domenica 23 dicembre 2012

Woytila e Ratzinger due pontificati rovinosi per la chiesa, ma per opera del caso, non del diavolo e in particolare a causa della loro inadeguata formazione giovanile







Chi per professione o per passione personale si interessa di storia sa che spesso se non quasi sempre anche le più celebri vicende storiche hanno preso una piega anziché un’altra per puro caso, perché per puro caso riescono a combinarsi insieme i molteplice elementi che li hanno resi possibili.
Hitler sarebbe rimasto sempre un modesto imbianchino bavarese se …
Lenin  sarebbe marcito in galera chissà per quanto tempo se non avesse preso quel famoso treno Zurigo-Pietrogrado Pietroburgo, dove era inizita la Rivoluzione  poi detta d'ottobre.
Per ogni personaggio notevole passato alla storia è possibile individuare gli elementi casuali che hanno reso possibile la loro fortuna o sfortuna.
Rimanendo ai tempi presenti mi sono imbattuto, guarda un po’ per caso, nelle sconcertanti analogie che sono state probabilmente determinanti a fare di Woytila e Ratzinger  due campioni della conservazione e della anti -modernità.
E in tutti e due i casi l’analogia si trova nell’ambiente nel quale sono cresciuti negli anni della loro formazione scolastica.
Woytila figlio di uno squattrinato sottoufficiale dell’esercito, rimasto vedovo precocemente che non aveva materialmente i soldi per comprare i libri, che avrebbero dovuto alimentare la formazione di un figlio molto dotato intellettualmente e molto ambizioso.
Questo figlio ha quindi dovuto accontentarsi di quello che passava il convento, cioè le biblioteche degli ultra conservatori seminari della ultra conservatrice chiesa polacca.
Già chiusa nella sua fobia di nazione perseguitata dalla sorte, quando è  cascata dalla schiavitù nazista alla schiavitù sovietica, questa  per di più anche atea militante, la chiesa polacca ha raggiunto dei vertici di distacco dal mondo e di ricaduta nel medioevo.
Woytila ha avuto la ventura di formarsi in questa temperie culturale, nella quale a fede era intesa come fortezza nella quale rinchiudersi per difendersi dagli attacchi di tutto ciò che era esterno.
Quel celebre film, tratto dal libro di Eco ha dato una immagine plastica di una idwale biblioteca di convento medioevale, gestita da un anziano bibliotecario integralista fanatico che rinchiudeva il sapere del mondo in una torre di spesse mura e in quell’ambito murava in un labirinto irraggiungibile i testi considerati da lui pericolosi.
Questa doveva essere la Polonia clericale negli anni giovanili di Woytila.
Questo personaggio dotato di una personalità prorompente e carismatica con doti di attore a livello professionale, chissà quali vertici intellettuali o artistici avrebbe raggiunto se avesse potuto studiare in una qualunque università internazionale di eccellenza, invece che in oscuri seminari di una chiesa accerchiata e chiusa in sé stessa.
Questo handicap di partenza Woytila ha cercato di superarlo con un supplemento di forza di volontà, che certo non gli mancava, ma lo zampino del caso e non del diavolo lo ha frenato ancora in più occasioni.
Tutti sappiamo che nell’epoca classica chi non conosceva il greco e il latino non esisteva per il mondo della cultura, non poteva letteralmente prendere parte.
Nell’epoca moderna nessuna contesta più il fatto che chi oggi non padroneggia l’inglese si può accomodare fuori dallo sviluppo intellettuale del mondo.
Woytila l’inglese lo ha studiato perché aveva capito benissimo  quali  erano le regole del gioco, ma no lo ha mai padroneggiato.
I giornali all’epoca hanno riportato per esempio la cronaca di quella udienza kafkiana che Woytila da papa aveva accordato al Principe Carlo di Inghilterra, accompagnato dalla più celebre consorte, principessa Diana, quando a causa del suo inglese approssimativo, che portava a degli equivoci  ed alla cortesia nobiliare che induceva a rispondere con degli “yes”, forse interrogativi, forse assertivi, i tre si erano avvitati in una conversazione nella quale non si capiva più nulla.
La insufficiente padronanza della lingua, veniva aggravata in Woytila dal poco interesse, se non da una  antipatia preconcetta  verso la cultura anglosassone, che non conosceva e  che non aveva mai studiato seriamente, senza rendersi conto che non avrebbe potuto permetterselo perché  così facendo si sarebbe tagliato fuori dal mondo moderno.
E’ in questo  “gap”,  in questo distacco, in questo vuoto  culturale, che come abbiamo detto si è materializzato per circostanze  casuali, che Woytila non  ha mai capito tutto ciò che è anglosassone, dal protestantesimo in religione  col suo concetto di spirito critico e di pluralismo culturale, alla democrazia moderna , alla laicità dello stato in politica e nella cultura politica e sociale.
Così una volta caduto il comunismo e liberata la Polonia, non certo per solo merito suo, si è lanciato  nell’opera assurda di modellare la chiesa universale sul modello polacco che era l’unico che conosceva  e che gli dava sicurezza.
Così lasciava fuori il mondo moderno e non è cosa da poco.

E’ singolare che il suo successore Joseph Ratzinger si trovi condizionato dallo stesso gap culturale, che, poveretto, non si è né scelto né cercato, ma se lo si è trovato in dote dalla limitata formazione culturale che ha acquisito nella sua giovinezza , esattamente come Woytila.
Non è forse singolare e illuminante al tempo stesso il fatto che Ratzinger sia figlio di un poliziotto bavarese, quasi la stessa professione del padre Woytila e non proprio stimolo all’ apertura mentale?
L’ambiente culturale dei seminari bavaresi degli anni del nazismo, che è caduto quando il nostro aveva 18 anni, non era certo molto più aperto e brillante di quello della Polonia di Woytila sotto i sovietici.
Il Nazismo non era formalmente ateo, ma lo era nei fatti in un modo ancora più insidioso del comunismo sovietico per la chiesa, che  in massa si era lasciata trascinare dall’esaltazione  nazionalista per la religione del potere della razza ariana eletta e antisemita e aveva coltivato così il peggio della propria teologia, basato sui concetti di culto dell’autorità e del potere, ambedue radicalmente anti-  evangelici.
In questo clima culturale distorto, chiuso e  ultra- tradizionalista si è formato Ratzinger.
Uomo molto più modesto intellettualmente di Woytila e che ha ben presto mostrato di accontentarsi delle   sicurezze accordate agli uomini di apparato.
Uomo di apparato è sempre stato  a servizio di quella metaforica torre del convento medioevale che metteva al sicuro i libri proibiti, perché non tentassero le  intelligenze della gente.
Con Ratzinger ci risiamo, il protestantesimo pur così vicino a lui tedesco gli è del tutto sconosciuto, probabilmente non ha mai studiato seriamente Lutero per paura del confronto con lo spirito critico e il suo pluralismo culturale e teologico.
L’inglese e la cultura anglosassone è di nuovo rimasta appena toccata,  anche perché pregiudizialmente ritenuta ostile e pericolosa.
Il quadro culturale è lo stesso.
Due vittime di un’educazione sbagliata che non si sono cercati.
Le neuroscienze oggi hanno molto chiarito il ruolo non assoluto e insuperabile, ma certo molto pesante della formazione giovanile.
E insidioso, perché la mente funziona facendo sempre riferimento con un procedimento inconscio in prima istanza alle risposte veloci che ci vengono dai “files” archiviati e quindi a nostra insaputa ci fornisce niente altro che dei bei pregiudizi, suggerendoceli  come da adottare e come se fossero nostri “per default” in analogia al funzionamento dei computer.
L’ambiente e quello familiare  sociale  e culturale in particolare rischia di ingabbiarci per tutta la vita se non sappiamo reagire criticamente.
E per far questo è essenziale uscire dal guscio e andare in giro per il mondo, cosa che oggi la tecnologia ci consente di fare anche solo dallo schermo del nostro computer.
Ma né Woytila, né Ratzinger hanno preso coscienza dei danni che loro causava il fatto di essere immobilizzati nella torre del convento.

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