Quando ero ancora dietro ai banchi dell’università
uno dei luminari più innovativi nel campo del diritto costituzionale era quel
Giuseppe Maranini che, in controtendenza rispetto alla dottrina giuridica più
diffusa, sosteneva che la nostra costituzione fosse molto vicino a quella di
una repubblica presidenziale, perché a suo giudizio forniva al presidente
poteri molto estesi, che nella prassi non erano mai stati sfruttati, ma che
avrebbero potuto essere usati, se sulla scena si fosse presentato un presidente
interventista.
Chissà che
Napolitano non sia un seguace della dottrina di Maranini.
Lontano anni luce da Einaudi, che si vedeva come
il notaio della repubblica.
Napolitano passerà alla storia come il presidente
che ha più dilatato i poteri che la costituzione gli conferisce.
Cossiga si limitava alle “picconate” verbali.
Napolitano “monita” nel senso che indirizza altri
poteri ed istituzioni aspettandosi di essere seguito, diversamente “rimonita”,
poi convoca, poi emette comunicati e via di seguito.
Con la scusa che Monti sarebbe un tecnico e quindi
debole sul lato politico, la presidenza gli fornisce una vigorosa copertura
praticamente quotidiana.
La cacciata di Berlusconi nell’autunno dello
scorso anno è stata una benedizione della quale la storia gli sarà grata, ma
certo la trafila seguita è stata singolare nel senso che non c’è mai stato un voto di sfiducia verso Berlusconi e Monti
è diventato presidente del consiglio dopo essere entrato in parlamento il
giorno prima per nomina presidenziale e non per elezione.
Molto singolare, ma formalmente ineccepibile.
Il programma politico economico di Monti con la
scusa che era imposto dell’Europa è stato apertamente adottato, difeso e
sostenuto giorno per giorno dalla presidenza ed anche questo è singolare.
I ripetuti interventi sulle Camere ed addirittura
sui partiti per formulare una nuova legge elettorale sono non solo un fatto
anche questo singolare, ma proprio ai limiti dei poteri costituzionali della
presidenza.
Il ricorso alla Consulta sul caso delle
intercettazioni indirette della presidenza sul caso Mancino invocando il
conflitto di attribuzioni fra poteri dello stato arrivato ora a sentenza è un
fatto veramente clamoroso e probabilmente unico nel suo genere nelle democrazie
occidentali, perché con quello si è voluto coprire un vuoto legislativo proprio
per dilatare le prerogative della presidenza in modo talmente ampio da essere
veramente discutibile.
Non c’è dubbio che queste amplissime prerogative e
guarentigie che la presidenza si è creata intorno collidono col fondamentale
principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Singolare anche la vicenda umana di questo
presidente.
Per storia personale gli spetterebbe il titolo di
ultimo (non proprio ultimo perché Ingrao è più anziano di lui) di quelli che
erano definiti i “mandarini rossi”.
Lui che per inclinazione personale è sempre stato
il meno rosso dei rossi.
Moderato, riformista o come si diceva allora
migliorista per distinguersi da quelli
proprio come Ingrao che non si accontentavano del riformismo ma volevano
le “riforme di struttura”.
Singolarissimo poi il fatto che mentre gli altri
suoi pari perdevano ore ed ore per impratichirsi della lingua russa lui
completamente contro corrente abbia studiato invece l’inglese, la lingua dell’allora
nemico tanto bene da arrivare a parlarla fluentemente.
Passerà alla storia come il più presidenzialista
dei presidenti, un vero discepolo di Giuseppe Maranini.
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