martedì 2 novembre 2021

Cristoforo Spinella : Erdogan Storia di un uomo e di un paese Meltemi Editore – recensione

 






Leggendo questa puntuale biografia di Recep Tayyip Erdogan ho provato le medesime impressioni che avevo avvertito quando mi ero accostato alla Cina moderna tramite la lettura dei primi libri che poi avevo recensito su questo Blog.

Sorpresa di saperne troppo poco sulla Turchia e sorpresa di apprendere che quel poco che sapevo altro non erano che un bel mix di pregiudizi, luoghi comuni, leggende metropolitane, propaganda che gli Americani riescono regolarmente a propinare ai media e che questi pedissequamente ritrasmettono urbi et orbi come assoluta verità, che guarda caso cambia al cambiare del colore delle presidenze americane ed ai loro mutevoli interessi.

Peccato essere così male informati se si pensa che la Turchia ha numericamente i medesimi abitanti della Germania 80 milioni in un territorio che è quasi il doppio della medesima Germania e che l’estensione delle sue coste marittime su Mediterraneo e Mar Nero ne fa un paese a vocazione navale superiore addirittura all’Inghilterra.

Quando ho cominciato ad cercare di recuperare le nozioni che mi mancavano sulla Cina moderna ho dovuto mettere le mano tanto per cominciare ad un mappamondo e ad un Atlante, tra l’altro senza troppo successo perché il vertiginoso sviluppo della Cina faceva sì che città ultramoderne non fossero ancora riportate su strumenti cartacei non aggiornatissimi.

Nel caso della Turchia mi sono trovato ancora peggio perché ho dovuto constatare che quando l’Autore mi proponeva il nome delle città maggiori del Paese al di là della solita Istambul che coi suoi 12 milioni di abitanti almeno mi era nota ho dovuto riconoscere che quei nomi li sentivo nominare per la prima volta.

Temo però di dover condividere abbastanza ampliamene la mia ignoranza, perché parlando con parenti ed amici constatavo che della Turchia le uniche località che venivano universalmente alla mente erano quelle bibliche che so io Tarso, città natale di San Paolo, Antiochia,Efeso,fin qui tutto bene a parte Efeso della quale esistono solo delle rovine, ma se parliamo di Antalya, Bursa, Adana ,Gaziantep ci troviamo a vagare nella nebbia.

L’Autore , giornalista inviato speciale dell’Ansa e collaboratore dell’Espresso ha preso sul serio il suo lavoro e tanto per cominciare ha imparato il turco.

Il libro del quale parliamo riporta una introduzione-presentazione piuttosto lunga di Alberto Negri, firma del Sole 24 ore ed ora del Manifesto, riconosciuto universalmente come il più accreditato esperto di Medio Oriente che scriva sui giornali italiani.

Il lavoro che ne esce è quindi confezionato da chi ha tutte le qualifiche per poter colmare le nostre lacune.

La prima cosa che viene da dire su Erdogan è che fra i grandi della Terra è uno di quelli che ha passato il periodo più lungo al timone del suo paese.

Nella recente carrellata di premier al G 20 appena concluso a Roma 31 ottobre/1 novembre ‘21, la pluri -festeggiata Angela Merkel che si congedava per avviarsi alla meritata pensione era l’unica a poter condividere con Erdogan un periodo di governo così lungo.

Al di là delle ipocrisie con le quali i media ci inondano, prigionieri del pensiero unico politicamente corretto a traino americano, tutti hanno notato che lo stesso Erdogan al medesimo G20 è stato se non il più coccolato,certamente il più richiesto per avere con lui un bilaterale.

Ricordiamoci che il medesimo personaggio guida tuttora un paese membro della Nato e che per anni la sua richiesta di entrare nella UE è stato all’ordine del giorno per l’evidente interesse geopolitico dell’Unione ad essere presente nell’area strategica del Medio Oriente con un paese che in area islamica era visto come quello che poteva rappresentare la versione moderata, riformista e più aperta alla modernità di quel mondo.

Ecco su questo bisogna soffermarsi perché la storia della Turchia diverge molto da quella degli altri paesi di quella regione esattamente su questo punto.

Come è abbastanza noto la Turchia moderna è strettamente legata alla figura del suo fondatore Mustafà Kemal Ataturk che dopo la dissoluzione e smembramento dell’Impero Ottomano alla fine della Prima Guerra Mondiale ha creato un regime democratico ma sempre sotto lo sguardo attento e severo dei militari che faceva della laicità dello stato il primo principio da osservare ed al quale ispirarsi.

Ne conseguiva che non era permesso ad alcuna forza politica fare riferimento alla religione.

In poche parole mentre due dei maggiori paesi che avrebbero creato l’Unione Europea la Germania e l’Italia furono governati per decenni da due partiti che addirittura riportavano la dizione “cristiano” nella loro sigla in Turchia regnava la laicità più occhiuta che si ricordi.

Se uno avesse tentato di creare un partito di ispirazione islamica sarebbe finito in galera.

Ecco perché la storia del nostro Recep Erdogan è particolarmente interessante, perché lui testardamente fin dal primo coinvolgimento in politica aveva avuto l’idea fissa di fondare un movimento politico che si ispirasse ai valori dell’Islam.

Attenzione però, all’Islam in salsa ottomana, ricordiamo infatti che gli ottomani che arabi non erano le popolazione arabe in nome della loro visione dell’Islam le avevano sottomesse puramente e semplicemente per fondare il loro impero.

Di conseguenza pensare ad Erdogan come uno che nell’universo Sunnita consideri per fare un esempio i capi attuali dei Talebani come suoi fratelli in senso anche politico è un non senso.

Da quello che ho letto a me pare che il significato del suo richiamo al mito dell’impero Ottomano sia qualcosa di assimilabile al “sogno americano” e più recentemente al “sogno cinese”, cioè a un qualcosa di idealizzato e già assurto a simbolo ma dal lato pratico molto generico e difficile da articolare.

Questo per dire che se è vero che Erdogan è stato coerente per tutta la sua vita politica nel fare riferimento a certi valori tradizionali dell’Islam per non prendere lucciole per lanterne è opportuno andare a vedere cosa lui intende per valori dell’Islam e se questi non sono magari più assimilabili al semplice conservatorismo etnico e politico che ai precetto della Shaaria.

Ma non basta ancora perché dalla lettura di questa ottima biografia si evince che se è vero che il nostro personaggio ha sempre coniugato in politica la sua visione strategica di spingere la Turchia ad un rinnovamento che la riportasse verso la riconquista del prestigio goduto ai tempi dell’Impero Ottomano, ha anche sempre regolarmente alternato questa visione con l’uso spregiudicato di un fortissimo pragmatismo, connaturato al suo modo di fare politica.

E’ un politico al quale non si può rimproverare di avere una “visione” strategica a lungo termine, ma è anche un abile tattico che se vede che un obiettivo non riesce a conquistarlo perché gli costerebbe troppo è pronto anche a fare dietrofront per rimandare il suo raggiungimento a tempi migliori.

Terza caratteristica che si evince dalla carriera politica di Erdogan è quella di avere capito che il popolo non è disposto a chiudersi gli occhi quando vede esempi di corruzione veri o presunti troppo vistosi.

Esempio clamoroso è stato il siluramento in tronco di suo genero Berat Albayrak, ministro delle finanze un anno fa quando una serie di insuccessi economici hanno suggerito al capo supremo di cercare un capro espiatorio anche se molto vicino a lui.

Ultima caratteristica del personaggio messa in evidenza dal libro è la sua capacità di far ricorso a tecnici rispettando in qualche modo criteri meritocratici.

Come tutti i politici che durano Erdogan confida su un “inner circle” di fedelissimi, ma il suo fiuto politico gli anche sempre suggerito l’opportunità di far girare i potenti perché non rischino di diventare troppo potenti fino a pensare di poter sostituire il capo.

L’Autore naturalmente non sorvola sugli errori anche clamorosi nei quali il pur abile nostro personaggio è caduto non ostante la sua abilità di fondo.

E gli errori più grossi ci dice appunto Spinella sono venuti per una non sufficiente conoscenza del dossier, come il caso Siria.

Erdogan si è gettato nella guerra di Siria commettendo un clamoroso errore di valutazione quando si era dimostrato convinto che sarebbe bastato un robusto scrollone per far cadere Assad.

Evidentemente non si era studiato bene la situazione locale pur essendo la Siria un suo vicino, non aveva capito che un regime non è riducibile alla persona che lo rappresenta ma è un coacervo di interessi consolidati nel tempo che non avevano nessuna intenzione di farsi scalzare dal Rais di Istambul.

Trovatosi a mal partito ha deciso di giocare spregiudicatamente la carta dell’Isis, come del resto avevano fatto in passato e più volte anche gli Americani ed anche questa non è stata una buona idea, per i rischi che comportava.

Ma qui si vede ancora una volta quanto poco per lui contano i miti identitari islamici nel senso che dell’Isis si è servito per combattere Assad ma sopratutto i Curdi di Siria per quanto bastava per poi lasciare lo stesso Isis al suo non glorioso destino, trattandolo in pratica come non più di un aggregatore di milizie mercenarie.

La stessa tattica ha adottato più recentemente in Libia.

Il secondo errore che gli è costato lo stop per ora definitivo all’ingresso nella UE è lo scivolamento graduale passo dopo passo verso un regime personale anche se formalmente ancora democratico.

Bavagli alla stampa di opposizione, perseguitati a singhiozzo i Curdi, manipolata in parte la magistratura, ma di fatto le elezioni si tengono alle scadenze e il consenso attribuito ad Erdogan è in discesa.

Gli Americani lo stanno denigrando perché non è del tutto democratico o perché ha aperto alla Russia, dalla quale tra l’altro ha un vitale bisogno di gas e petrolio ?

Ma per i particolari e un’analisi attenta vi lascio alla lettura del libro invitandovi ad andare ad approfondire il nuovo slogan efficacissimo e un po' misterioso la “Turchia blu”.

Buona lettura.








Nessun commento: