Margareth Thatcher è stato un personaggio complesso.
Alla notizia della sua morte il leader sindacale di minatori
inglesi ha detto di avere subito brindato.
Non è una reazione elegante ma è ben comprensibile ,se si
pensa a quanta poca sensibilità sociale ed umana abbia fatto ricorso la Thatcher nella lotta del
1984 contro i minatori del Nord che lottavano per il loro posto di lavoro.
I films di Ken Loach ben hanno documentato il disastro
sociale sofferto da quella fetta di umanità.
E’ inutile negare però che ,soprattutto per un osservatore
italiano, il personaggio Thatcher, come leader politico è oggetto di qualche
elemento di invidia di fronte alla schiera di primi ministri mollaccioni e
inconcludenti, che abbiamo avuto in questi ultimi decenni.
L’invidia è diretta alla sua coerenza di idee, ed alla sua
determinazione nell’azione di governo.
Ma poi si ferma qui.
Come in tutte le storie di successo la Thatcher è stata favorita da casuali colpi di fortuna.
Si pensi alla stupida improvvisa invasione delle sperdute
isolette Mavinas Falkland da parte del dittatore di turno argentino, che ha
dato alla ancora poco conosciuta leader conservatrice inglese l’occasione per diventare
il personaggio che è diventato, cavalcando l’assurdo orgoglio nazionale offeso
degli inglesi.
Colpo di fortuna ancora più grande, lo sfruttamento dei
giacimenti petroliferi del Mare del Nord che hanno dato alla Thatcher una
rendita petrolifera da gestire.
Infine il potere contare sulla grande solidità di un sistema
politico sociale, che nel paese più classista d’Europa quale è ancora
l’Inghilterra ha consentito alla figlia di un piccolo droghiere di prendere due
lauree ad Oxford e di scalare la politica contando elusivamente sui suoi meriti
e non su privilegi, che non aveva proprio.
I suoi due bei volumi di autobiografia sono una ottima
lettura per conoscere il personaggio in tutte le sue sfumature, ma anche per
capire perché il sistema politico inglese è così solido e funzionale.
Ha avuto gli onori più elevati, ma nella sua vita nessuno le
ha mai regalato niente, si è sempre conquistato tutto lavorando più duro dei
suoi competitori.
Storicamente è stato il personaggio che più ha incarnato il
sentimento di un anticomunismo ai confini del fanatismo, così come ai confini
del fanatismo era la sua adesione alle teorie economiche liberiste di Von Hayek
e della scuola monetarista di Milton Friedman.
Lo stato è il problema, non la soluzione dei problemi e quindi
lo stato va affamato.
La società è un’entità che non esiste perché che esistono nella realtà sono solo gli
individui.
Questo era il suo credo, condiviso da Reagan e da Bush.
Cercò di applicare questi principi con una determinazione
eccezionale e nessuno può negare che nei suoi undici anni di governo
l’Inghilterra è profondamente cambiata.
Con le sue liberalizzazioni selvagge l’industria
manifatturiera inglese è praticamente scomparsa.
Applicando la deregulation alle operazioni finanziarie ha
fatto dei servizi finanziari la nuova “grande
industria” dell’Inghilterra, attraendo capitali con condizioni più
vantaggiose e libertà assoluta.
Difficile negare che le basi per gli abusi nell’uso di ogni
alchimia finanziaria, che hanno portato alla crisi attuale siano stati favoriti
dalle riforme della Thatcher di Reagan e di Bush.
Con lei i ricchi sono diventati più ricchi ,soprattutto
quando si sono visti ridurre le tasse sul reddito dall’80 al 40%.
Della riduzione delle tasse hanno goduto anche altri strati
sociali se pure in misura molto meno sensibile e di questo la piccola borghesia
le è stata riconoscente.
Come si è detto però, questa misura è stata resa possibile
dalla insperata e imprevista rendita petrolifera.
Gli operai a causa delle sue riforme,però hanno perso il
lavoro, alcuni non lo hanno più trovato, altri si sono riconvertiti ma comunque
non hanno certo conservato un buon ricordo di quegli anni.
La piccola borghesia non statale è stata dopo i ricchi la
più grande beneficiaria dell’era Thatcher.
Nella sua autobiografia la Thatcher dice che la sua
più grande ambizione politica era quella di portare i tassi dei mutui sul 5% in
modo che tutti gli inglesi si potessero comprare la casa.
Su questo ha avuto successo pieno, come sul fatto di portare
un alto numero di inglesi della classe media a diventare piccoli azionisti,
come risparmiatori.
Il suo chiodo fisso voleva che nessuno scroccasse nulla allo
stato e quindi l’idea del welfare le era filosoficamente indigeribile tanto che
la sua azione politica simbolo la ha portata a termine quando era ancora una
oscura sottosegretaria ed ha abolito una delle misure più simboliche del
welfare, la tazza di latte quotidiana distribuita nelle scuole.
Da primo ministro ha limato ma fortunatamente non è riuscita
a picconare il Welfare tanto da minarlo.
Ancora la sua ideologia la ha messa contro agli
intellettuali metropolitani ai quali ha tagliato i contributi statali.
Si è messa di traverso alla conservazione dei privilegi
degli aristocratici non per ragioni di “lotta di classe”, ma perché la sua
ideologia la spingeva a liberalizzare il mercato da ogni tipo di privilegio o
di corporazione.
E questo non è stato certo male.
In conclusione ha lasciato dopo i suoi undici anni di
governo una economia inglese più in sviluppo e più in forma di prima.
Valeva la pena spenderci i costi umani e sociali che ci ha
speso a cuor leggero con le sue cure da cavallo?
O ancora, la migliorata situazione economica è stata merito
tutto suo o principalmente del petrolio del Mare del Nord?
Non si può non riconoscerle la caratura da leader e una
grande personalità, ma complessivamente non c’erano ragioni di amarla.
La sua caparbia distruzione della forza dei sindacati ha
avuto anche il risultato storico inverosimile di partorire come suo delfino di
fatto non un leader conservatore, ma il leader del New Labor, quel Tony Blair
che è stato giustamente definito un aspirante miliardario e finto socialista.
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