venerdì 14 dicembre 2012

Al Cardinale Arcivescovo Scola converrebbe lasciare perdere Costantino





Non mi aspettavo niente di buono da uno Scola diventato Cardinale e Arcivescovo di Milano data la teologia morta alla quale fa riferimento e infatti tutte le volte che parla c’è da sussultare.
Il Concilio Vaticano II rimasto purtroppo l’unico tentativo della chiesa per fare i conti con i tempi e l’uomo moderno, aveva parlato di Costantino solo per deplorare e aborrire il suo nome perché questo imperatore romano del quarto secolo ha significato nella storia della chiesa cattolica la stipula del patto del diavolo fra la spada e l’altare, fra chiesa e potere civile, fonte di tutte le nefandezze elencate nel libro nero del cristianesimo : potere temporale dei papi, imposizione del credo religioso a fil di spada, lotte di religione, persecuzione fisica di tutti coloro che la pensavano diversamente denominati eretici, inquisizione, caccia alle streghe,  difesa di chiunque detenesse il potere temporale purché si fosse sottoposto al bacio della ciabatta pontificia.
Formulazione di una teologia pletorica e di un apparato faraonico a sua difesa di tutto questo basandosi sul principio della sottomissione dei cervelli, delle anime e dei corpi all’autorità della casta che governava la chiesa in primis ed a quella che governava i territori in secundis.
Con conseguente oscuramento del messaggio evangelico  originario, cioè storico.
Costantino, chiesa costantiniana, sono stati qualificati come chiesa trionfalista e tutto in senso negativo.
Le religioni vivono di simbolismi e la “chiesa costantiniana” è stata indentificata nella storia dal famosissimo falso storico dell’ “in hoc signo vinces”, l’ episodio narrato da Tito Livio nella descrizione della battaglia di Ponte Milvo dove Costantino  avrebbe fatto iscrivere dalle sue milizie negli stendardi un segno scaramantico vincente, indicato dalla chiesa nei tempi successivi come il segno della croce, che all’epoca non identificava affatto i cristiani.
Ma è diventato nei secoli successivi il simbolo della chiesa “trionfalista”, quella del “dio degli eserciti”, che teologicamente è una bestemmia pura e semplice, ma che ha rappresentato il cristianesimo per secoli.
Scola, ha finto di ignorare tutto questo e ha approfittato di una mostra seria e accurata di storia dell’arte su Costantino, preparata dal valido staff tecnico del Museo Diocesano di Milano, che tra l’altro aveva  cominciato a lavorarci sopra diversi anni fa e quindi quando ancora governava il suo predecessore arcivescovo per buttarla il politica clericale e additare Costantino nientemeno che come il difensore del principio della libertà religiosa ,che come tutti sanno, è stato inventato ben quindici secoli dopo Costantino dall’illuminismo.
Non potendo sparare una castronata storica di tale portata lo stesso Scola nel discorso di Sant’Ambrogio è stato costretto ad attenuare subito l’affermazione riconoscendo che il principio affermato dall’editto di Costantino - Lucilio è stato applicato per pochissimo tempo.
Ma la sparata gli è servita per ispirare i titoli dei giornali sul suo discorso, che era invece tutto concentrato sulla polemica vecchia e stantia sul presunto laicismo dei tempi moderni, che metterebbe nell’angolo la chiesa.
Questa chiesa italiana che è la più coperta di soldi statali, privilegi e guarentigie di tutto l’Occidente.
E così si è lanciato in un azzardato ragionamento che ha capito solo lui perché confliggeva gravemente con la logica elementare in più punti.
La libertà religiosa è un principio illuministico che fa parte della dichiarazione dei  diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e sue successive redazioni, fino a quella dell’Onu del 48 ,della UE del 1950 e poi del 2000 e si traduce nel principio della neutralità dello stato in materia religiosa.
Posso capire che uno con la collocazione culturale e teologica di Scola abbia dei problemi con Voltaire e la Rivoluzione Francese, ma almeno si studi la perfetta riuscita della convivenza fra stato rigidamente laico e religioni che si è realizzata negli Stati Uniti  a cominciare dal periodo fondante dei Padri Pellegrini, tutti provvisti di Bibbia, con reciproca soddisfazione.
Il qualificatissimo pubblico che lo ha ascoltato in Sant’Ambrogio meritava veramente di più di quel fumoso arrampicarsi sui vetri per dire che la laicità dello stato va bene, ma non va bene.
Che la neutralità dello stato va bene, perché lo stato etico, che si materializza quando viene proclamata una religione di stato, lo si è già sperimentato nel mondo coi regimi fascisti e ha generato disastri, però non va bene lo stesso.
Una società sempre più scolarizzata e moderna non tollera più questi ragionamenti che sono né più né meno che la trasposizione in ambiente clericale delle incoerenti esternazioni   della nostra classe politica, che non si è mai preoccupata della coerenza intrinseca dei  discorsi che fa a soli fini propagandistici di bottega.
E’ finito anche in Italia il tempo nel quale un vescovo poteva dire tutto quello che voleva perché la gente confondeva la parola di dio con quella molto a fini terreni dei suoi interpreti.
L’autorevolezza che ispirava la  veste è caduta con il lungo elenco di incoerenze, misfatti e omissioni finanziari, sessuali, politici, carrieristici, da parte dell’alto clero che oggi la gente non ignora più e non tollera più.
Da qui un giudizio più severo da parte della gente e una aspettativa a che i pastori si mettano a un livello più adeguato e più consono.
Attaccarsi a un ragionamento intrinsecamente incoerente sulla laicità per riproporre il solito elenco delle priorità che la attuale classe dirigente della chiesa ha scelto è poco sensato.
Bastava lasciar perdere Costantino e attaccare subito con l’elencazione della solita litania sul fine vita, sulle unioni di fatto, sui diritti dei gay eccetera eccetera.
Modestissimo discorso mascherato di cultura ma di fatto diretto al sindaco Pisapia, che ha già dimostrato di non avere alcuna intenzione di baciare quella ciabatta, come avevano fatto i suoi predecessori.
Se questi sono i problemi della gente per i vescovi si capisce benissimo perché la percentuale di cattolici praticanti a Milano è cascata al 5% ed è  in ulteriore costante discesa.
Per sfortuna dell’Arcivescovo Scola i giornali in contemporanea al suo discorso di Sant’Ambrogio riportavano le parallele esternazioni dei leader egiziani salfiti e dei fratelli musulmani  che sulla laicità- neutralità dello stato affermavano esattamente le stesse cose così poco illuminate.
Ma che c’entra Costantino.
Costantino era un politico, per quanto se ne sa, anche di notevole livello.
La sua preoccupazione era quella di tenere insieme un impero immenso e multi- tutto.
La “religio ” per lui come per i suoi predecessori e successori era un “instrumentum regni” e nulla c’entrava con la “pietas”, che è il termine latino più vicino alla nostra nozione di religione, come sanno tutti quelli che ricordano ancora latino e  storia.
E in questa precisa casella della “religio” e non della “pietas” era stato collocato il cristianesimo emergente da Costantino.
Se vogliamo fare la traduzione in senso opposto, cioè dal latino all’italiano, “religio” in senso latino corrisponde a quello che oggi si intende per “religione civile” in modo più marcato negli Usa che da noi.
Cioè l’insieme dei valori condivisi a base del patto sociale e quindi base della società e della politica.
Niente a che fare con la dimensione spirituale, sentimentale e mistica che evocano le religioni.
Se vogliamo semplificare per rendere meglio l’idea Costantino ha fatto a suo tempo ai cristiani questo sbrigativo discorso perché era l’unico coerente con i suoi scopi : io vi do libertà di culto correndo un azzardo perché vedo che voi siete fortemente in ascesa,  diffusi capillarmente sul territorio e ben organizzati, vi vedo quindi come un formidabile elemento di collante a livello “civile” di questa società imperiale fatta di mille etnie, lingue,  culture e religioni.
Però, capitemi bene, in cambio di quello che vi do si intende che d’ora in avanti il vostro papa di fatto lo farò io.
(Allora i papi veri erano nel 313 un certo San Milziade, nord-africano, seguito l’anno successivo dal romano San Silvestro, personaggi dei quali non sappiamo molto se non che sono sepolti  nelle catacombe di San Callisto il primo e di Priscilla il secondo ).
Si noti che questa è una semplificazione, ma ha un solido fondamento storico nelle vicende del Concilio fondante del cristianesimo primitivo e dell’immensa dogmatica cattolica, quello di Nicea del 325 solo dodici anni dopo l’editto di Milano sulla libertà di culto  del 313.
Negli ambienti ecclesiastici si parla poco delle procedure del Concilio di Nicea e non a caso e sempre in modo imbarazzato per il fatto assolutamente clamoroso che lo stesso concilio era stato convocato e presieduto dall’imperatore in persona, e non in modo formale ma sostanziale.
Di conseguenza si da per certo che la fondamentale proclamazione teologica del dogma trinitario è stata una scelta in primis dell’imperatore, che pare abbia seguito il parere della maggioranza dei padri conciliari, ma ovviamente sulla base di un suo ragionamento tutto politico e cioè per evitare che si protraessero dispute teologiche, che avrebbero potuto indebolire quel potere collante del cristianesimo a livello civile che era la ragione per la quale aveva azzardato il suo appoggio al cristianesimo nascente.
Le parole del famoso editto di Milano, che come documenta la mostra, erano solo la ripetizione di un precedente editto di Galerio del 311, che aveva dovuto essere ribadito  perché aveva fatto la fine delle  grida manzoniane, sono  addirittura scioccanti nella loro bellezza e “modernità”.
Sarebbe bello poter conoscere da quale penna o meglio stilo sono scaturite, cioè chi era il formidabile intellettuale che le aveva elaborate e suggerite, ma purtroppo non lo sappiamo.
Allora gli imperatori, come oggi i presidenti, si avvalevano dei “gost writer” per i loro documenti.
Gente del calibro di Seneca per Nerone o di Alcuino per Carlo Magno e così via.
Sopra ho messo la parola modernità fra virgolette perché quando si parla di cose di secoli fa  occorre fare quella che gli storici chiamano “l’analisi del linguaggio” perché lo stesso termine oggi vuol dire una cosa ma ieri voleva dire tutt’un’altra cosa se  analizzato come si deve fare alla luce del mondo culturale che le aveva espresse.
Quindi belle parole, ma teniamo a freno gli entusiasmi perché poco dopo Costantino è arrivato Teodosio che ha interpretato la famosa “religio” ancora più  strettamente come “instrumentum
regni”.
Ha fatto del cristianesimo la religione di stato, ha scatenato le legioni per abbattere tutti i templi pagani o di qualunque altra religione ed ha proibito che si manifestasse qualsiasi altro culto, addirittura perfino nell’ambito della propria casa privata, con relative persecuzioni.
Ha fatto un’opera di perfetta inciviltà distruggendo a piene mani anche arte e cultura, altro che libertà di religione e il tutto con la benedizione della chiesa di allora.
Solo pochissimo tempo dopo Costantino eravamo già alle guerre di religione, il frutto avvelenato che aveva prodotto il matrimonio diabolico fra la spada e l’altare.
Era l’editto di Tessalonica del 380.
Questo non c’era però nel discorso dell’Arcivescovo ed è stata una omissione imperdonabile, perché citando la storia solo per quello che fa comodo e ignorando il resto si fa della disinformazione, mentre la gente ha sete almeno di un può di onestà anche intellettuale.

Nessun commento: