La decadenza del nostro paese si misura anche su queste cose che hanno poca visibilità, ma che contano enormemente.
Non si costruisce un futuro migliore se i giovani non hanno gli strumenti per elaborarlo ed allora si rimane avvitati su un eterno presente fatto di pensiero unico, di pregiudizi e si ristagna mentre altri corrono veloci davanti a noi.
Negli anni del boom economico e civile in Italia i “pensatoi” esistevano eccome.
Pensiamo a tutto quello che aveva messo insieme l’industriale visionario Adriano Olivetti, agli intellettuali che coltivava la Banca Commerciale di Raffaele Mattioli, alle intelligenze raccolte dalla Mediobanca di Cuccia, e soprattutto, per dimensioni e mezzi, ai grandi uffici studi che hanno dato linfa e strategie all’Iri.
Perfino gli oggi tanto disprezzati grandi partiti della prima repubblica avevano uffici studi e scuole di formazione di livello tutt’altro che disprezzabile.
Stesse cose hanno fornito i principali sindacati nazionali e le associazioni di categoria per non dire della sempre presente e incombente chiesa cattolica italiana con le sua galassia di associazioni.
E poi la più istituzionale Banca d’Italia che da sempre è stata una affidabile scuola di formazione di classe dirigente.
Oggi di tutto questo è rimasto ben poco.
Se la politica è ora gestita da screditati mestieranti e dilettanti allo sbaraglio è anche a causa di questo vuoto nelle istituzioni culturali e formative.
Pochi giorni fa il mondo ha reso omaggio al genio dello scomparso Steve Jobs, il fondatore e creatore della Apple.
E’ stata questa una occasione per fare riflettere la gente sul significato reale di una “istituzione” tipicamente americana, da noi poco conosciuta e cioè i milioni di box-garage inclusi o di lato alle famose villette che compongono le citta americane, tutti di dimensioni extra large, non solo perché le automobili in quell’immenso paese sono lunghe una volta e mezza le nostre, ma soprattutto perché ogni box in America è usato come il laboratorio di Archimede Pitagorico, il personaggio di “Topolino” disegnato con la lampadina accesa sopra la testa quando ne ha pensata una.
La cultura pragmatica americana, la società aperta hanno favorito questo fenomeno sociale di massa : ognuno pratica da sempre il “fai da te” almeno nei week end ed è quindi culturalmente predisposto a ricercare soluzioni nuove.
Non è quindi casuale che tutti i fenomeni informatici che ora quotano a Wall Street quanto le grandi compagnie petrolifere siano tutte nate in garage per opera di giovanissimi ragazzotti fiduciosi nelle potenzialità dei loro cervelli.
Sono stati facilitati anche dall’esistenza in loco di un sistema di finanziamento privato delle “start up” cioè delle nuove piccole ma promettenti piccole imprese (i venture capital) che in Italia non è mai esistito, ma prima ci hanno dovuto mettere del loro, cioè delle buone idee con prospettive di sfruttamento tecnologico e commerciale verosimili.
E con dietro un sistema paese che schiera tutt’ora le migliori università del mondo e, guarda caso, i migliori “pensatoi” del mondo.
Le fondazioni artistiche e culturali americane sono un serbatoio gigantesco di idee, di strategie di soluzioni alternative, in poche parole di studio e programmazione del futuro.
I grandi industriali da sempre in America si fanno perdonare le loro sterminate ricchezze investendo in fondazioni culturali e qui evito il troppo facile disastroso paragone con i costumi del nostro “imprenditore” aspirante statista.
Questa l’America che è sempre l’America nella sua capacità di innovare.
Ma se è vero che l’ago della bilancia dell’equilibrio e del potere mondiale si è ormai spostato in Asia il discorso non cambia.
Siamo prevenuti su questo fatto, che sotto sotto non ci piace : dovere ammettere la incombente superiorità delle millenarie civiltà asiatiche che consideravamo a noi inferiori per sviluppo, ma che ora vediamo viaggiare a ritmi impressionanti, vicinissimi a superarci in ogni campo.
L’enorme Cina ci piace ancora meno perché non è retta da un sistema politico clonato dal nostro, che riteniamo il migliore, o più realisticamente come diceva Churchill, il meno peggio.
Ma vinciamo la naturale diffidenza per un mondo del quale conosciamo ancora troppo poco, studiamocelo prima e vediamo per esempio se non è sensato ipotizzare anche per il nostro futuro un sistema politico che lasci spazio anche a organi di governo di tipo tecnocratico (largamente presenti in Cina) forse più adatti ad affrontare i problemi di un mondo sempre più complesso e complicato.
Fatto sta che i giovani cinesi ed asiatici non si sentono ingabbiati, spaesati e scoraggiati come i nostri, ma hanno fiducia nel futuro e voglia di viverlo da protagonisti.
Non è un caso. Hanno dietro istituzioni costruite sulla cultura millenaria degli “esami imperiali” . Traduciamo in italiano questa loro istituzione ben poco conosciuta da chi non si è mai occupato di cose cinesi. In italiano si traduce con la cultura del merito.
E’ detto tutto ed è quello che più ci manca in Italia.
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