Non mi aspettavo niente
di buono da uno Scola diventato Cardinale e Arcivescovo di Milano data la
teologia morta alla quale fa riferimento e infatti tutte le volte che parla c’è
da sussultare.
Il Concilio Vaticano II
rimasto purtroppo l’unico tentativo della chiesa per fare i conti con i tempi e
l’uomo moderno, aveva parlato di Costantino solo per deplorare e aborrire il
suo nome perché questo imperatore romano del quarto secolo ha significato nella
storia della chiesa cattolica la stipula del patto del diavolo fra la spada e l’altare,
fra chiesa e potere civile, fonte di tutte le nefandezze elencate nel libro
nero del cristianesimo : potere temporale dei papi, imposizione del credo
religioso a fil di spada, lotte di religione, persecuzione fisica di tutti
coloro che la pensavano diversamente denominati eretici, inquisizione, caccia
alle streghe, difesa di chiunque
detenesse il potere temporale purché si fosse sottoposto al bacio della
ciabatta pontificia.
Formulazione di una
teologia pletorica e di un apparato faraonico a sua difesa di tutto questo basandosi
sul principio della sottomissione dei cervelli, delle anime e dei corpi
all’autorità della casta che governava la chiesa in primis ed a quella che
governava i territori in secundis.
Con conseguente oscuramento
del messaggio evangelico originario,
cioè storico.
Costantino, chiesa
costantiniana, sono stati qualificati come chiesa trionfalista e tutto in senso
negativo.
Le religioni vivono di
simbolismi e la “chiesa costantiniana” è stata indentificata nella storia dal
famosissimo falso storico dell’ “in hoc signo vinces”, l’ episodio narrato da
Tito Livio nella descrizione della battaglia di Ponte Milvo dove Costantino avrebbe fatto iscrivere dalle sue milizie negli
stendardi un segno scaramantico vincente, indicato dalla chiesa nei tempi
successivi come il segno della croce, che all’epoca non identificava affatto i
cristiani.
Ma è diventato nei
secoli successivi il simbolo della chiesa “trionfalista”, quella del “dio degli
eserciti”, che teologicamente è una bestemmia pura e semplice, ma che ha rappresentato
il cristianesimo per secoli.
Scola, ha finto di
ignorare tutto questo e ha approfittato di una mostra seria e accurata di
storia dell’arte su Costantino, preparata dal valido staff tecnico del Museo
Diocesano di Milano, che tra l’altro aveva cominciato a lavorarci sopra diversi anni fa e
quindi quando ancora governava il suo predecessore arcivescovo per buttarla il
politica clericale e additare Costantino nientemeno che come il difensore del
principio della libertà religiosa ,che come tutti sanno, è stato inventato ben quindici
secoli dopo Costantino dall’illuminismo.
Non potendo sparare una
castronata storica di tale portata lo stesso Scola nel discorso di
Sant’Ambrogio è stato costretto ad attenuare subito l’affermazione riconoscendo
che il principio affermato dall’editto di Costantino - Lucilio è stato
applicato per pochissimo tempo.
Ma la sparata gli è
servita per ispirare i titoli dei giornali sul suo discorso, che era invece tutto
concentrato sulla polemica vecchia e stantia sul presunto laicismo dei tempi
moderni, che metterebbe nell’angolo la chiesa.
Questa chiesa italiana
che è la più coperta di soldi statali, privilegi e guarentigie di tutto l’Occidente.
E così si è lanciato in
un azzardato ragionamento che ha capito solo lui perché confliggeva gravemente
con la logica elementare in più punti.
La libertà religiosa è
un principio illuministico che fa parte della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e
sue successive redazioni, fino a quella dell’Onu del 48 ,della UE del 1950 e
poi del 2000 e si traduce nel principio della neutralità dello stato in materia
religiosa.
Posso capire che uno
con la collocazione culturale e teologica di Scola abbia dei problemi con
Voltaire e la Rivoluzione Francese, ma almeno si studi la perfetta riuscita
della convivenza fra stato rigidamente laico e religioni che si è realizzata
negli Stati Uniti a cominciare dal
periodo fondante dei Padri Pellegrini, tutti provvisti di Bibbia, con reciproca
soddisfazione.
Il qualificatissimo
pubblico che lo ha ascoltato in Sant’Ambrogio meritava veramente di più di quel
fumoso arrampicarsi sui vetri per dire che la laicità dello stato va bene, ma
non va bene.
Che la neutralità dello
stato va bene, perché lo stato etico, che si materializza quando viene
proclamata una religione di stato, lo si è già sperimentato nel mondo coi
regimi fascisti e ha generato disastri, però non va bene lo stesso.
Una società sempre più
scolarizzata e moderna non tollera più questi ragionamenti che sono né più né
meno che la trasposizione in ambiente clericale delle incoerenti esternazioni della
nostra classe politica, che non si è mai preoccupata della coerenza intrinseca
dei discorsi che fa a soli fini
propagandistici di bottega.
E’ finito anche in
Italia il tempo nel quale un vescovo poteva dire tutto quello che voleva perché
la gente confondeva la parola di dio con quella molto a fini terreni dei suoi
interpreti.
L’autorevolezza che
ispirava la veste è caduta con il lungo
elenco di incoerenze, misfatti e omissioni finanziari, sessuali, politici,
carrieristici, da parte dell’alto clero che oggi la gente non ignora più e non
tollera più.
Da qui un giudizio più
severo da parte della gente e una aspettativa a che i pastori si mettano a un
livello più adeguato e più consono.
Attaccarsi a un
ragionamento intrinsecamente incoerente sulla laicità per riproporre il solito
elenco delle priorità che la attuale classe dirigente della chiesa ha scelto è
poco sensato.
Bastava lasciar perdere
Costantino e attaccare subito con l’elencazione della solita litania sul fine
vita, sulle unioni di fatto, sui diritti dei gay eccetera eccetera.
Modestissimo discorso
mascherato di cultura ma di fatto diretto al sindaco Pisapia, che ha già dimostrato
di non avere alcuna intenzione di baciare quella ciabatta, come avevano fatto i
suoi predecessori.
Se questi sono i
problemi della gente per i vescovi si capisce benissimo perché la percentuale
di cattolici praticanti a Milano è cascata al 5% ed è in ulteriore costante discesa.
Per sfortuna dell’Arcivescovo
Scola i giornali in contemporanea al suo discorso di Sant’Ambrogio riportavano
le parallele esternazioni dei leader egiziani salfiti e dei fratelli musulmani che sulla laicità- neutralità dello stato affermavano
esattamente le stesse cose così poco illuminate.
Ma che c’entra
Costantino.
Costantino era un
politico, per quanto se ne sa, anche di notevole livello.
La sua preoccupazione
era quella di tenere insieme un impero immenso e multi- tutto.
La “religio ” per lui
come per i suoi predecessori e successori era un “instrumentum regni” e nulla
c’entrava con la “pietas”, che è il termine latino più vicino alla nostra
nozione di religione, come sanno tutti quelli che ricordano ancora latino e storia.
E in questa precisa
casella della “religio” e non della “pietas” era stato collocato il
cristianesimo emergente da Costantino.
Se vogliamo fare la
traduzione in senso opposto, cioè dal latino all’italiano, “religio” in senso
latino corrisponde a quello che oggi si intende per “religione civile” in modo
più marcato negli Usa che da noi.
Cioè l’insieme dei
valori condivisi a base del patto sociale e quindi base della società e della
politica.
Niente a che fare con
la dimensione spirituale, sentimentale e mistica che evocano le religioni.
Se vogliamo
semplificare per rendere meglio l’idea Costantino ha fatto a suo tempo ai
cristiani questo sbrigativo discorso perché era l’unico coerente con i suoi
scopi : io vi do libertà di culto correndo un azzardo perché vedo che voi siete
fortemente in ascesa, diffusi capillarmente
sul territorio e ben organizzati, vi vedo quindi come un formidabile elemento
di collante a livello “civile” di questa società imperiale fatta di mille etnie,
lingue, culture e religioni.
Però, capitemi bene, in
cambio di quello che vi do si intende che d’ora in avanti il vostro papa di
fatto lo farò io.
(Allora i papi veri
erano nel 313 un certo San Milziade, nord-africano, seguito l’anno successivo dal
romano San Silvestro, personaggi dei quali non sappiamo molto se non che sono
sepolti nelle catacombe di San Callisto
il primo e di Priscilla il secondo ).
Si noti che questa è
una semplificazione, ma ha un solido fondamento storico nelle vicende del
Concilio fondante del cristianesimo primitivo e dell’immensa dogmatica
cattolica, quello di Nicea del 325 solo dodici anni dopo l’editto di Milano
sulla libertà di culto del 313.
Negli ambienti
ecclesiastici si parla poco delle procedure del Concilio di Nicea e non a caso e
sempre in modo imbarazzato per il fatto assolutamente clamoroso che lo stesso
concilio era stato convocato e presieduto dall’imperatore in persona, e non in
modo formale ma sostanziale.
Di conseguenza si da
per certo che la fondamentale proclamazione teologica del dogma trinitario è
stata una scelta in primis dell’imperatore, che pare abbia seguito il parere
della maggioranza dei padri conciliari, ma ovviamente sulla base di un suo
ragionamento tutto politico e cioè per evitare che si protraessero dispute
teologiche, che avrebbero potuto indebolire quel potere collante del
cristianesimo a livello civile che era la ragione per la quale aveva azzardato
il suo appoggio al cristianesimo nascente.
Le parole del famoso
editto di Milano, che come documenta la mostra, erano solo la ripetizione di un
precedente editto di Galerio del 311, che aveva dovuto essere ribadito perché aveva fatto la fine delle grida manzoniane, sono addirittura scioccanti nella loro bellezza e “modernità”.
Sarebbe bello poter
conoscere da quale penna o meglio stilo sono scaturite, cioè chi era il
formidabile intellettuale che le aveva elaborate e suggerite, ma purtroppo non
lo sappiamo.
Allora gli imperatori, come
oggi i presidenti, si avvalevano dei “gost writer” per i loro documenti.
Gente del calibro di Seneca
per Nerone o di Alcuino per Carlo Magno e così via.
Sopra ho messo la
parola modernità fra virgolette perché quando si parla di cose di secoli fa occorre fare quella che gli storici chiamano “l’analisi
del linguaggio” perché lo stesso termine oggi vuol dire una cosa ma ieri voleva
dire tutt’un’altra cosa se analizzato come
si deve fare alla luce del mondo culturale che le aveva espresse.
Quindi belle parole, ma
teniamo a freno gli entusiasmi perché poco dopo Costantino è arrivato Teodosio che
ha interpretato la famosa “religio” ancora più
strettamente come “instrumentum
regni”.
Ha fatto del cristianesimo
la religione di stato, ha scatenato le legioni per abbattere tutti i templi
pagani o di qualunque altra religione ed ha proibito che si manifestasse
qualsiasi altro culto, addirittura perfino nell’ambito della propria casa
privata, con relative persecuzioni.
Ha fatto un’opera di
perfetta inciviltà distruggendo a piene mani anche arte e cultura, altro che
libertà di religione e il tutto con la benedizione della chiesa di allora.
Solo pochissimo tempo dopo
Costantino eravamo già alle guerre di religione, il frutto avvelenato che aveva
prodotto il matrimonio diabolico fra la spada e l’altare.
Era l’editto di
Tessalonica del 380.
Questo non c’era però nel
discorso dell’Arcivescovo ed è stata una omissione imperdonabile, perché citando
la storia solo per quello che fa comodo e ignorando il resto si fa della disinformazione,
mentre la gente ha sete almeno di un può di onestà anche intellettuale.
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