Se ne è andato a 84
anni uno dei più noti “preti da strada” italiani.
Nato sotto il cupo e
trionfalistico pontificato tradizionalista di Pio XII, ha avuto almeno la
soddisfazione di morire regnante quel papa Francesco, che ha cominciato ad
aprire le finestre del Vaticano chiuse da decenni.
Ha iniziato la sua
missione come un giovane pretino salesiano, lavorando nel riformatorio di
Genova.
Dopo qualche anno i
suoi metodi non furono apprezzati e fu allontanato.
Uscì dall’ordine
salesiano.
L’uomo era attratto
ovviamente dalla “cultura del fare” tipica dei figli di Don Bosco, ma non era
certo tipo da digerire lo stile da caserma allora vigente.
Trovò poi la sua strada
dedicandosi agli ultimi, che in una città come Genova certo non mancavano.
Figuriamoci quali
potevano essere i suoi rapporti con arcivescovi come l’ultraconservatore Siri,
incattivito dal fatto di essere uscito cardinale da un conclave nel quale era
entrato come papa (quello che ha eletto Giovanni XXIII) e di avere poi dovuto
subire un Concilio, il Vaticano secondo, del quale non condivideva nulla.
Non meglio è andata con
i suoi successori Tettamanzi e peggio ancora con i salesiano- politicante Bertone.
Poi con lo stile
democristiano di Bagnasco invece ci vivacchiava.
Dotato di una grande
carica umana, un carattere estroverso, un naturale carisma, nel giro degli anni
la comunità di San Benedetto al porto è riuscito a farla diventare un punto di
riferimento.
Colto quanto basta, non
è mai stato un intellettuale.
Come la gran parte di
questi preti d’azione e di trincea, la teologia per lui non era di alcun aiuto,
semmai era un peso morto.
Inutile negarlo, con
quel suo cappellaccio in testa, sciarpa rossa o arcobaleno, sigaro spento in
bocca, era anche un personaggio facile preda dei conservatori di tutti i
colori, che lo accusavano di narcisismo.
Ma i problemi veri
cominciavano quando apriva la bocca.
Quando diceva di sentirsi
sacerdote perché era convinto che Dio è antifascista, tirava un colpo che gli
alienava subito la simpatia di metà degli italiani.
E così quando non si
sottraeva, ma anzi prendeva la guida di cortei, manifestazioni, raduni di
piazza pacifisti, ambientalisti, operai, eccetera, tirava un altro colpo alla
categoria dell’Italia borghese, delle varie maggioranze silenziose, che
concepiscono il proprio salotto come il maggior grado di partecipazione
politica del quale sono capaci.
Appunto la politica.
Un prete che fa
politica, per il farisaismo nazionale, se gli ideali politici che professa sono
di sinistra, è considerato un sacrilego, ed è invece considerato una illuminata
guida spirituale se le idee che pratica sono di destra o reazionarie.
Questo è quello che
pensa gran parte degli italiani, anche se non è disposta a riconoscerlo.
A Don Gallo però non
dispiaceva di essere diventato un personaggio pubblico, come non gli dispiaceva
tirare le botte, che tirava, per prendere posizioni nette e senza diplomazia
sui problemi politici e sociali.
Ma tutto questo gli
serviva per tenere in piedi e fare crescere la sua comunità.
Se non fosse diventato
a suo modo una celebrità, i suoi superiori e i
personaggi ai quali stava sulle scatole glì sarebbero passati sopra con lo
schiacciasassi e allora addio comunità.
Ricordati i tratti del
personaggio, veniamo ora alle
considerazioni di fondo, che più mi stanno a cuore.
Prima di tutto questa.
I preti da strada sono
espressione di una stretta minoranza all’interno della Chiesa cattolica.
Se si facesse un
sondaggio di opinione di questo tenore: ritiene che sia più autentico e vicino
all’insegnamento di Gesù di Nazareth l’agire del tuo vescovo, parroco, curato,
frate o suora, che conosci o quello dei vari Don Ciotti, Colmegna, Gallo
eccetera e dei missionari in Africa?
Non ho dubbio che la
quasi totalità risponderebbe a favore dei preti da strada e dei missionari.
E ci vuole poco.
Nonostante la diffusa
impreparazione in materia religiosa degli italiani quattro idee sul messaggio
evangelico ce le abbiamo tutti e se si fa la comparazione, 2 + 2 fa quattro per
tutti allo stesso modo.
Questo mi pare
evidente.
Ma se pensiamo che,
come attestano gli studi di sociologia religiosa, il numero dei cattolici praticanti
in Italia è in costante discesa e nelle grandi città è sceso intorno a una
preoccupante 5%.
E che anche questo
cattolicesimo residuale è più definibile come “religione civile”, per
solennizzare le tappe della vita con i così detti “riti di passaggio” (battesimo,
cresima, matrimonio, rito funebre) che non una religione vera e propria, nel
senso di ricerca di un rapporto personale con Dio.
E che anche questi riti
di passaggio tendono abbastanza rapidamente a lasciare il posto ai
corrispondenti laici, tanto che nei matrimoni quelli civili sopravanzano ormai
quelli religiosi.
Allora ci viene allora
da chiederci come mai, di fronte a una crisi così clamorosa, la Chiesa non fa nulla per cambiare, avvicinandosi
all’agire e alle idee di questi preti da strada o dei missionari?
E va avanti invece con
il solito tran tran, come se fossimo ancora secoli indietro, quando nella
società prevaleva incontrastato un pensiero unico approvato dalla Chiesa?
In questa situazione,
pur nutrendo personalmente una grandissima stima per questi preti da
combattimento, sento anche un forte disagio nei loro confronti, avverto una
ambiguità in questo loro coraggio forte, ma forse non sufficiente se non sa
andare oltre a questa chiesa, che non è più credibile.
Mi chiedo cioè : non è
che questi coraggiosi, che si dannano l’anima per una vita, senza che nessuno
della gerarchia e del popolo cristiano ufficiale si degni di ringraziarli, di
fatto con la loro azione autenticamente evangelica siano loro che tengono in
piedi questa chiesa, ormai non più credibile come agenzia morale?
E se è così, non è che
di fatto questi preti coraggiosi, senza volerlo, diventano un alibi, una foglia
di fico, che nasconde le vergogne altrui?
Nei commenti più
favorevoli e illuminati, che ho letto ieri a ricordo di Don Gallo, compreso
quello del teologo progressista Mancuso, spesso ricorre questa frase: è stato
osteggiato, deriso e perfino disprezzato dalla Chiesa ufficiale, ma è sempre
stato graniticamente fedele alla Chiesa, sua madre.
Siamo proprio sicuri
che questo atteggiamento sia un vanto?
Ebbene questo
ragionamento proprio non lo digerisco, perché sono convinto che se non si
riesce ad andare oltre a questa mentalità, il cattolicesimo non potrà avere un
avvenire, ma finirà per deperire progressivamente fino ad arrivare
all’irrilevanza completa.
Capisco benissimo la
posizione personale e umana dello stesso Don Gallo, che quando, anche di
recente, veniva pungolato su questi argomenti da interlocutori laici diceva: “
ma cosa volete che faccia di più, sono un vecchio prete di 84 anni, sono nato
nella Chiesa e nella Chiesa morirò”.
Lo capisco umanamente,
ma non condivido affatto l’argomentazione di tipo sentimentale e non razionale
a favore della fedeltà a questa chiesa, per le ragioni che seguono:
1) come accennato in post
precedenti, che il personaggio storico Gesù di Nazareth abbia fondato una sua
chiesa è un’affermazione tutt’altro che pacifica, essendo basata su quasi nulla,
come base scritturale.
La fondazione della Chiesa
cattolica in realtà, sembra storicamente piu corretto, attribuirla a Paolo
di Tarso e questo però cambierebbe tutto
sul piano della sua legittimità.
2) l’argomentazione della teologia tradizionale a
sostegno dell’autorità della gerarchia ecclesiastica e cioè quella della “successione
apostolica ininterrotta” sta ancora meno in piedi, se affrontata sul piano
dalla critica storica perché questa rivela che vi sono personaggi, soprattutto fra i primi papi, dei
quali è molto incerta addirittura l’esistenza, e poi c’è una serie successiva nella
quale sono presenti diverse figure che la storia riconosce pacificamente come dei
brutti ceffi.
Tutta la teologia
tradizionale sulla Chiesa è fondata non su affermazioni, argomentare razionalmente,
ma su ragionamenti “ab auctoritate” ( rivelazione, tradizione dogmatica ecc.)
che oggi non accetta più nessuno in campo filosofico.
4) La Chiesa definita in modo razionale è
riconosciuta perfino in campo dottrinale, ma solo dopo il Vaticano II, come un mezzo e non come un fine, non come un
valore in sé.
E allora si tratta di
un mezzo lo si deve giudicare sulla base della suo funzionalità.
Cioè, se devo girare in
città mi serve una cinquecento; se devo fare un viaggio lungo in autostrada ho
bisogno di una cilindrata medio-alta; se devo andare in America devo prendere
un aereo.
5) E’ del tutto
evidente, e lo confermano gli studi di sociologia religiosa, che non c’è più
una sola Chiesa monolitica, come nei secoli passati, ma che di fatto ci sono
più chiese:
quella ufficiale; quelle
che si sceglie a livello locale e che spesso non coincide con la parrocchia;
per i più pensosi la chiesa di un religioso, scelto come guida spirituale di
fiducia; quella dei preti da strada eccetera.
Gli studi di sociologia
religiosa più recenti, da tempo, segnalano come diffusissima la tendenza
crescente per la quale i credenti si confezionano personalmente e
individualmente una religione fai-da-te, costruita sulla base di un copia e incolla,
che ciascuno si assembla, incurante di ogni catechismo o dogmatico ufficiale.
6) in conseguenza delle
considerazioni fatte sopra, la mentalità tradizionale, diffusissima fra i
praticanti rimasti, che quella della Chiesa sia una concezione in senso sacrale-
antropologica, come madre, è una pia illusione
e rappresenta un voler reiterare il proprio status mentale e psichico,
proprio dall’infanzia, in quanto percepito come rassicurante, ma che in realtà
non ha più alcun fondamento sostenibile, se non una sensazione soggettiva, che
per definizione non fa testo e non dimostra nulla di obiettivo.
La “mala educazione”
delle scuole di catechismo e peggio ancora dei seminari, “mala” in quanto frutto di puro indottrinamento
propagandistico, priva di qualunque spirito critico, e tanto meno di confronto
con idee alternative, induce ad accettare in età adolescenziale un lavaggio del
cervello, che può anche durare tutta la vita, se non lo si contrasta con
un’analisi basata sulla critica razionale.
Ma il problema è che
quando si fa questa operazione, si rischia di veder cadere tutto il proprio “bagaglio
di fede”, proprio perché erroneamente costruito su
presupposti sbagliati, cioè su argomenti esclusivamente “ab auctoritate” come
si è detto sopra (rivelazioni ,dogmatica e argomenti razionalmente non documentabili).
La Chiesa non è sensato
vederla come madre, la Chiesa è più ragionevole vederla come un mezzo, del
quale ci si serve se e in quanto funziona per raggiungere un fine : il dialogo
personale con dio e che quando non funziona più se ne cerca un altro.
Ammiro i preti da
strada, ma non capisco proprio come mai non abbiano il coraggio di fare un
passo in più, di andare oltre “questa” chiesa.
Fin dai tempi del
concilio Vaticano secondo, sono rimasto personalmente convinto che la Chiesa
avrebbe più probabilità di sopravvivere con soddisfazione per i suoi fedeli se riconoscesse formalmente il pluralismo interno,
che di fatto c’è di già da tempo, anche se non si vuole ammetterlo.
C’è già ed è anche
istituzionalizzato almeno fin da quando si sono accettati più o meno “obtorto
collo” i più svariati Movimenti.
Faccio solo un piccolo esempio:
come fanno coloro che si riconoscono in un cattolicesimo evangelico tipo quello
dei preti da strada ad accettare l’autorità arcivescovile di uno Scola, che
vent’anni fa con Buttiglione e Formigoni faceva e fatturava corsi accelerati di
politica per il Cavalier Silvio
Berlusconi e compagni di cordata?
Non dico affatto questo
con spirito settario, al contrario.
Penso infatti che si
debba riconoscere allo stesso modo la piena legittimità e diritto dei
tradizionalisti di Cl di ritrovarsi e di esprimersi in una loro chiesa, che
però non vedo cosa abbia a che fare con quella dei preti da strada, che è con
tutta evidenza di altro segno.
Se ci fosse la
tolleranza, che consentisse di poter usufruire di una chiesa officiata da Cl;
una officiata dal preti da strada; una officiata in latino da coloro che sono
rimasti a prima del Vaticano secondo, eccetera, il cattolicesimo sarebbe più
forte e non più debole.
Inutile far finta che
la Chiesa sia quella che nei fatti non c’è più.
Non c’è più la Chiesa,
ci sono le chiese e le altre agenzie religiose e morali, comprese quelle del
pensiero filosofico e scientifico laico e tutte con uguale dignità.
Il mondo è cambiato ed
è cambiato molto in fretta.
Tutte queste agenzie
hanno il diritto ed è buona cosa che esistano e che siano visibili nella loro
diversità.
La gente deve poter
andare a conoscerle per scegliere a ragion veduta e scegliere anche elementi
dell’uno ed elementi dell’altro.
Cerchiamo di avere il
realismo per capire, che tutto questo non fa parte di un futuro lontano o di
scenari da fantascienza.
Questo è già quello che
esiste oggi, solo che le istituzioni di potere cercano ferocemente di
contrastarlo, preoccupate solo di auto conservarsi.
Non aiuta il
cambiamento nemmeno il nostro naturale
conformismo che finge di non saperlo.
Sarebbe sciocco lasciare deperire irrimediabilmente quelle
che pur essendo ormai non più credibili sono tuttavia gli unici punti di riferimento di un pensiero elevato
per la gran parte della gente che pensa.
Per quella che non
pensa, come diceva Martini, purtroppo il
problema di credere o di non credere nemmeno
si pone.
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