venerdì 24 maggio 2013

La Chiesa è da intendersi come madre o come semplice mezzo? Grande Don Gallo. Ma se fosse riuscito a fare un passo oltre………




Se ne è andato a 84 anni uno dei più noti “preti da strada” italiani.
Nato sotto il cupo e trionfalistico pontificato tradizionalista di Pio XII, ha avuto almeno la soddisfazione di morire regnante quel papa Francesco, che ha cominciato ad aprire le finestre del Vaticano chiuse da decenni.
Ha iniziato la sua missione come un giovane pretino salesiano, lavorando nel riformatorio di Genova.
Dopo qualche anno i suoi metodi non furono apprezzati e fu allontanato.
Uscì dall’ordine salesiano.
L’uomo era attratto ovviamente dalla “cultura del fare” tipica dei figli di Don Bosco, ma non era certo tipo da digerire lo stile da caserma allora vigente.
Trovò poi la sua strada dedicandosi agli ultimi, che in una città come Genova  certo non mancavano.
Figuriamoci quali potevano essere i suoi rapporti con arcivescovi come l’ultraconservatore Siri, incattivito dal fatto di essere uscito cardinale da un conclave nel quale era entrato come papa (quello che ha eletto Giovanni XXIII) e di avere poi dovuto subire un Concilio, il Vaticano secondo, del quale non condivideva nulla.
Non meglio è andata con i suoi successori Tettamanzi e peggio ancora con i salesiano- politicante Bertone.
Poi con lo stile democristiano di Bagnasco invece ci vivacchiava.
Dotato di una grande carica umana, un carattere estroverso, un naturale carisma, nel giro degli anni la comunità di San Benedetto al porto è riuscito a farla diventare un punto di riferimento.
Colto quanto basta, non è mai stato un intellettuale.
Come la gran parte di questi preti d’azione e di trincea, la teologia per lui non era di alcun aiuto, semmai era un peso morto.
Inutile negarlo, con quel suo cappellaccio in testa, sciarpa rossa o arcobaleno, sigaro spento in bocca, era anche un personaggio facile preda dei conservatori di tutti i colori, che lo accusavano di narcisismo.
Ma i problemi veri cominciavano quando apriva la bocca.
Quando diceva di sentirsi sacerdote perché era convinto che Dio è antifascista, tirava un colpo che gli alienava subito la simpatia di metà degli italiani.
E così quando non si sottraeva, ma anzi prendeva la guida di cortei, manifestazioni, raduni di piazza pacifisti, ambientalisti, operai, eccetera, tirava un altro colpo alla categoria dell’Italia borghese, delle varie maggioranze silenziose, che concepiscono il proprio salotto come il maggior grado di partecipazione politica del quale sono capaci.
Appunto la politica.
Un prete che fa politica, per il farisaismo nazionale, se gli ideali politici che professa sono di sinistra, è considerato un sacrilego, ed è invece considerato una illuminata guida spirituale se le idee che pratica sono di destra o reazionarie.
Questo è quello che pensa gran parte degli italiani, anche se non è disposta a riconoscerlo.
A Don Gallo però non dispiaceva di essere diventato un personaggio pubblico, come non gli dispiaceva tirare le botte, che tirava, per prendere posizioni nette e senza diplomazia sui problemi politici e sociali.
Ma tutto questo gli serviva per tenere in piedi e fare crescere la sua comunità.
Se non fosse diventato a suo modo una celebrità, i suoi superiori   e i personaggi ai quali stava sulle scatole glì sarebbero passati sopra con lo schiacciasassi e allora addio comunità.
Ricordati i tratti del personaggio,  veniamo ora alle considerazioni di fondo, che più mi stanno a cuore.
Prima di tutto questa.
I preti da strada sono espressione di una stretta minoranza all’interno della Chiesa cattolica.
Se si facesse un sondaggio di opinione di questo tenore: ritiene che sia più autentico e vicino all’insegnamento di Gesù di Nazareth l’agire del tuo vescovo, parroco, curato, frate o suora, che conosci o quello dei vari Don Ciotti, Colmegna, Gallo eccetera e dei missionari in Africa?
Non ho dubbio che la quasi totalità risponderebbe a favore dei preti da strada e dei missionari.
E ci vuole poco.
Nonostante la diffusa impreparazione in materia religiosa degli italiani quattro idee sul messaggio evangelico ce le abbiamo tutti e se si fa la comparazione, 2 + 2 fa quattro per tutti allo stesso modo.
Questo mi pare evidente.
Ma se pensiamo che, come attestano gli studi di sociologia religiosa, il numero dei cattolici praticanti in Italia è in costante discesa e nelle grandi città è sceso intorno a una preoccupante 5%.
E che anche questo cattolicesimo residuale è più definibile come “religione civile”, per solennizzare le tappe della vita con i così detti “riti di passaggio” (battesimo, cresima, matrimonio, rito funebre) che non una religione vera e propria, nel senso di ricerca di un rapporto personale con Dio.
E che anche questi riti di passaggio tendono abbastanza rapidamente a lasciare il posto ai corrispondenti laici, tanto che nei matrimoni quelli civili sopravanzano ormai quelli religiosi.
Allora ci viene allora da chiederci come mai, di fronte a una crisi così clamorosa, la Chiesa  non fa nulla per cambiare, avvicinandosi all’agire e alle idee di questi preti da strada o dei missionari?
E va avanti invece con il solito tran tran, come se fossimo ancora secoli indietro, quando nella società prevaleva incontrastato un pensiero unico approvato dalla Chiesa?
In questa situazione, pur nutrendo personalmente una grandissima stima per questi preti da combattimento, sento anche un forte disagio nei loro confronti, avverto una ambiguità in questo loro coraggio forte, ma forse non sufficiente se non sa andare oltre a questa chiesa, che non è più credibile.
Mi chiedo cioè : non è che questi coraggiosi, che si dannano l’anima per una vita, senza che nessuno della gerarchia e del popolo cristiano ufficiale si degni di ringraziarli, di fatto con la loro azione autenticamente evangelica siano loro che tengono in piedi questa chiesa, ormai non più credibile come agenzia morale?
E se è così, non è che di fatto questi preti coraggiosi, senza volerlo, diventano un alibi, una foglia di fico, che nasconde le vergogne altrui?
Nei commenti più favorevoli e illuminati, che ho letto ieri a ricordo di Don Gallo, compreso quello del teologo progressista Mancuso, spesso ricorre questa frase: è stato osteggiato, deriso e perfino disprezzato dalla Chiesa ufficiale, ma è sempre stato graniticamente fedele alla Chiesa, sua madre.
Siamo proprio sicuri che questo atteggiamento sia un vanto?
Ebbene questo ragionamento proprio non lo digerisco, perché sono convinto che se non si riesce ad andare oltre a questa mentalità, il cattolicesimo non potrà avere un avvenire, ma finirà per deperire progressivamente fino ad arrivare all’irrilevanza completa.
Capisco benissimo la posizione personale e umana dello stesso Don Gallo, che quando, anche di recente, veniva pungolato su questi argomenti da interlocutori laici diceva: “ ma cosa volete che faccia di più, sono un vecchio prete di 84 anni, sono nato nella Chiesa e nella Chiesa morirò”.
Lo capisco umanamente, ma non condivido affatto l’argomentazione di tipo sentimentale e non razionale a favore della fedeltà a questa chiesa, per le ragioni che seguono:
1) come accennato in post precedenti, che il personaggio storico Gesù di Nazareth abbia fondato una sua chiesa è un’affermazione tutt’altro che pacifica, essendo basata su quasi nulla, come base scritturale.
La fondazione della Chiesa cattolica in realtà, sembra storicamente piu corretto, attribuirla a Paolo di  Tarso e questo però cambierebbe tutto sul piano della sua legittimità.
2)  l’argomentazione della teologia tradizionale a sostegno dell’autorità della gerarchia ecclesiastica e cioè quella della “successione apostolica ininterrotta” sta ancora meno in piedi, se affrontata sul piano dalla critica storica perché questa rivela che vi sono  personaggi, soprattutto fra i primi papi, dei quali è molto incerta addirittura l’esistenza, e poi c’è una serie successiva nella quale sono presenti diverse figure che la storia riconosce pacificamente come dei brutti ceffi.
Tutta la teologia tradizionale sulla Chiesa è fondata non su affermazioni, argomentare razionalmente, ma su ragionamenti “ab auctoritate” ( rivelazione, tradizione dogmatica ecc.) che oggi non accetta più nessuno in campo filosofico.
4)  La Chiesa definita in modo razionale è riconosciuta perfino in campo dottrinale, ma solo dopo il Vaticano II,  come  un mezzo e non come un fine, non come un valore in sé.
E allora si tratta di un mezzo lo si deve giudicare sulla base della suo funzionalità.
Cioè, se devo girare in città mi serve una cinquecento; se devo fare un viaggio lungo in autostrada ho bisogno di una cilindrata medio-alta; se devo andare in America devo prendere un aereo.
5) E’ del tutto evidente, e lo confermano gli studi di sociologia religiosa, che non c’è più una sola Chiesa monolitica, come nei secoli passati, ma che di fatto ci sono più chiese:
quella ufficiale; quelle che si sceglie a livello locale e che spesso non coincide con la parrocchia; per i più pensosi la chiesa di un religioso, scelto come guida spirituale di fiducia; quella dei preti da strada eccetera.
Gli studi di sociologia religiosa più recenti, da tempo, segnalano come diffusissima la tendenza crescente per la quale i credenti si confezionano personalmente e individualmente una religione fai-da-te, costruita sulla base di un copia e incolla, che ciascuno si assembla, incurante di ogni catechismo o dogmatico ufficiale.
6) in conseguenza delle considerazioni fatte sopra, la mentalità tradizionale, diffusissima fra i praticanti rimasti, che quella della Chiesa sia una concezione in senso sacrale- antropologica, come madre, è  una pia illusione e rappresenta un  voler  reiterare il proprio status mentale e psichico, proprio dall’infanzia, in quanto percepito come rassicurante, ma che in realtà non ha più alcun fondamento sostenibile, se non una sensazione soggettiva, che per definizione non fa testo e non dimostra nulla di obiettivo.
La “mala educazione” delle scuole di catechismo e peggio ancora dei seminari, “mala”  in quanto frutto di puro indottrinamento propagandistico, priva di qualunque spirito critico, e tanto meno di confronto con idee alternative, induce ad accettare in età adolescenziale un lavaggio del cervello, che può anche durare tutta la vita, se non lo si contrasta con un’analisi basata sulla critica razionale.
Ma il problema è che quando si fa questa operazione, si rischia di veder cadere tutto il proprio “bagaglio di fede”, proprio perché erroneamente costruito   su presupposti sbagliati, cioè su argomenti esclusivamente “ab auctoritate” come si è detto sopra (rivelazioni ,dogmatica e   argomenti razionalmente non documentabili).
La Chiesa non è sensato vederla come madre, la Chiesa è più ragionevole vederla come un mezzo, del quale ci si serve se e in quanto funziona per raggiungere un fine : il dialogo personale con dio e che quando non funziona più se ne cerca un altro.
Ammiro i preti da strada, ma non capisco proprio come mai non abbiano il coraggio di fare un passo in più, di andare oltre “questa” chiesa.
Fin dai tempi del concilio Vaticano secondo, sono rimasto personalmente convinto che la Chiesa avrebbe più probabilità di sopravvivere con soddisfazione per i suoi fedeli se  riconoscesse formalmente il pluralismo interno, che di fatto c’è di già da tempo, anche se non si vuole ammetterlo.
C’è già ed è anche istituzionalizzato almeno fin da quando si sono accettati più o meno “obtorto collo” i più svariati Movimenti.
Faccio solo un piccolo esempio: come fanno coloro che si riconoscono in un cattolicesimo evangelico tipo quello dei preti da strada ad accettare l’autorità arcivescovile di uno Scola, che vent’anni fa con Buttiglione e Formigoni faceva e fatturava corsi accelerati di politica per il Cavalier  Silvio Berlusconi e compagni di cordata?
Non dico affatto questo con spirito settario, al contrario.
Penso infatti che si debba riconoscere allo stesso modo la piena legittimità e diritto dei tradizionalisti di Cl di ritrovarsi e di esprimersi in una loro chiesa, che però non vedo cosa abbia a che fare con quella dei preti da strada, che è con tutta evidenza di altro segno.
Se ci fosse la tolleranza, che consentisse di poter usufruire di una chiesa officiata da Cl; una officiata dal preti da strada; una officiata in latino da coloro che sono rimasti a prima del Vaticano secondo, eccetera, il cattolicesimo sarebbe più forte e non più debole.
Inutile far finta che la Chiesa sia quella che nei fatti non c’è più.
Non c’è più la Chiesa, ci sono le chiese e le altre agenzie religiose e morali, comprese quelle del pensiero filosofico e scientifico laico e tutte con uguale dignità.
Il mondo è cambiato ed è cambiato molto in fretta.
Tutte queste agenzie hanno il diritto ed è buona cosa che esistano e che siano visibili nella loro diversità.
La gente deve poter andare a conoscerle per scegliere a ragion veduta e scegliere anche elementi dell’uno ed elementi dell’altro.
Cerchiamo di avere il realismo per capire, che tutto questo non fa parte di un futuro lontano o di scenari da fantascienza.
Questo è già quello che esiste oggi, solo che le istituzioni di potere cercano ferocemente di contrastarlo, preoccupate solo di auto conservarsi.
Non aiuta il cambiamento nemmeno  il nostro naturale conformismo che finge di non saperlo.
Sarebbe sciocco  lasciare deperire irrimediabilmente quelle che pur essendo ormai non più credibili sono tuttavia gli unici  punti di riferimento di un pensiero elevato per la gran parte della gente che pensa.
Per quella che non pensa, come diceva Martini,  purtroppo il problema di credere o di non credere nemmeno  si pone.




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