mercoledì 27 marzo 2013

Bersani l’hanno sempre dipinto come un grigio burocrate, ma ora sta dimostrando un coraggio e una determinazione prima sconosciute




Ha effettivamente vissuto una vita, si diceva una volta nei suoi ambienti, da “apparatichnik” il vocabolo russo per indicare il burocrate di partito dedito alla causa e in quella veste ha seguito tutto il più tipico cursus honorum  previsto dal Pci : da assessore del paesello di origine, su su per la Provincia e la Regione fino al governo nazionale.
Checché se ne dica la carriera politica nei grandi partiti di massa della prima repubblica produceva una classe politica ben più solida e affidabile di quella attuale.
Prova ne è il fatto che le statistiche e le indagini sociologiche certificano che i servizi migliori in Italia si trovano proprio nelle “regioni rosse”.
Anche se la gestione del potere ininterrotta porta inevitabilmente con sè la degenerazione in clientelismi e malaffare.
Travolto dagli eventi il Pci, il Pd si è costruito intorno alla colonna vertebrale degli uomini di apparato ex Pci e D’Alema è sempre stato il referente del “partito degli assessori “ all’interno del Pd.
Questo fa capire quanto sia stata coraggiosa la scelta di Bersani di non candidare più D’Alema, in quanto icona della vecchia guardia, che aveva bloccato per anni l’evoluzione del Pd,  ma che era portatore all’interno di quel partito del potere reale.
Non meno coraggio e determinazione ha dovuto tirar fuori il segretario per mettere il riga la corte delle seconde linee dai numeri due Franceschini, Letta e Marino, alla Presidente Rosi Bindi, ai due capi corrente di peso D’Alema e Veltroni, alla pattuglia dei cattolici moderati di Fioroni.
Tutta gente abituata da anni ad oscurare la figura del segretario con loro continue narcisistiche apparizioni su ogni tema.
Bersani a un certo momento li ha stoppati ed è stata un’ impresa non da poco.
Poi è apparso Renzi, personaggio abbastanza ambiguo, ma di grande seguito e accreditato di un grande avvenire.
Bersani ha avuto l’intelligenza di accettare la sfida e di fare delle primarie aperte e trasparenti.
Ha portato il suo partito al livello più alto di gradimento ed ha quasi cancellato il berlusconismo.
E’ stata una grande impresa, ma è durata poco.
Renzi ha perso di misura, ma si è incoronato come ovvio delfino.
Diventato candidato premier, però, Bersani ha evidenziato tutti i suoi limiti.
Un buon amministratore non è affatto per definizione un buon politico.
La politica è altra cosa.
Per far politica a quel livello ci vuole anzitutto una “vision”.
Non basta assolutamente un buon programma.
Il programma deve essere comunicato nella forma di un “sogno” ,dotato di una prospettiva ideale e sentimentale o più terra a terra deve saper parlare alla  pancia della gente.
Deve saper toccare delle  corde profonde.
E qui Bersani manca di quasi tutto.
Nato nel cattolicesimo sociale, ben assimilato  fino a elaborare una tesi di laurea sulla dottrina sociale della chiesa, che appare in nuce nella patristica cattolica, ha poi aderito al Pci e qui ha fatto carriera come abbiamo detto sopra.
I riferimenti ideali non gli sono quindi certo mancati, ma se ne ha ancora, purtroppo oggi non si vedono o non li sa comunicare.
Altra pecca non da poco per un politico a quel livello, Bersani non sa parlare per niente e meno che meno sa comunicare, non si rende conto di apparire come un personaggio tetro e noioso.
In America prosperano i corsi di retorica nelle università e i politici non si vergognano affatto di dedicare lunghe ore a provare davanti allo specchio discorsi e atteggiamenti.
Da noi purtroppo l’hanno capita solo Berlusconi e Renzi che il modo di presentarsi conta anche più della sostanza, perché se anche la sostanza ci fosse ma non si riuscisse ad esternarla non servirebbe a nulla.
Ha però avuto ancora grande coraggio quando ha sparigliato le carte indicando per le presidenze di Camera e Senato due figure alle quali non si poteva dire di no, scelte scontentando tutta la sua corte, ma mettendo così in difficoltà ad esempio i 5Stelle.
Ha avuto il coraggio di costringere il Presidente Napolitano, notoriamente fautore di una grande coalizione a dargli l’incarico di formare il governo, pur sapendo che Bersani era ed è contrario a fare maggioranza con Berlusconi.
Non è cosa da poco, perché ha fatto superare al suo partito un ennesimo tabù, quello di seguire comunque la politica del presidente proveniente dalle sue fila.
Ora si è imbarcato in una tattica dilatoria ampliamente derisa dai potenti media del centro destra, seguiti da praticamente tutta la stampa, Corriere in testa,  tutti schierati per il governassimo.
Corre effettivamente grandi rischi perché se è vero che questa tattica mira a causare l’esplosione delle contraddizioni delle altre forze politiche, cioè all’interno del 5Stelle, fra Pdl e Lega, fra Monti e i suoi, rischia però di fare esplodere anche lo stesso Pd.
Bersani però ha di fronte un Caimano in incredibile rimonta, ma che è obiettivamente sempre più un vecchio trombone senza fiato e soprattutto che si trova alle calcagna gli inquirenti sempre più vicini.
Bersani sembra debole, ma è lui ad avere nelle sue mani l’asso vincente, che è la scelta di un presidente non avverso al Caimano.
Per Berlusconi il resto non conta niente, la priorità assoluta è un presidente che sia verosimilmente disposto a procrastinare il suo redde rationem con la giustizia e che quando inevitabilmente verrà il momento di condanne implacabili, che sia disposto a dargli la grazia, potere sovrano solo del presidente.
E’ una carta pesantissima in cambio della quale il Caimano è disposto a concedere qualsiasi cosa, a pagare qualsiasi prezzo.
Bersani ce l’ha in mano.
Se saprà giocarla bene sta a lui.



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