mercoledì 2 gennaio 2013

Il fasto trionfalistico delle apparizioni papali alla famosa seconda finestra dello splendido palazzo apostolico del Vaticano anche in questo primo dell’anno nasconde un assoluto vuoto di idee





Non ce l’ho personalmente col povero papa Ratzinger, ma non posso non rilevare quanto la sua interpretazione del papato come se fossimo ancora al giorno dopo del Concilio di Trento del 1545 e non mezzo millennio dopo risulti sempre più insensata.
Ieri era il primo dell’anno.
Una volta la chiesa cantava il “te Deum laudamus” la notte del 31 dicembre, anche quando si era nel bel mezzo di  orribili guerre ed epidemie e nessuno capiva bene per quale oscura ragione ci fosse da ringraziare un dio così incomprensibile e poco in linea con la dottrina che lo descrive come provvidenza (Catechismo canoni 302 e seguenti).
I soliti teologi sofisti  pensavano di cavarsela ricorrendo a un ventaglio di argomenti uno meno convincente dell’altro, ma presi per buoni da molti ancora oggi:
- l’argomento del dio misericordioso che permette un male per risparmiarne uno peggiore (Catechismo canone 311);
- la pestilenza come una giusta punizione per una umanità che avrebbe offeso dio;
- un male oggi per donare un bene domani (vi ricordate il pur grande Fra Cristoforo che tenta a fatica di spiegare a un Renzo Tramaglino piuttosto incavolato con il cielo il perché delle sue sventure?)
- infine argomento usato come ultima ratio, ma con abbondanza, quello del mistero, dell’imperscrutabile volontà di dio che seguirebbe una logica diversa a quella umana e quindi risulterebbe incomprensibile (Catechismo canone 395).
Inutile dire che nessuno di questi argomenti possiede elementi per stare minimamente in piedi, semplicemente non “spiegano” nulla, sono pure tautologie, cioè ripetizioni di affermazioni dogmatiche con altre parole e non argomenti logici che possano condurre a una comprensione convincente.
Quasi per esorcizzare quei tempi imbarazzanti, da decenni la chiesa approfitta dei lunghi decenni di pace dei quali sta godendo il mondo più sviluppato, per celebrare il primo dell’anno come giorno della pace.
Anche se ancora in questa situazione del mondo, abbastanza pacificato, non mancano certo le obiezioni logiche alla dottrina del dio provvidenza :
-perché mai dio si dimostra oggi benevolo verso i popoli ricchi e istruiti, che stanno in pace dal 1945 e lascia in balia di orribili guerre  civili i poveracci del Congo, della Nigeria, della Somalia, della Siria, dell’Iraq, dell’Afghanistan, eccetera, eccetera, che han fatto di male se non nascere per puro caso in regioni strategiche?
Invece di ripetere ogni anno il discorso dell’anno prima che non era quindi più brillante, perché non cercare di fare il mestiere per il quale molta gente addirittura lo venera?
Perché non sforzarsi di elaborare qualcosa? Qualche risposta a problemi mai risolti come quelli sopra elencati.
Si dice che sia un teologo e allora lo dimostri.
I problemi legati alla dottrina del dio provvidenza sono troppo difficili da vendere all’uomo moderno?
E allora che provi a limitarsi ai problemi più concreti e immediati.
Vogliamo finalmente dire una parola sensata sulla validità o meno del pacifismo?
Il pacifismo è un valore assoluto o no?
Se lasciassimo perdere le inutili parole di circostanza spese ogni primo dell’anno e ci mettessimo a ragionare sul serio vedremmo che come sempre la chiesa dogmatica segue almeno due binari contemporaneamente.
Quello della proclamazione della pace come valore, ma anche quello mai ripudiato della legittimità della “guerra giusta”.
E allora la pace è un “valore relativo”.
Attenzione perché qui siamo in un campo delicatissimo perché il discorso sulla pace è strettamente connesso con quello sulla vita e se viene fuori che è un valore relativo la pace, necessariamente risulterebbe relativo anche il valore della vita.
Figuriamoci.
Da Woytila in poi la gerarchia cattolica ha messo come priorità assoluta con toni da crociata fino al fanatismo il discorso sulla “difesa della vita” come valore “non negoziabile” nelle sue applicazioni alla così detta bioetica cioè aborto, (canone 2322) ;dichiarazioni per il fine vita,  eutanasia (canone 2324) , eugenetica, fecondazione assistita, difesa dell’embrione come persona (2323) ecc.).
Stando al catechismo invece la difesa della vita non risulta affatto  come un valore assoluto, ma bensì come relativo.
Infatti il canone 2267 e il 2321 ribadiscono la legittimità della pena di morte in certe circostanze.
Il canone 2308 ribadisce la legittimità della “guerra giusta” per legittima difesa nei limiti elencati dal successivo canone 2309.
Il principio sbandierato nella bioetica come non negoziabile è violato, non ci sono santi che tengano.
Addirittura il 2310 ribadisce non solo la legittimità, ma l’obbligo morale per i poteri pubblici di imporre ai cittadini di prestare servizio militare per la difesa nazionale.
L’unica innovazione nel Catechismo vigente è chiaramente dettata dalla enormità della Shoà e degli altri genocidi da quello armeno in avanti con il canone 2313 che impone l’obbligo morale del cittadino soldato di fare resistenza agli ordini che gli imporrebbero di praticare il genocidio.
Apprezzabile anche il 2316 che condanna moralmente il commercio delle armi per la ricerca di interessi privati a breve termine.
Ora, visti i principi di riferimento non sarebbe male per la gerarchia cattolica e per il papa in particolare di studiarsi ad esempio la situazione disperata delle comunità cattoliche in tante parti del mondo dalla Nigeria agli altri paesi per lo più a maggioranza islamica dove la caccia al cattolico si ripete costantemente.
Che se ne fanno coloro che sono i cattolici destinatari dei colpi di Kalashnikov o dei coltelli delle milizie islamiche delle vuote esortazioni alla pace dei papi il primo dell’anno?
Non sarebbe più sensato oramai esortarli finalmente a organizzarsi e ad armarsi per difendersi ?
Le gerarchie hanno spinto le comunità cattoliche del medio oriente a giocarsi l’avvenire appoggiando in modo quasi servile tutti i più biechi dittatori che sono passati per quella regione.
E’ stata una politica estera disastrosa quella del Vaticano, che dovrebbe ora per lo meno scusarsi e invertire la rotta, dopo l’esplodere delle primavere arabe.
Ma viene il sospetto che a livello di potere prevalga sempre un’attrazione fatale fra chi esercita il potere non per la volontà espressa di  un popolo, ma per diritto monarchico di successione o per designazione di una casta, come se non ci fosse mai stata l’abbattimento dell’assolutismo con la rivoluzione francese del 1789.
Il papa e con lui una gerarchia cattolica con atteggiamento servile nei suoi confronti fanno finta di non vedere che rinviando all’infinito di fare i conti con i problemi veri della gente, cioè col mondo moderno, la loro presunta catechesi sarà una ripetizione continua di discorsi rivolti alla luna.
C’è poco da mettersi a usare Twitter per il papa, occorre dare risposte sempre rinviate.
La gente e soprattutto quella giovane che i  moderni mezzi informatici li ha assimilati giustamente  come parte del loro corpo sono sempre più informati.
E si accorgono che qualcuno che da risposte alte e convincenti c’è.
C’è qualcuno che pratica i principi evangelici originari e su quella base difende la vita senza se e  senza ma, e contemporaneamente condanna la guerra senza se e senza ma.
Costui non è né papa, né cardinale, né vescovo o prete , ma magari è il medico Gino Strada, che non è nemmeno credente, per fare un nome, ma tutti sappiamo che ce ne sono altri per fortuna.
Un’altra grande autorità spirituale del mondo orientale ma oggi ben conosciuta anche da noi il Dalai Lama esorta i suoi tibetani a fare della non violenza un principio senza se e senza ma.
Non enuncia furbate dialettiche nelle quali la pace è un valore assoluto nella bioetica e un valore relativo nella pena di morte e nella guerra giusta.
Enuncia un principio e lo mette in pratica in modo lineare, anche se questa coerenza e onestà intellettuale gli costa  di vivere in esilio e in dialettica con quella parte dei suoi che vorrebbe opporsi ai cinesi con le armi.
Gandhi aveva enunciato e praticato lo stesso principio, anche se la coerenza gli è costata la rivoltellata di un induista ortodosso, che l’ha ucciso.
Anche lui non era cattolico, pur essendosi formato nella cultura occidentale, era vicino all’induismo senza essere un induista ortodosso, ma praticava principi singolarmente e limpidamente evangelici con più coerenza   dei papi.
L’elenco potrebbe continuare con coloro che cattolici sono, ma non condividono affatto la politica di questo papato.
Alcuni sono personaggi ormai divenuti noti e pubblici, a ragione della loro opera nella società ispirata ai principi evangelici originari e non condizionati da arzigogolamenti dogmatici e giochi diretti alla conservazione del potere.
Fino a quando potrà durare la compresenza della loro testimonianza di un tipo di cristianesimo  evangelico con la permanenza di una gerarchia sempre più distante e lontana che pratica un tipo di cristianesimo che diviene sempre più alieno da quello di base?
Uno danneggia l’altro, non c’è dubbio.
L’immagine esterna non è più riconducibile a unità, tutti se ne  accorgono sempre più chiaramente.
Papa cardinali e vescovi rappresentano sempre meno la chiesa di base e la chiesa di base è rappresentata sempre meno da loro.
A un certo punto bisognerà pure prenderne atto senza i soliti farisaismi.
Difendere un’unità di facciata comporta dei costi da pagare da una parte e dall’altra.
I preti da strada esposti nelle opere sociali più apprezzate sono costretti a pagare pegno quotidianamente non dicendo nulla sui famosi temi bioetici o peggio sostenendo le tesi ufficiali, che è poco verosimile che possano condividere ed a prenderla  alla larga quando si parla di celibato, ruolo delle donne, soldi e poteri del Vaticano.
Gli intellettuali più brillanti col medesimo orientamento devono punire la loro intelligenza con affermazioni gesuitiche inverosimili.
Se accettano cariche elevate si condannano a una vita impossibile, penso alla sofferenza anche solo intellettuale di un Martini, o a un Ravasi o a un Enzo Bianchi che si condannano al ruolo umiliante di fare i jukebox colti.
Se scrivono sull’Espresso citano i passi della bibbia dal lato sociale, se scrivono su Panorama citano quelli dal lato della legge e dell’ordine, se  scrivono sul Corriere scrivono qualche polpettone che vada bene per tutti.
La prudenza è una virtù per i politici forse, ma non lo può essere per gli operatori sociali o per gli intellettuali, che vivono la loro vocazione solo sul presupposto della libertà di ricerca.
Ma anche Ratzinger e colonnelli al seguito devono pagare dei prezzi.
Lo sforzo infruttuoso e perdente di Ratzinger di volere presentare le sue tesi come conformi al Vaticano II ed alla ragione sono una contraddizione che crea fastidio anche diciamo alla sua “destra”.
Per tradizionalisti onesti e in buona fede è meglio l’originale cioè il tradizionalismo schietto tipo il movimento di Mons. Lefebvre, del tradizionalismo pasticciato e farisaico dei Ratzinger e simpatizzanti.
La logica è una sola e implacabile, nella chiesa non c’è posto per tutti, come si tenta di far credere, per conservare il potere di una sola parte e ridurre al silenzio l’altra parte.
A un certo momento ci si stuferà di pagare prezzi assurdi e poi non trascuriamo il potenziale esplosivo enorme che ha nelle sue mani l’altra faccia della luna, il  mondo femminile che è in fermento perfino e soprattutto nei conventi.





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