martedì 26 gennaio 2021

Silvia Ronchey : Ipazia La vera storia – recensione

 


Nella fascetta di copertina di questo libro Umberto Eco definiva l’autrice una bizantinista che sa lavorare sui documenti.

Ipazia è stata barbaramente assassinata nella sua città che era Alessandria di Egitto nel 415, da singolari milizie di frati che costituivano la mano armata del vescovo Cirillo, portato a reazioni paranoiche da una indomabile invidia che lo rodeva per il successo pubblico personale di questa singolare filosofa neoplatonica figlia del rettore della maggiore istituzione culturale appunto di Alessandria d’Egitto.

Ipazia vittima dell’oscurantismo clericale ha attraversato i secoli per assumere il ruolo di mito della libertà di pensiero.

L’autrice è professore ordinario di Civiltà Bizantina alla Sapienza di Roma, ma è una figura intellettuale ben nota per la sua collaborazione a Repubblica ed a diverse trasmissioni della Rai.

Il film Agorà su Ipazia del 2010 ha poi contribuito in modo determinante a fare conoscere questa icona della cultura anche fra il grande pubblico mè compreso,lo confesso.

L’interesse per questo libro è tutto qui.

Dal fatto che è legittimo chiedersi come mai anche chi crede di meritarsi la qualifica di intellettuale deve aspettare che esca un film e poi il libro di una erudita in filologia della cultura bizantina per scoprire il vero volto di Ipazia?

Perchè per quanto sia sorprendente in Italia il peso del potere di quella che un tempo era stata l’egemonia culturale cattolica si è col tempo evidentemente fortemente indebolito ma non è certo evaporato.

Chi governa la chiesa cattolica continua a mettere le fette di salame davanti agli occhi dei propri residui fedeli, come ha fatto anni fa Benedetto XVI quando ancora da Papa ha avuto l’improntitudine di esaltare in un discorso il vigore del vescovo Cirillo, senza spendere una sola parola per condannare il suo esecrabile crimine.

Purtroppo i medesimi cattolici residui si sono così tanto ridotti di numero anche perché le gerarchie ecclesiastiche troppo spesso hanno vinto le loro battaglie di potere politico e di egemonia culturale giocando con carte truccate.

Come quando hanno graziosamente distrutto le opere della classicità che erano in contrasto con i loro improbabili dogmi.

Abbiamo visto dalla precedente recensione del libro del fisico teorico Rovelli che la vastissima opera del fondatore della filosofia atomistica Democrito che dopo 26 secoli è oggi in perfetta concordanza con le più avanzate acquisizioni della scienza moderna sono state appunto distrutte dai cattolici, non dai Marziani.

Dalla ancora precedente recensione del libro di Catherine Nixey: “the darkening age : the christian distruction of the classic world” abbiamo appreso che dopo l’editto detto della tolleranza di Costantino nel 313, che ha permesso il culto cristiano ponendo fine alle persecuzioni dei cristiani (tra l’altro storicamente molto più limitate di numero di quanto ci abbia instillato l’indottrinamento cattolico) è venuto l’editto dell’intolleranza di Teodosio che ha riconosciuto il cristianesimo come unica religione dell’impero nel 391 per imporre l’anno successivo la distruzione dei templi non cattolici e la persecuzione imposta con la pena di morte per chi praticasse culti non cattolici.

Quindi la persecuzione storicamente più rilevante è stata quella dei non cattolici, e non quella dei cattolici.

Ma non hanno bruciato solo i templi, quegli antichi talebani hanno bruciato anche quello che hanno potuto della cultura classica compresa la biblioteca di Alessandria.

Altro che il mito dei frati copisti che negli scriptoria dei conventi medioevali avrebbero tramandato a noi con la loro opera meritoria tutta la cultura esistente.

Eh sì esistente nel senso di quella rimasta e salvatasi dalla distruzione che una gerarchia ottusa e integralista aveva deciso di fare scomparire per sempre per non dovercisi confrontare e magari soccombere data l’enorme superiorità culturale della prima, che non imponeva dogmi inventati da furbe gerarchie e fatti passare per rivelati da dio, ma riteneva accettabile solo asserzioni appoggiate su evidenze almeno logiche.

Ecco questo fondamentale libro della Ronchey è un ulteriore pietra miliare nell’opera verso il ristabilimento della più probabile verità storica.

Ristabilimento della verità storica che comprende anche una completa riabilitazione dell’età bizantina durata più di un millennio e che la contro-cultura clericale ha bollato come decadente quando invece era un ambiente ci dice la Ronchey che aveva sempre conservato incredibili elementi di modernità come la divisione fra chiesa e stato, impedendo al clero di immischiarsi nella politica e sopratutto di tolleranza culturale divenendo ambiente ospitale di tutto quello che era stata l’eredità dell’ellenismo del platonismo e non solo.

Diciamo subito che l’autrice è una coltissima accademica che ha corredato questo libro da non meno di cento pagine di note al testo documentando accuratamente tutto quello che espone.

Quello che ne esce quindi non è una storia, ma è la storia più accreditata di Ipazia e di quello che Ipazia ha significato e significa.

Filosofa,scienziata,astronoma ed era donna di grandissimo successo, oltre ad essere di grande bellezza.

Apparteneva all’aristocrazia della sua terra e questa sua posizione le aveva consentito di ricevere i più alti gradi di istruzione e di mettere le sue straordinarie doti intellettuali al servizio della comunità dei dotti ma non solo tenendo una sua scuola filosofica neoplatonica anche troppo frequentata tanto da far scoppiare di invidia il talebano di turno impersonato dal vescovo Cirillo di Alessandria.

Il solerte Cirillo si era messo a interpretare con i suoi scherani vestiti da frati l’editto di intolleranza di Teodosio.

Non si potevano portare armi nei territori dell’impero se non si era legionari romani, ma questi singolari frati fanatici avevano imparato a usare invece del gladio i non meno efficienti pezzi di tegole opportunamente affilati con i quali hanno massacrato Ipazia nel 415.

Le gerarchie cattoliche che nei pochi decenni successivi all’editto di Costantino e senza aspettare l’editto di intolleranza di Teodosio, avevano subito imparato a impicciarsi più di politica e di affari che di cose spirituali, non ce l’avevano solo coi così detti pagani ai quali apparteneva anche Ipazia che certo non aveva mai aderito alla nuova religione dell’impero, ma ovviamente ancora prima dei pagani avevano cominciato a inscenare pogrom contro i giudei deicdi, il primo dei nemici.

Ma se dovevano tagliare gole, usavano volenterosamente le loro armi primitive con maggiore piacere contro i loro stessi correligionari che per loro sfortuna non avevano scelto la setta vincente al momento.

Questo libro della Ronchei riesce a farci passare senza stancarci fra i meandri degli Ariani che non riconoscevano la “consustanzialità” fra la natura umana e la natura divina del Cristo, giudicando di inferiore livello la sua natura umana e quindi non eterna la sua natura divina.

I Nestoriani che volevano la totale separazione fra le due nature di Cristo per la qual cosa Maria non avrebbe generato alcun figlio di dio.

I Monofisisti ai quali apparteneva appunto il nostro vescovo Cirillo che al contrario dei Nestoriani negavano la natura umana di Cristo.

E via così con dibattiti su questioni di lana caprina ,completamente campati per aria che sono però costati la vita e la persecuzione di chissà quanti disgraziati.

Per ultimo citiamo la caratteristica forse più importante e notevole di Ipazia.

Era una donna al momento del passaggio fra l’ellenismo colto e tollerante anche se non proprio femminista e la nuova religione fondata da quel San Paolo che graziosamente aveva proibito alle donne di partecipare alle assemblee e aveva loro imposto di obbedire ai mariti.

Sarà un caso ma Ipazia non si è mai sposata e quando è stata assassinata era già una persona di mezza età.




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