giovedì 29 maggio 2014

Il film di M.T. Giordana sui fatti di Piazza Fontana trasmesso da Rai 1 è stato una buona occasione per ricordarci da dove veniamo



Sono passati 45 anni dai fatti di Piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Un periodo lunghissimo per come va veloce il mondo oggi.
Ma è terribile constatare, che lo stato, che allora era al tappeto, oggi si è risollevato ben poco.
Cittadini saltati in aria, 17 morti e 88 feriti, alcuni , con conseguenze permanenti.
Sette processi per tutti i gradi di giudizio e le indagini delle commissioni parlamentari, rivelatesi procedimenti, fatti apposta per fare traballare la fiducia nella giustizia con condannati prima all'ergastolo e poi prosciolti.
Nessun colpevole.
E, beffa orribile, con questa unica conclusione ,che ha dell'incredibile : le spese processuali addebitate ai parenti delle vittime.
Ci lamentiamo tanto e giustamente dell'inadeguatezza della nostra attuale classe politica e della classe dirigente italiana in generale, ma questo film ci ha costretti a ricordarci dei governanti di quegli anni.
Uno spettacolo penoso.
Se c'è mai stato un presidente del consiglio adatto a tutto, meno che a gestire gli anni della “strategia della tensione” o delle “stragi di stato”, questi era il serafico Mariano Rumor.
I francesi hanno battezzato crudelmente il loro attuale presidente Francois Hollande, col titolo di “budino”, che nel gergo italiano potremmo tradurre come “pappa-molla”.
Ebbene Rumor era senza dubbio di quella pasta.
Bella la scena del film dove gli altri notabili cercano di forzarlo a firmare un decreto per lo stato di emergenza. sembrava di tornare ai tempi Facta, con Mussolini in procinto di prendere il vagone letto per la sua confortevole marcia su Roma.
Solo che dalla marcia su Roma del 22 , lo stato aveva fatto ancora molteplici passi indietro e invece di un determinato giovane Mussolini, ai tempi di Piazza Fontana, non c'era niente di meglio che un patetico principe Junio Valerio Borghese, ex Decima MaS, in procinto di pasticciare un tentativo di golpe fascista, esattamente un anno dopo quei tragici fatti.
La debolezza delle istituzioni viene fuori anche troppo dal film.
A cominciare dal vertice.
Il buon Presidente Saragat, viene descritto, probabilmente troppo sopra le righe, come uno determinato a mettere in atto soluzioni estreme.
Non era il tipo, quel raffinato cultore delle Odi di Orazio, e notoriamente pure raffinato intenditore del Dom Perignon, era probabilmente più spaventato che determinato.
Pure probabilmente, era considerato a ragione “l'uomo degli americani”, cioè, all'epoca, di Nixon e di Kissinger, preoccupati delle minacciate aperture a sinistra di Moro.
Aldo Moro, prototipo di raffinato e complesso intellettuale meridionale era più uomo da elaborazioni filosofiche accademiche, che da statista costretto ad operare in tempi di frontiera.
Aveva tentato, con buona volontà, di spiegare gli intricati e contraddittori meandri della politica italiana al pragmatico e teutonico Kissinger, che però, come dice quest'ultimo nelle sue memorie, dopo essersi sorbito due ore di quasi ininterrotto monologo di Moro, senza capirci nulla sulle convergenze parallele, lo considerò da allora in poi, poco più di un pericoloso mentecatto.
Ma aveva ragione Moro.
Anche se era ragionevolmente impossibile spiegare a un pure intelligente e preparato politologo americano, che i comunisti italiani erano si, formalmente, fedeli a Mosca, anche per non interrompere l'arrivo delle generose valigiate di rubli, ma non erano veramente comunisti in senso stretto, come del resto ha dimostrato la storia successiva e presente di parecchi suoi personaggi di primo piano, come l'inquilino del Quirinale.
E' molto bella la figura di Moro, come è rappresentata nel film.
Personaggio introverso in perenne elaborazione, probabilmente vittima di un pessimismo agostiniano sulle limitazioni umane, animato da alti ideali e profondamente religioso.
Se c'era uno adatto a vivere consapevolmente quegli anni di catastrofe con l'apocalisse politica alle porte, Moro per temperamento era l'uomo giusto.
Ci voleva altro perché si scomponesse.
Significativo il colloquio teso, riportato dal film, fra Moro e Saragat, quando quest'ultimo lo accusa di affrontare la situazione senza la dovuta determinazione, Moro con raffinata perfidia, gli risponde, calmo, più o meno così: si, capisco, ma sono sconcertato dal fatto che non riesco a capire a chi facciano riferimento tutti questi uomini dei servizi, che saltano fuori dappertutto, fanno riferimento a lei Presidente?
Il problema era evidentemente proprio quello, molli o determinati che fossero quei governanti, si erano accorti benissimo, o che qualcuno di loro ,come si dice, “ciurlava nel manico”, cioè faceva un doppio o triplo gioco, o, peggio, che a tenere le fila ,non erano più loro, i gestori istituzionali del potere, ma qualcun altro dal di fuori, difficile da identificare.
Quarantacinque anni sono passati, ma quante convergenze con l'oggi.
Una qualche emergenza, che induce sempre una classe politica, non ancora culturalmente adeguata a una democrazia matura, a cercare “l'inciucio”, cioè l'innaturale connubio con l'opposizione per fare larghe intese.
Se la Dc allora, nel dubbio tentennava, dimostrando che il dubbio ce l'aveva, il Pci e il Psi presero con determinazione l'enorme cantonata di appoggiare subito la versione ufficiale della Questura, che era chiaramente costruita su chissà quali intrighi o sulla semplice sciatteria e pigrizia di funzionari inadeguati, salvo il povero Calabresi, che di fatto è stato la diciottesima vittima di Piazza Fontana.
Troppo intelligente , troppo colto ed onesto per quell'ambiente di allora.
Aveva capito la sostanza delle trame, ma il potere, che pure sapeva, non voleva che si sapesse e Lotta Continua, nel suo cupo e cieco fondamentalismo, ha finito per divenirne la inconsapevole mano armata.
La grande stampa di allora non si era dimostrata per niente di livello superiore ai politici.
Il Corrierone non si è certo coperto di gloria alimentando il falso mito del “mostro Valpreda”, non parliamo della Cederna, in cerca di audience a qualsiasi prezzo.
Si è salvato forse solo quel Marco Nozza, giornalista d'inchiesta da strada del Giorno, giustamente più volte presentato nel film.
Quasi tutti ne escono male.
Sono rimaste le vittime e gli eroi : Calabresi e Moro.
A questo punto, mi verrebbe da dire, ma non sarebbe il caso, queste storie, che 45 anni dopo sono diventate la storia, di raccontarle per bene nelle scuole.
A rifletterci sopra, però, mi viene il dubbio : ma come si fa a raccontare cose e mondi così intricati, complessi e contraddittori?
Se lo si facesse, non c'è il rischio, che i ragazzi si facciano di noi, del nostro e loro paese, l'impressione che, allora, si fece Kissinger, che, pur essendo un cervellone, non è riuscito a capire?
Cioè l'impressione che siamo tutti matti, sopratutto se si constata che dopo 45 anni è cambiato ben poco, perché abbiamo voluto cambiare ben poco.

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