Il film di M.T. Giordana sui fatti di
Piazza Fontana trasmesso da Rai 1 è stato una buona occasione per
ricordarci da dove veniamo
Sono passati 45 anni dai fatti di
Piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Un periodo lunghissimo per come va
veloce il mondo oggi.
Ma è terribile constatare, che lo
stato, che allora era al tappeto, oggi si è risollevato ben poco.
Cittadini saltati in aria, 17 morti e
88 feriti, alcuni , con conseguenze permanenti.
Sette processi per tutti i gradi di
giudizio e le indagini delle commissioni parlamentari, rivelatesi
procedimenti, fatti apposta per fare traballare la fiducia nella
giustizia con condannati prima all'ergastolo e poi prosciolti.
Nessun colpevole.
E, beffa orribile, con questa unica
conclusione ,che ha dell'incredibile : le spese processuali
addebitate ai parenti delle vittime.
Ci lamentiamo tanto e giustamente
dell'inadeguatezza della nostra attuale classe politica e della
classe dirigente italiana in generale, ma questo film ci ha
costretti a ricordarci dei governanti di quegli anni.
Uno spettacolo penoso.
Se c'è mai stato un presidente del
consiglio adatto a tutto, meno che a gestire gli anni della
“strategia della tensione” o delle “stragi di stato”, questi
era il serafico Mariano Rumor.
I francesi hanno battezzato crudelmente
il loro attuale presidente Francois Hollande, col titolo di “budino”,
che nel gergo italiano potremmo tradurre come “pappa-molla”.
Ebbene Rumor era senza dubbio di quella
pasta.
Bella la scena del film dove gli altri
notabili cercano di forzarlo a firmare un decreto per lo stato di
emergenza. sembrava di tornare ai tempi Facta, con Mussolini in
procinto di prendere il vagone letto per la sua confortevole marcia
su Roma.
Solo che dalla marcia su Roma del 22 ,
lo stato aveva fatto ancora molteplici passi indietro e invece di
un determinato giovane Mussolini, ai tempi di Piazza Fontana, non
c'era niente di meglio che un patetico principe Junio Valerio
Borghese, ex Decima MaS, in procinto di pasticciare un tentativo di
golpe fascista, esattamente un anno dopo quei tragici fatti.
La debolezza delle istituzioni viene
fuori anche troppo dal film.
A cominciare dal vertice.
Il buon Presidente Saragat, viene
descritto, probabilmente troppo sopra le righe, come uno determinato
a mettere in atto soluzioni estreme.
Non era il tipo, quel raffinato cultore
delle Odi di Orazio, e notoriamente pure raffinato intenditore del
Dom Perignon, era probabilmente più spaventato che determinato.
Pure probabilmente, era considerato a
ragione “l'uomo degli americani”, cioè, all'epoca, di Nixon e di
Kissinger, preoccupati delle minacciate aperture a sinistra di Moro.
Aldo Moro, prototipo di raffinato e
complesso intellettuale meridionale era più uomo da elaborazioni
filosofiche accademiche, che da statista costretto ad operare in
tempi di frontiera.
Aveva tentato, con buona volontà, di
spiegare gli intricati e contraddittori meandri della politica
italiana al pragmatico e teutonico Kissinger, che però, come dice
quest'ultimo nelle sue memorie, dopo essersi sorbito due ore di quasi
ininterrotto monologo di Moro, senza capirci nulla sulle convergenze
parallele, lo considerò da allora in poi, poco più di un
pericoloso mentecatto.
Ma aveva ragione Moro.
Anche se era ragionevolmente
impossibile spiegare a un pure intelligente e preparato politologo
americano, che i comunisti italiani erano si, formalmente, fedeli a
Mosca, anche per non interrompere l'arrivo delle generose valigiate
di rubli, ma non erano veramente comunisti in senso stretto, come del
resto ha dimostrato la storia successiva e presente di parecchi suoi
personaggi di primo piano, come l'inquilino del Quirinale.
E' molto bella la figura di Moro, come
è rappresentata nel film.
Personaggio introverso in perenne
elaborazione, probabilmente vittima di un pessimismo agostiniano
sulle limitazioni umane, animato da alti ideali e profondamente
religioso.
Se c'era uno adatto a vivere
consapevolmente quegli anni di catastrofe con l'apocalisse politica
alle porte, Moro per temperamento era l'uomo giusto.
Ci voleva altro perché si scomponesse.
Significativo il colloquio teso,
riportato dal film, fra Moro e Saragat, quando quest'ultimo lo
accusa di affrontare la situazione senza la dovuta determinazione,
Moro con raffinata perfidia, gli risponde, calmo, più o meno così:
si, capisco, ma sono sconcertato dal fatto che non riesco a capire a
chi facciano riferimento tutti questi uomini dei servizi, che saltano
fuori dappertutto, fanno riferimento a lei Presidente?
Il problema era evidentemente proprio
quello, molli o determinati che fossero quei governanti, si erano
accorti benissimo, o che qualcuno di loro ,come si dice, “ciurlava
nel manico”, cioè faceva un doppio o triplo gioco, o, peggio, che
a tenere le fila ,non erano più loro, i gestori istituzionali del
potere, ma qualcun altro dal di fuori, difficile da identificare.
Quarantacinque anni sono passati, ma
quante convergenze con l'oggi.
Una qualche emergenza, che induce
sempre una classe politica, non ancora culturalmente adeguata a una
democrazia matura, a cercare “l'inciucio”, cioè l'innaturale
connubio con l'opposizione per fare larghe intese.
Se la Dc allora, nel dubbio
tentennava, dimostrando che il dubbio ce l'aveva, il Pci e il Psi
presero con determinazione l'enorme cantonata di appoggiare subito la
versione ufficiale della Questura, che era chiaramente costruita su
chissà quali intrighi o sulla semplice sciatteria e pigrizia di
funzionari inadeguati, salvo il povero Calabresi, che di fatto è
stato la diciottesima vittima di Piazza Fontana.
Troppo intelligente , troppo colto ed
onesto per quell'ambiente di allora.
Aveva capito la sostanza delle trame,
ma il potere, che pure sapeva, non voleva che si sapesse e Lotta
Continua, nel suo cupo e cieco fondamentalismo, ha finito per
divenirne la inconsapevole mano armata.
La grande stampa di allora non si era
dimostrata per niente di livello superiore ai politici.
Il Corrierone non si è certo coperto
di gloria alimentando il falso mito del “mostro Valpreda”, non
parliamo della Cederna, in cerca di audience a qualsiasi prezzo.
Si è salvato forse solo quel Marco
Nozza, giornalista d'inchiesta da strada del Giorno, giustamente più
volte presentato nel film.
Quasi tutti ne escono male.
Sono rimaste le vittime e gli eroi :
Calabresi e Moro.
A questo punto, mi verrebbe da dire, ma
non sarebbe il caso, queste storie, che 45 anni dopo sono diventate
la storia, di raccontarle per bene nelle scuole.
A rifletterci sopra, però, mi viene il
dubbio : ma come si fa a raccontare cose e mondi così intricati,
complessi e contraddittori?
Se lo si facesse, non c'è il rischio,
che i ragazzi si facciano di noi, del nostro e loro paese,
l'impressione che, allora, si fece Kissinger, che, pur essendo un
cervellone, non è riuscito a capire?
Cioè l'impressione che siamo tutti
matti, sopratutto se si constata che dopo 45 anni è cambiato ben
poco, perché abbiamo voluto cambiare ben poco.
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