venerdì 26 aprile 2013

Enrico Letta è difficile da digerire anche come stato di necessità




Enrico Letta è un politico di buona caratura.
Ha un curriculum di livello elevato, soprattutto in considerazione della sua età.
Dicono addirittura che dopo decenni di attività politica ad alto livello risulti ancora onesto e pulito.
L’uomo come linea politica è unanimemente etichettato come : centrista, moderato, dotato di grandi capacità di mediazione, confortato da una rete di relazioni coltivate negli anni in tutti gli ambienti che contano.
Tutti elementi che di per sé sarebbero positivi e un buon biglietto da visita.
Il problema è che qualcosa non quadra proprio nella sua collocazione politica.
Se avessimo occasione di chiacchierare con un amico straniero, residente in un qualunque “paese normale” e gli descrivessimo Enrico Letta, come abbiamo fatto sopra, quello ci direbbe : ottimo mi sembra l’uomo giusto per guidare il PDL, come casa dei moderati italiani in modo dignitoso al posto di quel buffone di Berlusconi.
Ovvio che quando gli spiegassimo che invece Enrico Letta è stato scelto come il rappresentante del partito della sinistra italiana nelle trattative col Pdl, ci direbbe : ma no, allora siete tutti matti.
Come dargli torto.
Continuiamo a perseverare nell’illusione di poter risolvere problemi complessi o molto complessi non prendendo mai la via più lineare, ma scegliendo invece  supposte furbate intelligentissime tipo le “convergenze parallele” di memoria morotea.
In un paese normale, per rappresentare la sinistra si designa un uomo di sinistra  e Letta non lo è e non ci tiene nemmeno ad esserlo.
Averlo scelto è un obiettivo elemento di debolezza perché non è verosimile che sia in grado di far passare nella trattativa o nella successiva azione di governo cose di sinistra, nelle quali è lui il primo a non crederci.
Il secondo elemento di debolezza è il muro contro il quale andrebbe a sbattere chiunque dovesse fare una trattativa col PDL ed è la condizione pregiudiziale e non negoziabile per il PDL del “salvacondotto giudiziario” per Berlusconi.
Tutti sanno che questo è il vero punto cruciale, ma farisaicamente fanno finta di non saperlo, trattandosi di cosa sgradevole e per sua natura oscura e ambigua.
Oscura, perché mai e poi mai in uno stato moderno è possibile che si parli apertamente di una trattativa per sottrarre alla giustizia un cittadino, qualsiasi esso sia.
Oscura, perché in realtà nessuno in una  democrazia, fondata sulla divisione dei poteri e sui pesi e contrappesi fra di essi è in grado materialmente e in modo credibile di fornirlo, questo salvacondotto.
Ambigua perché chi lo promettesse potrebbe appunto mostrare di avere un potere che non ha e fare quindi promesse di dubbia efficacia e consistenza.
Fatto sta però che da quando il nonno del mulino bianco al Quirinale ha esercitato sia pure in modo lieve il suo potere di “persuasione morale”, Berlusconi è stato sollevato dalle seccature, che spettano a tutti gli altri cittadini di comparire di fronte alle corti, che lo stanno giudicando in più procedimenti aperti e vicini a sentenza.
Se poi domani dovessimo vedere che questa anomalia diventasse una prassi e poi magari di fronte a una sentenza di condanna arrivasse un provvedimento di grazia o il cattivo soggetto fosse messo al riparo con una nomina a senatore a vita, nessuno potrebbe impedirci di coltivare la convinzione di essere stati presi per i fondelli.
E il popolo è già oggi abbastanza imbufalito.
Tuttavia, cerchiamo di esercitare al massimo l’onestà intellettuale e di addentrarci nella penosa riflessione, che segue.
Abbiamo visto nel post precedente che la strada costituzionalmente più corretta di fronte ai risultati elettorali e al fallimento dell’incarico a Bersani sarebbe stata quella dello scioglimento del solo Senato e del suo rinnovo con una nuova tornata elettorale.
Ora però vediamo di fare un passo avanti.
Le elezioni del 24 febbraio appaiono vicinissime, ma nel frattempo sono successi molti fatti di peso.
Prima di tutto è avvenuta l’implosione del PD, forse irreversibile e con conseguenze imprevedibili.
Poi è trascorso un tempo sufficiente per dare un primo giudizio provvisorio al Movimento 5Stelle, che non può essere troppo favorevole, stante il fatto che lo stesso non è riuscito a sfruttare le scelte politicamente molto importanti alle quali era ammesso per realizzare in positivo alcun cambiamento.
In queste condizioni andare alle elezioni subito significherebbe avere contrapposti e con la massima visibilità i due populismi.
Quello di Berlusconi, padre padrone e guida del suo popolo, di cultura, come abbiamo più volte notato, sempre più para-fascista e  simile al movimento di Martine Lepen, pronto ad andare al suo comando  anche nel pozzo al canto di “meno male che Silvio c’è” invece che di “giovinezza, giovinezza, primavera di Bellezza”.
Dall’altro un Grillo, a suo agio nelle campagne elettorali gridate, che però non ha ancora avuto il tempo materiale di mettere in piedi qualcosa di realmente credibile e presentabile.
In mezzi il deserto dei Tartari, nel quale le apparizioni dei vari leaderini, in terapia psichiatrica, sarebbe uno spettacolo del tutto surreale, proprio come nel romanzo di Buzzati e con la stessa conclusione cioè alla fine non arriverebbe nessuno.
Le elezioni sarebbero un azzardo da incubo.
La soluzione Letta richiederebbe di fare rappresentare la sinistra da un uomo che non è di sinistra e che quindi non crede nelle cose di sinistra, con in più l’ingoio obbligatorio del salvacondotto.
Unico vantaggio : procrastinare l’avvento di un  forse peggiore disastro con nuove elezioni in queste condizioni e guadagnare un po’ di tempo.
Per consentire al 5Stelle di costruirsi in qualcosa di presentabile ed a quel che resta del PD di visualizzarsi in qualche modo.
Due azzardi che non sono in grado di promettere nulla, né di certo, né di buono.
Molti nella sinistra oggi cominciano a credere che il secondo azzardo, cioè Letta, sia il meno peggio.
Vedremo.

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