C’è qualcosa di perverso in questa nostra politica italiana,
che non vuole mai nessun cambiamento e che non vuole mai dare ascolto al suo
popolo, che non la sopporta più.
E’ perverso nascondere le proprie immani debolezze, che
rendono le forze politiche incapaci di
fare scelte alla luce del sole e quindi di assumersene la responsabilità a viso
aperto.
È perverso nascondersi dietro all’ immagine simbolica del Nonno della Repubblica,
dipinto come quello edulcorato del Mulino Bianco, per rendere appetibili alla
gente i propri decrepiti progetti politici.
E il vero progetto politico del gruppo dirigente del PD era
chiaramente fin dall’inizio quello di fare il governo con Berlusconi, come su
questo blog si era già detto.
Sapevano però che la loro base, il loro popolo a quell’alleanza
non era contrari ma contrarissimi e quindi hanno nascosto colpevolmente il loro
vero progetto dietro a una serie di mosse tattiche spregiudicate, ma facendo
bene i conti prima.
La vera mente perversa dietro a tutte queste manovre era il
terribile baffetto, Massimo D’Alema.
Non poteva essere che
lui il Cardinale Richelieu della situazione, perché solo lui aveva
l’intelligenza, la freddezza, il mestiere e soprattutto il potere per farlo.
D’Alema è da sempre il riferimento del potere reale nel PD,
quello che deriva dai governatori di regione, dai sindaci e assessori di enti
locali, degli amministratori di ex municipalizzate sempre più potenti, di
consiglieri nelle fondazioni bancarie, e nel sottopotere delle industrie e
servizi partecipati dallo stato o parastatali.
E’ un potere immenso.
Aggiungeteci, come costume degli e PCI dell’Italia Centrale,
la necessaria partecipazione ai riti massonici, per allargare le proprie
relazioni e per guarnire una ulteriore spolveratina a pioggia di finanziamenti
generosi a scuole confessionali e oratori e il gioco è fatto.
D’Alema gestisce il potere, gli altri o eseguono o aspettano
che arrivino le briciole.
In quest’ottica, il vero nemico di D’Alema non è mai stato
quello di facciata, cioè Berlusconi, col quale ha da sempre diviso tutto in un
inciucio dietro le quinte ventennale, ma chi volesse rivoltare il tavolo del
consociativismo.
Sembrava che questi potesse essere Renzi, peccato però che
Renzi assomigli talmente tanto a D’Alema, da sembrare più il suo naturale
delfino, che non il suo oppositore.
Renzi ha voluto accorciare i tempi e ha tentato il
parricidio alle primarie del PD, ma lo strapotere del boss lo la stoppato
subito e senza particolare fatica.
Poi è saltata fuori la vera forza alternativa al potere
D’Alemian- berlusconiano.
Grillo la novità assoluta, giocando con il suo
svantaggio/vantaggio di atteggiarsi in
un modo fra il folcloristico e lo strampalato, che però riesce a sconcertare
una nomenclatura politica ingessata da decenni.
Il guaio per D’Alema è che Grillo è risultato doppiamente
pericoloso per il fatto che è venuto ad
occupare di fatto l’area tradizionale della sinistra, la cui base il
giochino di D’Alema aveva cominciato a intuirlo e se si perde la base, a ruota,
prima o poi si perde tutto il potere.
Bisogna riconoscere che la lotta per Grillo era
difficilissima, perché ponendosi contro frontalmente a tutto un regime
consociativo del quale i partiti sono solo la parte più visibile, aveva contro tutti, poteri forti compresi.
Gli sparavano contro tutti i giorni dalla corazzata
mediatica delle Tv, giornali e riviste di Berlusconi.
Ma curiosamente gli sparava contro anche la corazzata dei
finti arcinemici per Berlusca quelli della contro corazzata del gruppo
Repubblica- l’Espresso, come se l’inciucio fosse già stato accettato da
costoro.
Per giorni hanno fatto un penoso gioco delle parti col
direttore di Repubblica, Mauro, che scriveva netti editoriali contro
l’inciucio, però subito corretto dalle
omelie domenicali, che il fondatore e quasi padrone del giornale Scalfari
pubblica tutte le domeniche, dedicandovi sempre un pensierino affettuoso se non
di venerazione volto ad esaltare la meritoria opera del saggio della repubblica,
che dal Quirinale era ed è impegnato nel confezionare l’inciucio, magari con le
più nobili intenzioni, ma tant’è.
Naturalmente al pensierino affettuoso per il Colle, mai
mancava una scappellotto per i ragazzacci grillini, descritti come dei discoli
che inevitabilmente avrebbero rotto le stoviglie al tavolo del potere e che
quindi erano i reprobi della situazione.
Grillo. girando di piazza in piazza si trovava di fronte
folle sempre più strabocchevoli e quindi poteva toccare con mano, che c’era lì
un popolo che lo investiva di un potere di dimensioni alle quale non era
preparato forse nemmeno psicologicamente.
La comprensibile ebbrezza del momento, unita poi alla
difficoltà obiettiva di gestire un piccolo esercito di parlamentari alla loro
prima esperienza,unita alla sua stessa
mancanza di una precedente esperienza di sorta ,politica o amministrativa,
unita al fatto che il suo pensiero politico era in fieri, sono tutte cose che
lo hanno spinto a sbagliare quasi tutte le prime mosse.
In politica, come nella vita passa un grosso spazio di
possibili opzioni fra il comportarsi come “puttane” ed essere invece
semplicemente “elastici”.
Grillo ha ritento di scegliere una rigidità intransigente nella
fedeltà alla lettera verso quello che aveva promesso durante la campagna
elettorale.
Forse anche lo doveva fare per non rischiare che il suo
esercito di matricole parlamentari si dividesse subito in mille rivoli.
Purtroppo però a cose fatte non si può non riconoscere che
prima ha perso la battaglia del governo e poi quella del Quirinale e non sono cose da poco.
Ha perso lui ed hanno vinto invece Berlusconi e D’Alema, che
rieleggendo Napolitano si sono procurata l’investiture a formalizzare il
governo del’inciucio.
Hanno vinto al prezzo di sedersi sui cumuli di macerie
fumanti del PD, l’ultimo e unico partito storico che era rimasto in Italia, l’erede
delle storie e delle tradizioni politiche dei comunisti e del cattolicesimo
sociale.
Cioè eredi della gente che era stata determinante nel fare sciocchezzuole
come la Resistenza ,
la Repubblica
e la Costituzione ,
la ricostruzione dell’apparato industriale italiano pubblico e privato le infrastrutture
e cioè quello che fa l’Italia moderna.
Il prezzo pagato può fare brindare Berlusconi, perché per
lui ormai ogni giorno in sella al potere significa un giorno in meno a San
Vittore, ma D’Alema ,in quale sotterraneo della storia si è cacciato.
Con la rielezione incautamente accettata da Napolitano non
si è risolto alcun problema.
Da domani disco verde per gli affari di tutti i faccendieri
d’Italia, senza più la foglia di fico della finta opposizione del Pd ,tutti possono
precipitarsi alla mangiatoia apertamente.
Disco verde per licenziamenti e chiusure di aziende.
Ma disco rosso per chi amministra la giustizia, che è stata ufficialmente
informata che ci sono cittadini ed uno in particolare che è e sarà più uguale
degli altri, per lui le leggi che valgono per tutti non valgono nulla.
E’ una bella schifezza.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere perchè la conferma
di Napolitano comporta un solo elemento positivo, non ha il potere beninteso di
fermare l’orologio, ma dovrebbe offrire più tempo per tutti.
Soprattutto i grillini ne hanno un bisogno assoluto.
Hanno bisogno di lavorare nelle commissioni per capire che
il potere di presentare delle leggi è ben poca cosa se poi non verranno mai “calendarizzate”
(cioè messe in discussione).
Che per esistere politicamente occorre confrontarsi tutti i
santi giorni con gli altri, cercarli, discutere e concordare il concordabile senza
necessità di vendersi, ma assolutamente uscendo dal congelatore nel quale si
sono rinchiusi.
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