tagliamo la testa al toro.

Andiamo al più iconico dei fatti o misfatti imputati universalmente del regime cinese : Tienanmen 89 la famosissima foto di reportage del manifestante davanti al carro armato.

Il lettore che voglia svezzarsi dalla propaganda divenuta storia a furia di ripeterla, vada a leggersi la narrazione che ne fa il sinologo sopra pluri -citato Madaro.

Lui c’era ma guarda caso la sua narrazione è del tutto diversa dal mantra quasi universalmente condiviso.

Ho apprezzato che Pieranni giudichi essenziale evidenziare un altro degli aspetti costitutivi della Cina attuale.

Il metodo, la prassi della meritocrazia nella formazione della classe dirigente.

Vengono inevitabilmente ricordati i famoso esami imperiali severissimi e rigorosi inventati qualche secolo prima dell’era cristiana, per rendere funzionale l’apparato statale creando con ciò un fondamentale contrappeso al potere dei nobili.

E’ un peccato che di fronte alla crisi generalizzata del prestigio delle classi politiche occidentali, sia quasi del tutto ignoto il fatto che Partito Comunista Cinese, invece di essere un ferro vecchio sopravvissuto non si sa come al passato, è in realtà in organismo che può venire scalato nei suoi gradi solo da chi si sottopone a una feroce selezione dei più preparati.

E’ inutile fare nomi ma è verosimile che nessuno dei leader occidentali avrebbe mai potuto scalare il potere in Cina per mancanza di adeguato curriculum.

Veniamo infine all’elemento forse fondamentale che caratterizza la Cina di oggi.

Il livello strabiliante della ricerca pura e della tecnologia applicata,che già da oggi ne fa la superpotenza principale in quasi tutti i settori.

Pieranni ne accenna ma senza dare un giudizio perché nessuno è in grado di darlo, ma se veramente la Cina ha vinto la corsa al super computer quantistico, è fatta, rimane poco da discutere.

Ha già quasi vinto la corsa al 5G, e questo basterebbe, ma se fosse davvero così avanti nella tecnologia quantistica per gli Americani non ci sarebbe partita nella velocità di tutto il mondo informatico.

Ottimo libretto, agile ma sostanzioso e ben documentato per chi volesse approfondire.




lunedì 10 maggio 2021

Conspiracy Theories Qanon,5G,The New World Order and Other Viral Ideas by John Bodner etc – recensione

 



Si tratta di uno studio composto da sei saggi elaborati da altrettanti autori.

Non aspettatevi nomi di accademici famosi, stiamo parlando di sei ricercatori di università non di prima grandezza, specialisti in campi veramente di nicchia tipo “folclore negli studi socio culturali” o semplici ricercatori nel campo della pubblica amministrazione e delle associazioni non-profit.

Ma questo ovviamente non significa che il lavoro complessivo riportato dal libro non sia di buon livello.

Anzi, per le mie esigenze è risultato anche troppo di indirizzo accademico.

Confesso infatti che dopo le incredibili vicende dell’assalto al Campidoglio di Washington di qualche mese fa mi ero riproposto di cercare di trovare delle notizie attendibili sulla galassia dei gruppi violenti nell’estrema destra americana, sui quali sapevo ben poco.

Come fare? Quello che facciamo tutti, una bella ricerca su Googol e su Amazon libri.

Provateci, ci rimarrete male perché vi troverete davanti a intere biblioteche con la conseguente difficoltà a restringere la scelta.

Finchè ho individuato il libro del quale stiamo parlando che già nel titolo elencava alcune delle cose che cercavo.

Ho cominciato a leggerlo ma sinceramente avrei preferito diciamo una trattazione se non giornalistica almeno di divulgazione, mentre si tratta di un vero e proprio lavoro di ricerca, e quindi essendo stato preso in contro piede ho un po’ dovuto costringermi a portare a termine la lettura anche quando l’interesse non era al massimo.

Finita la lettura comunque ho apprezzato il lavoro e se non ho trovato proprio quello che volevo questo non è colpa degli autori ma della complessità della materia.

Infatti trattandosi di una ricerca rigorosa, questa mette in evidenza il fatto che i gruppi dell’ultra destra americana sono appunto delle galassie e come tali sono contraddittorie nella loro stessa composizione e quindi può capitare che alcuni gruppi non siano affatto pro-Trump, mettendo in crisi il lettore che si aspettava risposte più semplici e lineari.

Ho apprezzato il fatto che spesso in questi saggi fa capolino il metro di giudizio delle neuroscienze.

Mi sembra infatti che il meccanismo mentale che porta all’adesione a volte fino al fanatismo a questi gruppi sia quello ben descritto e documentato dall’epistemologo evoluzionista dell’Università di Padova, Telmo Pievani, scienziato ben noto al grande pubblico per la sua capacità di dedicarsi con successo anche alla divulgazione scientifica.

Mi riferisco in particolare al libro di Pievani dal titolo : “Siamo nati per credere”, la cui lettura consiglio caldamente a chi voglia approfondire questi meccanismi.

Cerco di essere sintetico senza banalizzare concetti complessi : la nostra mente è portata a non concepire che possa capitarci di osservare fenomeni ai quali non riusciamo a dare una spiegazione.

Cioè la nostra mente ci porta a cercare assolutamente una causa in relazione ad ogni fenomeno.

E va bene, saremmo portati a commentare, come se questo volesse dire che la mente ci invita a servirci rigorosamente della logica per decifrare il reale.

Ma non è così perché nel meccanismo mentale che cerca una spiegazione si inserisce il così detto complesso del mammuth, rimasto saldissimo nel nostro procedimento mentale anche se i mammuth sono scomparsi dal nostro mondo da un bel pezzo.

Complesso del mammuth significa che il nostro cervello di fronte a un problema di conoscenza da risolvere, agisce con la massima fretta come quando doveva evitare ai nostri più lontani antenati di finire come pasto degli animali preistorici e per far questo suggeriva loro con la massima velocità il piano di azione per evitare di essere sbranati, andando a cercare nel data base situazioni precedenti finite nel modo meno dannoso.

Tutto bene, nel senso che con questo sistema la nostra specie è sopravvissuta.

Non bene invece il meccanismo mentale che ci porta inevitabilmente a privilegiare come prima scelta una soluzione già messa in atto.

Usando parole diverse questo tipo di meccanismo ci condanna a privilegiare il “pre-giudizio”e quindi una soluzione conservatrice e conformista.

Non è questo un giudizio di valore, è semplicemente il meccanismo di azione del nostro cervello così come le neuroscienze hanno appurato che sia.

Sulla base di questo meccanismo sono nate fra l’altro le credenze nei miti religiosi, che di conseguenza non sono affatto basati su argomentazioni logiche ma al contrario su narrazioni che danno spiegazioni arbitrarie dal punto di vista logico, ma coerenti a credenze pregiudiziali che semplicisticamente sembrano offrirci spiegazioni facili a problemi complessi.

Scusatemi la divagazione nel campo delle neuroscienze, ma ho ritenuto indispensabile farla perché se non si acquisiscono questi concetti allora le azioni del più famoso degli assalitori del Congresso lo sciamano Jake Angeli di Qanon col copricapo cornuto non potrebbero apparire altro che come patologie neuropsichiatriche.

E invece hanno spiegazioni se si vuole sociologiche e politiche seguite e condivise da percentuali tutt’altro che trascurabili di americani.

Se la prima e più attendibile spiegazione dell’esistenza di questi gruppi può quindi esser ricercata nelle neuroscienze e nei meccanismi mentali che ci portano naturalmente non alla ricerca delle spiegazioni razionali e quindi alla conoscenza, ma ci suggeriscono come prima scelta, la risposta fideistica di preconcetto del rutto arbitraria e irrazionale, la seconda sta in fatti obiettivi di tipo sociologico politico.

Prima di tutto la molla più diffusa in queste credenze complottistiche è la sfiducia nelle èlites, in quello che nel mondo anglo sassone è definito l’establishment.

In gran parte del mondo sviluppato infatti è sempre più diffuso un senso di frustrazione verso le classi dirigenti accusate di avere rotto il patto sociale a causa del fatto che le nostre società sono sempre più classiste disuguali come se ci remassero contro, perché corrotte.

La globalizzazione e l’enorme progresso tecnologico hanno portato vantaggi ma hanno anche sconvolto la vita di tutti causando tra l’altro la perdita di un sacco di posti di lavoro.

E’ su questa base che vengono fuori le teorie cospirative al limite del demenziale.

Bill Gates il fondatore di Microsoft che per avere detto in tutt’altro contesto che sarebbe auspicabile una diminuzione dell’incremento demografico mondiale viene accusato di aver diffuso la pandemia per ridurre il numero di essere umani, indebolirli in modo da poter creare un nuovo ordine mondiale sul quale ovviamente possa governare lui e i suoi amici.

Come Gates delle stesse cose vengono accusati i più noti grandi finanzieri come Soros.

Il virologo Fauci che avrebbe spinto le autorità ad adottare le misure di contenimento del virus non per contenere la diffusione del virus, ma per limitare le libertà e promuovere il famoso Nuovo ordine mondiale.

Ancora più demenziali all’apparenza le accuse di sfruttamento della pedofilia dirette alla Clinton e in genere ai Democratici naturalmente sempre col fine di arrivare al Nuovo Ordine Mondiale.

Ecco a questo punto si introduce un nuovo elemento che nella storia delle epidemie non è nuovo affatto e che consiste nel cercare di spiegare un fenomeno che non si conosce e che per questo spaventa inventandosi la più semplicistica delle spiegazioni, che però ha il vantaggio di essere immediata ed efficace : la ricerca di un nemico, che spande l’epidemia.

Nella storia delle epidemie è inutile ricordare chi sia stato individuato come nemico di prima scelta, perché tutti sappiamo che questo è invariabilmente : gli Ebrei.

Se il lettore avrà la pazienza di andarsi a cercare le recensioni che nei mesi scorsi ho dedicato a libri sulle epidemie nella storia vedrà che i “pogrom” cioè veri e propri massacri delle comunità ebraiche europee sono sorti proprio alla ricerca del capro espiatorio della “peste nera” della lebbra e simili epidemie.

Nel campo delle neuroscienze come in quello dell’antropologia culturale l’individuazione di un nemico ben identificato è un elemento di grandissima importanza per un gruppo di “fedeli” per il fatto che crea un forte elemento identitario e di coesione fra i membri.

La storia ci conferma che gli Ebrei sono spessissimo divenuti il bersaglio per il fatto di essere “minoranza” e di essere “diversi”.

Sullo stesso piano stanno ovviamente anche gli altri gruppi umani che rispondono alle medesime caratteristiche.

Mi fermo qui per non togliere al lettore il piacere sadico, se piacere si può chiamare di leggersi l’elenco documentato delle folli credenze che rispondono al genere “cospirazioni”.




martedì 27 aprile 2021

Adriano Madaro : capire la Cina – recensione

 





Affrontare un libro di 684 pagine è obiettivamente sempre un po un impresa.

L’argomento è di estrema attualità, d’accordo, ma va anche detto che sulla Cina sappiamo tutti veramente poco se non molto poco.

L’autore apprendiamo che è l’unico non cinese che è stato accolto come membro dall’Accademia di Cultura Cinese e quindi è un qualificatissimo sinologo, temo però poco conosciuto in Italia.

Non nascondo quindi le difficoltà che potrebbe incontrare un libro del genere.

Ma senza eccedere nell’enfasi dopo averlo letto ritengo che sia un testo veramente essenziale proprio perché colma un vuoto incomprensibile.

Di Cina hanno scritto giornalisti di primo piano che si erano talmente innamorati di quella antichissima civiltà da averci soggiornato a lungo in qualche caso condividendone anche spiritualità ed usi.

Come non ricordare autentici personaggi come Tiziano Terzani , Federico Rampini, Alberto Forchielli che ci hanno comunicato delle pennellate formidabili su singoli aspetti della Cina.

Ma Madaro ha voluto andare oltre e offrirci una trattazione quasi sistematica su storia, economia, politica, ma sopratutto filosofia e cultura.

Le istituzioni universitarie che preparano i nostri aspiranti diplomatici chiariscono subito senza mezzi termini ai candidati che chi ha intenzione di dedicarsi all’Asia deve avere una particolare inclinazione positiva verso la filosofia e l’antropologia, perché l’Asia è un universo del tutto diverso e quindi se non ne comprendi l’anima è meglio lasciar perdere.

Ecco, Madaro questo concetto lo ritrasmette in ogni pagina.

Quello che pensiamo di sapere della Cina è verosimilmente del tutto falso, frutto di luoghi comuni , pregiudizi e propaganda della super potenza americana ripetuta per decenni.

Solo pochi mesi fa il Segretario agli Esteri di Donald Trunp, Mike Pompeo ha avuto la protervia di andare in Vaticano a dire che le intese con la Cina intessute da Papa Francesco con un lavoro certosino durato chissà quanto andavano assolutamente cambiate.

Questo non è un fatto isolato ma solo l’ultimo tentativo della superpotenza Usa di far fare al mondo quello che ritiene sia il suo interesse nazionale mettendo sul piatto della bilancia la sua ancora pesantissima influenza, come fa da decenni, spacciandosi per supremo difensore dei valori occidentali.

Madaro evidentemente non ha temuto di finire nella lista nera della Cia quando ha dato finalmente in questo libro una versione documentata completamente diversa rispetto alla vulgata comune sui fatti di Hong Kong, la “rieducazione” della minoranza islamica degli Uiguri, e giù giù fino ai fatti di Tien An Men del 1989, si direbbe con qualche diritto, visto che lui in quella piazza e in quei momenti lui era presente e magari a differenza di altri colleghi non scriveva da grandi alberghi ascoltando i notiziari internazionali.

Il libro se pure ponderoso è costruito in modo intelligente e certo non annoia mai né distoglie l’attenzione del lettore.

Riporta in continuità la storia dei lunghissimi rapporti dell’autore con quel paese, fin da quando ne avvertiva le prime fascinazioni ancora da bambino.

Poi iniziando da studente la corrispondenza con un “amico di penna” cinese che conosceva l’italiano.

Fino ad arrivare al primo viaggio in Estremo Oriente nel 1979.

A questo punto ci offre una prima serie di reportage sulla Cina di quei tempi, solo tre anni dopo la scomparsa del Grande Timoniere MaoTze Dong, e quindi ci da una sua precisa narrazione dell’opera dell’uomo senza il quale non esisterebbe la Cina che conosciamo.

Già questa parte è fondamentale perché se non si capisce che la Cina ha una sua cultura millenaria che procede coerente a sé stessa nei secoli, non si capisce la assoluta peculiarità del comunismo cinese che nulla aveva a che spartire con quello dell’Est Europeo.

Mao era un genio della politica che seppe buttare a mare l’oscurantismo feudale che aveva causato la decadenza spaventosa del suo paese dopo la caduta dell’Impero ,conservando la sostanza di quella filosofia- religione laica che si era elaborata nei secoli.

E così mentre il comunismo sovietico era condannato a perire sopratutto a causa del perverso dogmatismo che lo aveva ingessato, il “Mao pensiero” era sempre aperto alla sperimentazione di forme nuove e pronto a rimodellare modelli che non funzionavano con assoluto pragmatismo.

Dalla tradizione confuciana Mao non aveva espulso il concetto base di meritocrazia che aveva sempre improntato quegli esami imperiali posti a base della formazione della burocrazia imperiale, che Voltaire il padre dell’illuminismo aveva fortemente lodato, dopo averli studiati.

Non mi avventuro nei meandri della storia cinese nemmeno di quella contemporanea, il lettore potrà avvicinarcisi traendone grande piacere leggendo il libro di Madaro.

La seconda parte del libro del quale parliamo è costituita da una ulteriore serie di reportage datati diversi anni dopo il primo viaggio, quando l’autore era tornato in Cina con una delegazione di giornalisti italiani che comprendeva un Enzo Biagi che invece in Cina ci andava per la prima volta.

Siamo non solo negli anni del dopo Mao e della definitiva composizione della Rivoluzione Culturale ma in quella nuova Rivoluzione quando sotto la ferma guida di Deng Xiaoping veniva scoperto quell’unicum di socialismo aperto al capitalismo, che in pochi anni doveva portare la Cina a una serie di successi non solo economici forse unici nella storia per dimensioni e rapidità di realizzazione.

Si arriva quindi ai giorni nostri con una nuova ed ultima serie di reportage che ci testimoniano quanto abbia incredibilmente progredito quell’enorme paese.

Al punto che città di milioni di abitanti che Madaro descrive come nuovi assi portanti di un imminente ulteriore fortissimo sviluppo nemmeno si trovano su carte geografiche non aggiornate.

Ma questa è la Cina di oggi.

Le nozioni che si acquisiscono dal libro sono veramente moltissime e di notevole peso.

Direi però che dove il libro medesimo non fallisce e dove diventa insostituibile è nell’arrivare a trasmetterci per quanto possibile il senso dell’anima della Cina.

E’ come se Madaro ci consegnasse la chiave, la password per entrare in un universo che diversamente ci rimarrebbe precluso.

Ecco per arrivare a questo Madaro ha fatto bene a trovare il modo meno pesante possibile di partire dall’inizio, perché la Cina è quello che è per il fatto che le sue origini si perdono nella notte dei tempi.

Madaro giustamente ripercorre la storia parlandoci di imperi paralleli che sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, che si sono cercati ma che non risulta abbiano avuto la opportunità di incontrarsi come avrebbero voluto.

L’Impero Romano e l’Impero Cinese.

I senatori romani avevano il privilegio di vestire una toga bianca ornata di porpora e questa toga era di seta.

Ecco è detto tutto perché tutti sappiamo da dove veniva quello strano tessuto pregiato.

L’Impero Cinese aveva una tale estensione ed era dotato di tali ricchezze che a differenza di quello romano non aveva mai avuto nel suo DNA la spinta verso una espansione di conquista per la semplice ed elementare ragione che non ne aveva alcun bisogno.

Ecco questa prima osservazione è capitale perché la pluri- millenaria storia cinese non è storia di guerre di conquista.

La chiusura la lunghissima chiusura in sé stesso di quell’impero derivava dal fatto che era assolutamente autosufficente.

Ma tutt’altro che privo di cultura e di interessi culturali.

Senza di quella curiosità non sarebbero mai stati ricevuti né Marco Polo, né Matteo Ricci.

Era un impero forte che si difese dalle possibili invasioni dei barbari dal Nord con l’unica opera umana che si vede dalle stazioni spaziali, la Grande Muraglia iniziata nel 215 avanti Cristo.

Per resistere nei millenni doveva esserci una straordinaria forza di coesione.

Ecco un’altro elemento da cogliere che fa della Cina quello che è.

Questo elemento è di natura filosofica ed è essenziale perché è molto diverso dai principi fondamentali della nostra filosofia occidentale greco-romana cristiana, tutta basata sull’individuo, sulla priorità data alla persona.

La filosofia cinese è invece basata sulla priorità della comunità.

L’individuo trova la sua dignità non in sé stesso ma nella sua partecipazione alla comunità sociale.

Ecco questo è un punto sul quale fermarsi a meditare, perché il libro di Madaro lo spiega bene è inutile discettare di diritti umani e democrazia coi cinesi come se fossero dei barbari che vanno civilizzati se non si capisce che il loro punto di vista è diverso e diverso resterà.

Il dialogo è impossibile e addirittura inutile se non si approfondisce prima questo punto.

Del resto nelle nostre stesse radici filosofiche greche vediamo che il concetto di democrazia è stato sottoposto da Platone ad una analisi critica molto profonda, usando una logica stringente.

Probabilmente lo stesso Platone, come Voltaire sarebbe stato estasiato dall’applicazione rigorosa del principio della meritocrazia sacro alla storia cinese che non si discosta dal governo dei filosofi o dei sapienti che teorizzava Platone.

Madaro torna spesso su questo tema che, capisco sconcerta non poco perché non siamo abituati a fare questo genere di riflessioni.

Alla fine del libro il lettore acquisisce alcune dritte fondamentali ,che ben valgono la fatica di leggerlo:

- la Cina non ha nel suo DNA antichissimo il concetto di conquista e di invasione, non ce l’ha mai avuto e quindi tranquilli il pericolo giallo è un’invenzione propagandistica.

Ovviamente però la Cina stessa è conscia della sua attuale posizione di grande potenza e quindi contesta agli Usa la pretesa di essere il gendarme del mondo che vuole esportare la sua democrazia.

Vuole semplicemente vivere in un mondo multipolare e non monopolare.

-la Cina ha una sua millenaria filosofia che è diversa dalla nostra.

Per dialogarci dobbiamo cercare di conoscerla di capirla e di trovare gli elementi di vicinanza.

Leviamoci però dalla testa che i Cinesi siano disposti a convertirsi al nostro concetto di democrazia e di priorità dell’individuo.

-nel Dna della Cina che il Mao pensiero ha rilevato e acquisito c’è una plurimillenaria consuetudine alla sperimentazione ed alla riforma dei modelli in senso pragmatico.

Questo è un elemento utilissimo per dialogare coi Cinesi.

-tutt’ora per accedere alla cariche supreme e non del Partito Comunista Cinese occorre superare dei concorsi altamente selettivi e meritocratici, che derivano direttamente dai famosi esami imperiali.

Non trascuriamo quindi il fatto che incontrare una delegazione ufficiale cinese vuol dire trattare con tecnici al massimo livello di preparazione.

Per rimanere in Italia Ministri degli esteri come Fini o DiMaio in Cina proprio non ce ne possono essere.