venerdì 8 gennaio 2021

Giuseppina De Sandre Gasparini : fra i lebbrosi in una città medievale – recensione

 




Perchè propongo alla lettura questo breve saggio di chiara impostazione accademica?

Perchè secondo me consente al grande pubblico di capire bene e nei dettagli come lavorano gli storici, che non si inventano niente e che lavorano con santa pazienza su faldoni per lo più a tutt’oggi assolutamente non reperibili sul web.

Devono quindi fare la fatica di andare materialmente negli archivi storici parrocchiali o negli archivi notarili o negli archivi di stato, per mettere le mani su qualche faldone di antiche carte ,che a volte ma non sempre può rivelarsi una miniera di notizie preziose.

E’ in lavoro umile ma esaltante perché lo storico prova spesso la sensazione di essere giunto ad esplorare una “terra incognita” ,dove pressoché nessuno vi aveva messo mano da secoli.

Questo breve saggio è appunto uno studio che raccoglie e riassume i risultati di una paziente ricerca del tipo che si è sopra accennato.

L’autrice fa parte di una equipe di studiosi che riconoscono come loro maestro quel Grado Giovanni Merlo ordinario di storia medievale e dei movimenti ereticali della statale di Milano, che abbiamo già trovato come autore di : “streghe” ed “eretici ed eresie medievali” già recensiti su questo blog.

Il punto di forza di questo saggio è il fatto che l’autrice correda il suo lavoro con parte dei documenti originali consultando i quali ha costruito la sua analisi, mettendoli quindi a disposizione del lettore.

Originali nella lingua nella quale sono stati scritti cioè il latino del duecento, ovviamente e opportunamente accompagnato dalla traduzione in italiano.

Si lavora così : cominciando dal faldone riportante gli atti di un processo civile per la vendita di alcune casette sulla sponda dell’Adige un tempo di proprietà di lebbrosi .

Gli atti di quella lite ci dicono che i ricorrenti in quei moenti diciamo per brevità ospiti del lebbrosario veronese contestavano i criteri con i quali la vendita medesima era stata effettuata da parte del Priore-Rettore di quel lebbrosario che a detta dei ricorrenti medesimi non avrebbe rispettato le loro volontà.

Quindi dagli atti di una banalissima lite come vedrà il lettore si può ricavare una gran mole di notizie.

Inerenti anzitutto ai lebbrosari.

Non proprio ospedali dato che allora la lebbra non aveva alcuna forma di cura conosciuta e di conseguenza chi ne veniva effetto non aveva scampo, sapeva che da lì ad alcuni anni sarebbe morto di lebbra.

Si ricava poi ovviamente quale fosse la situazione del lebbroso, malato ritenuto pericoloso per il resto della società e quindi in pratica condannato ad essere relegato fra le mura del lebbrosario.

E siccome le malattie sono a loro modo “democratiche” cioè pareggiano le distanze sociali anche i ricchi o i nobili potevano ammalarsi e nel caso non avrebbero potuto evitare di finire al lazzaretto.

Anche se disporre di mezzi non era ininfluente nel senso che il ricco poteva disporre di una camera singola.

Per il resto la vita era comunitaria nel senso che chi entrava portava con sé i pochi beni personali essenziali e se disponeva di danaro questo lo dava al lazzaretto.

Il lazzaretto lo vediamo gestito da un rettore che poteva anche essere un benefattore che vi avesse apportato del danaro.

Vi era poi un prete addetto al lazzaretto e questa non è cosa di poco conto perché quando queste istituzioni ancora non esistevano i lebbrosi vagavano per paesi e campagne ma non erano ammessi in chiesa.

Poi vi era diciamo un apparato logistico un economo, un magazziniere, un villico che curasse l’orto e persone addette a prendersi cura dei malati.

L’autrice ci chiarisce che la nascita dei lazzaretti è strettamente legata a una maturazione culturale avvenuta a livello di storia della chiesa e di teologia conseguente.

Perchè se per secoli i lebbrosi erano considerati degli appestati senza scampo visti con la funzione di ricordare agli uomini come si finisce male a causa del peccato seguendo le citazioni che troviamo sopratutto nella Bibbia e nel libro del Levitico in particolare, in questi anni fra il 1100 e il 1200 la condizione del lebbroso cambia abbastanza radicalmente con la nascita degli ordini mendicanti, francescani in testa, che vedono nel lebbroso non più il peccatore maledetto, ma il misero, l’ultimo che Gesù aveva privilegiato e che quindi non va cacciato ma va servito per acquistare grazie dal Cielo.

A seguito di questo forte mutamento culturale diciamo gli addetti alla cura dei lebbrosi in buona misura non sono più semplici lavoranti, ma spesso diventano “fratres” che prendono i voti di uno degli ordini del tempo.

L’autrice ci dice a questo proposito che al tempo c’era una grande libertà di scelta fra i vari ordini senza escludere il passaggio dall’uno all’altro secondo le preferenze che potevano maturare con una preferenza pare per gli Agostiniani singolarmente a causa della maggiore elasticità che allora consentivano.

Ahimè i lebbrosi oltre a perdere parte della propria libertà sopratutto di movimento, dovevano anche accollarsi volenti o no un obbligo di castità dato che si credeva che la lebbra si diffondesse con l’atto sessuale.

La loro condizione però obbiettivamente si trovava grandemente migliorata dopo l’istituzione dei lebbrosari.

Ma lo ribadisco la forza di un volumetto come questo sta nel dare la possibilità al lettore di venire a conoscenza di come si svolge in pratica il lavoro vero dello storico e chissà che leggendolo qualcuno non trovi esaltante andare a lavorarci.







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